L’albero prodigioso

L’albero prodigioso

In un paese lontano si trovava un albero prodigioso.
Nessuno conosceva la sua età.
Alcuni dicevano che era più vecchio della terra.
Donne e uomini venivano a supplicarlo.
Anche i lupi, nelle notti senza luna, ululavano verso di lui.

Ma nessuno osava mangiare i suoi frutti.

Eppure erano frutti magnifici, enormi, innumerevoli, che pendevano dalle due ramificazioni dell’albero.
Metà di questi frutti erano velenosi.
Nessuno sapeva quale delle due metà.
Dei due grandi rami, uno portava la vita, l’altro la morte.
Venne una grande carestia e la gente del paese soffriva la fame.
Solo l’albero rimaneva imperturbabile, carico di frutti splendidi.

Gli abitanti dei dintorni si avvicinavano indecisi e timorosi.

Erano affamati e soffrivano, ma non volevano morire avvelenati.
Ma, un giorno, un uomo che stava per morire si fermò sotto il ramo di destra, raccolse un frutto e lo mangiò senza esitare.
Rimase in piedi, tranquillo, con un respiro che si faceva sempre più gioioso.
Tutti di colpo si accalcarono verso il ramo di destra e cominciarono a mangiare quei frutti deliziosi e salutari.
Alla sera, gli abitanti dei posto si riunirono in consiglio.
Il ramo di sinistra era non solo inutile, ma anche pericoloso.

Decisero di reciderlo con decisione, dal tronco.

Il giorno dopo, tutti si svegliarono presto e si affrettarono a cercare il loro cibo.
Tutti i frutti del ramo di destra erano caduti in terra e imputridivano nella polvere.
Gli uccelli che abitavano tra le foglie erano scomparsi.
L’albero era morto durante la notte.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Gli occhi di mio padre

Gli occhi di mio padre

Era un ragazzino che amava tantissimo il calcio e aveva un padre molto affettuoso che condivideva la sua passione.
Era piccolo e mingherlino e il più delle volte doveva fare la riserva.
Anche se il figlio era sempre in panchina, il padre era sempre tra gli spettatori a fare il tifo e non mancava mai a una partita.
Il ragazzo era ancora il più piccolo della classe anche al liceo, ma suo padre continuava a incoraggiarlo.
Il ragazzo riuscì a entrare nella squadra giovanile della città.
Non perdeva mai un allenamento e si impegnava con tutte le sue forze, ma l’allenatore continuava a confinarlo in panchina durante le partite.
Suo padre era sempre in tribuna e tutte le volte trovava le parole giuste per incoraggiarlo.
Il ragazzo era quasi sicuro di non essere ammesso nella squadra maggiore e invece l’allenatore, colpito dall’impegno che spendeva negli allenamenti, lo volle con sé.

Pieno di entusiasmo chiamò subito suo padre al telefono.

Suo padre condivise il suo entusiasmo e si abbonò a tutte le partite.
Il ragazzo si impegnava e si allenava.
Ma durante le partite restava in panchina.
Arrivò l’ultima settimana del campionato.
Con una vittoria, la squadra poteva essere promossa nella serie superiore.
All’inizio della settimana, il giovane si avvicinò all’allenatore.
Aveva gli occhi rossi ed era molto pallido.
“Mio padre è morto questa mattina.
Posso saltare l’allenamento oggi?” borbottò.

L’allenatore gli mise gentilmente un braccio sulla spalla e disse:

“Prenditi anche il resto della settimana, figliolo!”
Arrivò la domenica e lo stadio era affollato come non mai.
Era la partita più importante dell’anno e tutta la città sentiva l’avvenimento in modo particolare.
La squadra scese in campo per il riscaldamento un po’ prima dell’orario d’inizio della partita.
Con autentico stupore, videro il ragazzo con la tuta sulla divisa di gioco che correva con loro.
La partita ebbe inizio.
Si capì subito che gli avversari erano meglio organizzati e costrinsero la squadra a barricarsi in difesa.
All’inizio del secondo tempo, il ragazzo si avvicinò all’allenatore e disse:
“Mister, fatemi giocare, per favore!”
I suoi occhi erano pieni di fiduciosa aspettativa.

Dolente per il ragazzo, l’allenatore acconsentì:

“Va bene.” Disse, “Vai dentro.”
Dopo pochi minuti, l’allenatore, i giocatori e gli spettatori non potevano credere ai loro occhi.
Quel piccolo, sconosciuto ragazzino che non aveva mai giocato prima, aveva preso in mano il centrocampo e fatto salire la squadra.
Gli avversari non riuscivano a fermarlo.
I compagni di squadra cominciarono a passargli il pallone sempre più spesso.
A pochi minuti dal fischio finale, con un tiro forte e angolato, segnò il goal della vittoria.
I compagni lo portarono in trionfo, gli spettatori, in piedi, lo applaudirono a lungo.
Quando tutti ebbero lasciato gli spogliatoi, l’allenatore si accorse che il ragazzo era seduto in silenzio in un angolo, tutto solo.
“Ragazzo, sei stato fantastico!
Come hai fatto?”
Il giovane guardò l’allenatore, con le lacrime agli occhi, e disse:
“Le ho detto che mio padre è morto, ma lei sapeva che mio padre era cieco?”
Il giovane deglutì e si sforzò di sorridere:
“Papà è venuto a tutte le mie partite, ma oggi era la prima volta che poteva vedermi giocare, e volevo dimostrargli che potevo farlo!”

Brano tratto dal libro “L’iceberg e la duna.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La vita è un racconto, ascoltalo

La vita è un racconto, ascoltalo

Prima di lasciare il suo corpo, mio nonno mi chiamò accanto a sé e mi volle svelare il “segreto della vita.”
Mi disse proprio così:
“Ora ti confiderò un segreto, il segreto della vita!”
A quel tempo ero un ragazzino e non capivo perché un uomo come mio nonno dovesse morire.
Proprio non lo capivo.
Era un uomo eccezionale mio nonno.
Un uomo di grande cultura; severo; onesto con sé e con il mondo in cui credeva; ironico.
Ed insomma in quel giorno che a me sembrava una tragedia, mi chiamò vicino a sé, mi prese la mano e mi disse:

“Io me ne sto per andare.

Ma non devi essere triste.
Me ne vado per un po’, perché questo mio corpo è un po’ stanco.
Poi ci rivedremo.
Ma ora voglio confidarti un segreto.
Il segreto della vita.
Oggi viviamo in un mondo dove sembra che non esista altro che il denaro e la violenza.
Ma non è così.
C’è solo una grande confusione.
Per vivere bene devi fare una semplice cosa.
Che ora ti dirò.
Intanto portami un bicchiere d’acqua che ho la bocca secca.”
Beh, come ho già detto, a me sembrava già una tragedia che dovesse morire lui.
Figuriamoci cosa mi importava delle violenze o del denaro!
Però quel discorso lo ricorderò per sempre perché mio nonno stava per svelarmi un segreto.
Ero col bicchiere d’acqua in mano e glielo poggiai sulle labbra.

Bevve un sorso.

Aveva le labbra quasi blu.
“Ecco cosa devi fare!” mi disse, “Oggi c’è gente che è andata sulla Luna e ci sono pure un sacco di medicine nuove.
Però come vedi alla televisione, la gente continua a morire.
Una volta tutte queste cose non si sapevano perché non c’era la televisione.
E con tua nonna la sera si andava a letto presto.
O magari si stava davanti alla finestra a guardare la neve e la gente che passava.
Poi quando le tue zie erano piccole stavamo a raccontare storie di fantasmi o di principesse.
Ed allora magari le tue zie si impaurivano o si innamoravano e poi si andava tutti a letto.
Ora le storie te le raccontano in televisione o magari le leggi sulle riviste dal barbiere.
E così le storie di fantasmi e di principesse non le raccontiamo più perché le raccontano meglio in televisione.
Non ti devi immaginare più nulla:
vedi le immagini e ti impaurisci o sogni come facevano le tue zie ascoltando le nostre favole.
Non è sbagliato tutto questo.

Mi dai un altro po’ d’acqua?”

“Certamente!” dissi.
Era in ospedale mio nonno.
Aveva approfittato dell’assenza di altri parenti per parlarmi.
Per svelarmi questo segreto.
Non l’aveva detto a nessuno.
Lo disse solo a me.
“Come ti dicevo:
la televisione, le medicine, i viaggi sulla Luna… non sono cose sbagliate.
Perché ti possono fare impaurire o sognare.
E provare certi sentimenti non è sbagliato perché noi siamo uomini!
E dobbiamo provarle certe sensazioni perché questa è la vita.””
Mentre mi parlava era come se non avesse paura di morire.
Mi era sempre più chiaro che non stava morendo ma stava solo intraprendendo un nuovo viaggio per portare questo messaggio (che mi stava comunicando) anche ad altre persone e ad altri mondi.

“Queste cose,” continuò, “non sono sbagliate.

Ma la cosa che le può rendere “cattive” è che le tue zie che si impaurivano o che si innamoravano sapevano bene che ciò di cui parlavamo io e tua nonna erano solo racconti.
Invece oggi se accendi la televisione credi che sia tutto vero; se prendi una pillola credi che non lascerai mai questo corpo; se vai sulla Luna credi che sei a un passo da Dio.
C’è una cosa bella in tutto.
Se ora ti affacci alla finestra per esempio c’è il sole.
Ed è una cosa bella perché fa vivere le piante con i suoi raccolti ma se non piove potrebbe farle anche morire.
Sono racconti diversi.
Uno ti fa sognare e gioire, l’altro ti fa impaurire.
Ma sono solo racconti.
Vedi ora io so che tu sei triste perché non capisci perché io me ne debba andare.
E te la prenderai con qualcuno:
magari con Dio, con te stesso, con il mondo che è ingiusto o crudele, con i medici che non mi hanno salvato.
Ma questo è solo un racconto.

Che magari ti impaurisce e ti intristisce.

Ed è giusto che sia così perché sei un uomo e devi provare queste cose.
Ma devi anche sapere che è solo un racconto.
Io vado solo da un’altra parte senza questo vestito che chiamiamo corpo.
Vado a vedere altre cose.
Forse vado anche sulla Luna, ma senza un missile.
Vado ad ascoltare altri racconti.
Non con queste mie orecchie, ma con altre orecchie.
Vado a vedere altri luoghi, ma non con questi occhi.
Vado a raccontare le mie storie ad altra gente, ma non con questa bocca.
La vita è un bel racconto:
che ti fa sognare, ti fa piangere, che ti fa gridare, che ti fa arrabbiare.
Perché sei un essere vivente.
Anche le piante si arrabbiano e pure il Sole.
Anche loro sognano e si impauriscono.

Ma il segreto è che è solo un racconto.

E così la paura passa perché era solo un racconto e rimane la gioia di poter vivere ed ascoltare nuovi racconti.
Anche con corpi diversi.
Quindi vivi, ascolta i racconti, anche quelli della televisione, che sono molto belli.
Ma sappi sempre che sono racconti altrimenti crederai di vedere la Verità dove Verità non c’è.
E sarai sempre triste o forse ti capiterà di essere un po’ triste e un po’ felice.
Ed invece devi essere felice per il semplice fatto che riesci ad ascoltare racconti che magari possono sembrare tristi.
Come io che sono sul letto e la gente poi ti dirà che sono morto.
Ma tu non credergli.
È un racconto.
Un racconto per farti paura.
Ma tu sai che non è la Verità.
Perché io non sono questo corpo ma sono molto di più.
Io sarò sulla Luna o magari in India ad ascoltare e raccontare nuove storie.
Non sarò di certo in qualche tomba!
Mi fa pure schifo!

Ecco il segreto:

“Per vivere la vita,” e mi fece un sorriso come quando stava per raccontare una delle sue barzellette, “per vivere bene la tua vita devi chiedere consigli agli altri.
Se non sai cosa fare, se non riesci a fare qualcosa … chiedi consiglio agli altri.
Ascoltali attentamente e poi informati se hai capito bene cosa ti hanno consigliato ripetendogli cosa ti hanno detto.
Per esempio: tu non sai se andare a lavorare a Roma o Milano e loro ti suggeriscono Milano.
Allora tu dopo aver ascoltato approfonditamente tutte le loro motivazioni, gliele ripeti e vedi se hai capito bene.
E poi alla fine gli dici:
bene, allora Milano sembra il posto giusto.
Ecco la cosa importante è soprattutto ascoltare le motivazioni, perché ovviamente se uno ti dà un consiglio a caso non serve a niente.
Mi passi un po’ d’acqua?”
Il nonno mi stava dicendo di ascoltare i consigli degli altri.
Ma soprattutto di vedere se erano ben motivati.

Era quello l’importante.

“Allora… stavo dicendo.
Quando finalmente saprai che gli altri ti hanno consigliato di andare a Milano, quando avrai capito bene le loro motivazioni, allora sarai pronto.
Fai le valigie e vattene di corsa a Roma!”
Forse non avevo capito bene o forse il nonno cominciava a dare i numeri!
E il nonno se ne accorse benissimo, sorrise e mi guardò negli occhi.
I suoi occhi erano stanchi.
E continuò così:
“Hai capito bene!
Ecco il segreto.
Vivi la tua vita ma mai quella di un altro.
Ognuno di noi è speciale ed unico.
È questa la vita: un racconto speciale.
Ed ognuno di noi non ha Verità ma solo racconti da raccontare.
Ma se ci mettiamo a raccontare racconti uguali finiamo per credere all’unico racconto che oggi compare in televisione.

Ed il mondo diventerà tutto uguale.

E tutti correranno dietro lo stesso racconto credendo che sia la vera vita.
Ma ognuno ha la sua vita ed ognuno ha i suoi racconti.
Quindi ridi e divertiti perché non moriamo mai.
Sono solo i racconti che cambiano, ed è giusto che sia così.
Il mio racconto sta per finire ma un altro ne sta per cominciare.
Un altro tutto nuovo, magari appena sono sulla Luna ne ascolterò mille nuovi e poi te li verrò a raccontare attraverso i tuoi figli o magari attraverso il sole.
Dai, ora vai, che ho sonno.
Ma prima dammi un bacio!”
Uscii dalla stanza.
Non rividi più mio nonno nel suo corpo.
Piansi tanto.
Ora quando mi guardo intorno o guardo la TV o ascolto qualcuno, sorrido.
E mi vengono in mente le parole di mio nonno, in quel giorno d’estate, quando il Sole era alto e con i suoi raggi raccontava al mondo un’altra delle sue meravigliose storie.

Brano senza Autore.

L’alberello ed il palo di frassino

L’alberello ed il palo di frassino

Al fragile tronco di alberello, il giardiniere legò un robusto palo di frassino che gli facesse da tutore e lo aiutasse a crescere diritto.
Quando il vento invitava alla danza, l’albero adolescente agitava la chioma sempre più folta e incominciava a dondolare, e gridava:
“Lasciami, per favore, perché mi tieni così?
Guarda tutti gli altri si lasciano cullare dal vento.

Perché solo io devo stare così rigido?”

“Ti spezzeresti!” ripeteva inflessibile il palo di frassino, “Oppure prenderesti delle brutte posizioni, diventeresti brutto e tutto storto!”
“Sei solo vecchio e invidioso, lasciami, ti dico!” diceva il giovane albero mentre si divincolava con tutta la sua forza.
Ma il vecchio palo resisteva tenacemente, più saldo e ostinato che mai.
Una sera d’inverno, annunciato da tuoni e lampi, accompagnato da violente sferzate di grandine, un uragano si abbatte sulla zona.
Ghermito dai furiosi tentacoli del vento, l’alberello scricchiolava in tutte le giunture, con la chioma che a tratti sfiorava la terra.
Le folate più forti quasi strappavano le radici dal terreno.

“È finita!” pensava l’alberello.

“Resisti figliolo!” gridò invece il vecchio palo di frassino, che raccolse le forze ancora presenti nelle annose fibre e sfidò la bufera.
Una lotta dura, lunga, estenuante.
Ma alla fine l’alberello era salvo.
Il vecchio palo di frassino invece era morto, spezzato in due miserabili tronconi.
L’albero giovane capì e cominciò a piangere.

“Non mi lasciare!

Ho ancora bisogno di te!”
Ma non ebbe risposta.
Un pezzo di palo di frassino era rimasto ancora stretto al giovane tronco dal laccio.
Come in un ultimo abbraccio.
Oggi, i passanti guardano meravigliati quel robusto alberello che, nei giorni di vento, sembra quasi che stia cullando teneramente un vecchio pezzo di legno secco.

Brano senza Autore.

L’umorista davanti a Dio

L’umorista davanti a Dio

Una volta un uomo, un tipo sempre allegro e sorridente, fece un sogno:
gli sembrò d’esser morto e di trovarsi davanti al tribunale di Dio.

Era quasi disperato perché aveva grosse marachelle sulla coscienza.

Sentiva che il Giudice quando sceglieva uno tra i beati gli diceva:
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo freddo e mi hai coperto… vieni a godere nel mio regno!”
L’uomo tremava tutto, perché non si ricordava d’aver fatto nessuna opera buona.
Ma quando venne il suo turno vide che il Signore lo guardava sorridendo.
“Che cosa mai avrò fatto di bene?” si domandava tra sé.

Il Giudice esclamò:

“Ero triste e tu con il tuo umorismo mi hai consolato; ero malinconico e tu con il tuo sorriso mi hai rasserenato:
entra nella gioia del mio paradiso!”

Brano tratto dal libro “Racconti per il volo dell’anima.” di Pino Pellegrino

Informazione, prego!

Informazione, prego!

Quando ero bambino, mio padre ebbe il primo telefono del paesino dove vivevamo.
Mi ricordo bene la vecchia scatola di legno, bella lucida, fissata al muro e il bel ricevitore nero, bello lucido, appeso al suo fianco.
Ero troppo piccolo per giungere fino al telefono, ma ero abituato ad ascoltare estasiato mia madre parlargli.
Più tardi, ho scoperto che da qualche parte, dentro quel meraviglioso apparecchio, viveva una persona fantastica…
Il suo nome era “Informazione, prego!” e non c’era nulla che non sapesse
“Informazione, prego!” poteva fornire il numero di chiunque in più dell’ora esatta.
La mia prima esperienza personale con quel “genio della lampada” accadde un giorno quando mia madre si era recata da una vicina:

“Stavo giocando in cantina e diedi un forte colpo di martello su un dito.

Il dolore era tremendo, ma non mi sembrava utile che mi mettessi ad urlare.
Ero da solo e non c’era nessuno per potermi sentire e consolare.
Andavo avanti e indietro intorno a casa, succhiando il mio dito.
Giunsi per caso ai piedi della scalinata.
Il telefono!
Di fretta, corsi in cucina, presi il piccolo sgabello e lo trascinai fin sotto il telefono.
Dopo essere salito, sganciai il ricevitore e lo avvicinai all’orecchio.
“Informazione, prego!” dissi nel microfono, lì, un po’ sopra la mia testa.
Un clic, o forse due… e sentii una vocina chiara dirmi:

“Informazione!”

“Mi sono fatto male al dito!” dissi quindi, “Mi sono fatto male al dito!”
“Stai sanguinando?” mi chiese la voce.
Gli risposi:
“No, mi sono colpito un dito con un martello e mi fa tanto male!”
Mi chiese:
“Puoi aprire lo scomparto del ghiaccio!”
Ho riposto che, certo, potevo farlo.
“Allora, prendi un cubetto di ghiaccio e mettilo sul tuo dito!” mi disse.”
Dopo quell’esperienza ho chiamato “Informazione, prego!” per qualsiasi cosa:
“Gli chiesi di aiutarmi per la geografia, e mi ha detto dove si trovava Montréal.
Mi ha aiutato anche per i compiti di matematica.
Mi ha detto che il piccolo scoiattolo, che avevo trovato nel parco il giorno prima, doveva mangiare della frutta e delle noccioline.

Un brutto giorno, il mio canarino è morto

Ho chiamato “Informazione, prego!” e gli ho raccontato la mia triste storia.
Mi ha ascoltato attentamente e mi ha detto le solite cose che dice un adulto per confortare un bambino, ma ero inconsolabile.
Allora, gli chiesi con un nodo alla gola:
“Perché gli uccelli cantano così melodiosamente e recano tanta gioia alle famiglie, solo per finire miseramente come un mucchietto di piume in fondo ad una gabbia?”
Probabilmente ha percepito la mia profonda disperazione e mi ha detto, con voce molto rassicurante:
“Paul, ricordati che c’è un altro mondo dove si può cantare!”
In un certo senso mi sono sentito meglio.”
Un’altra volta chiamai di nuovo: “Informazione, prego!”
“Informazione!” mi rispose la voce, ormai diventata così familiare.
Gli chiesi:
“Come si scrive la parola riparazione!” ”
Tutto questo si svolse nella citta di Québec, in quel tempo avevo 9 anni.
Poi, traslocammo nell’altra parte della provincia, a Baie-Comeau.

La mia amica mi mancava da morire.

“Informazione, prego!” apparteneva a quella cassetta di legno del casolare di famiglia, e, stranamente, non ho mai pensato di utilizzare il nuovo telefono, appoggiato su un tavolo nel corridoio dell’ingresso!
Giunto nell’adolescenza, i ricordi di quelle conversazioni nella mia infanzia non mi hanno mai lasciato.
Spesso, nei momenti di dubbi e di difficoltà, mi sono ricordato di quelle sensazioni rassicuranti che avevo all’epoca.
Apprezzavo ora la pazienza, la comprensione e la gentilezza che ha avuto, per dedicare il suo tempo ad un ragazzino!
Alcuni anni dopo, mentre mi recavo al collegio, a Montréal, il mio aereo doveva fare scalo in Québec.
Avevo mezzora d’attesa prima di prendere l’altro aereo.
Ho trascorso 15 minuti al telefono con mio fratello, che vive sempre in Québec.
Poi, senza pensare veramente a quello che stavo facendo, ho pigiato su “0” e ho detto “Informazione, prego!”
Come per incanto, ho udito quella stessa vocina chiara che conoscevo benissimo:

“Informazione!”

Non avevo per niente previsto questo, ma mi è scapato di dirgli:
“Come si scrive la parola riparazione?”
Ci fu un attimo di silenzio…
Poi, udii quella voce tanto dolce rispondermi:
“Immagino che il tuo dito è guarito ormai!”
Con un misto tra la gioia e l’emozione gli ho detto:
“E quindi sempre lei! Mi chiedo se ha la minima idea di quanto è stata importante per me in tutti quegli anni trascorsi!”
“Io mi chiedo,” dice lei, “se tu sai quanto erano importanti per me le tue chiamate.
Non ho mai avuto figli ed ero sempre impaziente di ricevere le tue telefonate!”
Gli ho detto quanto spesso, ho pensato a lei nel corso degli ultimi anni e le ho chiesto se potevo richiamarla, quando tornavo a trovare mio fratello.

“Ben volentieri, puoi chiedere di Sally!” mi rispose.

Tre mesi dopo, quando mi recai di nuovo a Québec, un’altra voce mi rispose a “Informazione!” chiesi di parlare a Sally.
“Lei è un amico?” mi chiese quella voce sconosciuta.
Gli risposi:
“Sì, un vecchio amico!”
Sentii allora quella voce dirmi:
“Sono dispiaciuta di doverle dire questo, Sally lavorava solo Part-Time in questi ultimi anni perché era molto ammalata.
Ed è deceduta, ormai da cinque settimane!”
Fui molto sconcertato!
Ma prima che potessi riagganciare, mi disse ancora:
“Aspetti un instante!
Ha detto che si chiama Paul?”
Risposi di si.

“Allora, Sally a lasciato un messaggio per lei.
Lo ha scritto, nel caso che chiamasse.
Me lo lasci leggere!
Quel messaggio diceva:
“Gli dica che credo sempre che c’è un altro mondo dove si può cantare.
Saprà quello che voglio dire!”
La ho ringraziata e ho riagganciato.
Certo, sapevo quello che Sally voleva dire!”
Non sottovalutare mai l’effetto positivo che puoi avere sugli altri!

Brano senza Autore, tratto dal Web

I due amici

I due amici

Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent’anni.
Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto.
Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari.
Insieme decisero di arruolarsi nell’esercito.
Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l’uno dell’altro.

Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione.

Quel battaglione fu mandato in guerra.
Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto.
Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall’aviazione.
Poi una sera venne l’ordine di avanzare in territorio nemico.
I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale.
Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio.

Ma Ted non c’era.

Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti.
Trovò il suo nome nell’elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante.
“Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico.” disse.
“È troppo pericoloso,” rispose il comandante, “Ho già perso il tuo amico.
Perderei anche te.
Là fuori stanno sparando.”

Frank partì ugualmente.

Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente.
Se lo caricò sulle spalle.
Ma una scheggia lo colpì.
Si trascinò ugualmente fino al campo.
“Valeva la pena morire per salvare un morto?” gli gridò il comandante.
“Sì,” sussurrò, “perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

Il lume (La sofferenza di un padre)


Il lume
(La sofferenza di un padre)

Un uomo soffriva la cosa peggiore che può capitare a un essere umano:
suo figlio era morto, e per anni non poteva dormire e piangeva tutta la notte finché albeggiava.
Un giorno gli apparve un angelo nel sogno e gli disse:
“Basta piangere!”
“Non posso sopportare di non vederlo più!” rispose l’uomo.

Così l’angelo disse:

“Lo vorresti rivedere?”
L’uomo annui, quindi l’angelo lo prese per mano e lo portò in cielo e disse:
“Pazienta un po’, lo vedrai passare.”
Al cenno dell’angelo una moltitudine di bambini iniziarono a passare vestiti come angeli con un lume in mano.

Così l’uomo incuriosito domandò:

“Chi sono?”
E l’angelo rispose:
“Sono i bambini che hanno lasciato la vostra terra troppo presto, tutti i giorni fanno questa passeggiata con noi perché hanno il cuore puro.”
Disse l’uomo:
“Mio figlio è tra di essi?”

“Si lo vedrai tra un po’.” rispose l’angelo.

Finalmente tra i tanti bambini passò anche il figlio di quell’uomo, che radiante scappò ad abbracciarlo, quando improvvisamente si accorse che aveva il lume spento.
Angosciosamente disse al ragazzo:
“Figlio mio, perché il tuo lume è spento?
Perché non infiamma la tua anima come agli altri?”
Il bambino lo guardò e disse:
“Papà, io accendo la mia candela come quella di tutti, ogni giorno, ma le tue lacrime la spengono la notte!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Gesù è risorto


Gesù è risorto

“Ma Gesù è morto o vivo?” chiese la piccola Lucia alla nonna.
A dire il vero, era un po’ che le frullava in testa questa domanda, il parroco era arrivato alla scuola materna e aveva spiegato a lungo che Gesù era stato crocifisso e sepolto.
La nonna capì molto bene la domanda della sua nipotina, andò ad aprire il Vangelo e

le lesse alcuni fatti:

le donne erano andate al sepolcro il mattino dopo il sabato e avevano trovato il sepolcro vuoto!
In quel luogo stava un angelo ad annunciare che Gesù era vivo!
E’ risorto, è glorificato dal Padre che non l’ha lasciato nella tomba!

E Lucia era piena di gioia.

Qualche giorno dopo Pasqua, la nonna si recò con Lucia alla messa domenicale.
C’era in mezzo all’altare un prete e tra i banchi poca gente, un po’ triste e un po’ annoiata.
Anche le canzoni che una donna dal primo banco intonava erano basse, lente, cantate da pochi e senza convinzione.
Allora Lucia, dopo essersi guardata ben bene in giro, disse alla nonna:
“Ma loro lo sanno che Gesù è risorto?”

Brano senza Autore, tratto dal Web