Nobile e plebeo in mezz’ora

Nobile e plebeo in mezz’ora

Come già narrato precedentemente, in quarta elementare fui bocciato per un gatto.
I miei genitori, preoccupati per il mio futuro visto che avrei dovuto ripetere la quarta classe, mi palesarono la possibilità di andare in un collegio gestito da religiosi, aventi la nomea di essere all’avanguardia per metodi e contenuti di insegnamento.

Accettai questa proposta con grande entusiasmo.

Non ringrazierò mai abbastanza tutti coloro che incontrai nel collegio, perché ebbi una grande opportunità di recupero formativo e di riscatto, essendomi trovato molto bene.
Nell’entrarvi mi accolse il padre rettore:
una figura carismatica che mi fece delle domande amichevoli mettendomi a mio agio.

Vedendo il mio cognome mi chiese:

“Dino, sai che la particella De davanti al cognome è un segno di nobiltà?”
In paese non avevo la percezione di ricchezza e di povertà, tantomeno di nobiltà, dato che eravamo tutti contadini con lo stesso stile di vita e scoprire che potevo avere origini nobili mi fece piacere, anche se non capii appieno il significato.
Non passò mezza ora che tutto cambiò drasticamente.
Come corredo, dovevamo portarci le coperte da casa e nel prepararmi il letto nella grande camerata scoprii che gli altri avevano coperte di marca ed io, invece, di foggia militare.
Scoprii in seguito che una grande quantità di coperte erano rimaste in paese in seguito alla ritirata delle truppe tedesche dall’Italia, e per questo io ne possedevo una.

Scoprii per la prima volta di essere povero, altro che nobile.

La situazione si livellò però nelle settimane seguenti, dato che ero il solo a ricevere ogni domenica la visita dei miei parenti.
A differenza di tanti miei compagni, che erano ricchi sì, ma anche, parcheggiati nel collegio.
Nobile o plebeo, capii che la differenza la fa l’amore e, lo stemma araldico della mia famiglia visibile su Google, mi fa solo sorridere e ricordare quel giorno.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Rimpiango i genitori di una volta


Rimpiango i genitori di una volta

Rimpiango quei genitori risoluti di una volta, per i quali un “si” era un “si” e un “no” era un “no”.
Quelli che ci insegnavano come non sia possibile avere tutto e subito e

ci facevano capire che si può vivere dignitosamente con poco.

Quelli che ci spiegavano che la nobiltà d’animo si evince dai comportamenti, e non da ciò che si possiede.
Quelli che non ci davano ciò che pretendevamo ma solo ciò di cui avevamo bisogno e sapevamo meritarci.

Quelli che non ci viziavano per tentare di comprare il nostro affetto,

ma ci preparavano alla vita, anche a costo di mortificarci, perché quest’ultima ci propone una lunga catena di sconfitte che bisogna affrontare con determinazione ed equilibrio interiore.
Quelli che ci invitavano ad essere uomini di valore, piuttosto che rincorrere la strada del successo che, col tempo, si rivela sempre illusorio e temporaneo.

Quelli che ci davano sempre torto al cospetto dei professori,

senza pretendere di aver ragione o imporre suggerimenti agli educatori.
Quelli che ci imponevano il rispetto delle regole e delle persone.
Allora, tutto questo si chiamò severità, oggi io so che era educazione all’umiltà.

Brano di Antonio Curnetta