Tonto Zuccone, le domande e gli scherzi

Tonto Zuccone, le domande e gli scherzi
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Il braccio più corto

Le mani

Le balbuzie

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“Il braccio più corto”

 

L’assistente sociale che seguiva Tonto Zuccone sbrigò le pratiche burocratiche affinché potesse avere la pensione di invalidità, poiché ne aveva alquanto bisogno.
La commissione medica gli pose tante domande.
Tonto riuscì a suscitare tanta ilarità per il modo in cui rispondeva.
Il presidente gli disse alla fine:
“Puoi andare, ti assegniamo un piccolo vitalizio per le tue difficoltà!”

Tonto, allora, chiese:

“Me lo date perché, come mi dicono in tanti, mi manca un venerdì?”
Il presidente rispose:
“Anche per quello, ma soprattutto per una cosa che puoi verificare anche tu; prova a stendere la mano ed il braccio sinistro e porta poi la mano destra all’altezza del gomito!”
Tonto fece la prova ed esclamò:
“Adesso capisco perché ho un braccio uno più lungo e uno più corto!
Non me ne ero mai accorto prima ed è per questo che non ho l’olio di gomito per poter lavorare!”

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“Le mani”

 

Tonto Zuccone si trovava sulla strada di fronte al bar, che di solito frequentava, ad osservare, ad una distanza ravvicinata, degli operai che stavano lavorando vicini ad un tombino, per un guasto alle tubature dell’acqua.
Era fermo con le mani dietro la schiena, divertito a sentire le loro imprecazioni.
Fu richiamato dal capo cantiere che, stizzito, gli intimò:

“Non ti vergogni?

Tu stai con le mani dietro la schiena, mentre noi lavoriamo e sudiamo sette camicie!”
Tonto si portò istintivamente le mani davanti al petto e fu di nuovo aggredito verbalmente dal capo cantiere:
“Con questa postura vuoi farci capire, forse, che ci stai prendendo per i fondelli?”
Tonto imbarazzato rispose:
“Ma le mani dove le posso mettere?”
La risposta non si fece attendere:
“Prima nel portafoglio e poi vai al bar a prenderci da bere!”

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“Le balbuzie”

 

Tonto Zuccone fu inviato dai suoi famigliari a fare esperienza come apprendista, non retribuito, in una falegnameria artigianale.
In questa falegnameria si creava un po’ di tutto, dagli arredi agli infissi e, in caso di necessità, anche casse da morto.
Tonto nella prima giornata di lavoro fu posto a levigare e verniciare proprio una di queste.
Durante un momento di assenza del titolare fu invitato, con insistenza da altri apprendisti, a stendersi dentro la barra, con la motivazione di verificare se fossero presenti fessure.
Una volta disteso, i suoi colleghi di lavoro chiusero di botto la cassa, sedendosi sopra il coperchio e impedendogli di uscire, iniziando a recitare a voce alta le preghiere dei defunti.

Tonto, spaventato a morte e angosciato dal buio, cercò con tutte le sue forze di sollevare il coperchio.

Provò più volte ad aprire e, solo dopo molto insistere, riuscì ad uscire.
Purtroppo, a causa dello spavento e del molto gridare, Tonto da quel momento iniziò a balbettare vistosamente, aggravando il suo stato di ragazzo sfortunato, trovandosi tra l’altro con un nome e un cognome che non promettevano niente di buono.
Eppure, nonostante tutto, seppe rilegarsi momenti di vera e genuina felicità tutta da narrare.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

Il pittore e gli allievi (Mamma e figlia)

Il pittore e gli allievi (Mamma e figlia)

Cara figlia mia, voglio narrarti una storia.

“Molto tempo fa, un uomo che aveva ricevuto da Dio il dono di dipingere con pennelli e colori le meraviglie che vedeva attorno a sé, pensò che fosse giusto insegnare la sua arte ad altri giovani così che non morisse con lui.
Spiegò ai suoi allievi come usare i pennelli, a diluire i colori per ottenere le sfumature più infinite per rappresentare il creato.
Quando, secondo lui, furono pronti, mostrò loro un suo dipinto e li esortò a riprodurlo il più fedelmente possibile, seguendo i suoi insegnamenti, concedendo loro una settimana di tempo.

Trascorsi i sette giorni ogni allievo si recò da lui con la propria opera.

Quale fu la meraviglia del maestro quando vide che ogni riproduzione era simile nei tratti alla sua originale, ma i toni e le sfumature li distinguevano una dall’altra.
Deluso e amareggiato li rimproverò per non aver ascoltato i suoi insegnamenti.
Prima che gli allievi avessero modo di difendersi, intervenne la sposa del maestro pittore, che aveva assistito a tutto restando fino ad allora in disparte:
“Marito mio, tu hai trasmesso a questi giovani il tuo dono, mostrando loro come usarlo, secondo il loro cuore e la loro anima.
E sai bene che ogni anima è dono di Dio ed è unica.
Come puoi chiedere, anche ad uno solo di loro, di guardare il mondo coi tuoi occhi… tu puoi insegnargli a osservare la natura e la tecnica per riprodurla, ma è con i suoi occhi che egli la vedrà e la esprimerà attraverso la sua anima, unica e ineguagliabile.
E ogni opera che uscirà dalle sue mani, grazie al dono che tu gli hai fatto, sarà mirabile e unica, degna di onore e ammirazione.

Tu hai donato loro il pennello per dipingere la vita…

ma lascia che lo usino secondo il loro cuore e sii sempre e comunque fiero di loro!”
Fu così che il pittore capì che se facciamo un dono non possiamo ipotecare l’uso che ne verrà fatto.”

Ecco, figlia mia, Dio ha fatto dono ad ogni donna di cooperare alla creazione della vita, attraverso la maternità e in tantissimi altri modi.
Ogni madre userà il pennello avuto in dono per insegnare ai figli a dipingere, secondo coscienza e amore, la vita che decideranno di avere per volontà e aspirazione.
Ogni opera sarà unica, frutto di insegnamenti ricevuti attraverso atti di amore, rispetto, compassione, riconoscenza, carità e umiltà.
Poiché tutti siamo fallibili, gli errori nel tuo dipinto lo renderanno ancora più prezioso e unico.
Ma ricorda che col tuo pennello potrai dipingere qualunque cosa, secondo il tuo cuore e i tuoi desideri, in piena libertà.
Ecco, ora il pennello è tuo, è un dono, usalo come meglio senti di fare; ricorda i miei insegnamenti sempre, perché son frutto della vita che ho ricevuto e che ti ho dato, ma dipingi la tua vita coi colori che vedono i tuoi occhi, attraverso il cuore.

Fai lo stesso coi tuoi figli e, quando verrà il momento, lascia loro in dono questo pennello, come faccio ora con te.

Così che in futuro tutti possano godere degli insegnamenti, ma mantengano la libertà di utilizzarli.
Ciò che ti lascio è la tela dove ho dipinto la mia vita, perché tu la possa osservare e prenderne spunto per dipingere la tua, secondo le tue sole aspirazioni; è la forza di camminare con le tue gambe, ma mai da sola, perché il filo con il quale il Padre ci ha legato non può essere spezzato e io sarò sempre parte di te come tu di me.
Prendi questo dono e sii sempre fiera delle tue capacità, in esso c’è anche il mio cuore che da sempre batte assieme al tuo, per l’eternità.
Con amore, la tua mamma.

Brano senza Autore

Il maestro di tiro con l’arco

Il maestro di tiro con l’arco

C’era una volta un maestro zen che era un vero campione nell’arte del tiro con l’arco.
Una mattina invitò il suo discepolo preferito a osservare una dimostrazione della sua abilità.
Il discepolo lo aveva visto centinaia di volte,

ma comunque obbedì al suo maestro.

Si recarono nel bosco accanto al monastero e raggiunsero un albero di quercia.
Lì, il maestro prese un fiore che aveva infilato nella sua cintura e lo mise su uno dei rami.
Poi aprì la borsa che aveva portato con sé e tirò fuori tre oggetti:
il suo splendido arco in legno pregiato, una freccia e un fazzoletto bianco ricamato.
Successivamente si spostò allontanandosi di cento passi dal punto in cui aveva riposto il fiore.
A quel punto chiese al suo discepolo di bendargli accuratamente gli occhi con il fazzoletto ricamato.

Il discepolo lo fece.

“Quante volte mi hai visto praticare lo sport nobile e antico del tiro con l’arco?” chiese il maestro.
“Ogni giorno.” rispose il discepolo.
“E sono sempre riuscito a colpire il centro del bersaglio da trecento passi?” domandò ancora il maestro.
“Certo!” esclamò il discepolo.
Con gli occhi coperti dal fazzoletto, il maestro piantò saldamente i piedi per terra, tirò indietro la corda con tutte le sue forze e poi scoccò la freccia.
La freccia sibilò nell’aria, ma non colpì il fiore e nemmeno l’albero:
mancò il bersaglio con un margine imbarazzante.
“L’ho colpito?” chiese il maestro, rimuovendo subito dopo il fazzoletto dagli occhi.
“No, l’hai mancato completamente!” rispose il discepolo con un po’ di disagio.

Poi aggiunse:

“Pensavo che tu volessi dimostrami il potere del pensiero e della sua capacità di eseguire magie.”
“È così.
Ti ho appena insegnato la lezione più importante circa il potere del pensiero!” rispose il maestro, che poi concluse:
“Quando vuoi conquistare un obiettivo, concentrati solo su di esso, perché nessuno potrà mai colpire un bersaglio che non vede!”

Storia Zen
Brano senza Autore

La bibbia nel muro

La bibbia nel muro

Il 10 maggio 1861, un violento incendio devastò la città di Glaris, in Svizzera:
490 case furono inghiottite dal fuoco.
I cittadini decisero di ricostruire le loro case.
In uno dei numerosi cantieri che si aprirono in città lavorava un giovane muratore venuto dal Nord Italia, di nome Giovanni.
Il giovane fu incaricato di esaminare lo stato di un muro lesionato.
Cominciò a battere con un martello quando un pezzo di intonaco si staccò, e lasciò intravedere un libro che era stato inserito al posto di un mattone.

Un grosso volume che era stato murato.

Incuriosito, Giovanni lo estrasse.
Era una Bibbia.
Qualcuno l’aveva messa là di proposito, forse uno scherzo…
Il giovane muratore non aveva mai avuto molto interesse per le questioni religiose, ma durante la pausa del pranzo cominciò a leggere quel libro.
Continuò alla sera, a casa, e per tante altre sere.
A poco a poco scoprì le parole che Dio aveva indirizzato agli uomini.

E lentamente la sua vita cambiò.

Due anni dopo, l’impresa in cui Giovanni lavorava si trasferì a Milano.
Il cantiere era molto vasto e gli operai condividevano alcune camerette.
Una sera un compagno di stanza di Giovanni si fermò incuriosito ad osservare il giovane che leggeva con aria assorta e tranquilla la sua Bibbia.
“Che cosa leggi?” gli chiese.
“La Bibbia!” rispose Giovanni.
“Uff! Come fai a credere a tutte quelle scemenze?
Pensa che io, una volta, ne ho murata una nella parete di una casa in Svizzera.
Sarei curioso di vedere se il diavolo o chi per esso è riuscito a farla uscire da là!”
Giovanni alzò la testa di scatto e guardò negli occhi il suo compagno.
“E se io ti facessi vedere proprio quella Bibbia?” disse semplicemente.
“La riconoscerei subito, perché l’avevo segnata!” rispose il compagno.

Giovanni porse al compagno il volume che stringeva in mano:

“Riconosci il tuo segno?”
L’altro prese in mano il libro, aprì la pagina e rimase turbato, in silenzio.
Quella era proprio la Bibbia che aveva murato in Svizzera, dicendo ai compagni di lavoro:
“Voglio proprio vedere se uscirà da qui sotto!”
Giovanni sorrise:
“Come vedi è tornata da te!”

Esistono libri che cambiano gli uomini.
Esistono uomini che impegnano tutta la loro esistenza sulle parole di un libro.
La Bibbia è per eccellenza il libro che cambia gli uomini che lasciano entrare le sue parole nella loro vita.

Brano tratto dal libro “Nuove storie. Per la scuola e la catechesi” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’importanza del silenzio

L’importanza del silenzio

Gli allievi della scuola di Tendai solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone.
Quattro di loro, che erano amici intimi, si ripromisero di osservare sette giorni di silenzio.

Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro.

La loro meditazione era cominciata sotto buoni auspici; ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno degli allievi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo:
“Regola quella lampada!”
Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo:

“Non dovremmo dire neanche una parola!” osservò.

“Siete due stupidi.
Perché avete parlato?” disse il terzo.
“Io sono l’unico che non ha parlato!” concluse il quarto.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il cigno e la rana vanitosa

Il cigno e la rana vanitosa

C’era una volta, in un verde stagno, una verde ranocchia convinta di essere l’animale più bello tra tutti gli animali.
Tutto il giorno stava a pavoneggiarsi e gonfiava il petto orgogliosa del suo aspetto.
Un giorno nello stagno le si avvicinò un cigno, dal collo lungo e dalle piume candide come la neve.

La rana impertinente gli disse:

“Spostati! Che mi fai ombra e non riesco a vedere la mia suprema bellezza riflessa nello stagno!”
Il cigno, un po’ perplesso si spostò un po’ più in là e si mise ad osservare cosa faceva la ranocchia.
Questa stava tutto il tempo a rimirare la sua immagine riflessa nell’acqua e a dire:
“Sono bella, sono bellissima, sono la più bella creatura del creato, e sono verde, verdissima, la più verde delle creature e guarda come si gonfia il mio petto!”

Il cigno davvero incredulo le si avvicinò un’altra volta e le chiese con molta cortesia:

“Scusami rana, ma credo che tu stia un pochino esagerando; certo sei bella tra le rane, ma di sicuro non sei la più bella tra le creature del creato.”
La rana indispettita sfidò il cigno:
“Credi questo?
Pensi di essere più bello di me?
Allora faremo una gara di bellezza e vedremo chi è il più bello tra noi due!”
Il cigno cercò in ogni modo di rifiutare, persino chiese scusa alla rana, certo non intendeva offenderla, ma tanto insistette la creatura vanitosa che al fine il cigno cedette.
Così chiamarono a raccolta tutti gli animali dello stagno e d iniziarono ad interrogarli:

“Chi è il più bello tra noi due?”

Naturalmente tutti dicevano che più bello era il cigno, ma la rana non potendo accettare la sconfitta continuava a gonfiare il petto, credendo di apparire più bella.
Si gonfiò tanto, ma tanto che alla fine esplose!
Il cigno che era buono e che mai avrebbe voluto concludere a quel modo la gara decise allora di seppellire il povero animale straziato e sulla sua tomba scrisse:
“Qui giace la rana più bella che io abbia mai visto.”

Brano tratto dal libro “40 Racconti di Animali.” Edizione Rusconi Libri.

Il volo di Gea

Il volo di Gea

L’uccellino cinguettava “ciu ciiiiuciu ciu” e i clienti del bar del Signor Antonio entravano volentieri a prendere un caffè nella terrazza per ascoltare il suo canto delicato e trillante come tanti campanellini.
La sua voce argentina sembrava intonare un canto allegro e spensierato per la gioia dei clienti del bar che lo ascoltavano distratti e non vedevano la tristezza e la solitudine nei suoi piccoli occhi di uccellino.
Lui invece cantava ma non di allegria, il suo canto aveva parole tristi e malinconiche che gli ricordavano la sensazione del vento tra le piume delle ali e lo spettacolo magnifico delle chiome degli alberi viste da lassù, volando.

Mentre cantava riusciva a non pensare alle sbarre della gabbietta e alla noia delle giornate che si ripetevano monotone.

Un giorno però successe qualcosa, una bambina entrando nel bar per comprare un gelato ascoltò il suo canto e si sentì improvvisamente triste senza sapere bene il perché.
Allora guardò negli occhi il piccolo uccellino, si accorse che la tristezza veniva proprio da quel canto e si avvicinò alla gabbia.
“Perché sei triste?” sussurrò la bimba.
“Ciu ciiiu ciu!” trillò l’uccellino.
Gea, così si chiamava la bambina, aveva un segreto per capire gli altri anche quando le parole non erano d’aiuto:
si immaginava di essere al loro posto, si metteva nei panni degli altri per capire le loro emozioni.
E così fece, si immaginò di vivere chiusa in una piccola gabbia senza poter correre e giocare con gli amici.
Chiuse gli occhi per concentrarsi e all’improvviso sentì un formicolio alle gambe, come quando stava molto tempo nella stessa posizione:

“Forse è proprio quello che sente quest’uccellino:

di certo gli formicolano le ali per non poterle aprire e forse è triste perché non è libero di volare come gli altri uccelli”, pensò.
Per un momento le sembrò quasi che le fossero spuntate le ali e sentì un forte desiderio di volare in alto nel cielo.
Senza pensarci due volte Gea aprì la piccola gabbia sperando che nessuno la vedesse e l’uccellino la guardò cercando di capire perché quella bambina gli aveva dato la libertà.
Avrebbe voluto dimostrarle la sua gratitudine ma non sapeva come fare, allora fece un ultimo cinguettio di addio e seguì il suo istinto che gli diceva di aprire le ali e volare via.
I clienti del bar senza capire cosa fosse successo si fermarono un istante,

fu una frazione di secondo in cui sembrava che il tempo si fosse fermato.

Nessun cucchiaino suonava contro il bordo della tazza, i ragazzi che scherzavano interruppero le loro risate e persino i cellulari per un attimo smisero di suonare.
In silenzio Gea usci dal bar mangiando il suo gelato e si ritrovò a camminare per strada con lo sguardo rivolto verso il cielo, cercando distrattamente quell’uccellino dallo sguardo triste.
All’improvviso cominciò a sentire il fruscio del vento tra le dita, l’aria fresca le accarezza il viso e il rumore del traffico si sentiva in lontananza, ovattato.
Chiuse gli occhi per assaporare quella sensazione di libertà e, con gli occhi chiusi, vide la città dall’alto, il porto con le barche dei pescatori e le colline alle spalle.
Capi che era il regalo d’addio dell’uccellino, il suo modo di dirle grazie:
stava volando con lui e osservando il mondo con i suoi occhi.

Brano tratto dal libro “Chi ha paura del lupo?” di Viola Mariani

L’importanza delle stagioni


L’importanza delle stagioni

Un uomo aveva quattro (4) figli.
Voleva imparassero a non giudicare le cose troppo velocemente.
Così li mandò uno alla volta ad osservare un albero molto distante da casa.
Il piu’ grande andò in inverno, il secondo in primavera, il terzo in in estate, il più giovane in autunno.

Quando tutti furono tornati chiese loro cosa avessero visto.

Il grande disse che l’albero era brutto, spoglio e ricurvo.
Il secondo disse che era pieno di gemme e promesse di vita.
Il terzo non era d’accordo; l’albero era pieno di fiori, profumato e bellissimo…

ed era la cosa più bella che avesse mai visto.

Il più piccolo aveva un’opinione ancora diversa, l’albero era carico di frutti e pieno di vita e realizzazione.
L’uomo spiegò ai suoi figli che tutti avevano ragione, infatti avevano osservato solo una stagione della vita dell’albero.
Disse loro di non giudicare un albero o una persona solo in una stagione, ma dall’essenza di ciò che una persona è!
La gioia, l’amore, la realizzazione che viene dalla vita possono essere misurate solo alla fine,

quando tutte le stagioni sono complete.

Se ti arrendi quando è inverno, perderai la speranza che regala la primavera, la bellezza della tua estate, la realizzazione del tuo autunno!!!
Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo.
Non giudicare la tua vita in una stagione difficile.
Persevera nelle difficoltà…
Il meglio deve ancora venire!

Brano senza Autore, tratto dal Web

È importane osservare la natura


È importane osservare la natura

Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse quale fosse il significato di essere povero, gli fece passare alcune giornate con una famiglia di contadini.
Il bambino trascorse tre giorni e tre notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
“Cosa mi dici della tua esperienza?”

“Bella!” rispose il bambino.

“Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
Il bimbo in quel momento iniziò a parlare:
Noi abbiamo un cane, loro ne hanno quattro.
Noi abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
Noi abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

Il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.

Noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
Noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali… tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
Noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
Noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme… Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
Noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio concluse:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”

Ogni giorno, diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura!

Brano senza Autore

Evitiamo gli ostacoli per migliorare la nostra vita


Evitiamo gli ostacoli per migliorare la nostra vita

In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada.
Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendesse la briga di togliere la grande roccia dal centro della strada.
Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a girare attorno alla pietra.

Altri persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da lì.

Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle spalle; avvicinandosi all’immensa roccia poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuovere la roccia.
Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada.

Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c’era una piccola borsa nel luogo in cui prima stava la pietra.

La borsa conteneva molte monete d’oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell’oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada.
Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono:
“Tutti gli ostacoli sono un’opportunità per migliorare la nostra condizione.”

Brano tratto dal libro “Io e me alla ricerca del treno: Pensieri e racconti di uno strano ragazzo…” di Andrea Cardinale