L’alchimista e la pietra filosofale

L’alchimista e la pietra filosofale

C’era una volta un alchimista che aveva dedicato la sua vita alla ricerca della pietra filosofale, la rara pietra che aveva il potere di trasformare in oro gli oggetti di ferro.
“Proverò tutte le pietre della terra, una dopo l’altra.
Troverò certamente la pietra filosofale!” pensava.
In principio, sembrava una cosa semplice.
L’alchimista si era cinto i fianchi con una catena di ferro e aveva cominciato a toccarla con tutte le pietre che trovava.
Camminava e camminava e, appena vedeva una pietra, la prendeva e con essa toccava la sua catena.

Quel gesto era diventato tutta la sua vita.

Passarono gli anni e l’alchimista, con i capelli arruffati, coperti di polvere, il corpo ridotto a un’ombra, le labbra serrate come le porte chiuse del suo cuore, continuava a vagare in cerca della pietra magica.
Tutti ormai lo credevano pazzo.
Un giorno, un ragazzo del villaggio si avvicinò e gli chiese:
“Dimmi, dove hai trovato questa catena d’oro che ti cinge la vita?”

L’alchimista trasalì:

la catena, che una volta era di ferro, era proprio diventata d’oro e splendeva alla sua cintura.
Non era un sogno, ma quando era avvenuto questo mutamento?
Si colpì con violenza la fronte:
dove, oh dove, senza saperlo, aveva raggiunto la sua meta?
Si era ormai abituato a raccogliere pietre e toccare con esse la catena, e poi gettarle via senza guardare se la trasformazione era avvenuta.

Così il povero alchimista aveva trovato la pietra filosofale, e l’aveva perduta…

Tornò sui suoi passi per cercare di nuovo.
Ma ora il suo corpo era più curvo e privo di forze, il suo cuore più stanco e lui come un albero sradicato…

Brano senza Autore

Il leone superbo

Il leone superbo

Un leone superbo era affamato.
Non mangiava ormai da un po’ e, per questa ragione, il suo stomaco brontolava.
Sapeva che nella zona in cui viveva non c’erano abbastanza prede.
Capì, quindi, di dover essere paziente e cauto durante la caccia, dato che se si fosse presentata una preda e l’avesse perduta non ne avrebbe trovata facilmente un’altra.

Per questa ragione, il leone rimase tranquillo dietro un cespuglio.

Trascorsero alcune ore e non si presentò alcuna preda.
Quando aveva ormai perso le speranze, comparve una lepre nelle vicinanze.
C’era un pascolo e la lepre uscì per mangiare dell’erba, senza prestare attenzione.
Conscio della velocità delle lepri, il leone sapeva che avrebbe dovuto sferrare un attacco improvviso e deciso.

In caso contrario, la lepre sarebbe scappata.

Aspettò un po’ e si mise sull’attenti.
Quando stava per saltare addosso alla sua preda, all’improvviso vide un bel cervo camminare a qualche metro di distanza.

Gli venne l’acquolina in bocca.

In un paio di secondi cambiò idea e attaccò il cervo, che aveva però avuto il tempo di vederlo e di iniziare a correre.
La lepre, ovviamente, scappò.

È meglio non lasciar andare via ciò che rappresenta una certezza, in cambio di qualcosa che ci affascina all’improvviso.

Brano senza Autore

La sperduta (La campana della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma)

La sperduta
(La campana della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma)

A Roma, tanti anni fa, la Basilica di Santa Maria Maggiore era ancora circondata dalla campagna e il suono delle campane, specialmente alla sera, arrivava molto lontano e invitava alla preghiera tutti gli abitanti delle casette sparse nei dintorni.
Da una di quelle casette uscì un giorno una bambina, Maria,

per andare a far visita ad alcuni parenti che abitavano in aperta campagna.

Maria credeva di conoscere bene la strada, invece, sopraggiunta la notte, non seppe più orientarsi e si smarrì tra sentieri e stradicciole, senza riuscire a trovare la strada di casa.
Dopo aver girato e rigirato senza concludere nulla, anzi confondendosi sempre più, si mise a sedere su una pietra e scoppiò in un pianto a dirotto.
Ma nessuno passava di notte per quelle strade e nessuno poteva aiutarla.

Si ricordò della Madonna e incominciò a recitare l’Ave Maria.

Arrivata alle parole “prega per noi peccatori, adesso…”, sentì il suono di una campana.
Il suono si prolungava, si ripeteva, come una voce insistente nella notte.
La bambina seguì quella voce e, di sentiero in sentiero,

si ritrovò alla Basilica di Santa Maria Maggiore e poté tornare a casa.

Da quella volta, la campana che tutte le sere, all’una di notte, suona per qualche minuto è detta “La Sperduta” e ricorda la bambina che si era perduta nella campagna romana e i tanti che si perdono oggi nelle città del mondo.

Brano tratto dal libro “365 Piccole Storie per l’anima.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.