Il pescatore e la legge antica

Il pescatore e la legge antica

In un villaggio di pescatori in cui gli uomini si allontanavano da casa per lunghi periodi sulle loro barche vigeva una legge antica molto severa.
L’adulterio veniva punito con la morte.

La moglie che, durante l’assenza,

fosse stata sorpresa a tradire il marito doveva essere gettata in mare dall’alto della scogliera con le mani e i piedi legati.
Avvenne che una giovane donna del villaggio tradì il marito, mentre questi era lontano, per la pesca in alto mare.
La gente del villaggio indignata decise che la legge doveva essere applicata.

Invano la povera ragazza invocò pietà.

La legarono e poi la spinsero giù dalla scogliera.
Ma, prima che la donna finisse in mare, una grande e robusta rete da pesca, spuntata come d’incanto dalle rocce, la trattenne.
Il marito era arrivato per salvarla.

Brano senza Autore

Il massaggio e l’acqua di petali rosa

Il massaggio e l’acqua di petali rosa

Si chiamava “Bella come l’aurora” e viveva serenamente in un piccolo villaggio di pescatori sulle rive del Fiume Azzurro.
Fu chiesta in moglie dal più ricco dei pescatori del fiume.
I primi anni della giovane coppia furono veramente felici e spensierati.
Ma tutta quella felicità infastidiva e irritava sempre di più la suocera di Katy, che era stata rapidamente spodestata dal cuore del figlio, dei familiari e dei servi dalla bella nuora.
Così cominciò a tormentarla in ogni modo ed a diffondere le più orribili dicerie sul suo conto.
Esasperata, la bella Katy decise di vendicarsi uccidendo la suocera.

In preda a questa cupa decisione, si recò da uno stregone per procurarsi un filtro di morte.

Lo stregone l’ascoltò attentamente e poi le diede una fiala che conteneva un liquido rosa da mescolare ogni giorno nel tè della suocera, poi le propose, per stornare da sé ogni sospetto, di praticare ogni mattino sulle spalle, la nuca e la fronte della suocera un massaggio dolce e rilassante:
“In questo modo la morte la sorprenderà lentamente nel giro di sei mesi!”
Katy paziente e ostinata, per mesi versò regolarmente gocce di liquido rosa nel tè della suocera e praticò con la stessa pazienza il dolce massaggio ogni giorno.
Il massaggio quotidiano tesseva una rete nuova tra le due donne, che divennero amiche.

Il loro cuore cambiò.

La suocera notò quanto la nuora fosse gentile e generosa oltre che bella.
Katy riscopriva ogni giorno il cuore materno della suocera.
Dopo qualche mese, Katy aveva praticamente dimenticato il motivo delle quotidiane visite, delle gocce di liquido rosa nel tè e del massaggio alla suocera:
tutto questo era diventato una tranquilla e piacevole abitudine, fatta di complicità, di lunghe chiacchierate e di tenerezza.
Ma un giorno, all’improvviso, fu costretta a ricordarsene.
La suocera innocentemente disse:
“Stiamo bene insieme.
Che peccato che io debba morire molto prima di te…”.
Katy si alzò e corse dallo stregone per avere l’antidoto al veleno della fiala.
Si gettò in ginocchio e lo supplicò, spiegandogli quello che era successo e come fosse cambiato il suo cuore.

Lo stregone sorrise:

“Alzati, mia bella figliola.
Il liquido che ti ho dato è soltanto acqua di petali di rosa.
Il vero antidoto al veleno dell’odio, che in realtà era dentro di te, è stato il massaggio quotidiano.
Se guardi una persona negli occhi, le stai vicino, parli con lei non potrai più odiarla!”

Brano senza Autore

Il piccolo re solitario

Il piccolo re solitario

Lontano, lontano da qui, in un mare dal nome strano, c’era una piccola isola, con le spiagge bianche e le colline verdi.
Sull’isola c’era un castello e nel castello viveva un piccolo re.
Era un re abbastanza strano, perché non aveva sudditi.
Nemmeno uno.
Ogni mattina il piccolo re, dopo aver sbadigliato ed essersi stiracchiato, si lavava le orecchie e si spazzolava i denti; poi si calcava in testa la corona e cominciava la sua giornata.
Se splendeva il sole, il piccolo re correva sulla spiaggia a fare sport.
Era un grande sportivo.

Deteneva infatti tutti i record del regno:

da quello dei cento metri di corsa sulla sabbia, al lancio della pietra, a tutte le specialità di nuoto, eccetto lo sci acquatico, perché non trovava nessuno che guidasse il reale motoscafo.
E dopo ogni gara, il re si premiava con la medaglia d’oro.
Ne aveva ormai tre stanze piene.
Ogni volta che si appuntava la medaglia sul petto, si rispondeva con garbo:
“Grazie, maestà!”
Nel castello c’era una biblioteca, e gli scaffali erano pieni di libri.
Al re piacevano molto i fumetti d’avventure.
Un po’ meno le fiabe, perché nelle fiabe tutti i re avevano dei sudditi.

“E io neanche uno!” si diceva il re, “Ma come dice il proverbio:

è meglio essere soli che male accompagnati.”
E quando faceva i compiti, si dava sempre dei bellissimi voti.
“Con i complimenti di sua maestà!” si dichiarava.
Una sera, però, sentì un certo nonsoché che lo rendeva malinconico; camminò fino alla spiaggia, deciso a cercare qualche suddito, e pensava:
“Se solo avessi cento sudditi!”
Allora proseguì sulla spiaggia verso destra, ma la riva era completamente deserta.
“Se solo avessi cinquanta sudditi!” disse il re; tornò indietro e camminò sulla spiaggia verso sinistra fino a che poté, ma la riva era ugualmente deserta.
Il re si sedette su uno scoglio ed era un po’ triste; e di conseguenza non si accorse nemmeno che quella sera c’era un magnifico tramonto.

“Se solo avessi dieci sudditi, probabilmente sarei più felice!”

Notò lontano sul mare alcuni pescatori sulle loro barche e si rallegrò.
“Sudditi,” gridò il re, “sudditi, da questa parte, ecco il re, urrà!”
Ma i pescatori non lo sentirono, e tutto quel gridare rese rauco il re.
Tornò a casa e scivolò sotto la sua bella trapunta colorata; si addormentò e sognò un milione di sudditi che gridavano “urrà” nel momento in cui lo vedevano.
Non dormì a lungo.
Un vociare forte e disordinato lo svegliò.
Il piccolo re non aveva sudditi, ma aveva dei nemici accaniti.

Erano i pirati del terribile Barbarossa.

Sembravano sbucare dall’orizzonte, con la loro nave irta di cannoni, con i loro baffi spioventi e il ghigno feroce, e i coltellacci fra i denti.
“All’arrembaggio!” gridava Barbarossa, il più feroce di tutti.
E i trentotto pirati entravano urlando nel castello e facevano man bassa di tutto quello che trovavano.
A forza di scorrerie, nel castello era rimasto ben poco di asportabile, così i pirati avevano preso l’abitudine di riportare qualcosa ogni volta per poterlo rubare nella scorreria successiva.
Il piccolo re aveva una paura tremenda dei pirati e soprattutto del crudele Barbarossa che ogni volta sbraitava:
“Se prendo il re, lo appendo all’albero della nave!”
Così, quando sentiva arrivare i pirati, si nascondeva in uno dei tanti nascondigli segreti del castello. Dentro, rannicchiato nel buio, aspettava la partenza dei pirati.

Era così da tanto tempo ormai, e il piccolo re non si sentiva affatto un fifone.

“Se avessi un esercito,” pensava, “Barbarossa e la sua ciurma non la passerebbero liscia!”
Un mattino, il re si svegliò a un suono completamente nuovo.
Lo ascoltò e si rese conto che non aveva mai udito un suono simile.
“Forse sono arrivati i miei sudditi!” pensò il re, e andò ad aprire la porta.
Sul gradino della porta sedeva un enorme gatto arancione.
“Buongiorno,” disse il re con grande dignità, “io sono il re, urrà!”
“E io sono il gatto!” disse il gatto.

“Tu sei mio suddito!” disse il re.

“Lasciami entrare,” ribatté il gatto, “ho fame e ho freddo!”
Il re lasciò entrare il gatto nella sua casa, e il gatto fece un giro intorno e vide quanto era grande e confortevole:
“Che bellissima casa hai!”
“Sì, non è male!” disse il re; e improvvisamente si accorse di tutte le cose che non aveva mai visto in molti anni.
“E’ perché io sono il re!” disse il re; ed era molto soddisfatto.
“Io resterò qui!” decise il gatto, e si sistemò nella casa per vivere con il re; e il re fu felice perché ora aveva finalmente un suddito.
“Dammi del cibo!” disse il gatto, e il re corse via immediatamente per andare a prendere cibo per il gatto.
“Fammi un letto!” disse il gatto; e il re corse alla ricerca di una trapunta e di un cuscino.
“Ho freddo!” disse il gatto; e il re accese un fuoco affinché il gatto potesse scaldarsi.

“Ecco fatto, signor Suddito!” disse il re al gatto.

E il gatto rispose: “Grazie, signor Re!”
E il re non notò neppure che, sebbene fosse il re, serviva il gatto.
Il tempo passava e il re era felice in compagnia del gatto, e il gatto mostrava al re ogni cosa che il re nella sua solitudine era riuscito a dimenticare:
il tramonto, la rugiada del mattino, le conchiglie colorate e la luna che scivolava attraverso il cielo come la barca dei pescatori sul mare.
Qualche volta accadeva al re di passare davanti a uno specchio, e quando vedeva la sua immagine diceva:
“Il re, urrà.”
E si salutava.

Non era più il campione assoluto dell’isola.

Il gatto lo batteva nel salto in alto, in lungo e nell’arrampicata sugli alberi; ma il re continuava a eccellere nel nuoto e nel lancio della pietra.
Un mattino, il re sentì bussare alla porta del castello.
Corse ad aprire, pensando:
“Arrivano i sudditi!”
Si trovò davanti un piccoletto con la faccia allegra.
Era un pinguino, con la camicia bianca e il frac di un bel nero lucente.
“Buongiorno,” disse il re con grande dignità, “io sono il re, urrà.”
“E io sono un pinguino!” disse il pinguino.
“Tu sei mio suddito!” disse il re.

“Lasciami entrare,” ribatté il pinguino, “ho fame e ho i piedi congelati.

Sono stufo di abitare su un iceberg!”
Il re lasciò entrare il pinguino nella sua casa e gli presentò il gatto, che fu molto felice di fare conoscenza con il pinguino.
“Penso che mi fermerò qui con voi.” disse il pinguino.
Il re ne fu felicissimo.
Adesso aveva due sudditi.
Corse a preparare una buona cenetta per il pinguino, mentre il gatto portava al nuovo ospite due soffici pantofole.
“Io farò il maggiordomo.
Mi ci sento portato!” dichiarò il pinguino, “Terrò in ordine il castello e servirò gli aperitivi in terrazza!”

Così furono in tre a guardare i tramonti.

Ed era ancora meglio che in due.
Il re non vinceva più molte gare sportive, perché il pinguino lo batteva nel nuoto e nei tuffi.
Scoprì, sorprendentemente, che si può essere contenti anche se non si vince sempre.
Ma una sera, lontano all’orizzonte, apparve la nave del pirata Barbarossa.
“Presto scappiamo a nasconderci!” gridò il re.
“Neanche per sogno!” disse il gatto, “Siamo in tre e possiamo battere quei prepotenti!”
“Certo!” ribatté il pinguino, “Basta avere un piano!”
“Nell’armeria del castello c’è l’armatura del gigante Latus!” disse il re.
“Bene!” disse il gatto, “Ci infileremo nell’armatura e affronteremo i pirati!”
“Il gatto si metterà sulle mie spalle, e il re sul gatto, così potrà brandire la spada.” continuò il pinguino.

“Approvo il piano!” concluse il re.

Così fecero.
Quando approdarono alla spiaggia, i pirati rimasero paralizzati dalla sorpresa.
Verso di loro, a grandi passi ondeggianti, avanzava un gigante che brandiva un enorme e minaccioso spadone.
“È tornato il gigante Latus!” gridarono, “Si salvi chi può!”
E si buttarono in acqua per raggiungere la nave.
Da allora nessuno li vide mai più.
Sulla spiaggia dell’isola il piccolo re, il gatto e il pinguino si abbracciarono ridendo.
Poi il gatto e il pinguino sollevarono il re e lo gettarono in aria gridando:
“Re è il migliore amico che c’è, urrà!”

Brano tratto dal libro “Nuove storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero

I due boscaioli


I due boscaioli

Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi.
I tronchi erano imponenti, solidi e tenaci.
I due boscaioli usavano le loro asce con identica bravura, ma con una diversa tecnica:
il primo colpiva il suo albero con incredibile costanza, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per riprendere fiato rari secondi.
Il secondo boscaiolo faceva una discreta sosta ogni ora di lavoro.

Al tramonto, il primo boscaiolo era a metà del suo albero.

Aveva sudato sangue e lacrime e non avrebbe resistito cinque minuti di più.
Il secondo era incredibilmente al termine del suo tronco.
Avevano cominciato insieme e i due alberi erano uguali!
Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi:
“Non ci capisco niente!
Come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?”
L’altro sorrise:
“Hai visto che mi fermavo ogni ora.
Ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la mia ascia!”

Il tuo spirito è come l’ascia.

Non lasciarlo arrugginire.
Ogni giorno affilalo un po’:
1. Fermati dieci minuti e ascolta un po’ di musica.
2. Cammina ogni volta che puoi.
3. Abbraccia ogni giorno le persone che ami e dì loro: “Ti voglio bene.”
4. Festeggia compleanni, anniversari, onomastici e tutto quello che ti viene in mente.

5. Sii gentile con tutti. Anche con quelli di casa tua.

6. Sorridi.
7. Prega.
8. Aiuta qualcuno che ha bisogno di te.
9. Coccolati.
10. Guarda il cielo e punta in alto.

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero