La storia di un campanile

La storia di un campanile

Quando ero bambino mio padre mi raccontò una storia, che ricordo chiaramente anche oggi:
“Una parrocchia vicino a quella che frequentavo, costruì con le chiacchiere dei ricchi e le offerte dei poveri, una bellissima chiesa.
I parrocchiani ne sono, tutt’ora, fieri.

Costruendola, però, ebbero un serio problema.

Giunti alla costruzione del campanile, rimasero senza fondi.
Per questa ragione lo lasciarono, per un lungo periodo, incompleto, suscitando, in questo modo, il sarcasmo dei cittadini delle altre comunità.
Alcuni buontemponi di un borgo confinante, portarono, una notte, un carro di letame.
Lo disposero intorno alla chiesa, come provocazione.
Anche nel loro borgo avevano iniziato a costruire una chiesa, contemporaneamente a quella non conclusa, ma a differenza loro, la propria era già terminata.
L’umiliazione inferta fu così tanta che il parroco cercò una soluzione al problema.

Organizzò una grande pesca di beneficenza pro-campanile.

Chiese al più ricco del paese, non che nobile, di contribuire donando uno dei suoi tanti vitelli.
Questi rispose di sì, ma mise un vincolo.
Alla fine, il proprietario del bovino doveva essere nuovamente lui, facendo avere il biglietto vincente a un suo mezzadro di fiducia.
Il buon parroco, dopo aver recitato in latino il versetto del Vangelo (MC 10,25), in cui è scritto che è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli, acconsentì controvoglia.”

Anche oggi, quando casualmente mi trovo a passare nelle vicinanze del campanile, mi ritorna in mente questo racconto.
Alcuni anni fa, la parrocchia in questione commissionò uno studio di ricerca sulla chiesa e sul campanile ai più titolati e bravi storici locali.
Questi pubblicarono un voluminoso tomo nel quale erano dedicate diverse pagine alla chiesa ed al campanile.

Ma del racconto di mio padre non vi era traccia, nonostante la storia fosse molto significativa.

Giunsi alla conclusione che, quando si racconta la storia di un paese in un libro, qualcosa manca sempre.
A tramandare gli episodi meno presentabili, fortunatamente, ci pensa però la tradizione orale.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il giovane ed il vecchio

Il giovane ed il vecchio

Un uomo di 75 anni viaggiava in treno leggendo un libro durante il tragitto.
Al suo fianco viaggiava un giovane universitario che leggeva anche lui un voluminoso libro di scienze.
Improvvisamente, il giovane capì che il libro che stava leggendo il vecchio era una Bibbia e, senza troppe cerimonie, gli chiese:
“Credi ancora in quel libro pieno di favole e storie?
“Sì, certo!” rispose il vecchio, “Ma questo non è un libro di fiabe, né delle favole, è la Parola di Dio!
Voi pensate che mi stia sbagliando nel farlo?”

Il giovane rispose:

“Certo che ha torto…
Penso che lei, signore, dovrebbe dedicarsi allo studio della scienza e della storia del mondo!”
Dovreste vedere come la rivoluzione francese, avvenuta più di 100 anni fa, ha mostrato la miopia, la stupidità e le bugie della religione.
Solo persone senza cultura o fanatici, credono ancora in queste sciocchezze.
Dovreste sapere un po’ di più cosa dicono gli scienziati di queste cose!”

Il signore anziano con molta calma gli disse:

“E dimmi, giovane.
È questo che dicono i nostri scienziati della Bibbia?”
Il giovane gli rispose:
“Guarda, dovrei scendere alla prossima stazione, non ho tempo di spiegarti, ma lasciami il tuo nome con il tuo indirizzo, così posso inviarti del materiale scientifico per posta, in modo da illuminarti un po’ sulle questioni che contano davvero per il mondo!”
Il vecchio allora, con molta pazienza, aprì con cura la tasca del cappotto e diede al giovane universitario il suo biglietto da visita…
Il giovane prese il biglietto, e leggendo chi fosse la persona con cui aveva interloquito, uscì con la testa bassa e gli occhi persi, sentendosi peggio di un’ebete!

Sulla carta c’era scritto:

Professor Dottor Louis Pasteur,
Direttore generale dell’Istituto nazionale di ricerca scientifica dell’Università nazionale francese.

Brano senza Autore

Che cos’è la vita?

Che cos’è la vita?

Un caldo giorno di primavera, verso la metà della giornata, il bosco fu avvolto da un profondo silenzio.
Gli uccelli piegarono la testa sotto l’ala.
Tutto riposava.
Solo il fringuello alzò il capo e domandò:
“Che cos’è la vita?”
Tutti furono colpiti da questa difficile domanda.
Una rosa che aveva appena messo fuori un bocciolo e dispiegato un petalo dopo l’altro, disse:

“La vita è sbocciare!”

Una farfalla che dal mattino non si era fermata e volava felice da un fiore all’altro, assaggiando qua e là, disse:
“La vita è tutta gioia e sole!”
Una formica che si affannava a trascinare una pagliuzza lunga dieci volte lei, disse:
“La vita è lavoro e stanchezza!”
Un’ape, impegnata ad estrarre nettare da un fiore, ronzò:
“La vita è un miscuglio di lavoro e di piacere!”
Il discorso diventava sapiente e la talpa, messa fuori la testa dalla terra, disse:
“La vita è un combattimento nell’oscurità!”

La gazza che vive per giocare brutti tiri al prossimo osservò:

“Ma che razza di discorsi!
Dovremmo chiedere il parere di persone intelligenti!”
Si accese allora una vivace disputa, finché fu interrogata una pioggerellina sottile che sentenziò:
“La vita è fatta di lacrime, nient’altro che lacrime!”
Poco lontano rombava il mare.
Le onde si alzavano imponenti e si abbattevano con veemenza inaudita contro le rocce e gli scogli, poi indietreggiavano quasi per riprendere forza e tornare ad assalire il granito delle rive.
Anche le onde espressero il loro parere:
“La vita è una sempre inutile lotta verso la libertà!”
Nel vasto cielo azzurro un’aquila reale tracciava i suoi cerchi e fieramente esultò:
“La vita è conquistare le altezze!”
Un salice flessuoso intervenne:

“La vita è sapersi piegare sotto le bufere!”

Cadde la notte.
Un gufo espresse il suo parere:
“La vita è approfittare dell’occasione mentre tutti gli altri dormono!”
Per un po’ ci fu un grande silenzio.
Un giovane che tornava a casa a notte fonda sbottò:
“La vita è una continua ricerca della felicità e una catena di delusioni!”
Finalmente sorse una fiammeggiante aurora.
Si dispiegò in tutta la sua gloria e disse:
“Come io, l’aurora, sono l’inizio del giorno che viene, così la vita è l’inizio dell’eternità!”

Brano senza Autore

Il ricamo della vita

Il ricamo della vita

Per anni e anni, Ghior girò il mondo alla ricerca di qualche risposta ai suoi affannosi “Perché?”
Da piccolo aveva perso la mamma e il papà e aveva dovuto arrangiarsi per vivere, subendo ogni sorta di privazioni.
La vita, tra imprevisti, delusioni e accidenti di ogni tipo, non gli aveva mai sorriso veramente.
Ora, stanco e arrabbiato, stava per abbandonarsi definitivamente allo sconforto, ma, prima di mollare la presa, decise di fare un ultimo viaggio per il mondo e, preparata alla buona una sacca con cibo e vestiti, s’incamminò alla ricerca di risposte.
Dopo molto tempo, una notte molto fredda, arrivò in un piccolo villaggio, poche tende di pastori, qualche fuoco e molte stelle.
Entrò in una delle tende e vicino al fuoco vide addormentata una vecchia donna.
Stava quasi per svegliarla e chiederle ospitalità, quando una mano gli sfiorò la spalla.

Girandosi di scatto, si trovò davanti un giovane:

era un guerriero che sottovoce, ma con tono imperioso, gli disse:
“Per la notte copriti con questa!” e gli porse una coperta morbidissima, di lana pettinata, ricamata con colori accesi:
nemmeno il tempo di ringraziare, ed era già sparito.
La luce tenue dell’alba svegliò Ghior, che ancora sotto la sua coperta, si sentì invadere dal peso dei suoi perché e dai suoi dubbi antichi.
La vecchia donna rientrando nella tenda con una brocca fumante di latte di capra e qualche focaccia gli disse:
“Figliolo, smetti di tormentarti per nulla!”
“Ma la mia sofferenza e le mie disgrazie sono nulla?” rispose Ghior stupito e rattristato.
“Figliolo, riprese la donna, “smetti di tormentarti!
Ciò che ti ha tenuto caldo durante la notte è proprio la risposta che cerchi!”

Ghior non capiva.

Cos’era questa cosa che lo aveva tenuto caldo per tutta la notte… ed era anche la risposta ai suoi perché?
Sfiorando il bordo della coperta, la morbidissima sensazione della lana si trasformò in una illuminazione:
“La coperta!
La coperta mi ha tenuto caldo, la coperta!
Ma… come può essere la risposta ai perché complicati della mia vita?”
Appoggiato il latte e le focacce per terra, la vecchia donna si chinò fino a sedersi al giaciglio di Ghior.
“Guarda figliolo,” disse mostrandogli un lato della coperta, “cosa vedi?”
“Dei colori bellissimi, e disegni ancor più belli ricamati con perfezione mai vista!” rispose Ghior.
“Ora guarda l’altro lato: cosa vedi?” domandò ancora la donna.
“Vedo il tipico aggrovigliarsi dei fili del ricamo, colori sovrapposti, confusione, nodi curati ma sempre nodi, e tagli di filo e colori, intrecci imprevisti, senza senso, disegni incomprensibili e brutti da vedere!” esclamò Ghior.

“Ecco figliolo, la vita, la tua vita è esattamente così:” continuò la donna,

“tu sei sotto il ricamo della vita, puoi vedere questa coperta solo da sotto; è la condizione umana.
Nel frattempo, per te, su di te e dentro di te si ricamano dall’altro lato disegni e sfumature straordinarie e di una bellezza sconvolgente, e per questo ricamo a volte si rende necessario tagliare, fare nodi, correggere.
Da qua sotto è ovvio che senza un po’ di fede e fantasia vedi solo tagli, nodi e confusione, ma guarda un po’ cosa sta realizzando Dio su di te… un disegno bellissimo!” e dicendo queste ultime parole, con un sorriso, concluse il suo discorso.

Brano senza Autore

Caro papà, noi crediamo in te!

Caro papà, noi crediamo in te!

Quando fu assunto come redattore in una importante rivista nazionale, gli sembrò di toccare il cielo con un dito.
Telefonò a mamma, papa e naturalmente alla dolce Monica alla quale disse semplicemente:
“Ho avuto il posto!
Possiamo sposarci!”
Si sposarono e negli anni nacquero tre vispi bimbetti:

Matteo, Marta e Lorenzo.

Sei anni durò la felicità, poi la rivista fu costretta a chiudere.
Il giovane papà si impegnò a trovare un altro posto come redattore in un giornale locale.
Ma anche quel giornale durò poco.
Questa volta la ricerca fu affannosa.
Ogni sera la giovane mamma e i tre bambini guardavano il volto del papà, sempre più rabbuiato.
Una sera, durante la cena, l’uomo si sfogò amareggiato:
“È tutto inutile!

Nel mio settore non c’è più niente:

tutti riducono il personale, licenziano…”
Monica cercava di rincuorarlo, gli parlava dei suoi sogni, delle sue indubbie capacità, di speranza.
Il giorno dopo, il papa si alzò dopo che i bambini erano già usciti per la scuola.
Con un gran peso sul cuore, prese una tazza di caffè e si avvicinò alla scrivania dove di solito lavorava.
Lo sguardo gli cadde sul cestino della carta.
Alcuni grossi cocci di ceramica rosa attirarono la sua attenzione.
Si accorse che erano i pezzi dei tre porcellini rosa che i bambini usavano come salvadanaio.
E sul suo tavolo c’era una manciata di monetine, tanti centesimi e qualche euro e anche alcuni bottoni dorati.
Sotto il mucchietto di monete un foglio di carta sul quale una mano infantile aveva scritto:

“Caro papà, noi crediamo in te.

Matteo, Marta e Lorenzo.”
Gli occhi si inumidirono, i brutti pensieri si cancellarono, il coraggio si infiammò.
Il giovane papa strinse i pugni e promise:
“La vostra fede non sarà delusa!”
Oggi, sulla scrivania di uno dei più importanti editori d’Europa c’è un quadretto con la cornice d’argento.
L’editore la mostra con orgoglio dicendo:
“Questo è il segreto della mia forza!”
È solo un foglio di carta con una scritta incerta e un po’ sbiadita:
“Caro papà, noi crediamo in te!
Matteo, Marta e Lorenzo.”

Brano di Bruno Ferrero

L’alchimista e la pietra filosofale

L’alchimista e la pietra filosofale

C’era una volta un alchimista che aveva dedicato la sua vita alla ricerca della pietra filosofale, la rara pietra che aveva il potere di trasformare in oro gli oggetti di ferro.
“Proverò tutte le pietre della terra, una dopo l’altra.
Troverò certamente la pietra filosofale!” pensava.
In principio, sembrava una cosa semplice.
L’alchimista si era cinto i fianchi con una catena di ferro e aveva cominciato a toccarla con tutte le pietre che trovava.
Camminava e camminava e, appena vedeva una pietra, la prendeva e con essa toccava la sua catena.

Quel gesto era diventato tutta la sua vita.

Passarono gli anni e l’alchimista, con i capelli arruffati, coperti di polvere, il corpo ridotto a un’ombra, le labbra serrate come le porte chiuse del suo cuore, continuava a vagare in cerca della pietra magica.
Tutti ormai lo credevano pazzo.
Un giorno, un ragazzo del villaggio si avvicinò e gli chiese:
“Dimmi, dove hai trovato questa catena d’oro che ti cinge la vita?”

L’alchimista trasalì:

la catena, che una volta era di ferro, era proprio diventata d’oro e splendeva alla sua cintura.
Non era un sogno, ma quando era avvenuto questo mutamento?
Si colpì con violenza la fronte:
dove, oh dove, senza saperlo, aveva raggiunto la sua meta?
Si era ormai abituato a raccogliere pietre e toccare con esse la catena, e poi gettarle via senza guardare se la trasformazione era avvenuta.

Così il povero alchimista aveva trovato la pietra filosofale, e l’aveva perduta…

Tornò sui suoi passi per cercare di nuovo.
Ma ora il suo corpo era più curvo e privo di forze, il suo cuore più stanco e lui come un albero sradicato…

Brano senza Autore

La leggenda della Stella di Natale

La leggenda della Stella di Natale

Anche a Città del Messico, nella lontana America, il Natale è una grande occasione di festa.
Tutti ne approfittano per sfoggiare vestiti nuovi, imbandire le tavole con cibi e bevande abbondanti e diversi dal solito, scambiarsi regali costosi e raffinati.
Che è poi quello che succede in gran parte del mondo.
Ma anche a Città del Messico ci sono persone che non possono permettersi di far festa neppure la Vigilia di Natale.
Una di queste, forse la più povera di tutte, si chiamava Ines.
Era una piccola e graziosa bambina indiana, grandi occhi neri nel visetto scuro, che anche la Vigilia di Natale vagava per il mercato grande a piedi nudi, sgranando gli occhi sulla mercanzia esposta sulle bancarelle:
trionfi di frutta colorata, dolci, tacchini e oche arrostiti, profumate patatine.
Tutte cose proibite per Ines, ricca solo del suo sorriso con cui cercava di intenerire i venditori, che le volevano bene e le regalavano sempre qualcosa.
La mamma le aveva cucito una grossa tasca sul davanti della gonna, e tutto quello che la bambina riceveva finiva in quella tasca.
Ogni giorno la piccola Ines la controllava perché nulla di quanto raccoglieva andasse perduto.

Il contenuto di quella tasca era preziosissimo:

quello era il cibo per i suoi fratellini e la mamma ammalata che aspettavano a casa.
Ines aveva l’occhio allenato a scoprire anche nei mucchi di rifiuti del mercato qualche cosa ancora in buono stato e la sua mano veloce sapeva sceglierlo con cura, ripulirlo, renderlo accettabile.
La sera della Vigilia di Natale, la tasca era colma più del solito.
Anche i suoi fratellini avrebbero fatto festa quella sera.
Ma Ines non era del tutto felice.
Aveva un piccolo ma insistente, segreto, cruccio.
A Città del Messico c’era una simpatica tradizione.
Nella Notte di Natale tutti i bambini della città portavano un fiore a Gesù Bambino nella chiesa della loro parrocchia.
C’era una specie di gara a chi portava il fiore più bello.
Ines desiderava portare anche lei un fiore a Gesù Bambino.
A volte si immaginava nel gesto di offrire, proprio lei, povera piccola bambina indiana, il fiore più bello.
Ma già faticava tanto a procurarsi un po’ di frutta e di verdura, come poteva procurarsi un fiore?
Aveva visto qualche fiore sui balconi più ricchi, altri fiori facevano capolino invitanti da cancelli di ferro battuto.

Era tentata di coglierli, ma non si può donare a Gesù un fiore rubato.

La piccola pensava con soddisfazione alle cose buone che portava ai fratellini, alla gioia con cui l’avrebbero accolta, ma non si decideva a tornare a casa.
Vagava inquieta, alla ricerca di un fiore, il più bello, quello che aveva visto solo nella sua fantasia.
La stradina tortuosa che portava al suo quartiere attraversava una zona di ruderi antichi.
Altre volte aveva visto tra le rovine ciuffi di foglie verdi con qualche fiore colorato.
Forse là avrebbe potuto trovare qualche fiore speciale da portare a Gesù Bambino.
Cautamente si addentrò tra i ruderi.
Girò, cercò, frugò attentamente tra le vecchie pietre, ma non c’era niente da fare.
Non c’era neppure un fiorellino.
Era quasi buio.
La mamma e i fratellini la stavano certo aspettando con impazienza.
Doveva tornare a casa.
Gettò un ultimo sguardo intorno e vide, in un angolo, un ciuffo di piantine che avevano foglie verdi, lucide, disposte come i petali di un fiore.
Si chinò e in fretta ne raccolse alcuni rametti; li mise insieme nel modo più gradevole possibile e formò un piccolo mazzo.

Mancava ugualmente qualcosa.

Con un sospiro, la bambina si tolse la cosa più bella che possedeva:
il nastro rosso che le serviva a legare i capelli.
Con il nastro fece una coccarda intorno alle foglie verdi.
Fu soddisfatta del risultato.
“Gesù Bambino gradirà i miei fiori verdi.” pensò, “E poi li ho legati con il nastro rosso!”
Era buio ormai e Ines si diresse verso casa.
Passò davanti alla chiesa:
il portone principale era spalancato.
“A quest’ora non ci sarà nessuno in chiesa!” pensò, “È l’ora di cena.
Verranno più tardi a portare i fiori a Gesù!”
Entrò furtivamente, con i suoi piedini nudi, il grembiulone sporco con la tasca piena di frutta e verdura.
Sgattaiolò, leggera come un’ombra, dietro le colonne della navata verso l’angolo pieno di luce dove su un cuscino ricamato avevano posto la statua di Gesù Bambino.
Con le lacrime agli occhi, Ines guardò il suo mazzo di foglie verdi e poi, rivolta alla statua del Bambino Gesù disse:
“Te li lascio adesso.
Non posso venire dopo con gli altri bambini.
Mi vergognerei troppo.
Spero ti piacciano lo stesso!”

Un “Oh!” di meraviglia la fece trasalire.

C’era un gruppo di gente intorno a lei.
Tutti fissavano meravigliati il mazzo che stringeva in mano.
“Che bei fiori…
Dove li hai trovati?
Non ho mai visto dei fiori così!”
Ines abbassò gli occhi sul suo mazzo di foglie e rimase senza fiato per la sorpresa.
Le foglie erano diventate di un bel rosso vivo.
Al centro della corolla le bacche avevano formato come un cuore d’oro.
Timidamente, la bambina depose il suo prezioso mazzo di stelle rosso-oro au piedi della statua del Bambino Gesù e poi corse a casa.
Non le sembrava neanche di toccare il terreno per la felicità.
Ora sapeva che Gesù aveva gradito il suo dono e aveva trasformato delle semplici foglie nel fiore più bello del Messico:
la stella di Natale.
Ancora oggi, a Natale, in tutto il mondo, le rosse stelle dal cuore d’oro ricordano il miracolo della fede di una povera bambina indiana.

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La gioia di vivere

La gioia di vivere

Un uomo, di profonda spiritualità, osservava lo spettacolo della città, formicolante di gente indaffarata, sempre alla rincorsa del tempo e alla ricerca del buon affare.
Improvvisamente gli apparve un angelo.
L’uomo spirituale approfittò dell’occasione e chiese all’angelo:

“Illumina la mia ignoranza:

c’è qualcuna di queste persone, di questa città, che entrerà nel paradiso?”
“Nessuno, purtroppo, nessuno!” rispose l’angelo, scrollando il capo.
In quel momento arrivarono nella piazza principale della città due uomini.
Si misero a fare giochi di abilità, scherzi e buffonate per attirare la gente.

Intorno a loro si formò un cerchio di grandi e piccoli,

che si divertivano e battevano le mani ridendo.
L’angelo: “Questi certamente entreranno nel paradiso!”
L’uomo, incuriosito, andò a parlare ai due pagliacci.
“Scusatemi, ma voi, cosa vendete?” chiese.

Risposero:

“Offriamo ciò che gli uomini cercano affannosamente:
la gioia di vivere!”

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La ricerca della gioia

La ricerca della gioia

C’era una volta un uomo ricchissimo.
Possedeva tanti negozi, tante fabbriche e tante banche, cosicché ogni settimana riceveva nel suo palazzo molti autocarri carichi di denaro.
Non sapeva più dove metterlo o in che cosa spenderlo.

Si comperava tutto quello che gli piaceva:

aerei, navi, treni, edifici, monumenti, ecc.
Era sempre alla ricerca di cose da comperare.
Arrivò un giorno in cui aveva proprio tutto.
Non c’era cosa che non possedesse.
Tutto era suo.
Tuttavia c’era una cosa che non riusciva ad avere.
E per quanto comprasse, una cosa non la trovava mai.

Era la gioia.

Non trovò mai il negozio in cui la vendessero.
Si impegnò a cercarla a qualunque costo, perché era l’ultima cosa che gli mancava.
Percorse mezzo mondo alla sua ricerca, ma senza risultato.
Un giorno capitò in un piccolo villaggio e venne a sapere che un vecchio saggio poteva aiutarlo.
Viveva in cima a una montagna, in un’umile e povera capanna.
Si diresse verso di lui e quando lo trovò gli disse:
“Mi hanno detto che lei potrebbe aiutarmi a trovare la gioia.”
Il vecchio lo guardò sorridendo e rispose:
“Lei l’ha già incontrata, amico.
Io ho molta gioia.”
“Lei?” esclamò stupito il ricco, “Ma se possiede soltanto una povera capanna e poco più!”
“Certo, e proprio per questo ho la gioia, poiché do a chi ne ha bisogno tutto quello che ho di più.” affermò il vecchio.
“E così si ottiene la gioia?” chiese il ricco.
“Così l’ho trovata io.” confermò il Vecchio.

Il ricco se ne andò pensieroso.

Poco tempo dopo decise di dare tutto quello che non gli era necessario a coloro i quali ne avessero bisogno.
Con grande sorpresa scoprì che facendo così sentiva gioia.
Si era reso conto che c’è più gioia nel dare e nel rendere felici gli altri che nel ricevere e possedere tante cose senza condividerle.

Brano tratto dal libro “C’era una volta… al catechismo. Racconti per educare ai valori cristiani i ragazzi dagli 8 agli 11 anni.” di Josè Real Navarro

I più grandi desideri

I più grandi desideri

C’era un uomo che vagava per il mondo inseguendo i suoi desideri più profondi!
Alla fine, un giorno, stanco della lunga ricerca, si sedette sotto un grande albero…
Non sapeva che si trattasse dell’albero che realizza i più grandi desideri!

Mentre riposava l’uomo pensò:

“Che bel posto questo!
Mi piacerebbe abitare qui!” e subito apparve una bella casa…
“Ho fame!” pensò, “Vorrei avere qualcosa da mangiare!”
Immediatamente apparve un tavolo imbandito con tutti i cibi e le bevande possibili ma,

visto che era ancora molto stanco, pensò:

“Vorrei avere un domestico a mia disposizione!” e, ovviamente, un domestico apparve…
Alla fine del pasto l’uomo si appoggiò al tronco del bellissimo albero e si mise a riflettere!
“Ogni cosa che desideravo si è avverata!
Quest’albero dev’essere magico…
Magari è abitato da un demonio!” e, immediatamente, un gran diavolo apparve…

“Ahimè!” pensò.

“Il demonio, probabilmente, mi mangerà!” ed è esattamente ciò che successe…

Ecco la cosa più complicata:
essere padroni dei propri desideri, trasformarli in progetti e forze per la vita, e non lasciarsi distruggere da essi!

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