Il sogno del Paradiso

Il sogno del Paradiso

Un vecchio sognò di morire e di andare in cielo.
Là vide un uomo con un sacco sulle spalle sui cui era scritto:

“Sofferenze.”

Dal sacco l’uomo tirava fuori dei pezzi di carbone, che un angelo prendeva e trasformava in oro.
Al risveglio, il vecchio decise di cambiare vita ed iniziò a ricercare sacrifici e privazioni.
Pensava infatti che ogni sua sofferenza sarebbe stata ricompensata nell’aldilà.

Così facendo, divenne triste e scontroso.

E, col tempo, la sua tristezza contagiò anche coloro che gli stavano accanto.
Fu allora che, una notte, il vecchio sognò di nuovo di morire e di ritornare in cielo.
Là rivide l’uomo col sacco sulle spalle e l’angelo che trasformava il carbone in oro.
Ma, questa volta, vide anche che l’angelo rimetteva l’oro dentro il sacco e che il sacco era adesso molto più pesante sulla schiena del pover’uomo.

Sempre nel sonno, l’angelo disse al vecchio:

“Mi dispiace se ha frainteso:
questo non è il paradiso!”

Brano senza Autore

L’adorazione della chiocciola

L’adorazione della chiocciola

Un signore di nome Pietro ogni anno allestiva in casa un piccolo presepe mettendoci tutta la maestria possibile affinché fosse sempre più bello ed originale.
Poneva particolare cura nei dettagli, non facendo mancare mai le classiche luci ed il muschio sempre fresco.

Un anno, cercando proprio il muschio nel bosco,

trovò una piccola chiocciola con il guscio opercolato, cioè chiuso per il letargo, ed ebbe l’idea di portarla a casa.
Allestito il presepe aggiunse, nel lato opposto alla capanna, la chiocciola come nota caratteristica perché, in fondo, era anch’essa una casetta.
Avendo paura di un corto circuito ogni notte spegneva tutte le luci, ma durante la notte di Natale, per renderla magica, le lasciò volutamente accese.

Il calore emanato dalle luci portò al risveglio della chiocciola.

Il mattino seguente rimase sorpreso vedendo la caratteristica scia della bava della chiocciola, sopra il muschio lungo tutto il presepe.
La chiocciola, incredibilmente, era ferma davanti alla statuina di Gesù Bambino con le corna fuori come fosse in adorazione.
Pietro trovò la cosa di buon auspicio, e pieno di gratificazione e di gioia,

la segnalò ai famigliari e ai vicini e fu fotografata come una star.

La foto fu mostrata al parroco che commentò dicendo che la chiocciola con la sua casa ovunque simboleggiava la crescita spirituale e ben ci stava con il presepe di Pietro.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il riposino

Il riposino

Un discepolo del maestro Soyen Shaku racconta che, quando erano bambini, il loro maestro era solito fare sempre un riposino dopo pranzo.
Al risveglio i bambini gli chiedevano perché lo facesse e lui rispondeva:

“Vado nel mondo dei sogni a trovare i vecchi saggi, come faceva Confucio!”

Si narra infatti che Confucio sognasse gli antichi saggi prima di parlare ai suoi discepoli.
Un giorno, racconta il discepolo, c’era un caldo terribile e alcuni dei bambini si appisolarono.

Il maestro al risveglio li sgridò ed uno di loro rispose così:

“Siamo andati nel mondo dei sogni a trovare gli antichi saggi proprio come faceva Confucio!”
Allora il maestro li interrogò:
“E che cosa vi hanno detto quei saggi?”

Uno dei piccoli discepoli rispose:

“Siamo andati nel mondo dei sogni, abbiamo incontrato i saggi e domandato se il nostro maestro andava là tutti i pomeriggi, ma loro ci hanno detto di non averlo mai visto!”

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Re che non sapeva ascoltare

Il Re che non sapeva ascoltare

C’era una volta un Re che non sapeva ascoltare.
Quando i suoi sudditi si rivolgevano a lui, li interrompeva non appena aprivano bocca e gridava: “Va bene, va bene, ho capito!
Ti credo!
Guardie, dategli mille monete d’oro!”
Oppure:
“Basta, basta, non ti credo!
Guardie, frustatelo e buttatelo fuori di qui!”
Insomma, il Re era un tipo lunatico e agiva secondo il suo umore.
Non voleva saperne di ascoltare, e quindi era buono e generoso con le persone sbagliate, e viceversa.

I sudditi lo sapevano bene, cercavano di girare alla larga dal castello e speravano ardentemente di non aver mai niente a che fare con il re.

Ma quelli che ci rimettevano più degli altri erano la sua povera moglie e i due principini, perché il re non solo non li ascoltava, ma giudicava stupido e senza senso tutto quello che loro dicevano.
Li criticava continuamente e non prestava mai attenzione alle loro parole, neppure quando gli parlava con la voce del cuore e dell’affetto.
Se, per esempio, la principessina Adelaide si avvicinava al regale papà per mostrargli il disegno fatto a scuola, dicendo timidamente:
“Papà, guarda questo…” il re la interrompeva con aria infastidita e borbottava:
“Va bene, va bene eccoti una moneta d’oro…”
Se il principino Roberto osava chiedere:
“Dove vanno quelli che muoiono?” il regale papà lo zittiva dicendo:

“Piantala con queste stupidaggini!”

Un giorno, il re e la regina litigarono furiosamente, e dal momento che la donna ribadiva le sue ragioni, il re la spinse giù dal trono.
Poi si mise a spiegare alla moglie che se le aveva fatto del male era per il suo bene, e che avrebbe dovuto ringraziarlo, per questo.
La regina, profondamente offesa e indignata, con le ossa rotte e doloranti, gli lanciò una terribile maledizione:
“Che te ne fai di due orecchi, dal momento che non ascolti mai nessuno?
Tu non fai che parlare: bla, bla bla e ancora bla!
Vorrei che ti cadessero le orecchie e che ti venissero due bocche!”
Il Mago Cavatorti, lontano parente della regina, si trovava per caso nelle vicinanze e sentì la maledizione della donna.
Conosceva il re, e sapeva di cosa era capace.
Così, impietosito dalla triste sorte della regina, esaudì il suo desiderio.

Il Mago si presentò al re e gli agitò sotto il naso la nodosa bacchetta di legno di nespolo.

Il re che non voleva mai ascoltare cadde in un sonno profondo, e quando si risvegliò si ritrovò con due bocche identiche, una accanto all’altra, e un orecchio minuscolo sulla fronte, vagamente simile a un cece.
Le altre due orecchie, invece, giacevano sul cuscino come foglie secche.
All’inizio, il re ringraziò il Mago per quel bellissimo regalo.
Adesso poteva parlare più velocemente e ad alta voce.
Ma ben presto si rese conto che non riusciva più a stare zitto.
Parlava, parlava sempre, senza un attimo di tregua.
E mentre beveva e mangiava con una bocca, con l’altra continuava a parlare.

Per i poveri sudditi le cose peggiorarono.

Se prima non ascoltava, adesso il re non faceva che straparlare e interrompere gli altri.
E la moglie che già non sopportava una bocca del marito, con la seconda non ce la faceva proprio più.
Inoltre, il re ora russava il doppio, e la notte non le faceva chiudere occhio.
Con il passare del tempo, il re cominciò ad ascoltare solo le sue due voci, ed amici e nemici presero ad evitarlo come la peste.
Insomma, era insopportabile.
Anche gli affari di stato peggiorarono.
Quando arrivavano gli ambasciatori dei regni vicini con i messaggi dei loro sovrani, il re non prestava la minima attenzione alle loro parole, anzi se quelli parlavano di “terra” capiva “guerra”, se dicevano “doni” pensava ai “cannoni.”
Così, poco alla volta, tutti lo abbandonarono.

Il re fu avvolto da una terribile solitudine e cominciò a rendersi conto dei suoi errori.

Decise che da allora in poi avrebbe tenuto sempre conto della dura lezione che il Mago gli aveva impartito.
Adesso teneva la bocca, anzi le due bocche chiuse, e con il suo piccolo orecchio si sforzava di ascoltare meglio di quando ne aveva due.
In cuor suo, anzi, sperava che il Mago tornasse con la sua bacchetta di nespolo per ridargli le sue due orecchie, che ora rimpiangeva con tutte le sue forze.
Passarono gli anni e la regina cominciò a provare una gran pena per il marito.
Persino i sudditi e i sovrani dei regni vicini avevano dimenticato l’astio che avevano sempre provato nei suoi confronti e si auguravano che venisse perdonato.
Ma trascorsero parecchi anni prima che il Mago Cavatorti si decidesse a tornare da lui.
“Riconosci i tuoi errori?” gli chiese, scuro in volto.

Il re annuì.

“E faresti qualsiasi cosa pur di avere due orecchi e una bocca?”
Il re era pronto a tutto.
Il Mago agitò la sua bacchetta al contrario e il re si ritrovò con una bocca sola e due splendidi orecchi nuovi.
Invece di ricominciare come prima, si fermò ad ascoltare il canto degli uccelli, la musica del vento, le voci dei bambini.
Era la prima volta e gli vennero le lacrime agli occhi per la commozione.
La regina, il principe Roberto e la principessa Adelaide lo abbracciarono e gli dissero:
“Ti vogliamo bene!”
Il re pensò che non aveva mai sentito niente di più bello in tutta la sua vita e che era stato proprio stupido a non accorgersene prima.

Brano di Bruno Ferrero

La leggenda di Amore e Psiche

La leggenda di Amore e Psiche

Tantissimi anni fa, in un grande regno, vivevano un re e una regina che avevano tre bellissime figlie.
Delle tre figlie, le due più grandi, nonostante fossero molto belle, potevano essere descritte con parole umane; mentre la splendida bellezza della figlia minore non si poteva descrivere, si poteva solo ammirare.
Psiche, questo era il nome della sorella più piccola, era bellissima, la sua grazia e il suo splendore erano tali da attirare le invidie di Venere (Dea della bellezza) che, per vendicarsi, decise di chiedere aiuto a suo figlio Amore (Cupido).

L’invidiosa dea chiese a suo figlio di colpire Psiche con una delle sue infallibili frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.

Amore accettò ma, una volta arrivato di fronte alla fanciulla, rimase così incantato dalla sua bellezza da distrarsi al punto che una delle sue frecce lo colpì, facendolo innamorare perdutamente della splendida fanciulla.
Psiche, nonostante fosse bellissima, non riusciva a trovare marito, i genitori preoccupati consultarono un oracolo ed in seguito al consiglio dato dallo stesso, la ragazza venne portata a malincuore sulla cima di una rupe e venne lasciata lì da sola.
Con l’aiuto di Zefiro, Cupido riuscì a portarla nel suo palazzo.

Per vivere la sua storia romantica senza farlo sapere alla madre, non le rivelò la sua identità.

Ogni sera, al calar del sole, Amore andava dalla fanciulla e, senza mai mostrare il proprio volto, i due vivevano intensi momenti di passione.
La giovane principessa aveva accettato il compromesso ma, si sa, la curiosità è donna, ed una notte, mentre Amore dormiva, Psiche si avvicinò al suo volto con una lampada restando folgorata dalla bellezza del suo amante.
Mentre ammirava il profilo di Amore, però, una goccia d’olio della lampada cadde accidentalmente sul giovane che, risvegliatosi, scappò via abbandonando la fanciulla.
Quando Venere venne a sapere dell’accaduto scatenò la sua ira su Psiche che, per punizione, venne sottoposta dalla Dea a difficili prove.
La principessa superò brillantemente le prove, anche grazie all’aiuto di vari esseri divini, e questo fece ancora più infuriare Venere che le pose un’ultima prova:

discendere negli inferi e chiedere alla dea Prosepina un po’ della sua bellezza.

Come ordinatole dalla Dea, Psiche si recò negli inferi ma, stavolta, fallì.
Nonostante le fosse stato ordinato di non aprire l’ampolla donatale da Prosepina, la fanciulla, incuriosita, aprì l’ampolla dalla quale uscì una nuvola che fece cadere Psiche in un sonno profondissimo.
Intanto Amore, preso dalla nostalgia, andò alla ricerca della sua amata e, quando la trovò, la risvegliò.
Per non rischiare di perderla di nuovo Amore condusse Psiche sull’Olimpo dove, grazie all’appoggio e all’aiuto di Giove, la giovane principessa, dopo aver bevuto dell’ambrosia, divenne una dea.
Venne celebrato il matrimonio dei due innamorati ed in seguito dalla loro unione nacque una bellissima bambina che prese il nome di Voluttà.

Leggenda Mitologica.
Brano senza Autore, tratto dal Web

Il gioiello nascosto

Il gioiello nascosto

Un giorno un uomo, dopo essersi abbuffato in un abbondante banchetto, cadde in un sonno profondo.
Passò un caro amico, restò un po’ di tempo presso di lui e,

quando dovette andarsene,

temendo che l’amico potesse trovarsi nel bisogno, gli mise un gioiello nel bavero dell’abito.
Quando l’uomo si risvegliò, ignaro del gesto dell’amico, condusse la sua solita vita errabonda, vivendo nella fame e nella miseria.

Passarono gli anni e i due amici si incontrarono di nuovo.

L’amico gli disse del gioiello e l’uomo, rovistando nel suo abito, subito lo trovò.
Incredulo, si rattristò amaramente riflettendo sul fatto che per tutti quegli anni avesse condotto una vita miserabile avendo con sé un gioiello di tale valore.

Allo stesso modo, gli uomini vagano tra le sofferenze di questo mondo,

ignari che tra le pieghe più profonde del proprio essere è nascosto il gioiello del pieno risveglio.

Racconto Buddista
Brano senza Autore, tratto dal Web

Focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici…


Focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici…

Un uomo di 92 anni, piccolo, molto fiero, vestito e ben rasato, una mattina alle 8.00, con i suoi capelli perfettamente pettinati, trasloca in una casa per persone anziane.
Sua moglie di 70 anni è recentemente deceduta, cosa che lo obbliga a lasciare la sua casa.
Dopo parecchie ore di attesa nella hall della casa per anziani, ci sorride gentilmente quando gli diciamo che la sua camera è pronta.
Mentre si reca fino all’ascensore con il suo deambulatore, gli faccio una descrizione della sua piccola camera, includendo il drappo sospeso alla sua finestra come tenda.

“Mi piace molto!”

dice con l’entusiasmo di un ragazzino di 8 anni che ha appena ricevuto un nuovo cucciolo.
“Signor Vito, lei non ha ancora visto la camera, aspetti un attimo.”
“Questo non c’entra niente!” dice “La felicità è qualcosa che scelgo a priori.
Che mi piaccia la mia camera o no, non dipende dai mobili o dalle decorazioni, dipende piuttosto dal modo in cui la percepisco.

Nella mia testa è già deciso che la mia camera mi piace.

E’ una decisione che prendo ogni mattina al mio risveglio.”
Posso scegliere, posso passare la giornata a letto contando le difficoltà che ho con le parti del mio corpo che non funzionano, oppure alzarmi e ringraziare il cielo per quelle che funzionano ancora.

Ogni giorno è un regalo e finché potrò aprire i miei occhi,

focalizzerò sul nuovo giorno e su tutti i ricordi felici che ho raccolto durante tutta la mia vita.
La vecchiaia è come un conto in banca: prelevi da ciò che hai accumulato.

Brano senza Autore, tratto dal Web