La chiave d’oro

La chiave d’oro

Paolino aveva alcune cose che lo soddisfacevano, come 12 (dodici) anni, un discreto dribbling, i capelli rossi e 24 (ventiquattro) lentiggini sul naso.
Altre gli piacevano un po’ meno, come dover andare a scuola, la lingua inglese e Giorgio, il suo amico-nemico dichiarato, che gli aveva affibbiato il soprannome di “ketchup” (sempre per via dei capelli).
Per il resto Paolino era un ragazzo come tanti, spesso stanco, disubbidiente Q. B. (quanto basta), gentile e affettuoso nei momenti giusti.
Ma un pomeriggio, avvenne qualcosa che cambiò, in un certo senso, la sua vita.
Era la ventesima volta che Paolino rileggeva la pagina di storia.
Ma non c’era niente da fare: non capiva nulla.
Tutti quei Francheschi, Carli, Enrichi, re ora di qua, ora di là, facevano una gran confusione nella sua testa.

Era stufo e arcistufo.

Sbuffò con la forza di un ippopotamo e sparò un calcio da “telebeam” al cestino della carta.
Dalla cucina filtravano le risate delle sorelline (5 e 3 anni) che guardavano i cartoni animati alla televisione.
“Diventare grandi è una rottura!” pensò per un momento, ma solo per un momento.
Stava per mandare il libro di storia a far compagnia al cestino della carta, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un leggero picchiettio alla finestra.
Corse a guardare.
Sul davanzale c’era un colombo bianco.
Paolino aprì la finestra.
“Avrà fame!” pensò.
Allungò la mano piano piano:
il colombo non volò via, anzi, andò incontro alla sua mano.
Portava qualcosa di luccicante nel becco.
Con un rapido movimento del capo lo posò nel palmo della mano del ragazzo e poi in un frullo d’ali volò via.

Paolino guardò il regalo del colombo:

era una piccola chiave d’oro.
Si sentiva stranamente tranquillo, come se i colombi che vanno in giro a distribuire chiavi d’oro, fossero una cosa assolutamente normale.
Nel cassetto della scrivania trovò un laccio di cuoio, lo fece passare nell’occhiello della chiave e se lo infilò al collo.
Il giorno, dopo a scuola, tutti ammiravano il suo ciondolo.
“È nuovo?” gli chiese perfino Giorgio.
“No. È lavato con Perlana!” rispose Paolino, tanto per non smentirsi.
Qualcuno gli chiese dove l’avesse preso.
Ma non osò raccontarlo.
Il fatto strano cominciò durante l’intervallo.
Riccardo e Walter lo attaccarono pesantemente sulla diletta Juventus.
La sua squadra del cuore era stata sconfitta la domenica precedente e Paolino l’aveva presa male.
Perfidamente, i due amici cominciarono a farsi beffe di lui, e questo lo poteva sopportate, ma poi attaccarono la squadra, e questa era un’onta da lavare con i pugni.
C’era un angolino nel cortile costantemente fuori portata degli sguardi indagatori degli insegnanti.
Era là che si regolavano le sfide a botte.

Paolino era grosso e svelto:

non aveva certo paura dei suoi compagni.
Li sfidò a raggiungerlo nel cortile.
Era là che aspettava con i pugni chiusi, quando vide sul muro una serratura, lieve ma ben definita.
Chi era quel matto che disegnava serrature sul muro?
La serratura, però, non era disegnata.
Era reale.
Paolino la guardò a bocca aperta, poi capì.
Si sfilò la chiave dal collo e provò nella serratura.
Entrava perfettamente.
La girò piano piano, con il cuore che batteva.
Nel muro si aprì come uno sportello.
Dentro c’era un cielo sereno in cui spiccava nitido e colorato un magnifico arcobaleno.
Sembrava così vicino che Paolino allungò la mano:
l’arcobaleno si avvolse come una sciarpa di seta attorno alla sua mano.
In quell’istante lo sportello nel muro sparì.
Riccardo e Walter arrivarono pronti a fare a botte, ma Paolino allargò le braccia in segno di resa.
Non riusciva proprio a stringere a pugno la mano che era stata fasciata dall’arcobaleno.
Sorpresi dall’improvviso gesto di pace, Riccardo e Walter divennero subito più amichevoli e si avvicinarono a Paolino, quasi sorridenti.
“Bè, dopotutto, la Juventus non è da buttar via!” disse Walter.
La seconda volta successe a casa.
Dopo pranzo.
“Per piacere, Paolino,” disse la mamma, “oggi resta in casa e tieni d’occhio le sorelline.
Devo uscire per delle commissioni e non posso portarle con me!”

“Ma mamma!

Ho promesso di andare all’oratorio con Giorgio:
è il mio pomeriggio libero!
Porta Elena ed Evelina dalla nonna!”
“La mamma ti ha chiesto un piacere, Paolo!” ribatté con aria severa il papà, “Oggi rimani a casa, chiaro?”
“Uffa! È sempre così!
E io esco lo stesso!”
Paolino sbatté la sedia contro il tavolo con malagrazia e si rifugiò nella sua cameretta.
“Esco lo stesso!” si disse, e si infilò il giubbotto.
Era a un passo dalla porta d’ingresso, quando apparve di nuovo, sul muro del corridoio, la misteriosa serratura.
Questa volta Paolino non ebbe dubbi.
Introdusse la chiave d’oro nella serratura, che, come la prima volta, scattò morbidamente.
Lo sportello magico si aprì e, dentro il muro, come in un armadietto, Paolino vide una carezza del papà e un bacio della mamma.
Erano le due cose più belle della sua vita, le purtroppo rare carezze di papà lo riempivano di fierezza e i baci della mamma facevano passare tutto:

le delusioni, il mal di pancia, i brutti voti e le paure.

Lentamente tornò indietro, mentre lo sportello nel muro spariva.
“E va bene!” brontolò, “Farò la guardia a quei due esseri pestilenziali!”
Quella sera non era la più adatta a rialzargli l’umore, nonostante la buona azione del pomeriggio.
Il giorno dopo sarebbe quasi certamente stato interrogato in inglese e perciò gli toccava studiare proprio la materia che gli risultava più indigesta.
Ogni due verbi inglesi accendeva la radio per distrarsi un po’.
Dopo un’ora aveva studiato esattamente quattro verbi.
“Di questo passo a mezzanotte sarò ancora qui, accidenti a questa rottura!” sbuffava.
Fu così che vide la serratura per la terza volta.
Era nell’aria, dietro la lampada da tavolo.
Paolino prese la chiave d’oro e aprì il solito sportello.
Dentro, questa volta c’era lui.
Vide se stesso che saliva una scala che si perdeva nelle nuvole.
Mentre saliva, gli scalini dietro di lui scomparivano.
Per quella scala si poteva solo salire.

Era impossibile tornare indietro.

Anche questa volta Paolino capì.
Spense la radio e cominciò a studiare.
Non poteva buttare via gli “scalini”:
non li avrebbe recuperati mai più.
Così la chiave d’oro cambiò la vita di Paolino.
Apparentemente era rimasto il ragazzo di prima, con 12 anni, un discreto dribbling, i capelli rossi, 24 lentiggini sul naso e un amico-nemico che lo chiamava “ketchup”, ma in lui qualcosa era diverso.
Se ne accorse perfino il preside che un giorno, mentre Paolino si preparava a battere un “corner” durante la partita nel cortile della scuola, gli passò vicino e gli disse:
“E bravo Paolino!
Hai trovato la chiave della saggezza?”
“Proprio così!” rispose Paolino.
E tirò un magnifico “corner”.
Ma Riccardo, come al solito, “ciccò” ignobilmente il pallone.

Brano tratto dal libro “Altre storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Amore, Felicità, Tempo, Amicizia e Saggezza

Amore, Felicità, Tempo, Amicizia e Saggezza

Ciao, il mio nome è Felicità.
Faccio parte della vita, di quelli che credono nella forza dell’amore, che credono che ad una bella storia non possa esserci mai fine.
Sono sposata, lo sapevi?
Sono sposata con il Tempo.
Lui è il responsabile della risoluzione di tutti i problemi.
Lui costruisce cuori, lui medica quelli feriti, lui vince la tristezza…

Io e il Tempo, assieme, abbiamo avuto tre figli:

Amicizia, Saggezza e Amore.
Amicizia è la figlia più grande, una ragazza bellissima, sincera e allegra.
Lei unisce le persone, non ha l’intento di ferire, ma di consolare.
Poi c’è Saggezza, colta, con principi morali.
Lei è quella più attaccata a suo padre, Tempo.
È come se Saggezza e Tempo camminassero insieme!

Il più piccolo è Amore!

Ah, quanto mi fa lavorare lui!
È ostinato, a volte vuole abitare solo in un certo posto…
E a volte dice che è stato concepito per abitare in due cuori e non in uno soltanto.
Eh si, mio figlio Amore è molto complesso.
Quando comincia a far danni, devo chiamare subito suo padre, Tempo, affinché chiuda le ferite procurate dal figlio!

Una persona un giorno mi ha detto:

“Alla fine tutto si sistema sempre… in un modo o nell’altro… se le cose ancora non si sono sistemate è perché non siamo ancora giunti alla fine!”
Per questo ti dico di avere fiducia nella mia famiglia.
Credi in mio marito Tempo, nei miei figli Amicizia, Saggezza e soprattutto credi in mio figlio Amore.
Se avrai fiducia in loro, stai certo che allora io, Felicità, un giorno busserò alla tua porta!
E non dimenticare mai di sorridere …

Brano senza Autore

Il re e gli indovinelli

Il re e gli indovinelli

Un re polacco adorava gli indovinelli.
Per lui erano la massima forma di saggezza.
Un giorno, camminando con il primo ministro lungo il fiume, vide un povero contadino che lavava i panni nell’acqua gelata.
Allora il re chiese al contadino:
“Cos’è di più, cinque o sette?»”
E il contadino rispose:
“Cos’è di più, trentadue o dodici?”
Il re sorrise e gli domandò ancora:
“In casa tua hai avuto un incendio?”

Il contadino rispose:

“Sì. Ce ne sono stati cinque e ne aspetto altri due!”
Il re scosse la testa e continuò:
“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
Il contadino gli rispose:
“Mandalo e vedrai!”
Il re e il primo ministro si allontanarono e il re domandò al primo ministro se avesse capito di cosa stessero parlando.
“Sire, non ho capito nulla.
Come avrei potuto?
Avete parlato per enigmi!” esclamò il primo ministro.
Il re sembrò scontento:
“Ma come?
Tu sei il mio primo ministro.
Dovresti essere il più saggio del reame e un semplice contadino mi ha capito meglio di te?
Ti do tempo tre giorni per indovinare cosa ci siamo detti.
Se non ci riuscirai, sarò costretto a cacciarti!”
II primo ministro, disperato, convocò tutti i suoi consiglieri, ma nessuno riusciva a risolvere quegli enigmi.

Allora il primo ministro fece chiamare il contadino.

“Racconta,” gli ordinò, “cosa vi siete detti col re?”
Il contadino rispose:
“Lo farò, ma è una faccenda delicata, per cui voglio mille ducati!”
“È una vergogna!
Un furto!” esclamò il primo ministro, “Mille ducati per tre risposte?”
Il contadino fece per andarsene, ma il primo ministro lo trattenne.
“Va bene!” disse e gli consegnò il denaro, “Ed ora spiegami!”
Il contadino, con molta calma, cominciò:
“Io stavo lavando i panni nel fiume ghiacciato.
Vedendomi, il re mi ha chiesto se non mi bastassero i sette mesi caldi e dovevo lavare anche d’inverno.
Io gli ho risposto che i miei trentadue denti mangiano più di quel che riesco a guadagnare in dodici mesi.
Poi il re mi ha chiesto degli incendi, cioè se in casa mia avevo avuto dei matrimoni, perché per organizzare un matrimonio si spende ogni risparmio e si resta senza niente, come dopo un incendio.
E io gli ho risposto che avevo sposato cinque figlie e me ne restavano altre due.

Infine il re mi ha chiesto:

“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
ed io ho risposto:
“Mandalo e vedrai!”
Ecco: indovini adesso chi è il pollo?
Giudica tu se l’ho spennato per bene…
E, soprattutto, non mancare di riferirlo al re, che saprà apprezzare i dettagli!”

Brano senza Autore

Papà non lava i piatti! (Padre e figlia)

Papà non lava i piatti! (Padre e figlia)

In ogni famiglia esistono delle regole, non scritte, e anche la nostra non fa eccezione!
La nostra principale regola, non scritta, era questa:
“Papà non lava i piatti!”
Mio padre falciava il prato, sguazzava nel sudiciume di uno scantinato invaso dalle acque di scolo, coltivava un orto piuttosto grande, ci scarrozzava, di buon grado, in giro per la città e si alzava un’ora prima per accompagnarci a scuola e, dopo la scuola, era a nostra disposizione.
Si sacrificava continuamente per noi e faceva, quasi, qualunque cosa gli chiedessimo di fare!
Tuttavia, sapevamo che non dovevamo mai aspettarci di vederlo fare una cosa:

lavare i piatti.

Quella regola era stata scolpita nella pietra!
Mamma e papà hanno continuato ad amarci e ad aiutarci anche quando siamo divenuti adulti.
Da quando ho comprato una casa, mio padre si è dato da fare in mille modi per darmi una mano!
C’era bisogno di una porta nuova?
Nessun problema!
Serviva aiuto per ricoprire di materiale isolante i tubi dell’acqua, progettare e realizzare delle comode mensole, pitturare qualcosa?
Faceva tutto, volentieri!
Ho apprezzato molto questa sua disponibilità e sono stata sempre grata a mio padre per la sua saggezza e il suo aiuto.
Sto imparando ad accettare il suo aiuto per quello che è:

un dono d’amore!

Comunque, una sera, ho ricevuto un regalo speciale che ha superato tutte le mie aspettative!
Ero stata a casa molto poco nelle ultime settimane e dovevo passare ogni momento libero a scrivere delle relazioni.
Di conseguenza sembrava che in casa mia ci fosse stato un uragano!
Non mancava, soprattutto, una pila mastodontica di piatti sporchi che mi ripromettevo di lavare prima possibile, cosa che poi non facevo.
Quella sera, dopo una giornata particolarmente faticosa in ufficio, entrai in casa sfinita.
Accesi automaticamente il computer e andai in cucina per farmi un caffè e tirarmi su!
All’improvviso, qualcosa attirò la mia attenzione:
lo scolapiatti era pieno di…

piatti puliti e splendenti!

Immaginai che li avesse lavati mia madre, perciò la chiamai per ringraziarla, perché era stata davvero un angelo.
“Non sono stata io!” mi disse, “È stato tuo padre!”
Quando riattaccai mi vennero le lacrime agli occhi!
Quella regola, scolpita nella mia mente, “Papà non lava i piatti!”, si frantumò sotto ai miei occhi.
A tanti, forse, può sembrare una cosa da poco!
Per me è stato il più grande gesto d’amore della mia vita!

Brano senza Autore

Parlare con Dio

Parlare con Dio

Un uomo che cercava la saggezza decise di salire su una montagna dove ogni due anni appariva Dio.
Il primo anno, si nutrì di tutto ciò che la terra gli offriva.
Poi non ci fu più niente da mangiare e dovette ritornare in città.

“Dio è ingiusto!” esclamò,

“Non si è accorto che sono rimasto qui tutto questo tempo per sentire la sua voce.
Ma adesso ho fame e me ne vado senza averlo sentito!”
In quel momento apparve un angelo:
“A Dio piacerebbe moltissimo parlare con te.

Per tutto l’anno ti ha nutrito.

Sperava che tu provvedessi alle tue necessità nell’ anno seguente.
Ma in tutto questo tempo che cosa hai piantato?
Se un uomo non è capace di far crescere frutti là dove vive, non è pronto a parlare con Dio.”

Brano senza Autore

Diventerai una persona straordinaria

Diventerai una persona straordinaria

C’è un vecchio detto dalle mie parti:
“Se a una libellula togli le ali, avrai un brutto insetto.
Ma se a un brutto insetto aggiungi le ali, avrai una libellula.”
Questo detto mi ha fatto tornare in mente la mia maestra delle scuole elementari, la signora Dalla Torre, la quale aveva previsto grandi cose per il mio futuro.
Ora vi racconterò brevemente un fatto che ora che ci penso, ha proprio cambiato in positivo la mia vita.

Ero un ragazzino ordinario da tutti i punti di vista.

Ero di statura normale e provenivo da una famiglia del ceto medio.
Non ero lo studente più brillante, ma non ero nemmeno il peggiore della classe.
Ricordo la signora Dalla Torre come una donna severa sui trentacinque anni.
Aveva un figlio che frequentava la mia stessa scuola:
io lo conoscevo bene perché l’anno precedente giocavamo nella stessa squadra di calcio.
Un giorno, mentre attraversavo il cortile alla fine delle lezioni, il figlio della signora Dalla Torre si avvicinò e mi invitò ad andare a giocare ai videogiochi a casa sua.
L’idea mi tentava, ma avevo paura di imbattermi nella signora Dalla Torre.

Compresa la mia esitazione,

il mio amico mi assicurò che sua mamma rientrava di rado prima delle quattro del pomeriggio.
Acconsentii, facendo presente che me ne sarei andato prima di quell’ora.
Ci divertimmo moltissimo con i suoi videogiochi, che ci rapirono al punto da farci dimenticare l’orario.
Ad un certo punto la porta di casa si spalancò e sentii la signora Dalla Torre entrare.
Mi irrigidii, immaginando che sarei stato sgridato oppure messo in castigo per aver giocato invece di fare i compiti.
Con mia sorpresa, la signora Dalla Torre mi salutò con un gran sorriso.
Si rivolse a me con gentilezza e mi abbracciò come se fossi suo figlio.
Grazie a quell’abbraccio compresi che la mia maestra in realtà era una persona gentile e amorevole, che in classe appariva severa per mantenere il controllo dei suoi scolari.
Preparò una merenda buonissima a base di Nutella, una cosa che accordava a suo figlio soltanto in rare occasioni:

mi fece sentire così un ospite speciale.

Mentre mangiavo mi accarezzò affettuosamente il capo e disse:
“Sarai un buon studente e un autentico modello per i tuoi amici.
Sono sicura che diventerai una persona straordinaria, che porterà saggezza e felicità a tantissima gente.”
Nel mio giovane cuore provai un’emozione difficile da esprimere a parole.
Di fatto, dopo quel giorno, mi misi a studiare sodo e cercai di essere un esempio positivo per gli altri studenti.
Poiché la signora Dalla Torre aveva riposto la sua fiducia in me, ero determinato a non deluderla.
Oggi, ora, penso di essere diventato ciò che sono, grazie alle sue parole di quel pomeriggio.
Senza quel suo incoraggiamento non avrei avuto la fiducia necessaria per eccellere negli studi, né per diventare docente universitario e guida spirituale.
Oggi non manco mai di infondere motivazione nei miei studenti e al prossimo.

Brano senza Autore

Il saggio, i consigli e la barzelletta

Il saggio, i consigli e la barzelletta

Si narra che in un regno antico vivesse un uomo conosciuto ovunque per la sua saggezza.
All’inizio egli dava consigli solo ai suoi familiari e agli amici più cari.

La sua fama, tuttavia,

crebbe a tal punto che lo stesso sovrano iniziò a chiamarlo spesso al suo cospetto per chiedergli consiglio.
Ogni giorno giungevano molte persone per ricevere i suoi preziosi consigli.
Tuttavia, il saggio notò che varie persone si recavano ogni settimana e gli raccontavano sempre gli stessi problemi, quindi ricevevano sempre lo stesso consiglio, ma non lo mettevano in pratica.

Era un circolo vizioso.

Un giorno il saggio riunì tutte quelle persone che chiedevano spesso consiglio.
Allora raccontò loro una barzelletta molto divertente, tanto che quasi tutti scoppiarono a ridere.
Dopo aver aspettato un po’, raccontò di nuovo la stessa barzelletta.
Continuò a raccontarla per tre ore.
Alla fine erano tutti sfiniti.

Dunque il saggio disse loro:

“Perché non potete ridere tante volte della stessa barzelletta ma potete piangere migliaia di volte per lo stesso problema?”

Storia Zen
Brano senza Autore

La saggezza della quercia

La saggezza della quercia

Una leggenda sarda testimonia come il simbolo “paterno” e protettivo della quercia, sia radicato nell’immaginario collettivo.
Un giorno il diavolo si recò dal Signore dicendogli:
“Tu sei il signore e padrone di tutto il creato, mentre io, misero, non possiedo nulla.

Concedimi una signoria, pur minima, su una parte della creazione:

mi accontento di poco!”
“Che cosa vorresti avere?” chiese Dio.
“Dammi, per esempio, il potere su tutto il bosco!” propose il diavolo.
“E sia!” decretò il Signore, “Ma soltanto quando i boschi saranno completamente senza fogliame, ovvero durante l’inverno:

in primavera il potere tornerà a me!”

Quando gli alberi e le foglie decidue dei boschi seppero del patto, cominciarono a preoccuparsi, e con il passare del tempo la preoccupazione si mutò in agitazione.
“Che cosa possiamo fare?” si domandavano disperati, “A noi le foglie cadono in autunno.”
Il problema pareva insolubile quando al faggio venne un’idea:
“Andiamo a consultare la quercia, più robusta e saggia e di noi tutti la più anziana.
Forse lei troverà un espediente per salvarci!”

La quercia, dopo aver riflettuto gravemente, rispose:

“Tenterò di mantenere le mie foglie secche sui rami finché sui vostri non spunteranno la foglioline nuove.
Così il bosco non sarà mai completamente spoglio e il demonio non potrà avere alcun dominio su di noi!”
Da allora le foglie secche della quercia, coriacee e seghettate, rimangono sui rami per cadere completamente soltanto quando almeno un cespuglio si è rivestito di foglie nuove.

Brano tratto dal libro “Florario.” di Alfredo Cattabiani

Attraversare il fiume

Attraversare il fiume

Tre persone si trovarono un giorno davanti ad un fiume dalle acque rapide e minacciose.
Tutte e tre dovevano passare dall’altra parte.

Era molto importante per loro.

Il primo, un mercante scaltro e gran trafficante, abile nel gestire uomini e cose, si inginocchiò e rivolse un pensiero a Dio:
“Signore, dammi il coraggio di buttarmi in queste acque minacciose e di attraversare il fiume.
Dall’altra parte mi attendono affari importanti.
Raddoppierò i miei guadagni, ma devo fare in fretta…”
Si alzò e, dopo un attimo di esitazione si tuffò nell’acqua.

Ma l’acqua lo trascinò a valle.

Il secondo, un soldato noto per l’integrità e la forza d’animo, si mise sull’attenti e pregò:
“Signore, dammi la forza di superare questo ostacolo.
Io vincerò il fiume, perché lottare per la vittoria è il mio motto!”
Si buttò senza tentennare, ma la corrente era più forte di lui e lo portò via.
La terza persona era una donna.

A casa l’attendevano marito e figli.

Anche lei si inginocchiò e pregò:
“Signore, aiutami, dammi il consiglio e la saggezza per attraversare questo fiume minaccioso!”
Si alzò e si accorse che poco lontano un pastore sorvegliava il gregge al pascolo.
“C’è un mezzo per attraversare questo fiume?” gli chiese la donna.
“A dieci minuti di qui, dietro quella duna, c’è un ponte!” rispose il pastore.

Brano di Bruno Ferrero

La leggenda della farfalla blu

La leggenda della farfalla blu

La leggenda della farfalla blu narra di un uomo vissuto molti anni fa, rimasto vedovo e con due figlie di cui prendersi cura.
Le due bambine erano estremamente curiose, intelligenti e desiderose di imparare.
Per saziare la loro fame di conoscenza, riempivano in continuazione il padre di domande.
Talvolta egli dava loro risposte sagge, ma non sempre era facile convincere le due bambine o rispondere correttamente ai loro quesiti.
Notando l’inquietudine delle sue due figlie, l’uomo decise di mandarle in vacanza presso un saggio che viveva sull’alto di una collina,

per convivere insieme ed imparare da lui.

Il saggio si mostrò in grado di rispondere senza alcuna esitazione a qualsiasi quesito da parte delle due bambine.
Un giorno, però, le due sorelle decisero di architettare un’astuta trappola per il saggio per poter misurare la sua saggezza.
Una notte, le due si misero ad ideare un piano:
proporre al saggio una domanda alla quale egli non fosse in grado di rispondere.
“Come possiamo ingannare il saggio?
Quale domanda potremmo fargli per coglierlo impreparato?” domandò la sorella minore.
“Aspettami qui, te lo mostro subito.” rispose la più grande.
La sorella maggiore discese la collina, e passata un’ora, tornò con il grembiulino chiuso a mo’ di sacco, nascondendo qualcosa.
“Cos’hai lì?” chiese la sorella piccola.
La sorella maggiore infilò una mano nel grembiule e mostrò alla bambina una splendida farfalla blu.

“Che meraviglia!

Cos’hai intenzione di farne?” domandò allora la sorella piccola.
“Sarà questa l’arma che ci permetterà di ingannare il maestro con una domanda a trabocchetto.
Lo cercheremo e, una volta trovato, terrò la farfalla nascosta in una mano.
Domanderò poi al saggio di dirmi se la farfalla che ho in mano sia viva o morta.
Se egli mi dirà che è viva, stringerò forte la mano e la ucciderò.
Se risponderà che è morta, la lascerò libera.
Qualunque sia la sua risposta sarà dunque sempre errata!”
Accogliendo la proposta della sorella maggiore, entrambe le bambine si misero alla ricerca del saggio.
“Saggio,” disse la più grande, “sapresti indicarci se la farfalla che ho tra le mani è viva o morta?”

Al che il saggio, con uno scaltro sorriso, rispose:

“Dipende da te, essa è nelle tue mani!”

Il nostro presente e il nostro futuro sono unicamente nelle nostre mani.
Quando qualcosa va storto, non bisogna dare la colpa a nessuno.
Siamo sempre e solo noi gli unici responsabili di ogni nostra perdita e ogni nostra conquista.
La farfalla blu rappresenta la nostra vita.
Sta a noi decidere cosa fare di essa.

Leggenda Popolare.
Brano senza Autore.