Mamma, ribassa

Mamma, ribassa

Isabella aveva dovuto sostituire suo marito nella gestione della casa e della piccola fattoria.
Il marito era emigrato in Francia a fare il bracciante agricolo stagionale per la raccolta delle barbabietole da zucchero.
Quando non aveva impegni scolastici,

Isabella veniva aiutata da suo figlio maggiore.

Avevano una stalla con diverse mucche da governare, ed Isabella si lamentava con il marito per la carenza di fieno, che doveva comprare a caro prezzo.
Questi acquisti, per lei, stavano diventando davvero onerosi.
Attraverso una fitta corrispondenza attraverso la posta, concordarono di vendere la mucca che avrebbe fruttato più soldi, chiamando il solito commerciante di fiducia.
Isabella aveva più volte assistito alle trattative di suo marito e decise di applicare quanto aveva appreso.

Allo stesso tempo pensò di insegnare al ragazzo come condurre una trattativa vantaggiosa.

Elogiò la salute della mucca, la beltà, la mitezza e l’ottima ed abbondante produzione di latte.
Concordarono un prezzo, che parve equo ad entrambi, e stabilirono la caparra, ma improvvisamente il commerciante ebbe un ripensamento circa la presunta età della bestia.
Isabella ebbe un sussulto di orgoglio e volle mostrare al commerciante che anche lei, sebbene donna, sapesse come si stabilisce l’età di una mucca, dallo stato della dentatura.
Per fermare la testa della bestia, che nel frattempo si era innervosita perché troppo bistrattata, fu costretta ad entrare nella greppia e nel fare questa operazione gli si era alzata, senza che se accorgesse, la gonna.

Il figlio, imbarazzato, disse subito:

“Mamma! Mamma, ribassa!”
Isabella prontamente rispose:
“No che non ribasso, dopo aver guardato e stimato da commerciante del mestiere.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Bocciato per un gatto

Bocciato per un gatto

Mi racconto.
Gli insuccessi scolastici, si sa, hanno varie cause.
Da bambino prediligevo il gioco e la spensieratezza.
Studiavo poco e mi applicavo ancora meno.

In quarta elementare,

però, subì la mia prima bocciatura scolastica a causa di un gatto e non perché studiassi poco.
In quel periodo, alla fine di ogni anno scolastico, tutte le classi erano accompagnate, dai rispettivi maestri, in una passeggiata a piedi, che oggi verrebbe chiamata giornata ecologica, per studiare la flora e la fauna di un’amena distesa di prati, attraversati dal torrente Nason, ai piedi di un bosco collinare chiamato Boshet.
La nostra maestra, oltre a spiegare cosa fossero, dava il nome alle varie specie di alberi, fiori, insetti e uccelli che incontravamo durante il tragitto.
Noi scoprivamo entusiasti piccoli animali, come roditori ed anfibi, nel loro habitat naturale.
Al ritorno della passeggiata dovevamo fare un componimento su quanto appreso e la sua stesura consisteva in un test che influiva sulla valutazione della pagella.

Ricordo che, contrariamente a quanto accadeva a scuola,

in quest’avventura ero molto attento e concentrato.
Durante la ricerca di animali da segnalare alla maestra, trovai un gattino abbandonato, abbastanza grande, in una siepe.
Ero troppo contento, e lo fui ancor di più quando riuscì ad avvicinarmi.
Offrendogli la mia merenda riuscì a prenderlo e decisi di portarlo a casa.
Durante il tragitto di ritorno, lo avvolsi nel maglione per nasconderlo alla maestra poiché questa odiava i gatti per il loro miagolio.
Raggiungemmo la scuola e rientrammo in classe per copiare dalla lavagna i compiti per casa.
Non sapendo come e cosa fare con il gatto, pensai di chiuderlo momentaneamente nel bagno delle maestre con l’intenzione di riprenderlo all’uscita.
La maestra andò un attimo in bagno per rinfrescarsi e fu spaventata a morte dal gatto.
Tornata in classe, tutta trafelata e con una crisi isterica, chiese chi avesse messo il gatto nel suo bagno e la risposta corale fu: “Dino!”

La maestra sentenziò:

“Dino, io ti boccio!
Sei esentato da fare il compito!”
Uscito da scuola ripresi il mio gatto.
Fortunatamente il gatto rimase al mio fianco per diversi anni, e nonostante venni bocciato, tornando indietro, rifarei tutto quello che ho fatto per lui.

Brano di Dino De Lucchi
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Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Due cuori in un armadio

Due cuori in un armadio

Mi racconto.
Correva l’anno 1966 e, poco più che quattordicenne, a causa degli insuccessi scolastici, andai a fare l’apprendista in un laboratorio calzaturiero, con l’intento di imparare il mestiere, così come si usava in quel periodo.
Per i primi due mesi, quelli di rodaggio per intenderci,

i proprietari non mi misero in regola e lavorai in nero.

Però anche in quel periodo i locali subivano delle ispezioni per i continui infortuni e per l’evasione fiscale.
Fuori regola eravamo io ed una coetanea, una bella e vispa ragazzina di cui mi innamorai, platonicamente, subito.
I proprietari avevano istallato un campanello d’allarme e in caso di ispezione,

noi due dovevamo nasconderci dentro un armadio non molto grande.

Un giorno suonò l’allarme e ci precipitammo dentro questo armadio.
Fu una emozione forte, io sentivo il suo respiro ed il suo profumo.
Mi trovai per la prima volta a contatto ravvicinato con l’altro sesso ed il mio cuore cominciò a battere all’impazzata,

così tanto che credetti di svenire.

Nell’oscurità totale e in quel silenzio inquietante, lei prese la mia mano e se la portò al cuore sfiorandomi con un bacio.
Nessuna parola potrà mai descrivere l’emozione di due cuori quattordicenni in un armadio.
Capì solo più tardi di essere stato, rispetto a lei, un imbranato apprendista.

Brano di Dino De Lucchi
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Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno