Le lenti a contatto

Le lenti a contatto

In una bella e calda giornata di fine primavera, un serpente incontrò nella foresta la sua vecchia amica moffetta.
“Cosa fai di bello?” gli chiese la moffetta, “È tanto tempo che non ti vedo!”
“Direi che me la passo bene!” rispose il serpente,

“Solo che non ci vedo quasi più.

Mi metterò le lenti a contatto il più presto possibile!”
Il serpente, si procurò infatti quelle lenti e pochi giorni dopo incontrò di nuovo la moffetta.
“Adesso, non solo ci vedo alla perfezione!” disse alla sua amica,

“Perfino la mia vita familiare è migliorata!”

“Come possono le lenti a contatto migliorare la vita familiare?” domandò la moffetta.
“Semplice!” rispose il serpente, “Ho scoperto che vivevo con un tubo per innaffiare il giardino!”

Brano di Bruno Ferrero

Guarda Pin-hua sull’albero

Guarda Pin-hua sull’albero

C’era una volta un uomo che non sapeva far nulla.
A qualunque lavoro si dedicasse, non combinava che disastri.
C’erano da raccogliere i fichi?
Il cesto di Pin-hua (era questo il suo nome) si rovesciava, quando non era lui stesso a cadere dall’albero.
C’era da andare per legna?
I rami che raccattava Pin-hua erano o marci o ancor verdi, quando non si trattava di qualche insonnolito serpente.

Da intagliare il tek?

Alla larga da Pin-hua, poiché lo scalpello gli s’imbizzarriva in mano e non si sapeva dove andasse a colpire.
Pin-hua, insomma, con la sua inettitudine, era un pericolo non solo per sé ma per tutti; ed egli, che non era uno stupido, era il primo a soffrire di questa situazione.
Stava un giorno seduto sotto l’albero sacro del villaggio, quando gli si avvicinò un monaco:
“A che stai pensando?” gli chiese.
“Al fatto che non so far nulla!” rispose.
“Perché ti preoccupi?” gli disse il monaco, “Se non sai far nulla, fallo bene!”
Allora Pin-hua prese una canna e andò a pescare sul molo.
Naturalmente non prese un sol pesce, perché ruppe subito l’amo.
In compenso, meditò a fondo le parole del monaco e prese la sua decisione.

La notte, si arrampicò sull’albero sacro.

Non ne sarebbe mai più disceso.
La gente, un po’ lo compianse, un po’ ne rise, un po’ si preoccupò:
e se si fosse messo a pregare, che guai avrebbe combinato?
Ma Pin-hua non combinò più alcun guaio:
si limitò ad esserci, nel villaggio.
E poco alla volta la gente cominciò a sentire il beneficio di quella presenza.
“Perché te la prendi tanto?” si diceva a chi si affannava oltre misura, “Guarda Pin-hua sull’albero:
non fa nulla eppure trova sempre chi gli offre una ciotola di riso.”
“Perché litigate tra voi?” si diceva a chi si odiava per un palmo di terra, “Guardate Pin-hua sull’albero:

non ha nulla eppure canta dal mattino alla sera.”

“Perché ti arrabbi coi figli?” diceva la moglie al marito, “Guarda Pin-hua sull’albero:
le formiche lo tormentano persino nel sonno, eppure l’hai mai sentito lagnarsi?”
Ma, soprattutto, quando qualcuno faceva male qualcosa, gli si diceva:
“Perché tanta negligenza?
Guarda Pin-hua sull’albero:
non fa niente, ma lo fa bene.”

Brano senza autore

La pecora e Dio

La pecora e Dio

Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali.
Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi.
Non sapeva proprio come fare a difendersi.

Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze.

“Vuoi qualcosa per difenderti?” le chiese amabilmente il Signore.
“Sì.” rispose la pecora.
“Che ne dici di un paio di acuminate zanne?” domandò allora il Signore.
La pecora scosse il capo:
“Come farei a brucare l’erba più tenera?
Inoltre mi verrebbe un’aria da attaccabrighe!”

“Vuoi dei poderosi artigli?” il Signore la interrogò.

“Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito!” spiegò la pecora.
“Potresti iniettare veleno con la saliva!” continuò paziente il Signore.
“Non se ne parla neanche.
Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente!” replicò la pecora.
“Due robuste corna, che ne dici?” proseguì il Signore.
“Ah no!
E chi mi accarezzerebbe più?” chiese la pecora.
“Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca…” spiegò il Signore.

“Far del male a qualcuno?

No, non posso proprio.
Piuttosto resto come sono!” rispose la pecora.
Dopo aver ringraziato il Signore, andò via.

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il serpente a sonagli ed il giovane

Il serpente a sonagli ed il giovane

In una tribù indiana, i giovani venivano riconosciuti adulti dopo un rito di passaggio vissuto nella più stretta solitudine.
Durante questo periodo di solitudine dovevano provare a se stessi di essere pronti per l’età matura.
Una volta uno di loro camminò fino a una splendida valle verdeggiante di alberi e radiosa di fiori.
Guardando le montagne che cingevano la valle, il giovane notò una vetta scoscesa incappucciata di neve dal biancore abbacinante.

“Mi metterò alla prova contro quella montagna.” pensò.

Indossò la sua camicia di pelle di bisonte, si gettò una coperta sulla spalla e cominciò la scalata.
Quando arrivò in cima, vide sotto di sé il mondo intero.
Il suo sguardo spaziava senza limiti, e il suo cuore era pieno di orgoglio.
Poi udì un fruscio vicino ai suoi piedi, abbassò lo sguardo e vide un serpente.
Prima che il giovane potesse muoversi, il serpente parlò.
“Sto per morire!” disse, “Fa troppo freddo quassù per me e non c’è nulla da mangiare.

Mettimi sotto la tua camicia e portami a valle!”

“No!” rispose il giovane, “Conosco quelli della tua specie.
Sei un serpente a sonagli.
Se ti raccolgo mi morderai e il tuo morso mi ucciderà!”
“Niente affatto,” disse il serpente, “Con te non mi comporterò così.
Se fai questo per me, non ti farò del male!”

Il giovane rifiutò per un po’, ma quel serpente sapeva essere molto persuasivo.

Alla fine, il giovane se lo mise sotto la camicia e lo portò con sé.
Quando furono giù a valle, lo prese e lo depose delicatamente a terra.
All’improvviso il serpente si arrotolò su se stesso, scosse i suoi sonagli, scattò in avanti e morse il ragazzo a una gamba.
“Mi avevi promesso…” gridò il giovane.
“Sapevi che cosa rischiavi quando mi hai preso con te!” disse il serpente strisciando via.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione Elledici.

Il contadino e la trappola per topi

Il contadino e la trappola per topi

Un topo stava guardando attraverso un buco nella parete, spiando quello che il contadino e sua moglie stavano facendo.
Avevano appena ricevuto un pacco e lo stavano scartando tutti contenti.
“Sicuramente conterrà del cibo!” pensò il topo.
Ma quando il pacco fu aperto il piccolo roditore rimase senza fiato.
Quella che il contadino teneva in mano non era roba da mangiare, era una trappola per topi!

Spaventato, il topo cominciò a correre per la fattoria gridando:

“State attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
La gallina, che stava scavando per terra alla ricerca di semi e vermetti, alzò la testa e disse:
“Mi scusi, signor Topo, capisco che questo può costituire per lei un grande problema, ma una trappola per topi non mi riguarda assolutamente.
Sinceramente non mi sento coinvolta nella sua paura.”
E, detto questo, si rimise al lavoro per procurarsi il pranzo.

Il topo continuò a correre gridando:

“State tutti attenti! C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
Casualmente incontrò il maiale che gli disse con aria accattivante:
“Sono veramente dispiaciuto per lei, signor Topo, veramente dispiaciuto, mi creda, ma non c’è assolutamente nulla che io possa fare.”
Ma il topo aveva già ripreso a correre verso la stalla dove una placida mucca ruminava, sonnecchiando, il suo fieno.
“Una trappola per topi?” gli disse “E lei crede che costituisca per me un grave pericolo?”

Fece una risata e riprese a mangiare tranquillamente.

Il topo, triste e sconsolato, ritornò alla sua tana preparandosi a dover affrontare la trappola tutto da solo.
Proprio quella notte, in tutta la casa si sentì un fortissimo rumore, proprio il suono della trappola che aveva catturato la sua preda.
La moglie del contadino schizzò fuori dal letto per vedere cosa c’era nella trappola ma, a causa dell’oscurità, non si accorse che nella trappola era stato preso un grosso serpente velenoso.
Il serpente la morse.
Subito il contadino, svegliato dalle urla di lei, la caricò sulla macchina e la portò all’ospedale dove venne sottoposta alle prime cure.
Quando ritornò a casa, qualche giorno dopo, stava meglio ma aveva la febbre alta.

Ora tutti sanno che quando uno ha la febbre non c’è niente di meglio che un buon brodo di gallina.

E così il contadino andò nel pollaio e uccise la gallina trasformandola nell’ingrediente principale del suo brodo.
La donna non si ristabiliva e la notizia del suo stato si diffuse presso i parenti che la vennero a trovare e a farle compagnia.
Allora il contadino pensò che, per dare da mangiare a tutti, avrebbe fatto meglio a macellare il suo maiale.
E così fece.
Finalmente la donna guarì e il marito, pieno di gioia, organizzò una grande festa a base di vino novello e bistecche cotte sul barbecue.
Inutile dire quale animale fornì la materia prima.
La prossima volta che sentirete qualcuno che si trova davanti ad un problema e penserete che in fin dei conti la cosa non vi riguarda, ricordatevi che quando c’è una trappola per topi in casa tutta la fattoria è in pericolo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il nibbio e il serpente


Il nibbio e il serpente

In una calda giornata primaverile, un giovane serpente strisciava sereno tra le pietre godendosi i raggi solari.
L’aria era tiepida e carica di un buon profumo floreale, ogni animale si sentiva in pace in quel clima piacevole.
Il piccolo serpente si muoveva piano nel prato quando all’improvviso una spaventosa ombra si proiettò sul suo cammino.

L’animale preoccupato alzò la testa per guardare da dove provenisse la macchia scura e scoprì che un terribile nibbio stava puntando dritto dritto su di lui!

Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco.
Il serpente fu sollevato in cielo da rapace, il quale, senza pietà per le sue grida, volò via il più velocemente possibile.
“Lasciami andare!” implorava lo sfortunato rettile, “Non ti ho fatto niente!”

Ma il nibbio non gli prestò ascoltò.

A quel punto il piccolo serpente si rivoltò su se stesso e con un’abile mossa diede un morso al suo nemico.
Il volatile fu colpito dal veleno della sua preda e fu costretto ad aprire il becco liberando il serpente, che cadde a terra, senza però farsi male.
Il nibbio rimase con la vista annebbiata e, senza più forze a causa del morso velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite.

Il serpente si avvicinò al nibbio, ancora stordito, e gli disse:

“Ben ti sta! Io non volevo farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!”
Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare ma, da allora, si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti.

Brano di Esopo