Il re e gli indovinelli

Il re e gli indovinelli

Un re polacco adorava gli indovinelli.
Per lui erano la massima forma di saggezza.
Un giorno, camminando con il primo ministro lungo il fiume, vide un povero contadino che lavava i panni nell’acqua gelata.
Allora il re chiese al contadino:
“Cos’è di più, cinque o sette?»”
E il contadino rispose:
“Cos’è di più, trentadue o dodici?”
Il re sorrise e gli domandò ancora:
“In casa tua hai avuto un incendio?”

Il contadino rispose:

“Sì. Ce ne sono stati cinque e ne aspetto altri due!”
Il re scosse la testa e continuò:
“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
Il contadino gli rispose:
“Mandalo e vedrai!”
Il re e il primo ministro si allontanarono e il re domandò al primo ministro se avesse capito di cosa stessero parlando.
“Sire, non ho capito nulla.
Come avrei potuto?
Avete parlato per enigmi!” esclamò il primo ministro.
Il re sembrò scontento:
“Ma come?
Tu sei il mio primo ministro.
Dovresti essere il più saggio del reame e un semplice contadino mi ha capito meglio di te?
Ti do tempo tre giorni per indovinare cosa ci siamo detti.
Se non ci riuscirai, sarò costretto a cacciarti!”
II primo ministro, disperato, convocò tutti i suoi consiglieri, ma nessuno riusciva a risolvere quegli enigmi.

Allora il primo ministro fece chiamare il contadino.

“Racconta,” gli ordinò, “cosa vi siete detti col re?”
Il contadino rispose:
“Lo farò, ma è una faccenda delicata, per cui voglio mille ducati!”
“È una vergogna!
Un furto!” esclamò il primo ministro, “Mille ducati per tre risposte?”
Il contadino fece per andarsene, ma il primo ministro lo trattenne.
“Va bene!” disse e gli consegnò il denaro, “Ed ora spiegami!”
Il contadino, con molta calma, cominciò:
“Io stavo lavando i panni nel fiume ghiacciato.
Vedendomi, il re mi ha chiesto se non mi bastassero i sette mesi caldi e dovevo lavare anche d’inverno.
Io gli ho risposto che i miei trentadue denti mangiano più di quel che riesco a guadagnare in dodici mesi.
Poi il re mi ha chiesto degli incendi, cioè se in casa mia avevo avuto dei matrimoni, perché per organizzare un matrimonio si spende ogni risparmio e si resta senza niente, come dopo un incendio.
E io gli ho risposto che avevo sposato cinque figlie e me ne restavano altre due.

Infine il re mi ha chiesto:

“Se ti mando un pollo, lo saprai spennare?”
ed io ho risposto:
“Mandalo e vedrai!”
Ecco: indovini adesso chi è il pollo?
Giudica tu se l’ho spennato per bene…
E, soprattutto, non mancare di riferirlo al re, che saprà apprezzare i dettagli!”

Brano senza Autore

L’amico dell’imperatore

L’amico dell’imperatore

All’imperatore Ciro il Grande piaceva moltissimo conversare amabilmente con un amico molto saggio di nome Akkad.
Un giorno, appena tornato stanchissimo da una campagna di guerra contro i Medi, Ciro si fermò dal suo vecchio amico per passare qualche giorno con lui.

“Sono spossato, caro Akkad.

Tutte queste battaglie mi stanno consumando.
Come vorrei fermarmi a passare il tempo con te, chiacchierando sulle rive dell’Eufrate…” esclamò l’imperatore.
“Ma, caro sire, ormai hai sconfitto i Medi, che cosa farai?” domandò l’amico saggio.
“Voglio impadronirmi di Babilonia e sottometterla!” spiegò Ciro il Grande.

“E dopo Babilonia?” chiese il saggio.

“Sottometterò la Grecia!” disse l’imperatore.
“E dopo la Grecia?” domandò ancora l’amico saggio.
“Conquisterò Roma!” continuò Ciro il Grande.
“E dopo?” continuò a chiedere il saggio.

“Mi fermerò.

Tornerò qui e passeremo giorni felici a conversare amabilmente sulle rive dell’Eufrate…” concluse l’imperatore.
“E perché, sire, amico mio, non incominciamo subito?” domandò Akkad.

Brano senza Autore

Vivi il momento presente

Vivi il momento presente

C’era una volta un re che aveva passato tutta la vita a far guerre e ad ingrandire il suo regno.
A sessant’anni si rese conto che non aveva imparato molto sulla vita e sul senso dell’esistenza.
Convocò tutti i suoi ministri e consiglieri ed ordinò loro:
“Prendete tutto il denaro dei miei forzieri e andate ai quattro angoli del mondo alla ricerca dei libri di sapienza; vorrei finalmente conoscere la vera saggezza della vita.”
I consiglieri presero diversi sacchi d’oro e si spostarono verso tutte le direzioni della terra.
Tornarono dopo sette anni spingendo quaranta cammelli carichi di ogni sorta di libri grandi e piccoli.
Una vera montagna di libri rari.

Vedendoli, il re esclamò:

“Ho sessantasette anni, non avrò mai il tempo di leggere tutti questi libri.
Fatemi un riassunto di tutto!”
Furono convocati i più abili letterati del mondo che si misero al lavoro e dopo sette anni consegnarono un ottimo riassunto di tutto quel tesoro di sapienza.
Ma il riassunto equivaleva ancora al carico di sette cammelli.
“Ho già settantaquattro anni!” disse il re, “Non ho il tempo di leggere tutto.

Riassumete ancora!”

Si fece il riassunto del riassunto.
Ci vollero altri sette anni, al termine dei quali i saggi si ritrovarono con il carico di un solo cammello.
“Ho passato gli ottanta anni!” disse il re, sempre più debole, “I miei occhi sono molto stanchi.
Non riuscirei mai a leggere questi libri.
Riassumete ancora!”
I saggi si rimisero a lavoro e per sette anni ancora lavorarono giorno e notte.
Il risultato fu un solo libro.
Un libro che conteneva tutta la saggezza della terra.

In quel momento, un valletto si precipitò dai saggi:

“Presto, portate il libro al re.
Sta morendo!”
Il re aveva ormai ottantotto anni e agonizzava nel suo letto.
Il più dotto dei saggi avvicinò il suo volto a quello del re che in un debole soffio gli mormorò:
“Per favore, riassumi in una sola frase tutto il sapere, tutta la saggezza del mondo…”
Eccola, sire:
“Vivi il momento presente.”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il re ed il falco

Il re ed il falco

Un re, che andava a caccia, arrivò assetato ai piedi di una rupe da cui filtrava, a gocce, un po’ d’acqua.
Scese da cavallo e staccò dalla sella una coppa d’oro gemmata.
Voleva bere.
Sul braccio che teneva la coppa stava appollaiato un bel falco:

il preferito del re.

Adagio adagio la coppa si riempì; ma quando il re l’avvicinò avidamente alle labbra, il falco scattò, come per lanciarsi in volo, e procurò al braccio che lo sosteneva una tale scossa che l’acqua si rovesciò…
Il re dopo aver accarezzato il falco prediletto, ritornò a raccogliere l’acqua a goccia a goccia; ma quando avvicinò di nuovo la coppa alle labbra, il falco dette uno strido, batté le ali, e il re sobbalzando, rovesciò nuovamente il liquido che aveva raccolto con tanta pazienza.
Fece un atto più di dispetto che di rammarico.
Pure si contenne, e iniziò la raccolta dell’acqua per la terza volta.
Ma quando, per la terza volta, avvicinò la coppa alle labbra, il gioco del falco si ripeté.

L’acqua si versò.

Allora il re proruppe in un gesto d’ira furioso.
Afferrò il falco e lo scaraventò contro la roccia.
Il volatile cadde morto con le ali aperte, come fosse ancora in volo.
Intanto la gocciolina, che filtrava lenta dalla rupe, aveva smesso di scorrere.
E il re, ora con la rabbia ora con il dispiacere nel cuore, aveva più sete che mai.
Mandò i servi a vedere se sopra la roccia si trovava la polla che dava acqua alla sorgente.
La trovarono, ma si fermarono inorriditi: era uno stagno in cui galleggiavano i cadaveri putrefatti di parecchi animali.

Certamente quell’acqua, bevuta, avrebbe avvelenato il re.

Disse uno dei servi al ritorno:
“Sire, se tu avessi bevuto quell’acqua saresti morto!”
Il re guardò il falco che gli giaceva ai piedi e chinò la testa.
Umilmente chiese perdono al fedele amico che si era sacrificato per lui e inutilmente rimpianse il suo impulsivo gesto d’ira.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’imperatore ed il tempo

L’imperatore ed il tempo

Un imperatore, in punto di morte, convocò i suoi fidati generali, per dettare loro le sue ultime volontà.
Ho tre precisi desideri da esprimervi, disse:

1) che la mia bara sia trasportata a spalle, da nessun altro se non dai medici che non hanno saputo guarirmi;

2) che i tesori, gli ori e le pietre preziose conquistate ai nemici vengano sparse e disseminate a vantaggio del popolo, lungo la strada che porta alla mia tomba;
3) che le mie mani siano lasciate penzolare fuori della bara, alla chiara vista di tutti.

Uno dei generali, scioccato da queste strane ed inaudite ultime volontà del grande condottiero, chiese:

“Sire, qual è mai il motivo di tutto questo?”
L’imperatore, con la voce ormai bassa e tremula, gli rispose:

1) voglio solo i medici a portarmi all’ultima mia dimora, per dimostrare a tutti che non hanno alcun potere di fronte alla malattia e alla morte;

2) voglio il suolo pubblico ricoperto dai miei tesori, perché la gente umile ne tragga qualche vantaggio, ma soprattutto per ricordare a tutti che i beni materiali, qui conquistati, qui restano;
3) voglio le mie mani penzolanti al vento, perché la gente capisca che a mani vuote veniamo e a mani vuote andiamo via.

Brano senza Autore, tratto dal Web