Il Nonno e il Nipote



Il Nonno e il Nipote

C’era una volta un uomo molto anziano che camminava a fatica, le ginocchia gli tremavano, ci vedeva poco e non aveva più neanche un dente.
Quando sedeva a tavola, reggeva a malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene colava anche dall’angolo della bocca.

Il figlio e la nuora provavano disgusto,

perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta.
Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi.
Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che cadde a terra e andò in pezzi.
La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse nulla e sospirò.

Allora per pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno.

Mentre sedevano in cucina, si accorsero che il figlioletto di 4 anni armeggiava per terra con dei pezzetti di terracotta.
“Che cosa stai combinando?” gli domandò il padre.
“Ecco,” rispose il bambino, “sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e la mamma quando sarete vecchi.”

I genitori allora si guardarono e scoppiarono in lacrime.

Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro.
E quando versava il brodo non gli dicevano più nulla.

Favola dei Fratelli Grimm

L’albero dai frutti d’oro


L’albero dai frutti d’oro

C’era una volta un imbroglione che fu catturato e condannato a morte.
Chiese clemenza perché gli venisse salvata la vita e per convincere i giudici, offrì un segreto sbalorditivo:
il metodo per piantare alberi capaci di produrre frutti d’oro.
La notizia giunse al Sovrano, il quale pensò che valesse la pena fare un tentativo.
L’imbroglione spiegò che era pronto a dimostrare la sua straordinaria capacità:
gli sarebbero serviti soltanto un pizzico di polvere d’oro, e una pala.
Il sovrano accettò: “Ma, se non è vero, finirai nelle mani del boia!” disse.
Il mattino seguente, il Re insieme a tutta la sua corte, si ritrovarono nel giardino reale.
L’uomo si inchinò profondamente davanti a tutti i nobili e disse:

“Sua Maestà vedrà quanto è semplice.

Io scaverò una piccola buca nella terra:
vi metterò un pizzico d’oro e, per tre giorni, verserò un secchio d’acqua.
Il terzo giorno l’albero spunterà, e porterà tre frutti d’oro che a loro volta potranno essere seminati e diventare altri alberi, ognuno carico di frutti d’oro!”
“Allora!” si spazientì il Re “Smettila di chiacchierare, e semina l’oro!
Se fra tre giorni da ora non vedrò i frutti d’oro, finirai sul patibolo!”
“Oh, sommo Signore!” piagnucolò il furbo imbroglione “Non posso farlo io direttamente!
Tale segreto funzionerà solo a una condizione:
la mano che seminerà l’oro dovrà essere totalmente innocente e non aver mai commesso nulla di ingiusto!

In caso contrario il prodigio non avverrà.

Per questo motivo, come Sua Maestà potrà ben comprendere, non mi è possibile utilizzare il segreto da solo, per me stesso.
Ma, Sua Maestà è nobile e clemente, pertanto potrà compiere questo gesto.”
Il Re afferrò la vanga, ma gli venne in mente quello che aveva commesso durante l’ultima guerra in difesa del regno.
“Le mie mani grondano di crudeltà, compiute in guerra verso i nemici!
Renderei vana la magia.
È bene che ci provi qualcun altro.”
Il Sovrano fece un cenno verso il Ministro del Tesoro, ma il Ministro, invece di avvicinarsi, si ritrasse.
“Oh magnifico Sovrano, ti ho sempre servito fedelmente, ma una volta, una sola volta, mi è occorso un incidente increscioso nella camera del Tesoro:
un pezzo d’oro è rimasto attaccato alla suola delle mie scarpe, e così…”
“Va bene!” brontolò il Re “Sarà il mio incorruttibile Giudice supremo a impugnare la pala!”

Il Giudice rifiutò, con un inchino:

“Volentieri lo farei, Sire.
Tuttavia in questo momento sta per iniziare un importante processo a cui non posso assolutamente mancare… Scusatemi!”
Il Re si voltò a destra e a sinistra, e vide che piano piano, Ministri, gentiluomini, consiglieri, e cortigiani, se l’erano squagliata.
Allora si mise a ridere e, rivolto all’imbroglione, disse:
“Me l’hai fatta, furbo delinquente!
Così, ora so per certo che nessuno è innocente.
Neppure io!
Ho capito la lezione:
prendi i tuoi soldi, vattene, e non farti mai più vedere!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Le Due Anfore


Le Due Anfore

Ogni giorno, un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.
Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione:

“Non perdo neanche una stilla d’acqua, io!”

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone:
“Lo sai, sono cosciente dei miei limiti.
Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia.
Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota.

Perdona la mia debolezza e le mie ferite.”

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse:
“Guarda il bordo della strada.”
“Ma è bellissimo! Tutto pieno di fiori!” rispose l’anfora.
“Hai visto? E tutto questo solo grazie a te.” disse il padrone.

“Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada.

Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno.”
La vecchia anfora non lo disse mai a nessuno, ma quel giorno si sentì morire di gioia.
Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, possiamo fare meraviglie con le nostre imperfezioni.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein

Le sette giare ed il barbiere


Le sette giare ed il barbiere

Molti anni fa c’era un barbiere.
Era il barbiere del re.
Egli viveva in una piccola casetta con la moglie.
Non erano ricchi, ma non erano neppure poveri.
Ogni mese il re gli pagava le sue prestazioni e con quel denaro acquistavano tutto quello di cui avevano bisogno.
Tuttavia, il barbiere non era felice.
Egli voleva diventare ricco.
“Risparmia più soldi che puoi!” diceva alla moglie.
“Tu devi avere più monili d’oro.
Quando avremo risparmiato abbastanza, ti comprerò una bella collana.
Voglio che tu sembri la moglie di un uomo ricco!”
Così i due risparmiarono quanto più soldi potevano.
Quando ne ebbero a sufficienza, andarono insieme dall’orefice e acquistarono una collana d’oro.
La donna era monto compiaciuta.
“Adesso cominci a sembrare la moglie di un uomo ricco.” le disse il barbiere.
Ma il barbiere non era ancora soddisfatto.

Egli desiderava possedere più oro.

Una sera fece una passeggiata nel bosco vicino a casa.
Si sedette sotto un albero, e come al solito, cominciò a pensare all’oro.
“Vorrei possedere più oro!” diceva fra sé.
In quell’istante sentì una voce.
Sembrava provenire dalla cima dell’albero.
“Barbiere, barbiere!” chiamò la voce.
“Vuoi diventare ricco?
Vuoi dell’oro?”
“Sì, sì!” urlò il barbiere.
“È così!
Voglio diventare ricco!
Voglio dell’oro!”
“Quanto oro vuoi?” chiese la voce.
“Vanno bene sette giare d’oro?”
“Sì, sì!” urlò il barbiere.
“Sette giare vanno bene!
Voglio sette giare d’oro!”

“Va bene.” replicò la voce.

“Vai a casa barbiere, troverai le sette giare che ti aspettano!”
L’uomo saltò in piedi e corse a casa.
“Sarà vero?” si chiedeva.
“Forse stavo solo sognando.
Sette giare d’oro.
Ma pensaci!”
Il barbiere correva verso casa.
“Moglie, moglie!” chiamò, appena giunse alla casetta.
La donna si affrettò verso la porta.
Sorrideva felice.
“Moglie, hai visto qualcosa?” le chiese.
“Vieni a vedere!” lei rispose.
Lo accompagnò nella stanza.
Sì, sul pavimento c’erano sette giare!
“Sai cosa c’è nelle giare, moglie?” le chiese.
“Oro, mio caro.
Oro!
Ora ti faccio vedere!”
Il barbiere prese la prima giara e sollevò il coperchio.

Era pieno d’oro.

“Vedi moglie?” esclamò il barbiere.
“Ora siamo ricchi.
Abbiamo sette giare piene d’oro!”
Sentendosi felice ed eccitato il barbiere cominciò a ballare per la stanza.
Sua moglie, seduta sul pavimento, cominciò a sollevare i coperchi delle giare, una per una, per vedere l’oro che vi era contenuto.
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… ” contava mentre apriva i coperchi.
“Sono piene d’oro… Che meraviglia!”
Quando aprì la settima giara, emise un’esclamazione di sorpresa.
L’ultima giara era mezza vuota.
“Questa è mezza vuota!” esclamò.
“Cosa?” esclamò il barbiere.
“Come mai questa giara è mezza vuota?”
Il barbiere e la moglie osservavano tristemente le sette giare.
“Bene, bene, non si può far nulla, credo!” disse il barbiere alla fine.
“Ma perché dovremmo tenerla mezza vuota, moglie?
Riempiamola, così sarà come le altre!”
“Riempirla?” disse sua moglie.

“Con cosa la riempiremo?”

“Come, con dell’oro, naturalmente!” rispose il barbiere.
“Dove troveremo abbastanza oro?” ella replicò.
“Bene, risparmieremo di più!” disse il marito.
“E inoltre ci sono i tuoi monili d’oro.
Potremo cominciare con quelli.
Chiederò all’orefice di fonderli nuovamente.
Così potremmo mettere l’oro nella giara.”
“Ma, marito,” ella obbiettò, “dicevi che volevi che sembrassi la moglie di un uomo ricco!”
“Sei una stupida!” replicò il barbiere.
“È vero che i ricchi danno alle loro moglie dei gioielli la indossare, ma questi non sono dei ricconi.
Quelli veramente ricchi tengono il loro oro in giare, proprio come queste.
Quando avremo sette orci pieni d’oro saremo ricchissimi!”
Il barbiere portò i gioielli della moglie dall’orefice.
Questi li fuse in lingotti ed il barbiere li ripose nella settima giara.
Tuttavia la giara non era completamente piena.
“Non spendere così tanti soldi, donna.” le diceva il barbiere.
“Mangiamo troppo.

Compra meno cibo.

Così risparmieremo più denaro!”
La coppia cominciò a mangiare sempre di meno.
Entrambi diventarono magri.
Il re si accorse che il suo barbiere era diventato molto magro e sembrava sempre preoccupato.
“Qual è il tuo problema, barbiere?” un giorno gli chiese il re.
“Perché in questi giorni sei sempre così triste?
Sei anche molto dimagrito.
Sei malato?”
“No, no, vostra maestà!” replicò il barbiere “Non sono malato.
Sono preoccupato per i soldi, ecco tutto!”
“Vedo,” rispose il re “ti servono più soldi?”
“Sì, ecco di cosa ho bisogno, più soldi!” disse il barbiere.
“Bene,” disse il re “ti raddoppio lo stipendio.
Va bene?”
“Oh sì, grazie Vostra maestà!” esclamo il barbiere con gioia.
“Adesso tutto andrà per il meglio.”
Il barbiere cominciò a risparmiare sempre più soldi.

Egli acquistò sempre nuovo oro, ma la giara non si riempiva mai.

“Compra meno cibo,” disse il barbiere alla moglie “come possiamo comprare più oro se spendi così tanto per mangiare?”
Il re notò che il barbiere continuava ad apparire triste e preoccupato.
“Barbiere,” esordì il re un giorno “ti ho raddoppiato lo stipendio ma tu sembri sempre preoccupato.
Diventi sempre più magro.
Qual è il motivo?”
Il barbiere non sapeva cosa dire.
Come poteva spiegare al re che voleva oro, sempre più oro, null’altro che oro?
Egli non aveva fatto parola a nessuno delle sette giare.
Improvvisamente il re parlò ancora.
“So cosa ti succede!” urlò il re.
“Sono le sette giare.
Hai ricevuto le sette giare, non è vero?”
Il barbiere rimase attonito.
“Come, come lo sapete, Vostra maestà?” gli chiese.

Il re rise.

“Lo so,” rispose “perché anche a me sono state offerte una volta.
Ho udito una voce in un albero che me le offriva.”
“Non le avete accettate, allora?” gli chiese l’uomo.
“Sì, le ho accettate,” rispose il re “ma mi sono accorto immediatamente che qualcosa non andava.
La voce mi offrì sette orci pieni d’oro, ma trovai che la settima era piena a metà!”
“È così,” esclamò il barbiere “la settima giara era mezza vuota!”
“Così tornai dalla voce nell’albero,” continuò il re “la settima giara è mezza vuota!” dissi.
“Va bene,” replicò la voce “la settima giara è sempre mezza vuota.”
“Cosa successe allora?” domandò il barbiere.
“Allora,” continuò il re “chiesi alla voce se l’oro poteva essere speso o conservato nei contenitori.”
“E cosa rispose?” chiese il barbiere ansiosamente.
“Non mi rispose nulla!” rispose il re, “Così andai a casa, mi sedetti a riflettere sulle giare!”
“Sì?” disse il barbiere.
“Improvvisamente,” continuò il re “capii cosa intendeva la voce quando diceva la settima giara è sempre mezza vuota.
Significava che per quanto mi impegnassi per riempirla, non sarebbe mai potuta essere colmata.
Compresi che mi era una trappola tesa, per farmi desiderare sempre più oro.
Fino a quando la giara non fosse stata riempita, non si sarebbe mai sopito il mio desiderio per l’oro.”
“Una trappola!” esclamò il barbiere.

“Sì,” continuò il re “era una trappola.

Ma lo compresi.
Non mi feci prendere al laccio.
La settima giara era la “giara del desiderio” e più ottieni l’oro che desideri, e più aumenta il tuo desiderio.”
“Come usciste dalla trappola?” chiese il barbiere.
“È stato molto semplice,” replicò il re, “andai ancora una volta all’albero e dissi alla voce: “Riprenditi le tue sette giare d’oro. Non le voglio!”
“E cosa successe?” chiese il barbiere.
“Bene!” disse la voce.” rispose il re.
“Le riprenderò indietro.” E quando tornai a casa, le giare erano sparite!”
“Così la settima giara non può essere riempita.” disse il barbiere, pensieroso.
“Ne siete veramente sicuro, Vostra maestà?”
“Su questo non ci sono dubbi!” replicò il re.
“Rendi quelle giare, barbiere, prima che sia troppo tardi.

Sei magro e malato.

Quale bene ti potrà venire da questo desiderio per sempre più oro?
Rendi quelle giare, ti dico, prima di incappare in problemi ancora più gravi.”
Il barbiere era molto spaventato dalle parole del re.
Corse ancora una volta dall’albero nella foresta e chiese alla voce di riprendersi le sette giare.
“Tutto bene, lo farò!” rispose la voce.
Quando il barbiere tornò a casa, le sette giare erano sparite.
E con quelle, naturalmente si era volatilizzato tutto l’oro che il barbiere aveva risparmiato… e anche tutti i gioielli di sua moglie!

Brano tratto dal libro “Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni.” di Anthony De Mello

Il negozio di musica. (Domani potrebbe essere troppo tardi!)


Il negozio di musica.
(Domani potrebbe essere troppo tardi!)

C’era una volta un ragazzo nato con una grave malattia, una malattia di cui non si conosceva la cura.
Aveva 17 anni, ma poteva morire in qualsiasi momento.
Visse sempre in casa sua, con l’assistenza di sua madre, ma un giorno stanco di stare in casa decise di uscire almeno una volta.
Chiese il permesso a sua madre e lei accettò.
Camminando nel suo quartiere vide diversi negozi e passando per un negozio di musica, guardando dalla vetrina, notò la presenza di una tenera ragazza della sua età.
Fu amore a prima vista.
Aprì la porta ed entrò guardando nient’altro che la ragazza, e avvicinandosi poco a poco, arrivò al bancone dove c’era quell’adorabile fanciulla.
Lei lo guardò e gli disse sorridente:

“Posso aiutarti?”

Nel frattempo egli pensava che era il sorriso più bello che avesse mai visto nella sua vita e sentì il desiderio di baciarla.
Balbettando le disse: “Mi piacerebbe comprare un CD!”
Senza pensarci, prese il primo che vide e le diede i soldi.
“Vuoi che te lo impacchetti?” chiese la ragazza sorridendo di nuovo.
Egli rispose di si annuendo; lei andò nel magazzino, tornò con il pacchetto e glielo consegnò.

Lui lo prese ed uscì dal negozio.

Tornò a casa e da quel giorno in poi andò al negozio ogni giorno per comprare un cd.
Faceva fare il pacchetto sempre alla ragazza e poi tornava a casa per riporlo nell’armadio.
Egli era molto timido per invitarla ad uscire e nonostante provasse non ci riusciva.
Sua madre si interessò alla situazione e lo spronò a tentare, così egli il giorno seguente si armò di coraggio e si diresse al negozio.
Come tutti i giorni comprò un altro cd e come sempre lei gli fece una confezione.
Lui prese il cd e, in un momento in cui la ragazza era distratta, posò rapidamente un foglietto con il suo numero di telefono sul bancone; dopodiché uscì di corsa dal negozio.

Il giorno dopo squillò il telefono.

Sua madre rispose: “Pronto?”
Era la ragazza che chiedeva di suo figlio; la madre afflitta cominciò a piangere mentre diceva:
“Non lo sai?… è morto ieri!”
Ci fu un silenzio prolungato interrotto dai lamenti della madre.
Più tardi la madre entrò nella stanza del figlio per ricordarlo.
Decise di iniziare dal guardare tra la sua roba, aprì l’armadio e con sorpresa si trovò di fronte ad una montagna di cd impacchettati.

Non ce ne era nemmeno uno aperto.

Le procurò una curiosità vederne tanti che non resistette: ne prese uno e si sedette sul letto per guardarlo; facendo ciò, un biglietto uscì dal pacchettino di plastica.
La madre lo raccolse per leggerlo, diceva:
“Ciao, sei bellissimo! Ti andrebbe di uscire con me? TVB… Sofia.”
La madre emozionata ne aprì altri e trovò altri bigliettini: tutti dicevano la stessa cosa.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Qual è il nostro valore? (La banconota da 50 euro)


Qual è il nostro valore? (La banconota da 50 euro)

Paolo, con la faccia triste e abbattuta, si ritrovò con la sua amica Carla in un bar per prendere un caffè.
Depresso, scaricò su di lei tutte le sue preoccupazioni:
il lavoro, i soldi, il rapporto con la sua ragazza!
Tutto sembrava andar male nella sua vita!
Aveva l’impressione di valere poco, di aver fallito in molte occasioni.
Carla introdusse la mano nella borsa, prese una banconota da 50 EURO e gli disse:

“Vuoi questo biglietto?”

Paolo, un po’ confuso all’inizio, poco dopo le rispose:
“Certo Carla!
Sono 50 EURO, chi non li vorrebbe!”
Allora Carla prese la banconota in mano, la strinse forte fino a farla diventare una piccola pallina.
Mostrando la pallina accartocciata a Paolo, gli chiese un’altra volta:
“E adesso, li vuoi ancora?”
“Carla, non so cosa intendi con questo, però continuano ad essere 50 EURO.

Certo che li prenderò anche così, qualora me li volessi dare!”

Carla spiegò il biglietto, lo gettò al suolo e lo stropicciò ulteriormente con il piede, riprendendolo quindi sporco e segnato, e chiese a Paolo:
“Continui a volerlo?”
“Ascolta Carla, continuo a non capire dove vuoi arrivare, rimane comunque una banconota da 50 EURO, e finché non la strappi, ha sempre il suo valore!” esclamò Paolo.
Carla gli rispose:
“Paolo, devi sapere che anche se a volte qualcosa non va come vuoi, anche se la vita ti piega o ti accartoccia, continui ad essere tanto importante come lo sei stato sempre!
Quello che devi chiederti è quanto vali in realtà, e non quanto puoi essere abbattuto in un particolare momento.”

Subito dopo mise la banconota spiegazzata affianco a lui, sul tavolo, e con un sorriso gli disse:

“Prendila, per ricordarti di questo momento quando ti sentirai male o per poterla usare con il prossimo amico che ne dovesse avere bisogno…
Però mi devi una banconota nuova da 50 EURO!”
Gli diede un bacio sulla guancia e si allontanò verso la porta.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Gustatevi la felicità!


Gustatevi la felicità!

Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita.
Ma c’erano sempre ostacoli da superare strada facendo, qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora del tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati, in seguito la vita sarebbe cominciata.

Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la mia vita.

Questo modo di percepire le cose mi ha aiutato a capire che non c’è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è il mezzo.
Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno.

E allora smettete di pensare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 kg, di prendere 5 kg, di avere dei figli, di vederli andare via di casa.

Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare.
Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova.
Smettete di aspettare la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno.
Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuovamente, e decidete che non c’è momento migliore per essere felici che il momento presente.

La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio…

Lavorate come se non aveste bisogno di soldi.
Amate come se non doveste mai soffrire.
Ballate come se nessuno vi guardasse!

Brano di Alfred Souza

Il turista ed il pescatore


Il turista ed il pescatore

Sul molo di un piccolo villaggio messicano, un turista americano si fermò e si avvicinò ad una piccola imbarcazione di un pescatore del posto.
Si complimentò con il pescatore per la qualità del pesce e gli chiese quanto tempo avesse impiegato per pescarlo.
Il pescatore rispose:
“Non ho impiegato molto tempo!”
Il turista aggiunse:
“Ma allora, perché non è stato di più, per pescarne di più?”
Il messicano gli spiegò che quella esigua quantità era esattamente ciò di cui aveva bisogno per soddisfare le esigenze della sua famiglia.

Il turista chiese:

“Ma come impiega il resto del suo tempo?”
E il pescatore:
“Dormo fino a tardi, pesco un po’, gioco con i miei bimbi e faccio la siesta con mia moglie.
La sera vado al villaggio, ritrovo gli amici, beviamo insieme qualcosa, suono la chitarra, canto qualche canzone, e via così, trascorro appieno la vita!”
Allorché il turista disse:
“La interrompo subito, sa sono laureato ad Harvard, e posso darle utili suggerimenti su come migliorare.
Prima di tutto dovrebbe pescare più a lungo, ogni giorno di più.

Così logicamente pescherebbe di più.

Il pesce in più lo potrebbe vendere e comprarsi una barca più grossa.
Barca più grossa significa più pesce, più pesce significa più soldi, più soldi più barche.
Potrà permettersi un’intera flotta!
Quindi invece di vendere il pesce all’uomo medio, potrà negoziare direttamente con le industrie della lavorazione del pesce, potrà a suo tempo aprirsene una sua.
In seguito potrà lasciare il villaggio e trasferirsi a Mexico City o a Los Angeles o magari addirittura a New York!
Da lì potrà dirigere un’enorme impresa!”
Il pescatore lo interruppe:
“Ma per raggiungere questi obiettivi quanto tempo mi ci vorrebbe?”
E il turista: “20, 25 anni forse!”
Quindi il pescatore chiese: “… e dopo?”

Turista:

“Ah dopo! Qui viene il bello, quando il suoi affari avranno raggiunto volumi grandiosi, potrà vendere le azioni e guadagnare miliardi!”
E il pescatore:
“Miliardi? … e poi?”
Turista:
“E poi finalmente potrà ritirarsi dagli affari e andare in un piccolo villaggio vicino alla costa, dormire fino a tardi, giocare con i suoi bimbi, pescare un po’ di pesce, fare la siesta, passare le serate con gli amici bevendo qualcosa, suonando la chitarra e trascorrere appieno la vita!”
“Ma questo lo faccio già,” concluse il pescatore, “resto in santa pace qui nel mio piccolo villaggio!”
Il turista così ammaestrato se ne andò via pensoso, perché un tempo anche lui aveva creduto di lavorare per non dover più lavorare un giorno, e in lui non restava traccia di compassione per quel pescatore poveramente vestito, solo un poco d’invidia.

Brano di Heinrich Boll, tratto dal libro “Il nano e la bambola.”