Arrivarono solo in tre (La storia dei Re Magi)

Arrivarono solo in tre
(La storia dei Re Magi)

Forse non tutti sanno che un tempo, quando non esistevano i computer, tutto il sapere del mondo era concentrato nella mente di sette persone sparse nel mondo:
i famosi Sette Savi, i sette sapienti che conoscevano i come, i quando, i perché, i dove di ogni cosa che accadeva.
Erano talmente importanti che erano considerati dalla gente dei re, anche se non lo erano;

per questo erano chiamati Re Magi.

Nell’anno 0 (zero), studiando le loro pergamene segrete, tutti e sette i Magi giunsero ad una strabiliante conclusione:
proprio in una notte di quell’anno sarebbe apparsa una straordinaria stella che li avrebbe guidati alla culla del Re dei re.
Da quel momento passarono ogni notte a scrutare il cielo e a fare preparativi, finché, davvero una notte nel cielo apparve una stella luminosissima.
I Sette Savi partirono dai sette angoli del mondo dove si vivevano e si misero a seguire la stella che indicava loro la strada.
Tutto quello che dovevano fare era non perderla mai di vista.
Ognuno dei sette Magi, tenendo gli occhi fissi sulla stella, che poteva vedere giorno e notte, cavalcava per raggiungere il Monte delle Vittorie, dove era stabilito che i sette savi dovevano incontrarsi per formare una sola carovana.
Olaf, re Mago della Terra dei Fiordi, attraversò le catene dei monti di ghiaccio e arrivò presto in una valle verde, dove gli alberi erano carichi di frutti squisiti e il clima dolce e riposante; il mago vi si trovò così bene che decise di costruirsi un castello.

Così, ben presto, si scordò della stella.

Igor, re Mago del Paese dei Fiumi, era un giovane forte e coraggioso, abile con la spada e molto generoso.
Attraversando il regno del re Rosso, un sovrano crudele e malvagio, decise di riportare la pace e la giustizia per quel popolo maltrattato; così divenne il difensore dei poveri e degli oppressi, perse di vista la stella e non la cercò più.
Yen Hui era il re Mago del Celeste Impero, era uno scienziato e un filosofo, appassionato di scacchi.
Un giorno arrivò in una splendida città dove uno studioso teneva una conferenza sulle origini dell’universo; Yen Hui non riuscì a resistere, lo sfidò ad un dibattito pubblico, si confrontarono su tutti i campi del sapere e per ultimo iniziarono una memorabile partita a scacchi che durò una settimana.

Quando si ricordò della stella era troppo tardi:

non riuscì più a trovarla.
Lionel era un re Mago poeta e musicista, che veniva dalle terre dell’Ovest e viaggiava solo con strumenti musicali.
Una sera fu ospitato per la notte da un ricco signore di un pacifico villaggio.
Durante il banchetto in suo onore, la figlia del signore danzò e cantò per gli invitati e Lionel se ne innamorò perdutamente; così finì per pensare solo a lei e nel suo cielo la stella miracolosa scomparve piano piano.
Solo Melchiorre, re dei Persiani, Baldassarre, re degli Arabi e Gaspare, re degli Indi, abituati alla fatica e ai sacrifici, non diedero mai riposo ai loro occhi, per non rischiare di perdere di vista la stella che segnava il cammino, certi che essa li avrebbe guidati alla culla del Bambino, venuto sulla terra a portare pace e amore.
Così ognuno di loro arrivò puntuale all’appuntamento al Monte delle Vittorie, si unì ai compagni e insieme ripresero la loro marcia verso Betlemme, guidati dalla stella cometa, più luminosa che mai.

Brano tratto dal libro “Novena di Natale per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il quadro “La cosa più bella del Mondo”

Il quadro “La cosa più bella del Mondo”

Un celebre pittore, che aveva realizzato vari lavori di grande bellezza, si convinse che ancora gli mancava di dipingere la sua opera prima.
Si incamminò alla ricerca di un’ispirazione o di un modello, e un giorno, in una strada polverosa, incontrò un anziano sacerdote che gli chiese dove era diretto.
“Non so!” rispose il pittore, “Voglio dipingere la cosa più bella del mondo.

Forse lei può indicarmi dove posso trovarla.”

“È molto semplice.” disse il sacerdote. “In qualsiasi chiesa o nella fede puoi trovare quello che cerchi.
La fede è la più bella cosa del mondo.”
Il pittore proseguì il suo viaggio e incontrò una giovane sposa.
Le domandò se sapeva quale fosse la cosa più bella del mondo.
“L’amore.” rispose la donna, “L’amore fa diventare ricchi i poveri, cura le ferite, fa diventare molto il poco.

Senza amore, non c’è bellezza.”

Il pittore continuò ancora la sua ricerca.
Un soldato esausto incrociò la sua strada, e quando il pittore gli pose la stessa domanda, rispose: “La Pace è la più bella cosa del mondo.
La guerra è la cosa più brutta.
Dove si trova la pace, è sicuro che si troverà anche la bellezza.”
Fede, Amore e Pace.

Come potrei dipingerle?

Pensò tristemente l’artista.
Scuotendo la testa scoraggiato, riprese la direzione di casa.
Entrando nella sua casa, vide la cosa più bella del mondo:
Negli occhi dei figli c’era la Fede, l’Amore brillava nel sorriso della sua sposa.
E qui, nel suo focolare, c’era la Pace di cui gli aveva parlato il soldato.
Il pittore realizzò così il quadro “La cosa più bella del Mondo.”
E, una volta terminato, lo chiamò “La mia casa.”

Brano senza Autore.

Un fratello così

Un fratello così

Un mio amico di nome Paul ricevette un’automobile come regalo di Natale da suo fratello.
La vigilia di Natale, quando Paul uscì dall’ufficio, un monello di strada stava girando attorno all’auto nuova luccicante, ammirandola.
“È sua questa macchina, signore?” domandò.
Paul annuì: “Me l’ha regalata mio fratello per Natale”.
Il ragazzo rimase sbalordito:
“Vuole dire che suo fratello gliel’ha regalata e a lei non è costata niente?

Ragazzi, vorrei…” esitò.

Naturalmente Paul sapeva che cosa avrebbe voluto.
Avrebbe voluto avere un fratello così.
Ma quello che disse il ragazzo scosse Paul fino ai talloni.
“Vorrei,” proseguì il ragazzo, “poter essere un fratello così!”
Paul guardò il ragazzo con meraviglia, poi impulsivamente aggiunse:
“Ti piacerebbe fare un giro con la mia macchina?”
“Oh, sì, tantissimo!” rispose il ragazzino.
Dopo un breve giro, il ragazzo si volse e con gli occhi luccicanti chiese:
“Signore, le dispiacerebbe passare davanti a casa mia?”

Paul sorrise.

Pensava di sapere che cosa volesse il ragazzo.
Voleva mostrare ai vicini che poteva tornare a casa su un’auto grande.
Ma Paul si sbagliava di nuovo.
“Può fermarsi dove ci sono quei due gradini?” chiese il ragazzo.
Corse su per i gradini.
Poco dopo Paul lo udì ritornare, ma non velocemente.
Accompagnava il fratellino storpio.
Lo fece sedere sul gradino inferiore, poi si strinse a lui e indicò l’automobile.
“Eccola, Buddy, proprio come ti ho detto di sopra.
Suo fratello gliel’ha regalata per Natale e non gli è costata un centesimo.

E un giorno io te ne regalerò una uguale…

allora vedrai tutte le belle cose delle vetrine natalizie che ho cercato di descriverti!”
Paul scese e sollevò il ragazzo sul sedile anteriore dell’auto.
Il fratello maggiore, con gli occhi luccicanti, salì accanto e tutti e tre cominciarono un memorabile giro natalizio.

Brano tratto dal libro “Brodo caldo per l’anima. Volume I” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen

La leggenda dell’albero di Natale

La leggenda dell’albero di Natale

In un remoto villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino, come voleva la tradizione, nella notte Santa.
Si attardò più del previsto e, sopraggiunta l’oscurità, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa.

Per giunta incominciò a cadere una fitta neve.

Il ragazzo si sentì assalire dall’angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare.
Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso:

era un abete.

Sopraggiunta una grande stanchezza, il piccolo si addormentò raggomitolandosi ai piedi del tronco; l’albero, intenerito, abbassò i suoi rami fino a far loro toccare il suolo in modo da formare come una capanna che proteggesse dalla neve e dal freddo il bambino.
La mattina si svegliò, sentì in lontananza le voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla sua ricerca e, uscito dal suo ricovero, poté con grande gioia riabbracciare i suoi compaesani.
Solo allora tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si presentava davanti ai loro occhi:

la neve caduta nella notte,

posandosi sui rami frondosi, che la pianta aveva piegato fino a terra, aveva formato dei festoni, delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole che stava sorgendo, sembravano luci sfavillanti, di uno splendore incomparabile.
In ricordo di quel fatto, l’abete venne adottato come simbolo del Natale e, da allora, in tutte le case, viene addobbato ed illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli abitanti del piccolo villaggio videro in quel lontano giorno.


Leggenda popolare
Brano senza Autore, tratto dal Web

La ragazza ed il barbone

La ragazza ed il barbone

Un giorno, mentre passeggiava per strada, una ragazza notò un barbone che cantava in cambio di qualche monetina.
Non ci fece troppo caso ed entrò in una caffetteria.
Qualche minuto dopo aver presto posto ed aver ordinato, vide entrare il barbone.
Questi iniziò a contare le monetine, vicino a lei, ma con le offerte ricevute aveva raccolto solo poco più di un euro.

Titubante e deluso si avviò verso l’uscita,

ma la ragazza, avendo assistito a tutta la scena, impulsivamente, decise di offrigli un caffè ed un bel panino.
Il barbone indeciso se accettare o meno si convinse solamente quando la stessa ragazza lo invitò al suo tavolo.
Nonostante fosse rimasto sorpreso e combattuto dalla proposta si sedersi con lei, alla fine la raggiunse.
Iniziarono a parlare ed il barbone le fece diverse confidenze.
Le raccontò che la maggior parte delle volte le persone erano cattive nei suoi confronti,

solo per il fatto che vivesse per strada.

Le ammise anche che furono le droghe a farlo finire per la strada e che per questo si odiava.
Lui continuava a sognare di essere il figlio del quale la propria madre possa essere orgogliosa, nonostante la donna fosse morta per un tumore diversi anni prima.
I due parlarono per più di un’ora, ma ad un certo punto la ragazza si rese conto che il tempo era trascorso in fretta e che si era fatto molto tardi.
Nel momento in cui la ragazza stava per alzarsi, il barbone le chiese di aspettare solo un momento e si mise a scrivere qualcosa su un foglietto tutto spiegazzato.
Le diede il foglio di carta in mano e le chiese scusa per la sua brutta lettera, poi si salutarono.
Quando la ragazza aprì il biglietto capì di aver fatto qualcosa di molto più importante che offrire un semplice pasto ad un mendicante.

Sul foglietto c’era scritto:

“Mi sarei voluto suicidare oggi, ma grazie a te non lo voglio più fare.
Grazie bella persona.”
A volte un gesto generoso o solamente un sorriso possono fare la differenza, più di quanto possiamo immaginare.

Storia vera, liberamente ispirata al racconto autobiografico di Casey Fisher

Sono grata per…

Sono grata per…

Sono grata per mio marito, che si lamenta, quando la sua cena non è pronta, perché è a casa con me.
Per mia figlia, che si sta lamentando, perché deve lavare i piatti, perché questo significa che è a casa e non per strada.

Per le tasse che pago, perché questo significa che ho un impiego.

Per il caos da pulire dopo una festa, perché questo significa che sono stata circondata da amici.
Per i vestiti che sono stretti, perché questo significa che ho abbastanza da mangiare.
Per la mia ombra che mi guarda lavorare, perché questo significa che sono fuori, al sole.
Per il prato che ha bisogno di essere tagliato, le finestre che hanno bisogno di essere pulite e le grondaie che hanno bisogno di essere aggiustate,

perché questo significa che ho una casa.

Per tutte le lamentele che sento sul governo, perché questo significa che abbiamo libertà di parola.
Per il parcheggio che trovo lontano da casa, perché questo significa che posso camminare e che sono stata benedetta con un mezzo di trasporto.
Per la cara bolletta del riscaldamento, perché questo significa che sono al caldo.
Per la donna che sì seduta dietro di me in chiesa, che canta stonata,

perché questo significa che posso sentire.

Per il mucchio di vestiti da stirare, perché questo significa che ho vestiti da indossare.
Per la stanchezza e i muscoli che mi fanno male alla fine della giornata, perché questo significa che ho potuto lavorare duramente.
Per la sveglia che suona presto di mattina, perché questo significa che sono in vita.
E finalmente, per questa lettera, perché questo significa che ho amici che stavano pensando a me!

Brano tratto dal libro “Piccole storie per riflettere.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il galletto, il gatto ed il topolino

Il galletto, il gatto ed il topolino

Un Topolino inesperto, che non conosceva ancora nessuna delle insidie che riserva il mondo, un giorno corse il rischio di essere catturato e raccontava alla mamma la sua brutta avventura in questo modo:
“Mi dirigevo verso le montagne che circondano il paese e camminavo veloce come un qualunque topolino che voglia dimostrarsi abile e coraggioso,

quando ad un certo momento mi accorsi di due strani animali che erano sulla strada.

Uno di questi sembrava tranquillo e di bell’aspetto, l’altro invece era agitato, fiero e turbolento, aveva sul capo un elmo di un bel rosso fuoco e, ogni tanto, apriva le due braccia nel tentativo di spiccare il volo.
Questo strano animale aveva una voce stridula e feroce ed una coda simile ad un pennacchio, ricca di piume e di colori.”
Il Topolino intendeva parlare di un gallo, ma lo dipinse in un modo così strano, neppure fosse un’orca, uno sciacallo o un animale misterioso.

Poi continuò:

“Avessi visto, mamma, si batteva i fianchi con le due braccia, strillava e faceva un chiasso tale che sembrava il diavolo in persona.
Io stesso che, grazie a Dio, sono coraggioso, ho provato una paura tale che ho seriamente pensato di fuggire.
Ma, subito dopo, mi sono pentito perché avrei veramente avuto il desiderio di fare amicizia con quell’animale così gentile.
Aveva infatti il pelo liscio e striato, simile al velluto, quasi come il nostro, una coda morbidissima e bellissima, e uno sguardo così mite e luminoso che ognuno potrebbe innamorarsene.
Credo che sarebbe molto amato anche fra i topi.
Che cosa pretendi oltre a questo?

Aveva perfino le orecchie come le abbiamo noi.

Se non ci fosse stata quell’altra bestia a ricacciarmi indietro, gli sarei corso tra le braccia.”
“Male per te, figliuolo,” gli disse la madre, “perché quell’animale grazioso e gentile, sotto quelle false apparenze è un nemico crudele, mentre l’altro che ti ha fatto così paura è un animale innocuo… Il Gatto invece, che ti è sembrato così mite, divora i topi come fossero gustose polpette.
Finché vivrai non dimenticare che non è saggio giudicare la gente dall’apparenza.”

Brano tratto dal libro “Le Fiabe degli Animali.” di Jean de La Fontaine. Fratelli Melita Edizioni.

Due semi

Due semi

Due semi si trovavano fianco a fianco nel fertile terreno autunnale.
Il primo seme disse:

“Voglio crescere!

Voglio spingere le mie radici in profondità nel terreno sotto di me e far spuntare i miei germogli sopra la crosta della terra sopra di me…
Voglio dispiegare le mie gemme tenere come bandiere per annunciare l’arrivo della primavera
Voglio sentire il calore del sole sul mio volto e la benedizione della rugiada mattutina sui miei petali!”

E crebbe.

L’altro seme disse:
“Che razza di destino, il mio!
Ho paura.
Se spingo le mie radici nel terreno sotto di me, non so che cosa incontrerò nel buio.
Se mi apro la strada attraverso il terreno duro sopra di me posso danneggiare i miei delicati germogli…
E se apro le mie gemme e una lumaca cerca di mangiarsele?

E se dischiudessi i miei fiori,

un bambino potrebbe strapparmi da terra.
No, è meglio che aspetti finché ci sarà sicurezza.
E aspettò.
Una gallina che raschiava il terreno d’inizio primavera in cerca di cibo trovò il seme che aspettava e subito se lo mangiò.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il giovanotto ed i “giudizi”

Il giovanotto ed i “giudizi”

Cera una volta, tanti anni fa, un giovanotto di un paese dell’Agordino, forte e bellissimo ma non molto intelligente.
Raggiunta l’età per fidanzarsi, i suoi genitori, preoccupati, chiesero consiglio al vecchio e saggio parroco del paese.
Questo, dopo un lungo colloquio, consigliò ai genitori di far intraprendere al loro figlio un pellegrinaggio a Padova da Sant’Antonio, chiedendo ospitalità lungo la strada ed affidandogli anche una prova da superare.

Preparato l’occorrente per il pellegrinaggio,

quando arrivò il momento della partenza, gli consegnarono una scatoletta con dentro i “giudizi” (in realtà la scatola non conteneva altro che un grillo) da non aprire mai.
Percorso un lungo tratto di strada ed in prossimità del tramontar del sole, il giovanotto chiese ospitalità nella zona appena raggiunta.
Una coppia di contadini, ascoltata la storia del ragazzo,

gli diede la possibilità di riposarsi in un loro fienile.

Dopo aver accettato ed esser rimasto solo, l’aitante giovanotto, sopraffatto dalla curiosità, aprì la scatola e la cosa misteriosa saltò fuori e scomparve rapidamente.
Spaventato per la perdita, cercò la cosa misteriosa per diverse ore, ma rendendosi conto di non essere riuscito a ritrovarla, usando un forcone, buttò giù dal fienile tutto il fieno già riposto.

Al mattino la coppia di contadini gli chiese come mai avesse causato quel disastro,

ed il giovanotto rispose di aver perso i “giudizi.”
I proprietari, rimasti senza parole, sia per la risposta che per il gesto compiuto, esclamarono con rammarico:
“Ce ne siamo resi conto!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Dove vai?

Dove vai?

Gli insegnanti di Zen abituano i loro giovani allievi a esprimersi.
Due templi Zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti.
Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava l’altro per la strada.

“Dove vai?” domandò il primo.

“Vado dove vanno i miei piedi!” rispose l’altro.
Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al suo maestro.
“Quando domattina incontrerai quel bambino,” gli disse l’insegnante, “fagli la stessa domanda.
Lui ti darà la stessa risposta, e allora tu domandagli:

“Fa’ conto di non avere i piedi: dove vai, in quel caso?”

Questo lo sistemerà.”
La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado dove soffia il vento!” rispose l’altro.
Anche stavolta il piccolo rimase sconcertato, e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta.

“E tu domandagli dove va se non c’è vento.” gli consigliò il maestro.

Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado al mercato a comprare le verdure!” rispose l’altro.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web