A volte dimentichiamo…

A volte dimentichiamo…

A volte dimentichiamo la nostra importanza.
A volte dimentichiamo che se siamo qui, su questa terra, c’è una ragione, perché tutto ha motivo di essere; dalla forma di vita più piccola ed immobile a quella più maestosa e preponderante.
A volte dimentichiamo che la nostra vita è fatta per entrare in contatto con quella degli altri e che, attraverso gli altri, essa si evolve, cambia, si “aggiusta” per il futuro.
Quando ci sentiamo vuoti, insensati e senza speranza pensiamo a quanto la nostra vita potrebbe essere diversa se, invece di chiuderci come gabbie intorno alla nostra anima, la lasciassimo libera di portare felicità a chi incontra.
Quello che dimentichiamo più spesso è che abbiamo il diritto di essere felici ma anche il dovere di portare felicità al mondo.

Guardati intorno:

non vedi quanto bisogno c’è di portare felicità?
Tutti sono chiusi nel loro pessimismo, nei loro problemi e sono tristi, chiedendosi che senso ha la vita.
Ma tu, tu puoi dare un senso supremo alla vita, puoi scegliere di portare felicità.
Un sorriso, un gesto gentile, l’allegria e la positività di un pensiero fresco e travolgente.
Cosa ci guadagna il mondo ad esser pieno di gente che tristemente pensa solo a se stessa, ai propri problemi e vede tutto negativo?

Cosa ci guadagni tu?

Non si fa altro che generare brutti pensieri, che generano brutte azioni, che generano rassegnazione ed immobilismo.
Portare felicità al mondo, portare felicità agli altri esseri viventi, non fa altro che portare felicità anche a te stesso.
Portare felicità, con piccoli gesti, pensieri o parole positive che danno speranza, crea energia nuova e buona per il futuro.
Perché se tutti ci ricordassimo di portare felicità e positività in ogni nostro giorno, il mondo sarebbe ben diverso da come è adesso, molte persone sarebbero diverse…

sarebbero felici!

Fai dunque in modo di portare felicità; dissemina nel mondo e nel cuore della gente la “follia” dell’allegria e della positività!
“Non c’è un dovere che sottovalutiamo più del dovere di essere felici.
Quando siamo felici, seminiamo anonimi benefici sul mondo, che restano sconosciuti anche a noi stessi o, se rivelati, sorprendono più di tutti il loro benefattore.”

Brano di Robert Louis Stevenson

La vera ricchezza (Sapersi accontentare)

La vera ricchezza
(Sapersi accontentare)

In un piccolo villaggio, un contadino accumulò tanta ricchezza da potersi dire il più ricco d’ogni altro.
Ma, potendo disporre di denaro ed essendosi comperato un mulo, ebbe l’idea di viaggiare.
Arrivò in un paese molto più grande del suo e vide una casa molto più bella della sua.
“Di chi è questa casa?” chiese il contadino, “Di qualche Dio?”

“È dell’uomo più ricco del paese!” fu la risposta.

Il contadino tornò al suo villaggio e tanto lavorò, s’affaticò e s’arrabattò che, alla fine, poté costruire una dimora come quella che aveva ammirato.
Questa volta acquistò cavallo e carrozza e andò in una città.
Là, di case come la sua ce n’erano a centinaia.
E a decine ve n’erano d’incomparabilmente più belle.
Che dire poi del palazzo del re?
Neanche lavorando tutta la vita notte e giorno avrebbe potuto competere con tanta ricchezza.
Mentre se ne tornava a casa triste e depresso, al carro si ruppe una ruota, il cavallo morì di stanchezza e al contadino non restò che tornare a casa a piedi.

Fattasi notte, vide un lume lontano:

era la casa di un santo eremita.
Entrato, il contadino notò la grande povertà che vi regnava:
“Come fai,” chiese all’eremita il contadino, “a vivere in una casa tanto miserabile?”
“Mi accontento!” rispose l’eremita, “Tu piuttosto, perché non sei felice?”
“Perché, si vede?” domandò il contadino.
“Si vede dai tuoi occhi.
Cercano qualcosa che non c’è:
la ricchezza.” esclamò l’eremita.
“Eppure la ricchezza io l’ho vista!” spiegò il contadino.

“Hai notato al crepuscolo,” disse l’eremita, “le lucciole nei prati?

S’illudono d’illuminare l’universo, ma la loro vanità scompare quando le stelle sorgono in cielo.
Anche le stelle credono d’illuminare il cielo, ma non appena sale la luna scompaiono lentamente e tristemente.
La luna s’illude anch’essa di inondare la terra con la sua luce, ma quando arriva il sole, a stento la si vede nel cielo.
Se quelli che si vantano delle loro ricchezze meditassero su queste semplici cose, ritroverebbero il sorriso perduto.”
Il contadino sorrise, ma sul suo volto c’era ancora un po’ di tristezza.
Allora l’eremita gli disse:
“Lo sai che rispetto a me tu sei re?”
“Be’, non esageriamo.
Ho certo una casa più bella della tua, qualche soldo da parte e…” continuò il contadino.
“Non è di questo che parlo!” disse l’eremita e, avvicinando il lume al proprio povero corpo, glielo mostrò: non aveva le gambe.
Allora il contadino, che doveva sorridere, pianse.

Brano tratto dal libro “Il libro degli esempi: Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Gribaudi Editore.

La leggenda della nascita del deserto

La leggenda della nascita del deserto

Tanto tempo fa la terra intera era verde e fresca come una foglia appena spuntata.
C’erano mille ruscelli che correvano tra l’erba.
Arance, mandorle, ciliegie, datteri e melograni crescevano insieme sullo stesso ramo.
Il leone giocava con l’agnello e le tribù degli uomini vivevano in pace.
Essi non sapevano cosa fosse il male.

All’inizio dei tempi, il Signore aveva detto agli uomini:

“Questo giardino fiorito è tutto vostro, e vostri sono i suoi frutti.
Badate però, che ad ogni azione malvagia io lascerò cadere sulla terra un granello di sabbia, e un giorno gli alberi verdi e l’acqua fresca potrebbero scomparire per non tornare mai più!”
Per molto tempo il suo monito venne obbedito e ricordato, finché un giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello.
Appena la prima parola cattiva fu pronunciata il Signore gettò al suolo un granello di sabbia, così minuscolo e leggero che nessuno se ne accorse.
Ben presto alle parole seguirono i fatti, e molti nuovi granelli si formarono e caddero.
Il piccolo mucchio di sabbia cresceva lentamente.
Gli uomini allora si fermarono a guardarlo, incuriositi.

“Cos’è questo, Signore?” chiesero a Dio.

“È il frutto della vostra cattiveria!” rispose Lui.
“Tutte le volte che agirete ingiustamente, che alzerete la mano su un fratello, che mentirete e ingannerete, un granellino si aggiungerà agli altri.
E chissà che un giorno la sabbia non arrivi a coprire la terra intera!”
Ma gli uomini si misero a ridere.
“Anche se fossimo i più perfidi fra i perfidi, non basteranno milioni di milioni di anni perché questa polvere leggera riesca a farci del male.
E poi, chi può aver paura di un po’ di sabbia?”
Così ricominciarono a ingannare e a combattere, uno contro l’altro, tribù contro tribù.
Finché la sabbia seppellì i pascoli verdi e i campi, cancellò il corso dei ruscelli e cacciò le bestie lontano in cerca di cibo.

In questo modo fu creato il deserto.

E da allora le tribù vagano per il deserto, pensando alla verde terra perduta.
E qualche volta in pieno deserto, sognano e vedono cose che non ci sono più:
laghi azzurri e alberi fioriti.
Ma sono visioni che subito svaniscono:
la gente li chiama miraggi.
Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Dio ci sono ancora palme verdi e sorgenti pulite.
E la sabbia non può cancellare queste cose, ma le circonda come il mare fa con le isole.
I viaggiatori le chiamano oasi.
E là si fermano per trovare riposo e ristoro, ricordando ogni volta le parole del Signore alle tribù:
“Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito!”
Ora sapete perché, anche oggi, sulla terra i deserti continuano ad avanzare.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’astronauta in viaggio (La scoperta del pianeta Terra)

L’astronauta in viaggio
(La scoperta del pianeta Terra)

Ciao mia cara,
Non vedo l’ora di poteri abbracciare!
Da quanto tempo è che non ci vediamo:
più o meno saranno 3000 anni luce.
Non puoi immaginare quanto mi manchi e mi sembra ieri quando ci siamo lasciati.
Quanta fatica, e per quanto tempo abbiamo sognato di poter raggiungere un pianeta abitato come il nostro.
Mi sembra ieri quando i primi pionieri del volo violarono la quiete del cielo sfidando le leggi della natura; sento l’eco delle loro grida di gioia che risuonano nel tempo.
Noi, noi siamo la storia!
Ma a dirti la verità non è proprio come me lo aspettavo…

Ah, come sta la piccola?

Dalle un bacio e dille che presto il papà tornerà a casa.
Qui, il pianeta è insopportabile:
c’è un atmosfera irrespirabile, umida e piena d’acqua, tanto che la senti infilarsi nella tua tuta spaziale.
Le terre emerse occupano solo un terzo della superficie e per di più gli abitanti del pianeta con le loro costruzioni la stanno devastando, per non parlare dei rapporti che hanno tra loro:
sembrano divisi in tribù, parlano in lingue diverse e si comportano differentemente:
alcuni godono di stima e si vantano di possedere delle pietre luccicanti; hai presente quel metallo che noi usiamo per fare i tappi, ecco quello, mentre altri non vengono nemmeno considerati.
Pensa che dopo tutto questo, ed è solo un piccolo assaggio, si credono la razza più intelligente dell’universo.

Ma dove andremo a finire?

Non sono capaci di organizzarsi, non sono ancora al nostro livello tecnologico, non fanno altro che mangiarsi il cibo l’un l’altro e per di più sono anche orribili nell’aspetto.
Quando siamo scesi ci hanno circondato con delle armi insignificanti, credendo di spaventarci, e ci osservavano come se fossimo dei marziani.
Potevo vestirmi di verde, così almeno li avrei fatti felici!
Sono veramente disgustosi:
hanno peli sul corpo per proteggersi dal clima del pianeta, a volte fa un caldo insopportabile mentre altre volte fa un freddo, forse mi sto ammalando…
Comunque dovresti vederli:
sono piccoli e gracili perché la forza di gravità è inferiore di due volte rispetto alla nostra.
Emettono degli strani suoni, un po’ stornanti e quasi mai dolci, mi sembra quasi di impazzire per quanto mi rimbombano nella testa.
Non sono per niente socievoli e si credono padroni di tutto, pensa che volevano farmi una miriadi di analisi come se fossi un giocattolo; tutti erano diffidenti con me.

E noi che eravamo venuti in pace!

Fortunatamente è una sciocchezza imparare la loro lingua:
è semplicissima ed ha una struttura razionale primitiva; un po’ come sono loro fisicamente.
Quasi quasi assomigliano ai nostri progenitori nella loro evoluzione più arretrata …
Ormai, ad esser sincero, mi sto abituando:
sai com’è tutto il mondo è paese ed io non posso rinnegare la tolleranza e la solidarietà fraterna che mi hanno insegnato i miei genitori fin da quando ero piccolino!
Tutto sommato basta abituarsi alle diversità.
Ah ! Mi stavo dimenticando di dirti che ho fatto una nuova amicizia:
si chiama Giuseppe ed un essere umano della Terra!

Brano senza Autore, tratto dal Web

I vestiti ed il bramino

I vestiti ed il bramino

C’era una volta un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regalavano.
Un giorno pensò:
“Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero intoccabile.”
Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri dell’India.

Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.

Andò al mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta:
si mise un bel vestito bianco, un turbante di seta e una giacchetta ricamata.
La gente lo salutava e gli dava denaro per lui e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si inchinò profondamente.

Poi disse:

“Oh! Fortunati voi, vestiti!
Fortunati!
Sulla terra ciò che è certamente più onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è sotto!”

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La parola piangere. Favola & Filastrocca.

La parola piangere.
Favola & Filastrocca.
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Favola
Filastrocca
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“Favola”

 

Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani.
Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condurrà i suoi scolari, in fila per due, a visitare il “Museo del Tempo Che Fu,” dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola:

“Piangere.”

Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano, quindi chiesero:
“Signora, che vuol dire?
“È un gioiello antico?
Apparteneva forse agli Etruschi?”
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male.
Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime:
chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.

“Sembra acqua!” disse uno degli scolari.

“Ma scottava e bruciava!” rispose la maestra.
“Forse la facevano bollire prima di adoperarla?” chiese ancora uno degli scolari.
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi.
Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come:
L’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.

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“Filastrocca”

 

Un giorno tutti saremo felici.
Le lacrime, chi le ricorderà?

I bimbi scoveranno
nei vecchi libri
la parola “piangere”
e alla maestra in coro chiederanno:
“Signora, che vuol dire?

Non si riesce a capire”.

Sarà la maestra,
una bianca vecchia
con gli occhiali d’oro,
e dirà loro:
“Così e così”.

I bimbi lì per lì
non capiranno.
A casa, ci scommetto,
con una cipolla a fette
proveranno e riproveranno
a piangere per dispetto
e ci faranno un sacco di risate…

E un giorno tutti in fila,

andranno a visitare
il Museo delle lacrime:
io li vedo, leggeri e felici,
i fiori che ritrovano le radici.

Il Museo non sarà tanto triste:
non bisogna spaventare i bambini.
E poi, le lacrime di ieri
non faranno più male:

è diventato dolce il loro sale.

E la vecchia maestra narrerà:
“Le lacrime di una mamma senza pane…
le lacrime di un vecchio senza fuoco…
le lacrime di un operaio senza lavoro…
le lacrime di un negro frustato
perchè aveva la pelle scura…”
“E lui non disse nulla?”
“Ebbe paura?”
“Pianse una sola volta ma giurò:
una seconda volta
non piangerò”.

I bimbi di domani

rivedranno le lacrime
dei bimbi di ieri:
del bimbo scalzo,
del bimbo affamato,
del bimbo indifeso,
del bimbo offeso, colpito, umiliato…

Infine la maestra narrerà:
“Un giorno queste lacrime
diventarono un fiume travolgente,
lavarono la terra
da continente a continente,
si abbatterono come una cascata:
così, così la gioia fu conquistata”.

Favola e Filastrocca di Gianni Rodari

Il sogno, la croce ed il burrone

Il sogno, la croce ed il burrone

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva:
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce?
Possibile che non esista un mezzo per evitarla?
Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle.
Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga:
per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno!” si disse.
Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero.
E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone:

una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna.”
Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità.
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura:
congiungevano esattamente i due margini del precipizio.

Passavano tutti.

Ma non lui.
Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi:
“Ah, se l’avessi saputo…”
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.

Regalare la speranza (Regalare Luce)

Regalare la speranza
(Regalare Luce)

Centomila persone sono radunate nel Coliseum di Los Angeles, in California.
All’improvviso Padre Keller, che parlava a quell’immensa assemblea, si interruppe:

“Non abbiate timore; adesso si spegneranno le luci!”

Piombò l’oscurità sullo stadio; ma attraverso gli altoparlanti, la voce di Padre Keller continuò:
“Io accenderò un fiammifero.
Tutti quelli che lo vedono brillare, dicano semplicemente “sì.”
Appena quel puntino di fuoco si accese nel buio, tutta la folla gridò: “Sì.”

Padre Keller seguitò a spiegare:

“Ecco: una qualsiasi azione di bontà può brillare in un cuore di tenebre.
Per quanto piccola, non passa mai nascosta agli occhi di Dio.

Ma voi potete fare di più.

Tutti quelli che hanno un fiammifero, l’accendano!”
Di colpo l’oscurità venne rotta da uno sconfinato tremolio di piccoli fuochi.
Se molti uomini di poco conto, in molti posti di poco conto, facessero cose di poco conto, la faccia della terra potrebbe cambiare.

Brano tratto dal libro “Parlar per simboli.” di Pino Pellegrino

La bilancia

La bilancia

Sognai che ero passato a miglior vita.
Avendo concluso i miei giorni su questa terra, mi trovavo tra le soffici nubi del cielo.
Appena gli occhi si furono abituati alla luce accecante e bianchissima, vidi una lunga fila di persone davanti a me.

Me l’aspettavo:

tutti in coda, anche in attesa del giudizio!
Man mano che avanzavo, cominciai a intravedere una figura barbuta.
L’espressione era mite, eppure le rughe che solcavano l’ampia fronte, gli conferivano un aspetto autoritario.
Appese alla candida tunica un mazzo di grosse chiavi dorate; in mano reggeva una bilancia.

Allora era tutto vero!

Per ogni anima che gli si presentava davanti, vidi che annotava qualcosa su una pergamena.
In breve fu quasi il mio turno.
Deciso a non farmi cogliere impreparato, ripercorsi la mia vita, da cima a fondo ricordando tutte le colpe commesse, perfino le più insignificanti marachelle compiute da bambino.

Toccò a me:

timidamente mi avvicinai, mentre il giudice protendeva la bilancia nella mia direzione.
Stavo per cominciare il resoconto dei miei peccati, ma quale enorme sorpresa mi colse, quando lo sentii chiedere:
“Figliolo, quanto hai amato?”

Brano di Kociss Fava

È importante imparare

È importante imparare

Ho imparato che la calma è molto più destabilizzante della rabbia…
che un sorriso disarma molto più di un volto corrugato…
Ho imparato che il silenzio di fronte ad un’offesa

è un grido che fa tremare la terra.

Ho imparato che come un amore rifiutato non si perde ma torna intatto a colui che voleva donarlo,
così accade per la rabbia, le offese…
siamo noi a decidere se farci toccare o meno da un sentimento,

di qualsiasi sentimento si tratti.

Non importa se stai procedendo molto lentamente…
ciò che importa è che tu non ti sia fermato.

Brano di Confucio