L’abate ed un confratello

L’abate ed un confratello

L’abate Anastasio aveva un libro scritto su pergamena finissima, che valeva diciotto soldi, e in esso aveva sia il Vecchio che il Nuovo Testamento in versione integrale.
Una volta un confratello venne a trovarlo e vedendo il libro se ne andò con esso.
Così il giorno in cui l’abate Anastasio andò per leggere il proprio libro e non lo trovò più, capì che il confratello l’aveva preso.
Ma non gli mandò dietro nessuno, per chiederne notizia, per timore che il confratello potesse aggiungere una bugia al furto.
Poi il confratello scese nella città più vicina per vendere il libro.

Ed il prezzo che chiese fu di sedici soldi.

Il compratore disse:
“Dammi il libro, affinché possa scoprire se vale tanto.”
Con ciò, il compratore portò il libro da vedere a sant’Anastasio e disse:
“Padre, dia un’occhiata a questo libro, per favore, e mi dica se pensa che dovrei comprarlo per sedici soldi.
Vale dunque così tanto?”

L’abate Anastasio disse:

“Si, è un bel libro, vale tutto quel prezzo!”
Così il compratore ritornò dal confratello e disse:
“Ecco il tuo denaro.
Ho mostrato il libro all’abate Anastasio che ha detto che è bello e che vale almeno sedici soldi!”
Ma il fratello disse:
“È tutto ciò che ha detto?

Ha fatto altre osservazioni!”

“No!” disse il compratore, “Non ha detto altro!”
“Beh!” disse il confratello, “Ho cambiato idea, e dopo tutto non voglio vendere questo libro!”
Allora andò di corsa dall’abate Anastasio e lo supplicò in lacrime di riprendersi il libro.
Ma l’abate non volle accettarlo, dicendo:
“Va’ in pace, fratello, te ne faccio dono!”
Ma il confratello disse:
“Se non lo riprenderai, non avrò mai più pace!”
Dopo quell’episodio il confratello abitò con l’Abate Anastasio per il resto della sua vita.

Brano tratto dal libro “La saggezza del deserto.” di Thomas Merton.
Titolo originale del libro “The Wisdom of the Desert.”

Titta bella vita

Titta bella vita

Capita di sentire, ai nostri giorni, che non ci sono più gli uomini di una volta, ma nemmeno i personaggi simpaticissimi che popolavano i nostri paesi e contrade.
In uno di questi, nell’alto Trevigiano, abitava “Titta bella vita”, chiamato così per una singolare disavventura di cui si era fatto suo malgrado protagonista.

Non più giovane gli era stata diagnosticata,

da un luminare della medicina, una grave patologia con esito certo e fatale.
Dovendo morire presto, il nostro protagonista pensò di vivere i suoi ultimi giorni alla grande,

vendette la sua casa e andò a vivere in un albergo di lusso.

Si comprò bastone, capello e frac con tanto di fiore all’occhiello ed elargiva laute mance.
Più spendeva facendo bella vita, più acquistava salute tanto da guarire del tutto.
Però, allo stesso tempo, i soldi finirono e si trovò nella più assoluta indigenza e non potendo lavorare,

fu costretto a chiedere la carità di casa in casa in frac.

A tutti raccontava la sua storia e ripeteva:
“Se la morte non mi avesse ingannato, quello che possedevo mi sarebbe bastato!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Sean e la mucca

Sean e la mucca

In un piccolo pesino dell’Irlanda vivevano una volta un figlio e una madre molto poveri.
Sean che era ancora un ragazzetto, non solo doveva lavorare tutto il giorno ma per arrotondare faceva anche delle scope che poi vendeva al mercato.
Ogni giorno portava a pascolare l’unica mucca che possedevano, e questa dava ogni giorno latte fresco.
Una bella mattina, Sean decise di raccogliere erica per intrecciare e fabbricare nuove scope, e così seguito dalla mucca si spinse oltre il bosco.
Ad un certo punto sentendosi stanco decise di riposarsi in una piccola valletta.
Si sdraiò e d’improvviso vide che tutto il prato era pieno di folletti che cantavano e che giocavano allegramente:

“Beati voi come siete contenti.

Io invece devo lavorare tutto il giorno e non ho mai tempo per giocare.”
“Vieni, vieni a giocare e ci divertiremo.” risposero i folletti.
“Oh grazie,” rispose Sean, “e a che cosa giochiamo?”
“A calcio,” rispose uno dei folletti, “tu stai in porta.”
E così cominciarono a giocare.
Tutto andò per il meglio finché arrivò una pallonata giusto in faccia al ragazzo e per cinque minuti non poté vedere niente.
Tutti gli elfi ridevano a crepapelle, e se ne andarono correndo per il prato.
Quando Sean recuperò la vista, non trovò più la sua mucca e subito pensò che si era persa nel bosco.

Tornò a casa e raccontò quanto era successo alla madre.

Il giorno dopo madre e figlio andarono subito alla ricerca della mucca e solo dopo lunghe ore di ricerca la trovarono morta in un dirupo.
La madre si disperò molto, e si sentiva perduta senza quella mucca che almeno le dava il latte.
Passò del tempo…
Una bella mattina Sean stava intrecciando dell’erica per le scope quand’ecco che scorse due elfi che pascolavano una mucca.
La guardò e la riguardò e ben presto si accorse che quella era la sua mucca.
Si avvicinò le saltò in groppa e la mucca indispettita cominciò a dimenarsi e a correre giù per il prato con i due elfi attaccati alla coda.
E la mucca correva e correva e arrivò nei pressi del lago, e sempre più vicino alla riva, e sempre più vicino all’acqua… finché non si immersero nell’acqua!
Il ragazzo stava dicendo le sue ultime preghiere quando scorse nel fondo del mare un palazzo di cristallo.
Entrarono e scorsero moltissime dame e cavalieri che erano nella sala principale.
Subito gli venne incontro il re.
“Lei si è impossessato della mia mucca!” disse il ragazzo.
“No caro ragazzo questa è la mia mucca, l’ho comprata da due elfi.” rispose il re.
Il ragazzo allora raccontò tutta la storia, ed il re che era un uomo buono propose al ragazzo un borsa piene di monete d’oro in cambio della sua mucca che faceva un ottimo latte.
“Niente affatto,” continuò il ragazzo, “io sono per le cose giuste, quindi rendetemi la mucca di mia madre e io toglierò il disturbo.”

Il re sbalordito per questo rifiuto disse:

“Come puoi rifiutare un’offerta del genere, la mucca è indispensabile qui a corte.
Con il suo latte macchiamo sempre il te delle sei.”
“E a me sicuramente servirà di più, perché noi lassù siamo molto poveri.” esclamò il ragazzo.
Il re commosso da tanta onestà gli concedette la mucca e gli regalò un sacchetto pieno di monete d’oro.
Ma il ragazzo rifiutò: “Penseranno tutti che li ho rubati.
Teneteli pure!”
“Mi sento in torto nei tue confronti ragazzo per cui ti faccio una proposta:
ogni giorno verso le cinque porterai in riva al lago un secchio pieno di latte di mucca e noi lo pagheremo per quanto per noi vale.” concluse il re.
Contento e soddisfatto Sean ritornò a casa e raccontò quello che era successo alla madre che credeva che suo figlio fosse diventato pazzo.
Così il ragazzo la dovette portare in riva al lago e quando vide due folletti uscire dal lago con due pacchettini pieni di monete d’oro restò molto meravigliata.
Così finisce questa storia, Sean si guadagnò sempre onestamente da vivere e visse ancora per molti anni con la sua mamma.

Favola Irlandese.
Brano senza Autore, tratto dal Web

La statua senza valore

La statua senza valore

Viveva un tempo tra i monti un uomo che possedeva una statua, opera di un antico maestro.
L’aveva buttata in un angolo, faccia a terra, e non se ne curava affatto.

Un giorno, si trovò a passare nei pressi un uomo che veniva dalla città.

Essendo un uomo di cultura, quando vide la statua chiese al proprietario se fosse disposto a venderla.
Il proprietario rise e disse:
“E chi vuole che compri, scusi, quella pietra sporca e scialba?”

L’uomo della città disse:

“Ti do in cambio questa moneta d’argento.”
E l’altro ne fu sorpreso e felice.
La statua fu allora trasportata in città, a dorso di un elefante.
Dopo molte lune, l’uomo dei monti si recò in città, e mentre camminava per la strada vide gente affollarsi davanti a un edificio, dove un uomo gridava a gran voce:

“Venite a vedere la statua più bella, più mirabile esistente al mondo!

Solo due monete d’argento per ammirare l’opera meravigliosa di un gran maestro!”
E l’uomo dei monti pagò due monete d’argento ed entrò nel museo per vedere la statua che lui stesso aveva venduto per una moneta.

Brano di Khalil Gibran

L’anziano, la signora e le uova

L’anziano, la signora e le uova

Un anziano signore in una piccola piazzetta di un paese di montagna vendeva delle uova fresche.
Una signora, passando la vicino, gli chiese:
“Quanto costano le uova?”

L’anziano signore le rispose:

“30 centesimi ad uovo, signora.”
Lei gli disse:
“Prendo 6 uova per 1,50 euro altrimenti me ne vado e te li tieni!”
Il signore replicò:
“Va bene signora, prenda le uova e mi paghi quanto ha detto, speriamo solo che sia di buon auspicio, visto che oggi non sono riuscito a vendere neanche un uovo!”
Prese le uova, la signora si sentì soddisfatta, come se avesse vinto qualcosa,

aveva pagato le uova quanto aveva detto lei.

Poi salì sulla sua nuova auto ed andò in un elegante ristorante con una sua amica.
Ordinarono parecchie cose, lasciando infine molto cibo, e quando chiesero il conto, il totale fu di 170,00 euro.
Pagando, la signora lasciò 200,00 euro al proprietario del ristorante dicendogli di tenere il resto come mancia.

La domanda che ci dobbiamo porre è:

“Perché ci mostriamo maleducati e taccagni con i bisognosi mentre ci mostriamo educati e generosi con chi non ne ha bisogno?”
Quando trovi qualcuno che vende qualcosa che puoi pagare senza problemi, aiutalo, alla fine non ti cambia nulla, magari vogliono solo sentirsi utili, dimostrare che possono ancora andare avanti da soli.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein

Il valore dell’anello (Il valore di noi stessi)


Il valore dell’anello (Il valore di noi stessi)

“Sono venuto qui, maestro, perché mi sento così inutile che non ho voglia di fare nulla.
Mi dicono che sono un inetto, che non faccio bene niente, che sono maldestro e un po’ tonto.
Come posso migliorare?
Che cosa posso fare perché mi apprezzino di più?” chiese un giovane.
Il maestro gli rispose senza guardarlo:
“Mi dispiace, ragazzo.
Non ti posso aiutare perché prima ho un problema da risolvere.
Dopo, magari!”

E dopo una pausa aggiunse:

“Ma se tu mi aiutassi, magari potrei risolvere il mio problema più in fretta e dopo aiutare te.”
“Con piacere, maestro!” disse il giovane esitante, sentendosi di nuovo sminuito visto che la soluzione del suo problema era stata rimandata per l’ennesima volta.
“Bene!” continuò il maestro.
Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, aggiunse:
“Prendi il cavallo che c’è là fuori e va’ al mercato.
Ho bisogno di vendere questo anello perché devo pagare un debito.
Vorrei ricavarne una bella sommetta, per cui non accetta re meno di una moneta d’oro.
Va’ e ritorna con la moneta d’oro il più presto possibile.

Il giovane prese l’anello e partì.

Appena fu giunto al mercato iniziò a offrire l’anello ai mercanti, che lo guardavano con un certo interesse finché il giovane diceva il prezzo.
Quando il giovane menzionava la moneta d’oro, alcuni si mettevano a ridere, altri giravano la faccia dall’altra parte e soltanto un vecchio gentile si prese la briga di spiegargli che una moneta d’oro era troppo preziosa in cambio di un anello.
Pur di aiutarlo, qualcuno gli offrì una moneta d’argento e un recipiente di rame, ma il giovane aveva istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro e rifiutò l’offerta.
Dopo avere offerto il gioiello a tutte le persone che incrociava al mercato, che furono più di cento, rimontò a cavallo demoralizzato per il fallimento e intraprese la via del ritorno.
Quanto avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per regalarla al maestro e liberarlo dalle sue preoccupazioni!
Così finalmente avrebbe ottenuto il suo consiglio e l’aiuto.
Entrò nella sua stanza.

“Maestro,” disse “mi dispiace.

Non è possibile ricavare quello che chiedi.
Magari sarei riuscito a ottenere due o tre monete d’argento, ma credo di non poter ingannare nessuno riguardo il vero valore dell’anello.”
“Quello che hai detto è molto importante, giovane amico!” rispose il maestro sorridendo.
“Prima dobbiamo conoscere il vero valore dell’anello.
Rimonta a cavallo e vai dal gioielliere.
Chi lo può sapere meglio di lui?
Digli che vorresti vendere l’anello e chiedigli quanto ti darebbe.
Ma non importa quello che ti offre: non glielo vendere.
E ritorna qui con il mio anello.”

Il giovane riprese di nuovo a cavalcare.

Il gioielliere esaminò l’anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo:
“Dì al maestro, ragazzo, che se vuole vendere oggi stesso il suo anello, non posso dargli più di cinquantotto monete d’oro.”
“Cinquantotto monete?” esclamò il giovane.
“Si!” rispose il gioielliere.
“Lo so che avendo più tempo a disposizione potremmo ricavare circa settanta monete d’oro, ma se ha urgenza di vendere…”
Il giovane si precipitò dal maestro tutto emozionato a raccontargli l’accaduto.
“Siediti!” disse il maestro dopo averlo ascoltato.
“Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso.
E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto.
Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?”
E così dicendo si infilò di nuovo l’anello al mignolo della mano sinistra.

Brano di Jorge Bucay