Il ranocchio vincitore

Il ranocchio vincitore

Ci fu una volta una gara… di ranocchi.
L’obiettivo era arrivare in cima a una gran torre.
Richiamata dall’insolito spettacolo, si radunò molta gente per vedere e fare il tifo.
Cominciò la gara, ma in realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi del tipo:

“Ma che pena!

Non ce la faranno mai!”
E così alcuni ranocchi, che percepirono questi commenti, cominciarono a desistere, sfiduciati, tranne uno, che continuava a cercare di raggiungere la cima.
Ma la gente continuava:

“Che pena!

Non ce la faranno mai!”
Senonché molti ranocchi si diedero per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere.
Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio testardo, che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine, la cima.

Quindi, com’è naturale che fosse,

gli altri vollero sapere come avesse fatto e uno degli altri ranocchi più curiosi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere quella difficile prova.
Non ottenne risposta.
E cosi si scoprì che quel ranocchio vincitore… era sordo!

Brano senza Autore

Tre racconti brevi

Tre racconti brevi
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Il maestro ed il discepolo

Il tesoro nel podere

Un combattimento tra due giovani cervi

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“Il maestro ed il discepolo”

Un giorno un discepolo si macchiò di una grave colpa.
Tutti si aspettavano che il maestro lo punisse in modo esemplare.
Ma passò un anno e il maestro non diede segno di reazione.

Allora un altro discepolo protestò:

“Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto, Dio ci ha dato gli occhi!”
Il maestro replicò:
“È vero, ma anche le palpebre!”

Brano senza Autore.
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“Il tesoro nel podere”

Lo aveva scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un tesoro.
Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità.
Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli il podere.
Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato,

ma gli aveva chiesto una somma altissima.

Per mettere insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo.
Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato.
Passò altro tempo.
L’uomo investiva, trafficava, dirigeva, viaggiava.
Si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.

Brano senza Autore. Apologo (Favola allegorica a fine spiccatamente pedagogico) Indiano.
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“Un combattimento tra due giovani cervi”

Due giovani cervi, bellissimi esemplari, si incontrarono nel bosco.
Entrambi gelosi del proprio territorio, decisero di affrontarsi.
Il combattimento durò a lungo:
nessuno dei due voleva cedere.
Alla fine, il più forte, con un ultimo movimento della testa, ebbe la meglio sull’avversario.
Ma i palchi dell’ucciso rimasero incastrati in quelli dell’uccisore, lucidi e possenti.

Impossibili da districare.

Il vincitore tentò in ogni modo di sbarazzarsi del corpo dell’altro cervo, ma non ci riuscì.
Fu costretto a trascinarselo dietro, fino a che, spossato, dovette fermarsi.
All’alba, a liberarlo da quel peso morto fu lo sparo di un cacciatore.

Brano senza Autore.

Il primo fiore


Il primo fiore

In un paesino di montagna c’è un’usanza molto bella.
Ogni primavera si svolge una gara tra tutti gli abitanti.
Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera.

Chi trova il primo fiore sarà il vincitore e avrà fortuna per tutto l’anno.

A questa gara partecipano tutti, giovani e vecchi.
Quest’anno, quando la neve iniziò a sciogliersi e larghi squarci di terra umida rimanevano liberi, tutti gli abitanti di quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore.
Per ore e ore iniziarono a cercare alle pendici del monte, ma non trovarono alcun fiore.
Stavano già ritornando verso casa quando il grido di un bambino attirò l’attenzione di tutti:
“È qui! L’ho trovato!”

Tutti accorsero per vedere.

Quel bambino aveva trovato il primo fiore, sbocciato in mezzo alle rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo.
Il bambino indicava col braccio teso giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura di precipitare nel terribile burrone.
Il bambino però desiderava quel fiore anche perché voleva vincere la gara.
Cinque uomini forti portarono una corda.
Intendevano legare il bambino e calarlo fino al fiore.
Il bambino però aveva paura.
Aveva paura che la corda si rompesse e di cadere nel burrone.

“No, no!” diceva piangendo, “Ho paura!”

Gli fecero vedere una corda più forte e quindici uomini che l’avrebbero tenuto.
Tutti lo incoraggiavano.
Ad un tratto il bambino cessò di piangere.
Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino.
“Va bene!” disse il bambino, “Andrò giù se mio padre terrà la corda!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La conquista della penna d’aquila


La conquista della penna d’aquila

In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano.
A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.
Una sera d’estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare.
Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.
Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la “prova di forza” che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.

Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo.

I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò:
“Domani all’alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l’altra riva del lago e cercherete la penna d’aquila dorata che è nascosta in un posto segreto.”
Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago.
Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand’ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall’altra parte del lago.
Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro:
“Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull’altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei tutta la notte.
Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”
Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice:
“Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!”

E tutti gli altri dissero:

“No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre.”
“Eh, sì!” pensò Nuvola Rossa “Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d’aquila.
Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago.
E come sarà triste se gli diremo tutti di no!”
Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso:
“Vieni, Falco Stanco; ti porto io!”
Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono:
“Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!”
In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci.
Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato.
Poi guardava Falco Stanco, vedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva:

“Hai fatto bene, hai fatto bene!”

I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa.
Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore.
Ma, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora trovato la penna d’aquila.
Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca.
Ma il vecchio indiano lo chiamò:
“Aspetta, vieni qui!
Ti devo dare una cosa!”
Un po’ a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco.
“Ieri sera,” proseguì l’anziano “il grande capo del tuo villaggio mi ha detto:
domani all’alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull’altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa.”
E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d’aquila dorata!
Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia.

Gli altri accorsero pieni di stupore.

Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse:
“Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell’amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi.
Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!”
I piccoli indiani si guardarono l’un l’altro, poi dissero:
“E’ vero, la forza più grande è l’amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!”
Falco Stanco li salutò con la mano e pensò:
“Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c’è qualcosa nella vita che vale più dell’ arrivare primi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia dei tre leoni e della montagna difficile


La storia dei tre leoni e della montagna difficile

C’era un volta, una foresta…
Un giorno il macaco, rappresentante eletto dagli animali, fece una riunione con tutta la combriccola della foresta, e disse:
“Noi sappiamo che il leone è il re degli animali.
Ma c’è un problema: ci sono tre leoni forti.
Ora, quale di loro dobbiamo ossequiare?
Quale, fra loro, sarà il nostro re?”
I tre leoni commentarono fra loro:

“È vero, una foresta non può avere tre re.

Occorre decidere quale di noi sarà il re.”
Ma come fare?
Questa era la grande domanda:
lottare fra loro non volevano, poiché erano molto amici.
Bene, signori leoni, la soluzione sta nella Montagna Difficile.
Abbiamo deciso che dovete scalare la montagna e colui che arriverà per primo in cima, sarà consacrato re.
La Montagna Difficile era la più alta fra tutte, in quella immensa foresta.
La sfida fu accettata.
Deciso il giorno, migliaia di animali circondarono la montagna per assistere alla grande scalata.

Il primo tentò e non ci riuscì.

Il secondo tentò e non ci riuscì.
Il terzo tentò e non ci riuscì.
Gli animali erano curiosi e impazienti.
Infine, quale dei leoni sarà il re, una volta che tutti e tre erano stati sconfitti?
Fu in quel momento che un’aquila, anziana e di grande sapienza, chiese la parola:
“So io chi deve essere il re!
Volavo sopra di loro e ho ascoltato quello che hanno detto sulla montagna, vedendosi sconfitti.”
Il primo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto!”

Il secondo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto!”

Anche il terzo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto…” ma aggiunse:
“Ma tu, montagna, già hai raggiunto la tua altezza finale, mentre io sto ancora crescendo.”
E l’aquila completò:
“La differenza è che il terzo leone ha avuto un atteggiamento da vincitore davanti alla sconfitta.
E chi pensa così è più grande dei suoi problemi.
È re di se stesso, è pronto per essere il re.”
Gli animali applaudirono entusiasticamente il terzo leone, che fu incoronato re della foresta.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Anche questo passerà…

Anche questo passerà…

Un re disse ai saggi che aveva a corte:
“Voglio farmi fare un anello bellissimo.
Possiedo uno tra i diamanti più belli e voglio incastonarlo in un anello.
E nell’anello voglio tener nascosto un messaggio che mi possa essere utile in un istante di assoluta disperazione.
Deve essere un messaggio brevissimo, in modo che lo possa nascondere sotto il diamante, all’interno dell’anello stesso.”
I saggi di quel re erano tutti grandi studiosi, uomini in grado di scrivere profondi trattati, ma dare al re un messaggio di non più di due o tre parole, in grado di aiutarlo in un istante di assoluta disperazione, li mise in difficoltà nonostante essi pensarono e scrutarono nei loro testi, senza riuscire a trovare nulla di nulla.
Il re aveva un vecchio servitore, per lui era quasi un padre, ed esso era già stato al servizio di suo padre.

La madre del re era morta giovane e quell’uomo lo aveva accudito, pertanto il re non lo considerava un semplice servo, provava per lui un profondo rispetto.
Quel vecchio gli disse:
“Io non sono un sapiente, un uomo colto, uno studioso; ma conosco questo messaggio poiché esiste un unico messaggio.
Quelle persone non te lo possono dare; solo un mistico potrebbe, un uomo che ha realizzato il proprio essere.
Nella mia lunga vita qui a palazzo ho incontrato ogni sorta di persone, e una volta anche un mistico.
Anche lui era ospite di tuo padre ed io ero stato messo al suo servizio.
Quando è ripartito, come ringraziamento per tutti i miei servigi, mi ha dato questo messaggio.”
Il servitore lo scrisse su un pezzettino di carta, lo piegò e disse al re:

“Non leggerlo, tienilo semplicemente nascosto nell’anello.
Aprilo solo quando ogni altra cosa si sarà rivelata un fallimento; aprilo solo quando senti di non avere più alcuna via d’uscita.”
E quel momento venne ben presto.
Il paese fu invaso e il re perse il suo regno.
Stava fuggendo con il suo cavallo per salvarsi la vita e i cavalli dei nemici lo inseguivano.
Era solo, i nemici erano tanti.
A un certo punto il sentiero di fronte a lui terminò, si trovava in una gola cieca:
di fronte a lui c’era un baratro, caderci dentro avrebbe significato una morte certa.
Non poteva neppure tornare indietro:
i nemici gli erano alle spalle e già poteva sentire lo scalpitare e i nitriti dei loro cavalli.

Non poteva più avanzare e non poteva prendere un’altra strada.
All’improvviso si ricordò dell’anello.
Lo aprì, prese quel rotolino di carta e lesse un messaggio il cui valore era veramente prezioso.
Diceva semplicemente:
“Anche questo passerà…”
Sul re discese un profondo silenzio, mentre quella frase penetrava in lui:
anche questo passerà e passò.
Tutto passa, in questo mondo nulla permane.

I nemici che lo stavano inseguendo si perdettero nella foresta, presero un altro sentiero; pian piano lo scalpitare dei loro cavalli si allontanò e scomparve.
Il re provò una profonda gratitudine per il suo servitore e per quell’ignoto mistico.
Quelle parole si rivelarono miracolose.
Ripiegò il foglietto, lo rimise nell’anello, ricostruì il suo esercito e riconquistò il regno.
E il giorno in cui rientrò nella capitale, vittorioso, mentre tutti inneggiavano a lui e lo festeggiavano con musiche e danze, e lui si sentiva al settimo cielo per la felicità e l’orgoglio di quella conquista, di fianco al suo cocchio camminava il vecchio servitore che gli disse:
“Anche questo è un momento adatto per leggere un’altra volta quel messaggio.”

Il re disse:
“Cosa vuoi dire?
Adesso sono un vincitore, il popolo mi sta festeggiando.
Non sono affatto disperato, non sono in una situazione senza vie d’uscita.”
E il vecchio gli disse:
“Ascolta.
Ecco cosa mi disse quel mistico:
questo messaggio non serve solo nei momenti di disperazione, serve anche quando si è alle stelle per la felicità.
Non serve solo quando si è sconfitti; è utile anche quando si è vincitori, non solo quando ti trovi in fondo a un vicolo cieco, ma anche quando sei in cima a una vetta.”
Il re aprì di nuovo l’anello, lesse il messaggio:

“Anche questo passerà…” e all’improvviso la stessa pace, lo stesso silenzio, tra quella folla che festeggiava e lo inneggiava, che danzava intorno a lui ma ogni orgoglio, l’ego se n’erano andati.
Tutto passa.
Il re chiese al vecchio servitore di salire sul cocchio e di sedere vicino a lui.
E gli chiese:
“C’è qualcos’altro?
Tutto passa.
Il tuo messaggio mi è stato di immenso aiuto.”
E il vecchio disse:
“La terza cosa che quel santo mi disse è questa:
ricorda, tutto passa.
Tu solo permani sempre; tu resti in eterno, in quanto testimone.”

Brano Popolare Sufi.
Brano senza Autore, tratto dal Web