Albert Einstein

Albert Einstein autore del Brano (aneddoto che gli è stato attibuito) “Il professore e le domande su Dio.” —————————– e delle citazioni: —————————– Chi dice…

Ishak Alioui

Ishak Alioui autore del Brano “Sorridi….” ▶Home Bruno Ferrero Michele Bruno Salerno Autori con alcuni Brani Autori con un solo Brano Brani senza Autore, tratti…

Richard Bach

Richard Bach autore del Brano “Crescendo impari.” tratto dal libro “Il gabbiano Jonathan Livingston.” Richard Bach – Wikipedia ▶Home Bruno Ferrero Michele Bruno Salerno Autori…

Patrizia Sgura

Patrizia Sgura autrice del Brano “Elena, la gentilezza ed il sorriso.” ▶Home Bruno Ferrero Michele Bruno Salerno Autori con alcuni Brani Autori con un solo…

Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci autore dei Brani “Il rasoio pigro.” “La formica ed il chicco di grano.” tratti dal libro “Favole.” e dell’aforisma Chi ha provato…

John Powell

John Powell autore del Brano “Amare Dio ed amare gli altri (Una leggenda irlandese).” tratto dal libro “Perché ho paura di essere pienamente me stesso.…

L’eremita e l’abate

L’eremita e l’abate

Un eremita si recò un giorno a visitare un convento.
Mentre l’abate lo accompagnava in giro, l’eremita continuava ad esprimere la sua meraviglia nel vedere i monaci intenti ai vari lavori manuali ed esclamò:

“Perché mai si danno così da fare per occupazioni terrene?

Gesù non ha forse lodato Maria, che si è fermata ad ascoltarlo, e ripreso Marta, che si preoccupava troppo per l’andamento della casa?”
L’abate non rispose nulla; alla fine della visita, si limitò a condurre l’eremita, in una cella perché potesse pregare e stare in silenzio.
Verso le tre del pomeriggio, l’eremita, che cominciava ad avere fame, uscì dalla cella; trovato l’abate, gli chiese se quello fosse giorno di digiuno per i monaci.
“No!” rispose l’abate, “Hanno già mangiato tutti.”

“Ma… Come mai non mi avete chiamato?” domandò l’eremita.

“Beh, a dire il vero, abbiamo pensato che, siccome hai scelto la parte migliore, come Maria, ti sarebbe bastato il cibo spirituale…”
L’eremita abbassò lo sguardo e l’abate concluse con dolcezza:
“Se Marta non avesse lavorato, come avrebbe potuto riposarsi Maria?”

Brano incluso nel libro “Il libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.

Il novizio ed il puledro di razza

Il novizio ed il puledro di razza

Un saggio abate volle un giorno mettere alla prova il più promettente tra i suoi novizi.
Chiamò a sé il giovane.

“Ascolta Pietro, voglio farti un dono.” disse,

“Ti regalerò un cavallo di razza che tu potrai cavalcare e usare a tuo piacimento, se sarai capace di recitarmi dal principio alla fine il Padre Nostro senza mai neppure per un istante distogliere il tuo pensiero dalla preghiera.”
“Oh,” rise Pietro meravigliato, “è puerile padre, quel che mi chiedete.
E davvero io in premio potrei avere un cavallo?”
Impaziente com’era di vedersi in groppa a un bel puledro di razza, il giovane cominciò la sua orazione:

“Padre Nostro che sei nei cieli…”

Ma il suo pensiero era lontano dalle parole di fede:
inseguendo il bel sogno, Pietro mormorava meccanicamente:
“Venga il Tuo regno… come in cielo così in terra…” e ad un certo punto si trovò senza accorgersene a chiedere:

“Ma il cavallo, avrà poi una sella perché io lo possa montare?”

L’abate rise divertito e consolò il giovane.
In fondo era stato un’ottima lezione.

Leggenda della Navarra.
Brano senza Autore.

Il gelso, il bruco e la farfalla

Il gelso, il bruco e la farfalla

C’era una volta un gelso centenario, pieno di rughe e di saggezza, che ospitava una colonia di piccoli bruchi.
Erano bruchi onesti, laboriosi, di poche pretese.
Mangiavano, dormivano e, salvo qualche capatina al bar del penultimo ramo a destra, non facevano chiasso.
La vita scorreva monotona, ma serena e tranquilla.
Faceva eccezione il periodo delle elezioni, durante il quale i bruchi si scaldavano un po’ per le insanabili divergenze tra la destra, la sinistra e il centro.
I bruchi di destra sostenevano che si comincia a mangiare la foglia da destra, i bruchi di sinistra sostenevano il contrario, quelli di centro cominciano a mangiare dove capita.
Alle foglie naturalmente nessuno chiedeva mai un parere.
Tutti trovavano naturale che fossero fatte per essere rosicchiate.
Il buon vecchio gelso nutriva tutti e passava il tempo sonnecchiando, cullato dal rumore delle instancabili mandibole dei suoi ospiti.
Bruco Giovanni era tra tutti il più curioso, quello che con maggiore frequenza si fermava a parlare con il vecchio e saggio gelso.
“Sei veramente fortunato, vecchio mio!” diceva Giovanni al gelso, “Te ne stai tranquillo in ogni caso.
Sai che dopo l’estate verrà l’autunno, poi l’inverno, poi tutto ricomincerà.

Per noi la vita è così breve.

Un lampo, un rapido schioccar di mandibole e tutto è finito!”
Il gelso rideva e rideva, tossicchiando un po’:
“Giovanni, Giovanni, ti ho spiegato mille volte che non finirà così!
Diventerai una creatura stupenda, invidiata da tutti, ammirata…”
Giovanni agitava il testone e brontolava:
“Non la smetti mai di prendermi in giro.
Lo so bene che noi bruchi siamo detestati da tutti.
Facciamo ribrezzo.
Nessun poeta ci ha mai dedicato una poesia.
Tutto quello che dobbiamo fare è mangiare e ingrassare.
E basta!”
“Ma Giovanni,” chiese una volta il gelso, “tu non sogni mai?”
Il bruco arrossì.
“Qualche volta.” rispose timidamente.
“E che cosa sogni?” domandò il vecchio gelso.
“Gli angeli,” disse il bruco, “creature che volano, in un mondo stupendo.”
“E nel sogno sei uno di quelli?” continuò il saggio gelso.
“…Sì.” mormorò con un fil di voce il bruco Giovanni, arrossendo di nuovo.

Ancora una volta, il gelso scoppiò a ridere.

“Giovanni, voi bruchi siete le uniche creature i cui sogni si avverano e non ci credete!” esclamò il vecchio albero.
Qualche volta, il bruco Giovanni ne parlava con gli amici.
“Chi ti mette queste idee in testa?” brontolava Pierbruco, “Il tempo vola, non c’è niente dopo!
Niente di niente.
Si vive una volta sola:
mangia, bevi e divertiti più che puoi!”
“Ma il gelso dice che ci trasformeremo in bellissimi esseri alati…” replicò Giovanni.
“Stupidaggini.
Inventano di tutto per farci stare buoni!” rispondeva l’amico.
Giovanni scrollava la testa e ricominciava a mangiare:
“Presto tutto finirà… scrunch… Non c’è niente dopo… scrunch… Certo, io mangio… scrunch … bevo e mi diverto più che posso… scrunch … ma … scrunch … non sono felice… scrunch…
I sogni resteranno sempre sogni.
Non diventeranno mai realtà.
Sono solo illusioni!” bofonchiava, lavorando di mandibole.
Ben presto i tiepidi raggi del sole autunnale cominciarono ad illuminare tanti piccoli bozzoli bianchi tondeggianti sparsi qua e là sulle foglie del vecchio gelso.
Un mattino, anche Giovanni, spostandosi con estrema lentezza, come in preda ad un invincibile torpore, si rivolse al gelso:
“Sono venuto a salutarti.

È la fine.

Guarda sono l’ultimo.
Ci sono solo tombe in giro.
E ora devo costruirmi la mia!”
“Finalmente!
Potrò far ricrescere un po’ di foglie!
Ho già incominciato a godermi il silenzio!
Mi avete praticamente spogliato!
Arrivederci, Giovanni!” sorrise il gelso.
“Ti sbagli gelso.
Questo… sigh … è… è un addio, amico!” disse il bruco con il cuore gonfio di tristezza, “Un vero addio.
I sogni non si avverano mai, resteranno sempre e solo sogni. Sigh!”
Lentamente, Giovanni cominciò a farsi un bozzolo.
“Oh!” ribatté il gelso, “Vedrai!”
E cominciò a cullare i bianchi bozzoli appesi ai suoi rami.
A primavera, una bellissima farfalla dalle ali rosse e gialle volava leggera intorno al gelso:
“Ehi, gelso, cosa fai di bello?
Non sei felice per questo sole di primavera?”

“Ciao Giovanni!

Hai visto, che avevo ragione io?” sorrise il vecchio albero, “O ti sei già dimenticato di come eri poco tempo fa?”

Parlare di risurrezione agli uomini è proprio come parlare di farfalle ai bruchi.
Molti uomini del nostro tempo pensano e vivono come i bruchi.
Mangiano, bevono e si divertono più che possono: dopotutto non si vive una volta sola?
Nulla di male, sia ben chiaro.
Ma la loro vita è tutta qui.
Per loro, la parola risurrezione non significa nulla.
Eppure non sono felici!

Brano di Bruno Ferrero

La leggenda dei Fichi del Papa

La leggenda dei Fichi del Papa

Una leggenda narra che ad una delegazione di cittadini di Castelli di Monfumo, dovendosi recare in pellegrinaggio a Roma, venne offerta la possibilità di essere accolti dal Papa, in via straordinaria e in udienza privata,
Gli abitanti di questa piccola frazione in provincia di Treviso erano considerati laboriosi e devoti.

I preparativi per questo evento furono intensi.

Dopo lunghe riflessioni pensarono di portare al Papa, come dono più significativo della loro terra, i bellissimi fichi fioroni.
Il giorno dell’udienza gli inservienti del papa, nell’aprire l’involucro che conservava i fichi, constatarono che erano marci ed emanavano un cattivo odore.
Di conseguenza cacciarono i Castellani in malo modo, umiliandoli.
Il Papa, che era un sant’uomo, li richiamò dopo essere stato informato dell’accaduto.

Disse loro:

“Vi ringrazio e vi lodo per quello che volevate donarmi.
Nelle vostre intenzioni volevate offrirmi il frutto più dolce della vostra terra.
Per imparare a giudicare come San Pietro, sto iniziando a valutare anche i propositi e per questa ragione concedo, come premio, a tutto il paese l’indulgenza plenaria dei vostri peccati.”
Tornati a casa chiamarono la varietà in questione i Fichi del Papa e nei ristoranti del luogo, durante la stagione estiva, vengono serviti come tali.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno