La porta verde

La porta verde

La prima volta successe quando aveva sei anni.
Mentre saltellava nel viale, al centro di un lungo muro bianco, vide una porticina verde.
La porta aveva un’aria invitante.
Sembrava dicesse:
“Aprimi, entra.”
Spalancò la porta ed entrò.
Si trovò di colpo nel giardino più incantevole che avesse mai immaginato.
Tutto era immerso in un profumo esaltante, che dava una sensazione di leggerezza, di felicità e di benessere.
E nei colori c’era qualcosa di magico che li rendeva incredibilmente vividi, perfetti, luminosi.

Sentiva di respirare felicità:

non si era mai sentito così bene.
Quando, la sera uscì, si voltò indietro, ma nel muro, malinconico e screpolato, non c’era più nessuna porta.
A casa raccontò quello che gli era successo, ma nessuno gli credette.
Ogni sera, dopo le preghiere ufficiali, però aggiungeva sempre un’accorata preghiera personale.
Ma per quanto vagabondasse non riusciva più a trovare la porta verde.
Dieci anni dopo, era diventato uno studente modello, diligente e impegnato.
Una mattina, mentre si affrettava verso la scuola, si trovò davanti all’improvviso la sua porta.
L’aveva tanto cercata…
Ma non pensò neppure un istante ad entrare.
Era preoccupato solo di non arrivare a scuola in ritardo.
Tornò il giorno dopo ma non trovò più neanche il muro bianco.
Non rivide più la porta verde fino a ventidue anni.
Proprio il giorno in cui doveva sostenere l’esame più importante dell’Università.

Era combattuto tra due opposte volontà:

entrare nel giardino o affrettarsi per dare il suo esame.
Tentennò un attimo, poi scrollò le spalle e ripartì verso l’università.
Si laureò e cominciò una brillante carriera di avvocato.
La sua porta, ora, era la carriera.
Rivide altre volte la porta verde e il muro bianco.
La prima volta stava correndo all’appuntamento con la ragazza che sarebbe diventata sua moglie.
La seconda volta, dopo altri anni ancora, la porta gli si presentò livida sotto la luce dei fari dell’automobile.
Sentì come un dolore acuto al petto.
Ma proprio quella sera aveva un incontro importantissimo con un noto personaggio politico.
La terza volta (era ormai diventato un famoso deputato), vide la porta con la coda dell’occhio.
Stava passeggiando con il ministro di un paese estero.

La sfiorò quasi…

Era a meno di mezzo metro di distanza, ma non poteva certo sparire in quel momento.
L’avrebbero preso per matto.
E poi figurarsi i giornali!
Passarono altri anni.
La nostalgia del giardino incantato si faceva sempre più forte.
Rimpiangeva le volte che non aveva avuto il coraggio di fermarsi ed entrare nella porta verde.
“La prossima volta entrerò di sicuro…
La prossima volta, qualunque cosa accada, mi fermerò…” continuava a ripetere.
Girava e rigirava per la città.
Ogni volta che intravedeva un muro bianco, il suo cuore raddoppiava i battiti.
Ormai viveva soltanto quella porta verde.
Ma non la ritrovò più.

Brano tratto dal libro “L’allodola e le tartarughe.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il bambino, il medico ed il saggio

Il bambino, il medico ed il saggio

Un vecchio saggio fu invitato a parlare in una parrocchia sulla fiducia in Dio.
La chiesa era affollata di adulti, molto attenti.
In prima fila, seduto sulle ginocchia della nonna, c’era un bambino che giocava con un pezzo di carta in mano.
La sua presenza ispirò al vecchio saggio un paragone e disse:
“Vedete questo bambino?
Questo bambino, come del resto tutti noi, ha paura del medico e dei suoi interventi che spesso sono dolorosi!”
A sostegno della sua tesi si rivolse verso il bambino e disse:

“Come ti chiami?”

“Riccardo!” disse il bimbo.
“Riccardo, quanti anni hai?” proseguì allora il saggio.
“Quattro e mezzo!” rispose fiero agitando la manina.
“È vero che tu hai paura del medico?” domandò allora il saggio.
“No! Io non ho paura del medico!” esclamò il bambino.
Sorpreso dalla risposta, il vecchio saggio insistette:

“Ma come!

Non hai paura del medico quando ti prescrive le medicine amare, quando ti fa la puntura… insomma quando ti fa male?
Non hai paura del medico?”
“No! No! Io non ho paura del medico!” rispose il bambino con maggior forza.
Nel frattempo la nonna osservava preoccupata le repliche del nipotino.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto, il vecchio saggio piacevolmente meravigliato dalla reazione del bambino disse:

“Senti, Riccardo.

Saresti contento di venire qui al microfono e dire a me e a tutta questa gente, perché tu non hai paura del medico?”
Riccardo scese dalle ginocchia della nonna, prese il microfono e ad alta voce disse:
“Io non ho paura del medico perché il medico è mio papà!”
Una sonora e gioiosa sorpresa da parte dei presenti accolse l’inattesa risposta.
E la nonna rasserenata confermò:
“Sì, sì. Suo papà fa il medico!”
È il vecchio saggio compiaciuto, rivolgendosi all’assemblea replicò:
“Devo aggiungere altro?
Ora sapete cosa è la fiducia in Dio!”

Brano senza Autore.

Il bambino al concerto di Paderewski

Il bambino al concerto di Paderewski

Volendo incoraggiare il proprio bambino a fare progressi nel suonare il pianoforte, una madre portò il proprio piccolo ad un concerto di Paderewski.
Dopo essersi seduta, la madre vide un’amica nella platea ed andò a salutarla.
Il piccolo, stanco di aspettare, si alzò, attraversò la sala ed arrivò davanti ad una porta su cui c’era scritto:

“Vietato entrare.”

Quando le luci si attenuarono e il concerto stava per iniziare, la madre ritornò al suo posto e vide che suo figlio non era più là.
All’improvviso il sipario si aprì e le luci furono puntate sul grande pianoforte al centro del palcoscenico.
Sgomenta, la madre vide suo figlio seduto tranquillamente davanti al pianoforte mentre suonava il motivetto:

“Mambrù andò alla guerra.”

A quel punto, il grande maestro fece la sua entrata, si recò velocemente al piano e sussurrò all’orecchio del bambino:
“Non smettere, continua pure a suonare.”
Quindi Paderewski stese la mano sinistra e cominciò a suonare la parte del basso.

Poi pose la mano destra vicina a quella del bambino e

vi aggiunse un bell’accompagnamento musicale.
Entrambi, il vecchio maestro e il piccolo apprendista, trasformarono così una situazione imbarazzante in un evento fortemente creativo.
Il pubblico ascoltò emozionato.

Brano senza Autore.

L’ombrello rosso

L’ombrello rosso

Lui era un giovane studioso e serio, lei una ragazza bella e saggia.
E si amavano.
Prima di partire per il servizio militare, lui volle farle un regalo.

Un regalo che le ricordasse il suo amore.

Doveva però fare il conto con le finanze, già messe a dura prova dai libri dell’Università.
Girò per negozi e grandi magazzini.
Dopo mille “prendi e posa” si decise.
Acquistò un enorme ombrello di un bel rosso vivo.
Sotto quel grande ombrello rosso i due ragazzi si diedero il primo addio, si scambiarono la promessa di amore eterno e decisero di sposarsi.

Nella nuova casa, l’ombrello finì in uno sgabuzzino.

Passarono gli anni, arrivarono due figli, le preoccupazioni, qualche tensione di troppo, la noia, i silenzi troppo lunghi.
Una sera, seduti sul divano, lui e lei sbadigliavano davanti alla tv.
Improvvisamente lei si alzò, corse nello sgabuzzino e dopo un po’ tornò con l’ombrello rosso.
Lo spalancò ed una nuvoletta di polvere si sparse nell’aria.

Poi si sedette sul divano con l’ombrello rosso spalancato.

Dopo un lungo istante, lui si accoccolò accanto a lei sotto il grande ombrello.
Si abbracciarono teneramente.
E ritrovarono tutti i sogni smarriti sotto la polvere dei giorni.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Realizzato in Italia (Made in Italy)

Realizzato in Italia
(Made in Italy)

Si fa presto a dire Made in Italy.
In realtà il successo del marchio italiano è l’insieme di tanti fattori:
duro lavoro, buon gusto, innovazione nella tradizione.

Queste sono alcune delle voci di tanti prodotti apprezzati ed invidiati in tutto il mondo.

Io nel mio piccolo ho assistito e contribuito a quello che oggi è un mito universalmente riconosciuto, lavorando in una fabbrica di scarponi da sci e da montagna, appartenenti ad una gamma medio alta.
Ogni scarpone era un’opera d’arte e veniva creato da mani esperte con materiali di primissimo livello e sottoposto a severissimi controlli prima di raggiungere diverse località nel mondo.
Durante uno dei tanti turni di lavoro, un tecnico tedesco venne in magazzino ad ispezionare e a cercare difetti ad una spedizione di scarponi destinata ad una catena di negozi specializzati tedeschi.

Io toglievo gli scarponi dalla scatola e li passavo all’ispettore che,

dopo una minuziosa osservazione, li porgeva ad una ragazza che li rimetteva nella scatola mettendoci sopra un bollino.
Ricordo ancora il tecnico tedesco che, con un grande anello d’oro al dito, severo, incuteva timore.
In uno dei giorni successivi scartò due paia di scarponi.
Restammo perplessi siccome, a nostro avviso, erano privi di difetti.
Inoltre, non conoscendo il tedesco, non potemmo comunicare i nostri dubbi al compratore.

Sopraggiunse il nostro titolare che,

vedendo le scarpe scartate, con un gesto plateale le scaraventò fuori dalla finestra, brontolando contro di noi, ma contemporaneamente, non facendosi notare da tutti gli altri presenti, mi fece l’occhiolino.
Capii al volo cosa avesse voluto dire e mentre il tecnico fu invitato dal titolare stesso alla pausa caffè, io ne approfittai per recuperare gli scarponi e li aggiunsi nuovamente a quelli ancora da ispezionare.
A questo ulteriore controllo fatto con la lente d’ingrandimento non fu riscontrato nessun difetto, perché nel frattempo li avevo puliti.

In questo periodo, il coronavirus sta mettendo a dura prova il sistema produttivo commerciale del nostro paese.
Speriamo che il Made in Italy faccia da volano all’auspicata ripresa e ancora una volta l’Italia stupisca tutto il mondo.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Le tipicità italiane

Le tipicità italiane

L’esperienza vissuta durante il servizio militare mi ha fatto maturare umanamente ed amare ancor di più la bella e varia Italia.
In quel periodo ho avuto modo di conoscere ed apprezzare gli amici meridionali e la loro cultura greco latina.
Facevo parte della III brigata missili a Elvas di Bressanone (Bolzano), base situata sopra ad una montagna, e nell’esercito il mio incarico era quello di condurre di camion.
Per svolgere l’incarico, oltre l’idoneità, non servivano particolari titoli di studio, cosa invece richiesta per gli altri incarichi, visto che dovevano essere effettuati complicati calcoli di lancio, non essendoci la tecnologia di oggi.

La mia brigata era composta prevalentemente da laureati e diplomati,

specialmente del sud, tutta gente intelligente e tranquilla.
L’oggetto che circolava di più all’interno della caserma era il libro.
Avendo tanto tempo libero, mi adoperai a rendere la permanenza, di tutti i miei amici commilitoni, la più gradevole possibile.
Lavavo per bene la camerata e passavo il pavimento con la cera profumata, facendomi, con il mio gesto gratuito, ben volere da tutti.
Quando tornavano dalla licenza mi invitavano a condividere le rispettive tipicità regionali, da me molto apprezzate, scoprendo così gusti e sapori diversi, come ad esempio, i favolosi formaggi, i curatissimi salumi, le buonissime confetture, ecc.

Un vero ben di Dio che ho parzialmente ritrovato in seguito nei marchi IGP e DOP.

Quando fu il mio turno di ritornare dalla licenza, non sapevo precisamente cosa portare.
Mi presentai con delle focacce caserecce e con una bottiglia di grappa Veneta a distillazione lenta alle erbe aromatiche e miele.
Le focaccine furono molto gradite, ma la grappa non fu nemmeno assaggiata e ne rimasi amareggiato.
Trascorso qualche giorno, ci fu un allarme Nato e restammo per due giorni in una foresta,

circondati da neve e ghiaccio, a meno 10 gradi.

Avevo portato con me la mia grappa e la proposi ai miei amici come “antigelo”, visto che erano letteralmente congelati.
La grappa andò a ruba e ricordo che un mio amico campano, diventato più bianco della neve per il gelo, bevendo il mio distillato, improvvisamente, divenne tutto rosso in viso.
Da quel momento il suo soprannome fu Bandiera.
Grande fu la mia soddisfazione per aver contribuito, anche grazie alla mia grappa veneta, all’unità d’Italia, concretizzata da piccoli scambi enogastronomici nel nostro piccolo universo di allora, quello grigio verde.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il papavero e la lumaca

Il papavero e la lumaca

Un papavero fioriva di buon mattino con il calore del sole dei giorni più caldi di primavera.
E spiegava adagio i suoi petali di un bel rosso fiammante.

Purtroppo erano tutti sgualciti come

quelli di ogni papavero che sboccia.
Una lumaca che si trovava in viaggio per raggiungere il campo di grano, osservò:
“Questa specie di fiore poteva fare a meno di sbocciare… così sgualcito e disordinato.

È impresentabile!”

“Hai ragione,” rispose il papavero, “ma avevo fretta di vedere il sole e i campi di grano dove si trovano i miei fratelli papaveri.”
La lumaca lo osservò incredula e gli domandò:

“E tu saresti lo stesso fiore,

voglio dire della stessa specie, di quegli splendidi papaveri rossi e lucenti tra le spighe di grano?”
“Già!” rispose il papavero che andava stirando i suoi petali uno ad uno, e cominciava a diventare bellissimo.
“Ogni cosa vuole il suo tempo.” continuò, “Se tu avessi aspettato un po’, non avresti dato un giudizio così affrettato quanto ingiusto!”

Brano senza Autore.

La nuvola e la duna

La nuvola e la duna

Una nuvola giovane giovane (ma è risaputo che la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri.
Quando passarono sul grande deserto del Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono:
“Corri, corri!
Se ti fermi qui sei perduta!”
La nuvola però era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare intorno a tutto il branco delle nuvole, così simile ad una mandria di bisonti sgroppanti.
“Cosa fai? Muoviti!” le ringhiò dietro il vento.

Ma la nuvoletta aveva visto la dune di sabbia dorata:

uno spettacolo affascinante.
E planò leggera leggera.
Le dune sembravano nuvole d’oro accarezzate dal vento.
Una di esse sorrise.
“Ciao.” disse la nuvoletta.
Era una duna molto graziosa, appena formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma. “Ciao. Io mi chiamo Ola!” si presentò la nuvola.
“Io, Una!” replicò la duna.
“Com’è la tua vita li giù?” chiese la nuvoletta.
“Bè… Sole e vento.
Fa un po’ caldo ma ci si arrangia.
E la tua?” domandò la piccola duna.
“Sole e vento.
Grandi corse nel cielo.

La mia vita è molto breve.

Quando tornerà il gran vento forse sparirò!” rispose la nuvoletta.
“Ti dispiace?” chiese la duna.
“Un po’.
Mi sembra di non servire a niente!” esclamò la nuvoletta, “Mi trasformerò presto in pioggia e cadrò.
È il mio destino!”
La duna esitò un attimo e poi disse:
“Lo sai che noi chiamiamo la pioggia Paradiso?”
“Non sapevo di essere così importante.” rise la nuvola.
“Ho sentito raccontare da alcune vecchie dune quanto sia bella la pioggia.
Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori!” spiegò la piccola duna.
“Oh, è vero.
Li ho visti.” replicò la nuvoletta.
“Probabilmente io non li vedrò mai!” concluse mestamente la duna.

La nuvola rifletté un attimo, poi disse:

“Potrei pioverti addosso io…”
“Ma morirai…” esclamò dispiaciuta la piccola duna.
“Tu però fiorirai…” disse la nuvoletta e si lasciò cadere, diventando pioggia iridescente.
Il giorno dopo la piccola duna era fiorita.

Brano tratto dal libro “L’iceberg e la duna.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La goccia d’acqua e la pianticella

La goccia d’acqua e la pianticella

La nuvola avanzava lentamente:
era piccola, poco più grande di un batuffolo di cotone.
All’interno, due gocce di pioggia stavano litigando furiosamente.
“Ti dico che dovevamo scendere su quel prato!” urlò l’una.
“E così saremmo finite in mezzo al fango!” ribatté l’altra.
“Sua maestà ha paura di sporcarsi?
Preferirebbe forse cadere in una boccetta di profumo?” insistette la prima.
“Sei sciocca e ignorante!” esclamò la seconda.
E rivolgendosi all’altra compagna che se ne stava pacifica e silenziosa ad osservare il paesaggio chiese:
“E tu, cosa ne pensi?”

Costei rispose:

“Credo che ognuna di noi debba seguire le proprie aspirazioni, ricordandoci che il mondo ha bisogno di noi.”
“Giusto!” intervenne la prima, “Ognuna pensi a se stessa!” travisando così le parole della compagna saggia.
La prima a lasciarsi scivolare dalla nuvola fu proprio lei.
Vide uno scoglio e decise di andare a crogiolarsi al sole.
Fatto sta che, poco dopo, cominciò a sudare e all’improvviso scomparve.
Di lei non restò più nulla, neppure il segno sulla roccia.

La seconda, vedendo l’oceano, pensò:

“Qui non mi mancherà la compagnia!” e si lasciò scivolare.
Per qualche tempo passò le sue giornate ridendo, scherzando, ballando insieme alle compagne.
Ma un giorno un’onda l’afferrò con decisione e la mandò a ruzzolare sulla spiaggia.
La sabbia assorbì la goccia e di lei non restò più nulla, nemmeno un’impronta.
Sulla nuvola, intanto, la goccia rimasta aspettava il momento opportuno per scendere sulla terra. Aveva deciso:
“Mi spingerò più a Nord, il vento freddo mi trasformerà in un fiocco di neve e contribuirò a far felici i bambini.”
All’improvviso vide, in un campo arso dal sole, una pianticella quasi appassita.
Questo la rattristò e la commosse.

E cosi decise:

si lasciò scivolare dalla nuvoletta e cadde addosso alla piantina.
Costei si ridestò dicendo:
“Che fresca carezza!
Chi sei?”
“Sono una piccola goccia e sono scesa dal cielo per aiutarti!” rispose.
Poi scomparve nel terreno, fino alle radici.
Subito un fremito percorse l’intera pianticella ed un fiorellino sbocciò, profumando l’aria.

La storia di ogni persona è allo stesso tempo effimera e importante.
Perciò ci conviene vivere in maniera intensa, al di là del nostro piccolo “io”, contribuendo ad arricchire la vita degli altri e lasciandoci impreziosire dalle loro sorprese.

Brano di Don Ezio del Favero

L’acqua della cascata (Il vino in regalo)

L’acqua della cascata
(Il vino in regalo)

Una coppia di giapponesi si sposò in tarda età e, con grande gioia e sorpresa, ebbe un figlio.
Lo allevarono con tutto l’amore e la cura possibile e, pur essendo molto poveri, lo mandarono alla scuola di un saggio perché crescesse anche nello spirito.

Il ragazzo, tornato a casa, aveva un unico desiderio:

sdebitarsi in qualche modo con i suoi genitori.
“Che potrei mai fare,” chiese loro, “di realmente gradito per voi?”
“Niente ci è più caro della tua stessa presenza!” risposero i vecchi, “Se però vuoi proprio farci un regalo, procuraci un po’ di vino.
Ne siamo golosi, e son tanti anni che non ne beviamo un goccio!”
Il ragazzo non aveva un soldo.
Un giorno, mentre andava nel bosco a far legna, attinse con le mani l’acqua che precipitava da un’enorme cascata e ne bevve:

gli parve avesse il sapore del vino più dolce e schietto.

Ne riempì un orcio che aveva con sé e tornò in fretta a casa.
“Ecco il mio regalo!” disse ai genitori, “Un orcio di vino per voi.”
I genitori assaggiarono l’acqua e, pur non sentendo altro gusto che quello dell’acqua, gli sorrisero e lo ringraziarono molto.
“La prossima settimana ve ne porterò un altro orcio!” disse il figlio.
E così fece per molte settimane di seguito.
I genitori stettero al gioco:
bevevano l’acqua con grande entusiasmo ed erano felici di vedere il sorriso fiorire sul volto del figlio.

Avvenne così un fatto:

i loro acciacchi scomparvero e le loro rughe si appianarono, quasi quell’acqua avesse qualcosa di miracoloso.
E in realtà era così:
che cosa rende più giovani i genitori se non il gioire del dono di un figlio, qualunque esso sia?

Leggenda Giapponese.
Brano senza Autore.