Il pane della fratellanza


Il pane della fratellanza

Si racconta di una anziana contadina, di nome Giulia, che viveva in una fattoria con i suoi tre figli, Roberto, Michele e Francesco.
Il marito le era morto durante la guerra.
I tre figli, di cuore buono, erano però sempre pronti a litigare.
Si volevano bene ma, bastava una parola in più ed erano litigi senza fine.
A quel punto interveniva Mamma Giulia e ben presto i figli ritrovavano pace.

La mamma divento vecchia, allora i figli si preoccuparono:

“Mamma, cerca di star sempre bene e di non morire, perché quando litighiamo chi rimetterà la pace fra noi?”
“Ma io dovrò pur morire prima o poi.” rispose la mamma
“Allora,” chiesero i figli “inventa qualcosa perché quando tu non ci sarai più noi potremo rifare pace e volerci bene.”
Mamma Giulia pensò a lungo alla cosa e un giorno prese un foglio, vi scrisse come dovevano essere divisi i campi fra i tre figli e aggiunse alcune raccomandazioni perché andassero sempre d’accordo.
La mamma un giorno si ammalò gravemente e dal suo letto chiamò i figli, consegnò loro il suo testamento, poi prese un pane, ne fece tre parti, ne diede una a ciascuno e raccomandò:

“Mangiate e cercate di volervi bene.”

I figli, commossi, mangiarono il pane della mamma, bagnandolo con le loro lacrime.
Di lì a pochi giorni Giulia morì.
Roberto, Michele e Francesco si divisero serenamente i campi e ognuno si mise a lavorare il suo.
Ma un giorno Roberto e Michele scoprirono che il confine fra i loro campi non era chiaro.
Ben presto si misero a litigare.
Stavano per fare a botte, quando arrivò Francesco.
Egli si mise in mezzo a loro:

“Non ricordate la mamma?

Perché non facciamo come quel giorno che ci ha chiamati al suo capezzale?”
Presero un pane, ne fecero tre parti, ne presero una per ciascuno e si misero a mangiare.
Mentre mangiavano nella mente di Roberto e Michele si riaccese l’immagine della mamma; il suo volto e le sue parole scendevano nel loro cuore come una medicina.
Scoppiarono in un pianto dirotto e fecero pace.
La pace non durava molto, perché occasioni di litigio ne incontravano spesso.
Però avevano imparato la soluzione: ogni volta che si creava un’occasione per litigare, i tre fratelli si sedevano attorno ad un tavolo, prendevano un pane, lo mangiavano insieme; ben presto scompariva la rabbia e tornava la pace.

Brano senza Autore.

Il bambino che scriveva sulla sabbia


Il bambino che scriveva sulla sabbia

Un bambino tutti i giorni si recava in spiaggia e scriveva sulla sabbia:
Mamma ti amo!”; poi guardava il mare cancellare la scritta e correva via sorridendo.
Un vecchio triste, passeggiava tutti i giorni su quel litorale e lo vedeva giorno dopo giorno scrivere la stessa frase, e guardare felice il mare portargliela via.

Fra sé e sé pensava:

“Questi bambini, sono così stupidi ed effimeri.”
Un giorno si decise ad avvicinare il bambino, non avrà avuto più di dieci anni, e gli chiese:
“Ma che senso ha che tu scriva “Mamma ti amo!” sulla sabbia che poi il mare te la porta via. Diglielo tu che le vuoi bene.”
Il bambino si alzò, e guardando l’ennesima scritta cancellata dall’acqua salata disse al vecchio:
“Io non ce l’ho la mamma!

Me l’ha portata via Dio, come fa il mare con le mie scritte.

Eppure torno qui ogni giorni a ricordare alla mamma e a Dio che non si può cancellare l’amore di un figlio per la propria madre.”
Il vecchio si inginocchiò, e con le lacrime agli occhi scrisse:
“Nora. Ti amo!” era il nome della moglie appena morta.
Poi prese il bimbo per mano e assieme guardarono la scritta sparire.

Brano tratto dal libro “La persistenza della memoria.” di Alessandro Bon

Il fratellino


Il fratellino

Una giovane madre era in attesa del secondo figlio.
Quando seppe che era una bambina, insegnò al suo bambino primogenito, che si chiamava Michele, ad appoggiare la testolina sulla sua pancia tonda, e cantare insieme a lei una “ninna nanna” alla sorellina che doveva nascere.
La canzoncina, che faceva “Stella stellina, la notte si avvicina…”, piaceva tantissimo al bambino, che la cantava più volte.
Il parto però fu prematuro e complicato.
La neonata fu messa in una incubatrice per cure intensive.

I genitori trepidanti furono preparati al peggio:

la loro bambina aveva pochissime probabilità di sopravvivere.
Il piccolo Michele li supplicava:
“Voglio vederla! Devo assolutamente vederla!”
Dopo una settimana, la neonata si aggravò ancor di più.
La mamma allora decise di portare Michele nel reparto di terapia intensiva della maternità.
Un’infermiera cercò di impedirlo, ma la donna era decisa ed accompagnò il bambino vicino al lettino ingombro di fili e tubicini, dove la piccola lottava per la vita.
Vicino al lettino della sorellina, Michele istintivamente avvicinò il suo volto a quello della neonata e cominciò a cantare sottovoce:

“Stella stellina, la notte si avvicina…”

La neonata reagì immediatamente.
Cominciò a respirare serenamente, senz’affanno.
Con le lacrime agli occhi, la mamma disse:
“Continua, Michele, continua!”
Il bambino continuò.
La bambina cominciò a muovere le braccine.
La mamma e il papà piangevano e ridevano nello stesso tempo, mentre l’infermiera incredula fissava la scena a bocca aperta.
Qualche giorno dopo, la piccola entrò in casa in braccio alla mamma, mentre Michele manifestava rumorosamente la sua gioia!
I medici della clinica, imbarazzati, definirono l’avvenimento con parole difficili.
Ma la mamma e il papà sapevano che era stato semplicemente un miracolo dell’amore di un fratellino per una sorellina tanto attesa.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero

Il miracolo


Il miracolo

Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie.
Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello.
I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.
Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime:
“Non ce la facciamo più, cara.
Credo sia finita.
Solo un miracolo potrebbe salvarlo.”
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.
Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina.

Attese pazientemente il suo turno.

Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
“Per cos’è?
Che cosa vuoi piccola?” chiese il farmacista.
“È per il mio fratellino, signor farmacista.
È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo.” rispose la bambina.
“Che cosa dici?” borbottò il farmacista.
“Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo.
Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo.” spiegò la bambina.
Il farmacista accennò un sorriso triste ed esclamò:

“Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli!”

“Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora.
Quanto costa un miracolo?” chiese nuovamente la bambina.
C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.
Il farmacista allargò le braccia mortificato.
La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine.
L’uomo si avvicinò a lei e le chiese:
“Perché piangi, piccola?
Che cosa ti succede?”
“Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa…

È per il mio fratellino Andrea che è molto malato.

Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo.
Per questo ho portato tutto quello che ho!” rispose la bambina.
“Quanto hai?” chiese il dottore.
“Un dollaro e undici centesimi… ma, sapete…” aggiunse con un filo di voce: “Posso trovare ancora qualcosa…”
L’uomo sorrise: “Guarda, non credo sia necessario.
Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!”
Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina.
“Portami a casa tua, piccola.
Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno!”

Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.

Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo.
Operò il piccolo Andrea, che poté tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
“Questa operazione,” mormorò la mamma “è un vero miracolo.
Mi chiedo quanto sia costata…”
La sorellina sorrise senza dire niente.
Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi…
più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero

La coperta


La coperta

La piccola coperta bianca che lo aveva scaldato nella culla non lo aveva lasciato.
Era minuscola, un po’ lisa, e lo accompagnava dovunque.
Se proprio era costretto a starle lontano, il bambino pretendeva che il piccolo rettangolo di stoffa bianca fosse in un luogo visibile.
Piegata o arrotolata nello zainetto colorato lo seguiva a scuola.

La piccola coperta bianca era come la sua ombra.

Quando, dopo mille insistenze, la mamma riusciva convincerlo a mettere la coperta in lavatrice, il bambino si sedeva inquieto davanti all’oblò dello sportello e aspettava, senza perderla d’occhio un istante.
La sorellina di poco più grande lo canzonava per questa mania, ma al bambino non importava.
La coperta era il suo talismano segreto, il suo scudo, la sua protezione.
Un giorno, il papà annunciò che per motivi di lavoro doveva affrontare un lungo viaggio in aereo.

Per il bambino era una novità.

La vigilia della partenza, trascinando la sua coperta, seguì preoccupato tutti gli spostamenti del papà, fissandolo con apprensione durante la preparazione della valigia.
“Papà, non cadono mai gli aerei?” chiese preoccupato il bambino.
“Quasi mai!” rispose il papà.
“Quello che prendi tu è un aereo bello grosso, vero?” prosegui il bambino.
“Certo. Il più grosso di tutti.” lo rassicurò il papà.
“E sta su anche se c’è la bufera?” chiese ancora il bambino.
“Di sicuro.” e così dicendo il papà cercò di tranquillizzare il bimbo.
“Tu però stai attento. C’è il paracadute?” riprese nuovamente il bimbo.
“Ma sì, bimbo mio.” esclamò dolcemente il papà.
Il padre partì e l’aereo arrivò in orario.
L’uomo si sistemò in albergo, ma quando aprì i bagagli rimase di stucco.
In cima a tutto, nella valigia, c’era la piccola coperta bianca del suo bambino.

Allarmato, telefonò immediatamente alla moglie:

“E’ capitata una cosa terribile, non so come sia potuto succedere ma la coperta del bambino è qui nella mia valigia!
Come facciamo?”
“Stai tranquillo!” rispose la moglie.
“Poco fa il bambino mi ha detto:
Non preoccuparti, mamma.
Ho dato a papà la mia coperta:
non gli succederà niente!”

Brano tratto dal libro “Diciassette storie col nocciolo.” di Bruno Ferrero

La storia della forchetta


La storia della forchetta

Una giovane donna seppe improvvisamente di avere una malattia terribile e che le restavano solamente tre mesi di vita.
Quindi chiamò il parroco per le sue ultime volontà.
Scelse gli abiti da indossare, la musica, le parole e le canzoni.
Quando finì di parlare con il parroco, lo trattenne per un braccio dicendogli:

“C’è un’altra cosa…”

“Dica.” rispose gentilmente il parroco.
“Questo è importante.
Voglio che mi si sotterrino con una forchetta nella mano destra!”
Il parroco rimase molto sorpreso.
“La cosa la meraviglia, vero?” chiese la giovane donna.
“Per essere sincero sono piuttosto perplesso dalla sua richiesta!” esclamò il parroco.
Ed allora iniziò a spiegare il perché al parroco:
“Dunque! Mia nonna mi ha raccontato questa storia ed io ho sempre provato a trasmettere questo messaggio a tutti quelli che amo ed hanno bisogno di incoraggiamento.
In tutti i miei anni di partecipazione ad eventi sociali e pranzi ricordo che sempre c’era qualcuno che rivolgendosi a me diceva:

“Tenga la sua forchetta!”

ed era il momento che preferivo, perché sapevo che qualcosa di meglio sarebbe arrivato, come una torta, una mousse al cioccolato o una torta di mele.
Qualcosa di meraviglioso e di sostanza.”
Quando la gente mi vedrà nella cassa da morto con una forchetta nella mano, voglio che si chieda:
“Perché quella forchetta?” ed allora lei potrà rispondere:
“Tenete sempre la vostra forchetta in mano perché il meglio deve ancora arrivare!” e dicendo questo, la giovane donna terminò la propria spiegazione.

Il parroco, con le lacrime agli occhi, la strinse forte per darle l’arrivederci, pur sapendo che molto probabilmente non la avrebbe rivista mai più viva.

E pensando inoltre che quella giovane donna aveva un’idea del paradiso migliore sia della sua che di tanta altra gente.
Lei sapeva che qualcosa di meglio sarebbe successo.
Ai funerali la gente sfilava davanti alla cassa della giovane donna, dove si potevano notare sia il suo bel vestito che la forchetta nella mano destra.
Tutto ad un tratto il parroco sentì l’attesa domanda:
“Perché la forchetta?” e sorrise.
Durante la predica, il parroco raccontò la conversazione avuta con la giovane donna alla vigilia della sua morte e raccontò loro la storia della forchetta dicendo che non riusciva a smettere di pensarci e che da quel momento in poi anche loro, ogni qual volta avessero avuto nella mano una forchetta, si sarebbero dovuti ricordare che il meglio doveva ancora avvenire.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Per favore vestitemi di rosso


Per favore vestitemi di rosso

Nella mia duplice professione di educatrice e di assistente sanitaria, ho lavorato con numerosi bambini affetti dal virus che provoca l’AIDS.
Il rapporto che ho avuto con questi bambini è stato un dono della mia vita.
Mi ha insegnato tante cose, ma ho imparato soprattutto che il grande coraggio si trova negli involucri più piccoli.
Vi racconterò di Tyler.
Tyler nacque affetto da HIV; anche sua madre era infetta.
Fin dal principio della sua vita Tyler dovette ricorrere alle medicine per sopravvivere. (…)

A volte aveva bisogno anche di ossigeno supplementare per sostenere la respirazione.

Tyler non era disposto a cedere neanche un istante della sua infanzia a questa malattia mortale.
Non era insolito trovarlo a giocare e correre attorno al cortile, portando lo zaino pieno di medicine sulla schiena e trascinando la bombola di ossigeno nel suo carretto.
Tutti noi che conoscevamo Tyler ci meravigliavamo della sua gioia pura nell’essere vivo e dell’energia che questa gli dava.
La mamma di Tyler lo prendeva in giro dicendogli che lui si spostava tanto velocemente che lei avrebbe dovuto vestirlo di rosso.
In quel modo, quando dava un’occhiata fuori della finestra per controllarlo quando giocava in cortile, l’avrebbe individuato rapidamente.

La temuta malattia alla fine logorò anche una piccola dinamo come Tyler.

Il bambino si ammalò gravemente e purtroppo si ammalò anche sua madre, affetta da HIV.
Quando divenne chiaro che Tyler non sarebbe sopravvissuto, sua madre gli parlò della morte.
Lo confortò dicendogli che anche lei stava morendo e che presto sarebbe stata con lui in cielo.
Pochi giorni prima di morire, Tyler mi chiamò al suo letto d’ospedale e mi sussurrò:
“Morirò presto.
Non ho paura.
Quando muoio, per favore vestitemi di rosso.
La mamma ha promesso di venire anche lei in cielo.
Io starò giocando quando arriverà lei, e voglio essere sicuro che mi trovi.”

Brano di Cindy Dee Holms

La parabola dei vetri colorati


La parabola dei vetri colorati

Uscirono dalla vetreria lo stesso giorno.
Gli operai le trattarono con attenzione e cautela.
Le impilarono tra morbidi panni e poi le riposero in una cassa immerse di soffici materiali antiurto.
Erano sei lastre di vetro colorato.
Lastre blu, verde, fucsia, giallo, rosso, viola.
Blu: “Avete visto come ci trattano?”
Giallo: “Siamo certamente tra le cose più preziose dell’universo!”
Rosso: “I migliori tra i migliori però siamo noi!
Siamo il colore del sangue, della vita, della lotta!”
Verde: “I rossi si credono sempre speciali!”
Fucsia: “Sono solo dei palloni gonfiati!”

La cassa fu chiusa, sollevata, caricata su qualcosa di veloce e puzzolente.

Le lastre, timorose e sorprese, tacquero per un po’.
Il viaggio fu lungo, ma alla fine la cassa tornò ad essere posata sulla salda terra e aperta.
Tutte: “Finalmente un po’ d’aria!”
Si trovavano in un grande stanzone, formicolante di operai indaffarati.
Uno di essi afferrò la prima lastra, quella blu, e tracciò sulla sua superficie degli strani ghirigori.
Blu: “Ehi! Smettila di farmi il solletico!”
Ma l’uomo impugnò uno strumento affilato e cominciò a tagliare la lastra in frammenti di varie dimensioni.
Blu: “No! Non rompermi, non rompermi!”
Tutte: “Qui ci fanno a pezzi!”
Rosso: “Facciamo sciopero!”
Ma non servì a niente.
Una dopo l’altra furono fatte a pezzi.

Solo la lastra viola, facendo finta di niente, riuscì a nascondersi dietro un armadio.

Gli operai raccolsero i pezzi di vetro e li disposero attentamente su un grande tavolo.
Un pezzo rosso e uno giallo si trovarono a contatto e cominciarono a litigare.
“Non voglio stare vicino a questo qui!” protestavano il pezzo giallo e quello rosso.
“State lontano profeti di sventure!” gridavano i gialli ai verdi.
Ma i solerti operai non avevano finito e tra frammento e frammento fecero scorrere una lama ardente di piombo fuso che saldò in modo indissolubile un pezzo di vetro all’altro.
Questa volta i pezzi di vetro colorato non ebbero neanche la forza di protestare.
Si rassegnarono.
Il loro destino era segnato per sempre.

Seguirono altri trasferimenti, altre sistemazioni.

Si trovarono in una specie di cantina buia, sotto una grande volta.
“Qui siamo tutti uguali: grigi e squallidi. Così va la vita!” sospirò un pezzo di giallo.
Giocarono un po’ agli indovinelli per passare il tempo ma si annoiavano e si addormentarono.
Poi arrivò la luce.
Furono svegliati da una sfilza di ” ohhhhhhhh ohhhhhh ohhhhh!”
Meravigliati, videro davanti a loro una folla che si accalcava con il naso all’insù.
Gli occhi della gente erano sgranati per lo stupore.
E nei loro occhi i vetri si rispecchiavano e poterono vedersi per la prima volta.
Ammutolirono per la sorpresa:
erano diventati una sbalorditiva vetrata multicolore che rappresentava una splendida Madonna con il bambino Gesù in braccio.

La luce del sole, che li aveva inondati, faceva risaltare ogni colore in tutta la sua intensità.

“Gente, siamo una bomba!” gridarono i rossi.
“Tutti insieme, effettivamente facciamo un certo effetto.” replicarono i verdi.
“Puoi ben dirlo, fratello!” esclamò il giallo.
Non aveva mai chiamato ‘fratello’ nessuno.
Finalmente i pezzi di vetro, nel loro piccolo colorato cuore, erano felici e appagati.
Insieme avevano capito il motivo per cui erano stati creati.
E la lastra viola?
La trovarono alcuni mesi dopo, dietro l’armadio.
Era coperta di polvere e, non sapendo che farsene, la buttarono nella discarica.

Brano di Bruno Ferrero

I gomitoli colorati


I gomitoli colorati

C’era una volta in una piccola città un negozio chiamato Arcobaleno perché sui suoi scaffali erano allineati tanti soffici gomitoli di lana di tutti i colori, giallo, rosso, verde, azzurro…
…un vero arcobaleno!
Però questi gomitoli non facevano che litigare fra di loro.
“Io, il giallo, sono il più bello perché ho il colore del sole e del risotto allo zafferano!”
“No, io, l’azzurro, perché ho il colore del cielo!”

“Ed io, il rosso, ho il colore di un bel campo di papaveri!”

E così via, finché un giorno, la padrona del negozio, stanca di tutto quello strepitare, decise di cercare qualcuno che mettesse fine a tanti litigi.
Si presentarono tanti bambini, tutti armati di grossi e tondi ferri da maglia…
Incominciarono a prendere chi un gomitolo, chi un altro e iniziarono a lavorare.
Arrivò anche qualche nonna ad aiutarli.

I gomitoli, prima sorpresi e preoccupati, capirono presto che nessuno di loro era il più bello, ma che lo sarebbero diventati tutti, unendosi uno con l’altro.

Così cominciarono a saltare da un bimbo all’altro.
Un po’ di rosso qua, due giri di blu là, un tocco di verde, un po’ di bianco…
Sapete come andò a finire la storia?
Nacquero copertine, sciarpe e golfini multicolori che servirono a riscaldare i bambini di tutto il mondo ed i gomitoli, felici di essere serviti a questo non litigarono mai più.
Bisogna sempre tessere con i colori della storia umana.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia dei colori


La storia dei colori

In principio i colori non esistevano, Dio aveva già creato il mondo, il cielo, il mare, le montagne, le piante, i fiori e gli animali.
Era tutto a posto, ma tutto in bianco e nero.
La fantasia del Creatore però non poteva accontentarsi di un mondo così monotono e triste, e dal suo Amore fece esplodere la brillantezza del verde, lo splendore del giallo, la profondità del blu, il calore del rosso e tutti gli altri colori così belli e diversi che è impossibile descriverli.
Appena nati i colori erano pieni di entusiasmo e scorrazzavano felici a prendere possesso del creato, ma le cose non erano per niente semplici:
l’azzurro riempì subito il cielo e il giallo colorò il sole, ma presto arrivò il grigio e li scacciò, portando un sacco di nuvole, poi cadde la notte e venne il blu e poi il nero.

Il verde andò sulle foglie e sulle piante ma quando arrivò l’autunno dovette cedere il posto al giallo, al marrone, al rosso.

I colori cominciarono a litigare tra di loro, perché non erano capaci di stare insieme, ognuno voleva tutto per sé e non accettava le presenza degli altri: anche gli animali si trovavano a cambiare il colore della pelliccia o delle piume, con strani accostamenti oppure macchie e striature a causa della guerra tra i colori.
Poco alla volta la situazione peggiorò fino a diventare insostenibile:
tutto cambiava di colore vorticosamente e non si poteva fissare gli occhi un attimo su qualcosa che subito cambiava di colore.
I colori stessi, in origine così vivi e brillanti, avevano perso la loro bellezza e procuravano nausea.
“Ora basta!” disse il Padreterno!
“Non posso lasciare il mondo in questo stato!” e con tutto l’impegno di cui era capace creò l’arcobaleno.

Era più bello di qualunque cosa si potesse mai immaginare, e subito i colori smisero la loro folle giostra per fermarsi a contemplare la nuova creatura.

Poi tutti vollero farne parte, e con immensa meraviglia scoprirono che c’era un posto preciso per ciascuno:
il rosso accanto al giallo, in mezzo l’arancione, poi il verde, l’azzurro il blu… con mille altre nuove sfumature una più bella dell’altra!
Era incredibile, ma i colori avevano fatto pace!
Dopo la tempesta che aveva sconvolto il creato ora andavano tutti d’accordo, con gioia si cedevano il passo l’un l’altro, si prendevano per mano in accostamenti da sogno, si abbracciavano contenti per creare nuove tinte; il mondo era colorato dall’armonia dell’Amore.
Anche oggi i colori vivono in pace ed armonia; talvolta per ricordare l’origine della loro concordia (o per insegnarla ad altri) si riuniscono festanti nell’arcobaleno:
la gioia dei nostri occhi e del nostro cuore, magico ponte che unisce il cielo e la terra, l’anima e il corpo, il passato e il futuro.

Brano senza Autore, tratto dal Web