Dipende dalle mani in cui si trova

Dipende dalle mani in cui si trova

Un pallone di basket nelle mie mani vale 20 euro.
Nelle mani di Michael Jordan vale circa 30 milioni di euro.
Dipende dalle mani in cui si trova.

Una palla da baseball nelle mie mani vale 4 euro.
Nelle mani di Mark McGuire vale circa 17 milioni di euro.

Dipende dalle mani in cui si trova.

Una racchetta da tennis nelle mie mani è praticamente inutile.
Nelle mani di Venus Williams è la vittoria in un torneo.
Dipende dalle mani in cui si trova.

Un bastone nelle mie mani tiene lontano un animale selvatico.
Un bastone, nelle mani di Mosè, divise il Mar Rosso.

Dipende dalle mani in cui si trova.

Una fionda nelle mie mani è un giocattolo per bambini.
Una fionda nelle mani di Davide è un’arma straordinaria.
Dipende dalle mani in cui si trova.

Due pesci e cinque pani nelle mie mani sono una buona merenda.
Due pesci e cinque pani nelle mani di Dio sfamano moltitudini di popoli.

Dipende dalle mani in cui si trovano.

I chiodi nelle mie mani possono produrre una cuccia per cani.
Nelle mani di Gesù Cristo producono salvezza per il mondo intero.
Dipende dalle mani in cui si trovano.

Come vedi, tutto dipende dalle mani in cui gli oggetti si trovano.
Allora, metti i tuoi ragionamenti, le tue preoccupazioni, le tue paure, le tue speranze, i tuoi sogni, la tua famiglia e i tuoi rapporti con gli altri nelle mani di Dio, perché…
Dipende dalle mani in cui si trovano.

Brano senza Autore

I quattro fratelli “saggi”

I quattro fratelli “saggi”

Quattro saggi reali erano alla ricerca di una specializzazione in cui non avessero nessuno alla pari.
Si dissero l’un l’altro:
“Perlustriamo la terra e impariamo la scienza massima!”
Così, dopo aver concordato un luogo per un appuntamento futuro, i quattro fratelli si mossero, ciascuno in una direzione diversa.

Il tempo passò.

Dopo un anno, un mese e un giorno, i quattro fratelli si incontrarono nel luogo stabilito e si chiesero l’un l’altro cosa avessero imparato.
“Io ho imparato una scienza,” disse il primo, “che rende possibile, anche se possiedo solo un pezzetto d’osso di un essere vivente, di creare subito la carne che lo ricopre!”
“Io,” disse il secondo, “so come far crescere la pelle di quell’essere e anche il pelo, se quell’osso è ricoperto di carne!”

Il terzo disse:

“lo sono capace di creare le membra, se ho la carne, la pelle e la pelliccia!”
“Ed io,” concluse il quarto, “so come dar vita a quella creatura se la sua forma è completa di membra!”
A questo punto, i quattro fratelli andarono nella giungla per trovare un pezzo d’osso che dimostrasse la loro specialità.
Non fu difficile.

Fatti pochi passi, trovarono un osso e lo raccolsero.

Non si chiesero a che razza di animale fosse appartenuto.
Erano così presi dalla loro scienza che non ci pensarono neppure.
Uno aggiunse carne all’osso, il secondo creò la pelle ed il pelo, il terzo lo completò con membra adatte ed il quarto diede vita ad … un leone.
Scuotendo la folta criniera, la belva si levò con fauci minacciose, denti aguzzi e mascelle spietate e balzò sui suoi creatori.
Li uccise tutti e svanì soddisfatto nella giungla.

Brano senza Autore.

La volpe ed il bramino

La volpe ed il bramino

C’era una volta un bramino, un sacerdote dell’India, un po’ ingenuo e molto buono.
Il religioso si muoveva spesso per andare a celebrare cerimonie religiose in luoghi lontani ed isolati.
Un giorno decise di andare a predicare in un villaggio lontano, per raggiungerlo dovette passare attraverso una foresta.
Lungo il cammino incontrò un leone rinchiuso in una gabbia.
Il bramino provò pietà per l’animale e decise di liberarlo, nonostante sapesse che i leoni potevano mangiare gli uomini.

Il leone gli disse:

“Ti giuro che non mangerei mai il mio benefattore!”
Così il buon bramino lo liberò.
A quel punto l’animale disse:
“Come hai potuto pensare che dicessi la verità?
Ho fame e ti mangerò!”
Allora il bramino gli chiese:
“Prima di mangiarmi, sentiamo cosa ne pensa questo albero!”

L’albero rispose:

“Gli uomini sono cattivi.
Io offro loro riparo e refrigerio, e loro per tutta ricompensa mi tagliano e mi uccidono.
Per me lo puoi mangiare!”
Il bramino decise di chiedere un altro parere:
poco lontano, in una radura, c’era un asino che stava brucando… gli fecero la stessa domanda e l’asino rispose:
“Gli uomini?
Creature perfide!
Ci sfruttano tutta la vita, e quando siamo vecchi ci abbandonano.
Mangialo pure!”
In quell’ istante, videro che stava arrivando una volpe:
“Chiediamo anche a lei, disse il bramino, e se anche lei dirà di mangiarmi, potrai mangiarmi!”

La volpe guardò i due e disse:

“Voi mi state prendendo in giro:
ma come faceva un leone così ciccione a stare in una gabbia così piccola?”
Il leone, un po’ alterato, rispose che invece era possibile, e la volpe continuò:
“Sì, e io vi credo!
Figuriamoci un po’… secondo me, mi state prendendo in giro!”
Arrabbiato, il leone entrò nella gabbia e immediatamente la volpe chiuse la porta di ferro e l’assicurò con la sbarra; poi si rivolse al bramino e disse:
“Nella vita non basta essere buoni e bravi, ci vuole sempre un po’ d’astuzia!”
Quel giorno il bramino non andò al villaggio, ma ritornò a casa a meditare su quello che aveva imparato dall’astuta volpe.

Fiaba Indiana
Brano senza Autore.

Le mani di Dio

Le mani di Dio

Un maestro viaggiava con un discepolo incaricato di occuparsi del cammello.
Una sera, arrivati a una locanda, il discepolo era talmente stanco che non legò l’animale.
“Mio Dio,” pregò coricandosi,

“prenditi cura del cammello: te lo affido!”

Il mattino dopo il cammello era sparito.
“Dov’è il cammello?” chiese il maestro.
“Non lo so!” rispose il discepolo.

“Devi chiederlo a Dio!

Ieri sera ero così sfinito che gli ho affidato il nostro cammello.
Non è certo colpa mia se è scappato o è stato rubato.
Ho esplicitamente domandato a Dio di sorvegliarlo.

È Lui il responsabile.

Tu mi esorti sempre ad avere la massima fiducia in Dio, no?”
“Abbi la più grande fiducia in Dio, ma prima lega il tuo cammello.” rispose il maestro, “Perché Dio non ha altre mani che le tue!”

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

L’asino ed il bue

L’asino ed il bue

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla.
Per primo, naturalmente, si presentò il leone:
“Solo un re è degno di servire il Re del mondo!” ruggì, “Io mi piazzerò all’entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!”

“Sei troppo violento!” disse l’angelo.

Subito dopo si avvicinò la volpe.
Con aria furba e innocente, insinuò:
“Io sono l’animale più adatto.
Per il figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele migliore e il latte più profumato.
Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!”
“Sei troppo disonesta!” esclamò l’angelo.
A testa alta e con il petto in fuori, splendente, arrivò il pavone.

Sciorinò la sua magnifica ruota color dell’iride:

“Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella dei palazzo di Salomone!”
“Sei troppo vanitoso!” disse l’angelo.
Passarono, uno dopo l’altro, tanti animali ciascuno magnificando il suo dono.
Invano.
L’angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene.
Vide però che l’asino e il bue continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della grotta.

L’angelo li chiamò:

“E voi non avete niente da offrire?”
“Niente!” rispose l’asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie, “Noi non abbiamo imparato niente oltre all’umiltà e alla pazienza.
Tutto il resto significa solo un supplemento di bastonate!”
Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse:
“Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code!”
L’angelo finalmente sorrise:
“Voi siete quelli giusti!”

Brano senza Autore.

Il galletto, il gatto ed il topolino

Il galletto, il gatto ed il topolino

Un Topolino inesperto, che non conosceva ancora nessuna delle insidie che riserva il mondo, un giorno corse il rischio di essere catturato e raccontava alla mamma la sua brutta avventura in questo modo:
“Mi dirigevo verso le montagne che circondano il paese e camminavo veloce come un qualunque topolino che voglia dimostrarsi abile e coraggioso,

quando ad un certo momento mi accorsi di due strani animali che erano sulla strada.

Uno di questi sembrava tranquillo e di bell’aspetto, l’altro invece era agitato, fiero e turbolento, aveva sul capo un elmo di un bel rosso fuoco e, ogni tanto, apriva le due braccia nel tentativo di spiccare il volo.
Questo strano animale aveva una voce stridula e feroce ed una coda simile ad un pennacchio, ricca di piume e di colori.”
Il Topolino intendeva parlare di un gallo, ma lo dipinse in un modo così strano, neppure fosse un’orca, uno sciacallo o un animale misterioso.

Poi continuò:

“Avessi visto, mamma, si batteva i fianchi con le due braccia, strillava e faceva un chiasso tale che sembrava il diavolo in persona.
Io stesso che, grazie a Dio, sono coraggioso, ho provato una paura tale che ho seriamente pensato di fuggire.
Ma, subito dopo, mi sono pentito perché avrei veramente avuto il desiderio di fare amicizia con quell’animale così gentile.
Aveva infatti il pelo liscio e striato, simile al velluto, quasi come il nostro, una coda morbidissima e bellissima, e uno sguardo così mite e luminoso che ognuno potrebbe innamorarsene.
Credo che sarebbe molto amato anche fra i topi.
Che cosa pretendi oltre a questo?

Aveva perfino le orecchie come le abbiamo noi.

Se non ci fosse stata quell’altra bestia a ricacciarmi indietro, gli sarei corso tra le braccia.”
“Male per te, figliuolo,” gli disse la madre, “perché quell’animale grazioso e gentile, sotto quelle false apparenze è un nemico crudele, mentre l’altro che ti ha fatto così paura è un animale innocuo… Il Gatto invece, che ti è sembrato così mite, divora i topi come fossero gustose polpette.
Finché vivrai non dimenticare che non è saggio giudicare la gente dall’apparenza.”

Brano tratto dal libro “Le Fiabe degli Animali.” di Jean de La Fontaine. Fratelli Melita Edizioni.

L’uccelletto (L’uccello in Chiesa)

L’uccelletto
(L’uccello in Chiesa)
(a fine pagina troverete l’audio ed il video di questo brano, narrato da Andrea Bocelli, tratto da Youtube)

Era d’agosto e un povero uccelletto,
ferito dalla fionda d’un maschietto,
andò, per riposare l’ala offesa,
sulla finestra aperta d’una chiesa.

Dalle tendine del confessionale
il parroco intravide l’animale
ma, pressato dal ministero urgente,
rimase intento a confessar la gente.
Mentre in ginocchio alcuni, altri a sedere

dicevano i fedeli le preghiere,

una donna, notato l’uccelletto,
lo prese al caldo e se lo mise al petto.
D’un tratto un cinguettio ruppe il silenzio e il prete a quel rumore
il ruolo abbandonò di confessore
e scuro in viso peggio della pece
s’arrampicò sul pulpito e poi fece:

“Fratelli, chi ha l’uccello, per favore,
esca fuori dal tempio del Signore.”
I maschi, un po’ stupiti a tal parole,
lenti s’accinsero ad alzar le suole.
Ma il prete a quell’errore madornale

“Fermi!” gridò, “mi sono espresso male.

Rientrate tutti e statemi a sentire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire.”

A testa bassa, la corona in mano,
cento donne s’alzarono pian piano.
Ma mentre se n’andavano ecco allora
che il parroco strillò: “Sbagliate ancora!
Rientrate tutte quante, figlie amate,
ch’io non volevo dir quel che pensate.”
“Ecco, quello che ho detto torno a dire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire,
ma mi rivolgo, non ci sia sorpresa,

soltanto a chi l’uccello ha preso in chiesa.”

Finì la frase e nello stesso istante
le monache s’alzaron tutte quante,
e con il volto pieno di rossore
lasciavano la casa del Signore.
“Oh Santa Vergine!” esclamò il buon prete,
“Fatemi la grazia, se potete!”
Poi: “Senza fare rumore dico, piano piano,
s’alzi soltanto chi ha l’uccello in mano.”
Una ragazza, che col fidanzato
s’era messa in un angolo appartato,
sommessa mormorò, col viso smorto:
“Che ti dicevo? Hai visto? Se n’è accorto!”

Brano di Trilussa

Il cigno e la rana vanitosa

Il cigno e la rana vanitosa

C’era una volta, in un verde stagno, una verde ranocchia convinta di essere l’animale più bello tra tutti gli animali.
Tutto il giorno stava a pavoneggiarsi e gonfiava il petto orgogliosa del suo aspetto.
Un giorno nello stagno le si avvicinò un cigno, dal collo lungo e dalle piume candide come la neve.

La rana impertinente gli disse:

“Spostati! Che mi fai ombra e non riesco a vedere la mia suprema bellezza riflessa nello stagno!”
Il cigno, un po’ perplesso si spostò un po’ più in là e si mise ad osservare cosa faceva la ranocchia.
Questa stava tutto il tempo a rimirare la sua immagine riflessa nell’acqua e a dire:
“Sono bella, sono bellissima, sono la più bella creatura del creato, e sono verde, verdissima, la più verde delle creature e guarda come si gonfia il mio petto!”

Il cigno davvero incredulo le si avvicinò un’altra volta e le chiese con molta cortesia:

“Scusami rana, ma credo che tu stia un pochino esagerando; certo sei bella tra le rane, ma di sicuro non sei la più bella tra le creature del creato.”
La rana indispettita sfidò il cigno:
“Credi questo?
Pensi di essere più bello di me?
Allora faremo una gara di bellezza e vedremo chi è il più bello tra noi due!”
Il cigno cercò in ogni modo di rifiutare, persino chiese scusa alla rana, certo non intendeva offenderla, ma tanto insistette la creatura vanitosa che al fine il cigno cedette.
Così chiamarono a raccolta tutti gli animali dello stagno e d iniziarono ad interrogarli:

“Chi è il più bello tra noi due?”

Naturalmente tutti dicevano che più bello era il cigno, ma la rana non potendo accettare la sconfitta continuava a gonfiare il petto, credendo di apparire più bella.
Si gonfiò tanto, ma tanto che alla fine esplose!
Il cigno che era buono e che mai avrebbe voluto concludere a quel modo la gara decise allora di seppellire il povero animale straziato e sulla sua tomba scrisse:
“Qui giace la rana più bella che io abbia mai visto.”

Brano tratto dal libro “40 Racconti di Animali.” Edizione Rusconi Libri.

L’asinello vanitoso

L’asinello vanitoso

C’era una volta in un paesello in collina un asinello bianco che si chiamava Isaia.
Era un asinello assolutamente comune, uguale a tutti gli altri non più alto non più basso di tutti gli altri asinelli, ma data la disponibilità e gentilezza del suo padrone ogni anno Isaia veniva scelto per portare la statua del santo in processione per il paese.
Anche quell’anno gli fu affidato quel compito e subito Isaia iniziò a vantarsi con gli altri animali della fattoria:
“Sono il più bello di tutti gli animali del paese e per questo tutti mi guardano e mi ammirano!”
Il giorno della processione sulla groppa dell’asinello fu posizionata la statua del santo e il cammino per le strade del paese iniziò, ma iniziò anche Isaia a vantarsi:

“Tutti mi guardano perché sono il più bello.

Le donne del paese mi lanciano petali di fiori quando passo.
I bambini si inchinano.
Gli uomini mi aprono la strada ossequiosi.”
Gli altri animali non ne potevano davvero più, tutto il giorno a vantarsi, ed in più Isaia, convinto della sua superiorità non voleva più saperne di lavorare come tutti gli altri.
Il padrone si rese conto del gran disagio che si stava creando e così decise di parlare al suo asino vanitoso:
“Isaia, durante la processione la gente non guarda te, ma guarda il Santo!”

“Non è possibile!

Io sono l’animale più bello del paese!” replicò l’asino.
“Basta Isaia,” disse il padrone, “questa storia deve finire!”
Così quando arrivò il giorno della processione il padrone, senza nulla dire, prese il maiale, lo pulì per bene e ci caricò in groppa la statua del Santo.
La gente del paese lo guardava ammirata, le donne gli lanciavano petali di fiori, i bambini si inchinavano e gli uomini gli aprivano la strada ossequiosi.

Allora Isaia capì.

Non era lui che la gente guardava e ammirava.
Da quel giorno l’asinello imparò a essere meno vanitoso e a rispettare gli altri animali della fattoria.

Brano senza Autore, tratto dal Web