La pazienza dei fiori di pesco

La pazienza dei fiori di pesco

C’era una volta una prospera comunità di alberi da frutto che viveva sul dolce declivio di una collina.
I loro frutti erano splendide e succose pesche.
In primavera, i loro fiori formavano una morbida nuvola rosa, che faceva la gioia dei viandanti.
In mezzo ai peschi di lungo corso, era spuntato un giovane pesco, che cresceva vigoroso.
Quando le giornate di inizio Marzo si fecero tiepide, il giovane pesco cominciò a chiedere:
“È ora?
Possiamo fiorire?”

“Porta pazienza, ragazzo!

È presto!
Possono ancora venire venti freddi, ed anche qualche gelata…
Aspetta, verrà anche la tua ora!” gli diceva il vecchio ed esperto pesco, accanto a lui.
Brontolando, il giovane pesco annuiva, ma gonfiava le sue gemme.
“Sono solo invidiosi, perché sono vecchi!” rimuginava tra sé.
Una delle prime sere di Marzo, illuminata da un sole particolarmente dolce, il giovane pesco tornò a chiedere:
“Adesso, posso fiorire?”

Il vecchio pesco rispose:

“No, ragazzo mio!
Non è ancora primavera.
È probabile che vengano ancora giorni di freddo!”
Il giovane pesco sbottò:
“Uffa! Voi grandi, siete tutti così!
Sempre con i vostri stai attento qui, aspetta là, abbi pazienza…
Sono stufo, delle vostre lagne! C’è un bel sole, e decido io per me!”
Ed i boccioli del giovane pesco esplosero, in magnifici fiori rosa.

“Guarda, quel pesco: è già fiorito!

È bellissimo!” dicevano i passanti, ammirati.
Sulla collina, era l’unico pesco fiorito, e tutte le attenzioni e l’ammirazione della gente erano solo per lui.
Il giovane pesco si pavoneggiò, esultante!
Il sole di Marzo purtroppo durò poco ed il giorno seguente una lama di aria gelida annientò crudelmente i suoi fiori, così come i suoi sogni.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il principe senza fiaba

Il principe senza fiaba

C’era una volta un principe senza fiaba, che vagava disperato nel paese delle fiabe, alla ricerca di una storia dove poter fare la sua comparsa anche lui.
Non era facile, però: la Bella Addormentata aveva già il suo principe e così Biancaneve, Cenerentola, Pelle d’ Asino, la Sirenetta… c’ erano fin troppi principi nel paese delle fiabe.
Allora tentò il tutto per tutto:
salì sul suo cavallo magico e volò fino sulla terra, per ascoltare le fiabe che le mamme narravano ai loro bambini, sperando di trovarne una adatta per lui.
Tutto inutile!
Non solo erano sempre le stesse fiabe, ma erano sempre più piene di principi e re e magari si trattava di principi coraggiosissimi, capaci di combattere draghi spaventosi e tutto il resto!
Sconsolato, una sera si fermò vicino ad una stanzetta con la luce fioca, dove una mamma e il suo bambino stavano soli in silenzio.
La mamma veramente non era proprio in silenzio: piangeva piano e ogni tanto provava a dire qualche parola, ma non le riusciva di raccontare nessuna fiaba, perché il bambino era tanto malato e la mamma, sempre più triste, non poteva ricordare più nulla.

“Quanto sono stupido, a preoccuparmi tanto per una fiaba!” pensò il principe.

“Questa mamma ha motivi di tristezza assai più seri dei miei… se posso, proverò ad aiutarla.”
Per tranquillizzarla un po’, prese un pizzico di polverina del sonno e gliela passò sugli occhi… non appena la mamma li ebbe chiusi, si avvicinò alla culla e prese in braccio il bimbo.
“Vuoi venire con me, e volare con il mio cavallo magico?” chiese gentilmente.
“Ehh, Guh!” rispose il bimbo contento e partirono insieme.
Volarono su, fin nel cielo più alto, fino dalle stelle e tutte le stelline che incontravano li salutavano allegre.
“Che bel bambino!” dicevano le stelle.
“E’ il bambino più bello che abbiamo mai visto!

Posso prenderlo in braccio?”

Il principe rise e lasciò che la stellina più giovane prendesse in braccio il bimbo e subito tutte le altre furono lì attorno a ridere e a scherzare, perché le stelle sono sempre molto allegre e trovavano il principe molto carino e simpatico e il suo cavallo doveva essere certo il più veloce del cielo.
“Cos’è tutto questo chiasso?” esclamò d’improvviso la Luna, illuminando la notte con il suo faccione tondo e vide il bimbo che giocava in mezzo alle stelline, ridendo come loro.
“Via tutte, sciocchine!” s’arrabbiò la Luna.
“I bambini così piccoli a quest’ ora devono dormire: ci penserò io.”
E tutto d’un tratto, da quella grassona che era, si fece bellissima e sottile come una modella e con la forma giusta per prendere in braccio il bimbo e cullarlo dolcemente, mentre le stelline in coro intonavano la ninna nanna.
Era un coro così dolce che il bambino s’addormentò subito e s’addormentarono anche il principe ed il suo cavallo magico; dormivano così profondamente che si accorsero appena del rumore che fece il sole, sbadigliando per alzarsi: se ne accorsero invece le stelline, che subito presero a strillare:

“Il sole, il sole!

Scappiamo, abbiamo fatto tardi!”
“Sempre così, queste monelle!” brontolò la Luna.
“Cantano e ballano e non pensano mai a niente.
Per fortuna ci sono qua io: presto, bel principe, il piccino deve tornare a casa prima che la mamma si svegli.”
“Sì, signora Luna.” rispose il principe, con un inchino, perché, essendo un principe, era molto educato.
Riprese il bimbo e, veloce più del vento, lo riportò sulla terra, dove lo mise nella culla un istante prima che la mamma aprisse gli occhi.
“Ehe ! Ahh, Ohh!” disse il bimbo, per raccontare alla mamma dov’era stata quella notte, ma la mamma non l’ascoltò neppure.

“Piccolo mio, stai bene!” gridò tutta contenta, “Sei guarito, finalmente!”

Lo prese in braccio, lo riempì di baci e cominciò a cantare.
Il principe strizzò l’occhio al suo cavallo:
“Qualche bacetto spetterebbe anche a noi.
Questa mamma è proprio carina.”
“Andiamo a riposare!” lo esortò il cavallo magico, “Ci siamo stancati anche troppo.”
“Va bene, va bene,” acconsentì il principe, “ma questa sera torniamo, per aiutare un’ altra mamma con un bambino malato:
c’è più soddisfazione che a cercare una fiaba vuota.”
Il cavallo magico nitrì energicamente, per far capire che era d’accordo; e quella sera trovarono un bambino ancora più malato, e lo portarono sul fondo del mare, dove i cavallucci marini si misero in cerchio a fare la giostra solo per lui, mentre le ostriche e i granchi suonavano la musica con i loro gusci.
Da quella volta, il principe senza fiaba continua a tornare sulla terra, per portare i bimbi malati nei posti più belli del mondo delle fiabe; ed i bambini sono così contenti che quando tornano sono guariti, e non si ammalano più.

Brano senza Autore

Gli auguri

Gli auguri

Il piccolo Carlo era un bambino timido e tranquillo.
Un giorno arrivò a casa e disse a sua madre che avrebbe voluto preparare una cartolina di San Valentino per tutti i suoi compagni di classe.
La madre istintivamente esclamò:
“Ma no! Non è il caso!”
Ogni giorno osservava i bambini quando tornavano a casa a piedi da scuola.

Il suo Carlo arrancava sempre per ultimo.

Gli altri ridevano e formavano un’allegra e rumorosa combriccola.
Ma Carlo non faceva mai parte del gruppo.
La madre decise di aiutare il figlio e acquistò cartoncini e pennarelli.
Per tre settimane, sera dopo sera, Carlo illustrò meticolosamente trentacinque cartoline di San Valentino.
Giunse il giorno di San Valentino e Carlo era fuori di sé per l’emozione.

Le accatastò con cura, le mise nello zainetto e corse fuori.

La madre decise di cucinargli il suo dolce preferito e farglielo trovare con una tazza di cioccolata calda per quando sarebbe tornato a casa da scuola.
Sapeva che sarebbe rimasto deluso e forse in questo modo gli avrebbe alleviato il dolore.
Avrebbe dato una cartolina a tutti, ma lui non ne avrebbe ricevuta nemmeno una.
Quel pomeriggio preparò la torta e la cioccolata.
Quando udì il solito vociare dei bambini, guardò fuori della finestra.
Stavano arrivando, ridendo e chiacchierando come al solito.
E come sempre l’ultimo era Carlo.

Da solo.

Entrò in casa quasi di corsa e buttò lo zainetto su una sedia.
Non aveva niente in mano e la madre si aspettava che scoppiasse in lacrime.
“La mamma ti ha preparato la torta e la cioccolata!” disse, con un nodo in gola.
Ma lui quasi non sentì le sue parole.
Passò oltre, il volto acceso, dicendo forte:
“Neanche uno. Neanche uno!”
La madre lo guardò incerta.
E il bambino aggiunse:
“Non ne ho dimenticato neanche uno, neanche uno!”

Brano tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” di Bruno Ferrero

Ditelo prima

Ditelo prima
(“Perché io ho bisogno di te!”)

Lui era un omone robusto, dalla voce tonante e i modi bruschi.
Lei era una donna dolce e delicata. Si erano sposati.
Lui non le faceva mancare nulla, lei accudiva la casa ed educava i figli.
I figli crebbero, si sposarono, se ne andarono.
Una storia come tante.
Ma, quando tutti i figli furono sistemati, la donna perse il sorriso, divenne sempre più esile, non riusciva più a mangiare e in breve non si alzò più dal letto.

Preoccupato, il marito la fece ricoverare in ospedale.

Vennero al suo capezzale medici e specialisti famosi.
Nessuno riusciva a scoprire il genere di malattia.
Scuotevano la testa e dicevano: “Mah!”
L’ultimo specialista prese da parte l’omone e gli disse:
“Direi semplicemente che sua moglie non ha più voglia di vivere!”.
Senza dire una parola, l’omone si sedette accanto al letto della moglie e le prese la mano.

Una manina sottile che scomparve nella manona dell’uomo.

Poi, con la sua voce tonante, disse deciso: “Tu non morirai!”
“Perché?” chiese lei, in un soffio lieve.
“Perché io ho bisogno di te!” rispose lui.
“E perché non me l’hai detto prima?” domandò lei.
Da quel momento la donna cominciò a migliorare.
E oggi sta benissimo. Mentre medici e specialisti continuano a chiedersi che razza di malattia avesse e quale straordinaria medicina l’avesse fatta guarire così in fretta.

Non aspettare mai domani per dire a qualcuno che l’ami.

Fallo subito.
Non pensare:
“Ma mia madre, mio figlio, mia moglie lo sa già!”
Forse lo sa.
Ma tu ti stancheresti mai di sentirtelo ripetere?
Non guardare l’ora, prendi il telefono:
“Sono io, voglio dirti che ti voglio bene!”
Stringi la mano della persona che ami e dillo:
“Ho bisogno di te!
Ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene!”
L’amore è la vita.
Vi è una terra dei morti e una terra dei vivi.
Chi li distingue è l’amore.

Brano tratto dal libro “Quaranta Storie nel Deserto.” di Bruno Ferrrero. Edizione ElleDiCi.

Il genio e le richieste impossibili

Il genio e le richieste impossibili

Un uomo passeggiando in un bosco alla ricerca di funghi, si imbatté nella più perfetta ed antica lampada ad olio; iniziò subito a strofinarla e apparve il Genio.
L’uomo chiese:
“Posso avere i miei tre desideri?”
Il genio rispose:
“No! A causa dei cattivi tempi, della recessione, della globalizzazione, dell’inflazione, degli scioperi e di tutti gli altri problemi mondiali, oggi come oggi posso offrirti un solo desiderio da esaudire.”

L’uomo prese allora una cartina geografica e disse:

“In tal caso, vorrei la pace in Medio Oriente.
Vedi la cartina?
Vorrei che questi Paesi smettessero di farsi la guerra!”
Il Genio guardò la cartina e replicò:
“Ma accidenti, questi paesi sono in guerra da tempi lontanissimi!

Non credo di poterci fare niente, sono potente ma non così tanto!

Non pensarci neppure.
Neanche se chiedessi l’aiuto del mio Maestro potrei riuscire a realizzare questo desiderio.
Lascia perdere!
Dai, chiedimi qualcos’altro.”
L’uomo pensò per qualche altro minuto e disse:

“Non sono mai riuscito a trovare la donna giusta:

una donna sensibile, dolce e affettuosa, capace di rispettare il suo uomo, che sappia cucinare e farsi carico dei lavori domestici senza lamentarsi continuamente, che sia una brava amante e che non abbia mai il mal di testa, che non passi tutto il tempo a fare spese o a guardare la moda in tv, che non sia sempre nervosa, che mi tratti con amore e che non mi tradisca.”
E il genio sospirando:
“… dai qua, fammi rivedere un po’ la cartina…”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Mamma, corriamo attraverso la pioggia?

Mamma, corriamo attraverso la pioggia?

Una piccola bambina, tutta lentiggini, chiara immagine dell’innocenza, che non doveva avere più di sei anni, aveva trascorso tutto il giorno con la sua mamma in un supermercato.
Mentre si preparavano a ripartire cominciò a piovere a catinelle.
Eravamo tutti davanti alla porta, a guardare la pioggia.
Attendevamo, alcuni con pazienza, altri irritati, che la natura ci riportasse al solito ritmo.
Mi ha sempre incantato la pioggia così come l’odore che provoca.
Mi perdo davanti al cielo gocciolante che lava la sporcizia e la polvere di questo mondo.
La voce di questa bambina era molto dolce e ruppe il mio sogno ipnotico con questa innocente frase:

“Mamma, corriamo attraverso la pioggia?”

“No, amore. Aspettiamo che smetta di piovere.” rispose la mamma pazientemente.
La bimba aspettò un altro minuto, e ripeté:
“Mamma, corriamo attraverso la pioggia?”
E la mamma le disse:
“Ma se lo facciamo, ci inzupperemo!”
“No, mamma, non ci bagneremo.
Non è così che hai detto questa mattina a papà?” fu la risposta della bimba.
“Questa mattina?
Quando mai ho detto che possiamo passare attraverso la pioggia e non bagnarci?” chiese la mamma.

“Non ti ricordi?

Quando parlavi con papà del suo cancro, gli hai detto che se Dio ci fa passare per questa prova può farci passare attraverso qualunque cosa.” rispose amorevolmente la bambina.
Eravamo tutti in assoluto silenzio.
Non si sentiva altro che il rumore della pioggia.
Nessuno entrò o uscì dal supermercato nei minuti seguenti.
La mamma si fermò a pensare un momento su cosa avrebbe dovuto rispondere.
Pensò che quello era un momento cruciale nella vita della piccola bambina:
era un momento in cui l’innocenza e la fiducia potevano venir motivate in modo da rifiorire, un giorno, in una fede incrollabile.
“Amore, hai proprio ragione!

Corriamo attraverso la pioggia.

E se Dio permette che ci inzuppiamo, può darsi che sappia che abbiamo bisogno di una ripulita!”
Uscirono di corsa.
Noi stavamo tutti in piedi a guardarle mentre correvano attraverso il parcheggio calpestando tutte le pozzanghere.
Si inzupparono.
Ma non furono le sole.
Le seguirono tutti ridendo come bambini mentre correvano verso le proprie auto.
Ho corso anche io.
E anche io mi sono inzuppata/o.
Darsi una ripulita può essere divertente!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il vecchio violino

Il vecchio violino

A una vendita all’asta, il banditore sollevò un violino.
Era graffiato e scheggiato.
Le corde pendevano allentate e il banditore pensava non valesse la pena perdere tanto tempo con il vecchio violino, ma lo sollevò con un sorriso.
“Che offerta mi fate, signori?” gridò, “Partiamo da… cento (100) euro!”
“Centocinque!” disse una voce.
Poi centodieci.

“Centoquindici!” disse un altro.

Poi centoventi.
“Centoventi euro, uno; centoventi lire, due; centoventi…”
Dal fondo della stanza un uomo dai capelli grigi avanzò e prese l’archetto.
Con il fazzoletto spolverò il vecchio violino, tese le corde allentate, lo impugnò con energia e suonò una melodia pura e dolce come il canto degli angeli.

Quando la musica cessò, il banditore, con una voce calma e bassa, disse:

“Quanto mi offrite per il vecchio violino?”
E lo sollevò insieme con l’archetto.
“Mille euro, e chi dice duemila euro? Duemila euro! E chi dice tremila euro? Tremila euro, uno; tremila euro, due; tremila e tre, aggiudicato!” disse il banditore.
La gente applaudì, ma alcuni chiesero:

“Che cosa ha cambiato il valore del violino?”

Pronta giunse la risposta:
“Il tocco del maestro!”

Siamo vecchi strumenti impolverati e sfregiati.
Ma siamo in grado di suonare sublimi armonie.
Basta il tocco del Maestro.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Il cavallo e il saggio


Il cavallo e il saggio

Si racconta che il bel cavallo di un saggio un giorno sfondò la porta della stalla e fuggì via.
Ai vicini di casa che andarono da lui per compatirlo rispose con un dolce sorriso:

“Magari è un bene.”

Sei mesi dopo il cavallo fece ritorno insieme a dieci cavalli selvaggi che lo avevano eletto a capo branco.
Quando i vicini di casa accorsero a congratularsi con lui, il saggio rispose:

“Magari è un male.”

Il figlio del saggio cercò di domare uno di quei cavalli.
Ma il cavallo indomito lo scaraventò per terra.
Il giovane si ruppe una gamba e rimase zoppo per tutta la vita.

Il saggio disse ai vicini venuti a consolarlo:

“Magari è un bene.”
Scoppiò la guerra e tutti i ragazzi del villaggio furono costretti ad arruolarsi nell’esercito, tutti tranne il figlio del saggio, perché era zoppo.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Un amore eterno



Un amore eterno

Il mio dolce marito, John, ed io, eravamo sposati da quarantasei anni.
Ogni giorno di San Valentino lui era solito mandarmi i più bei fiori con un biglietto con cinque semplici parole:

“Il mio amore per te cresce.”

Quattro figli, quarantasei bouquet e una vita d’amore furono l’eredità che mi lasciò quando morì due anni fa.
Il mio primo San Valentino sola, dieci mesi dopo averlo perso, fui scioccata nel ricevere un meraviglioso bouquet indirizzato a me… da John.
Arrabbiata e con il cuore spezzato, chiamai il fiorista dicendo che c’era stato un errore.

Il fiorista replicò:

“No, madame, non è un errore.
Prima che morisse, suo marito pagò per molti anni e chiese a noi di garantirgli che questi bouquet le sarebbero stati regalati ogni giorno a San Valentino.”
Con il cuore in gola, riattaccai il telefono e lessi il biglietto.

Diceva:

“Il mio amore per te è eterno.”

Brano composto da Sue Johnston

L’Usignolo e la Rosa. (L’Usignolo e l’Amore)


L’Usignolo e la Rosa.
(L’Usignolo e l’Amore)

Un giovane studente si lamentava poiché nel proprio giardino non c’era una sola rosa rossa.
Ah, da quali sciocchezze dipende la felicità!
Ho letto gli scritti di tutti i sapienti, conosco tutti i segreti della filosofia, ma nonostante ciò la mancanza di una rosa rossa sconvolge la mia vita!
“La donna che amo ha detto che ballerà con me solo se le porterò delle rose rosse, ma in tutto il giardino non c’è una sola rosa rossa!”
Anche l’usignolo lo ascoltava commosso.
“Il principe dà un ballo domani sera!” singhiozzava ad alta voce l’uomo “Io e lei siamo stati invitati.
Se le porterò una rosa rossa ballerà con me fino all’alba.
Ma non v’è rosa rossa nel mio giardino, e così me ne starò tutto solo e lei mi passerà davanti senza degnarmi di uno sguardo.
Non si curerà di me e il mio cuore si spezzerà.”
“Ecco uno che sa veramente amare!” disse l’usignolo “Quello che io canto, egli lo soffre:
quello che per me è gioia, per lui è dolore.

L’amore è una cosa meravigliosa:

è più prezioso di smeraldi e diamanti.
Non si può comprare con perle e pietre preziose.
Non è venduto al mercato; non ci sono mercanti o bilance per l’amore.”
“Ballerà con tutti, ma non con me.
Perché non ho da offrire una rosa rossa!” si disperò l’uomo buttandosi nell’erba e coprendo il proprio viso con le mani.
“Perché piange?” chiese una lucertolina marrone, passandogli accanto di corsa, con la coda in aria.
“Già, perché piange?” chiese una farfalla che svolazzava dietro a un raggio di sole.
“Sì, perché?” sussurrò una primula alla sua vicina con una voce dolce, sommessa.
“Piange per una rosa rossa!” rispose l’usignolo.
“Per una rosa rossa?” esclamarono “Che cosa ridicola!”
La lucertolina, che era un po’ cinica, sghignazzò senza ritegno.
Ma l’usignolo capiva il segreto del dolore dell’uomo e se ne stette silenzioso, sulla quercia, a riflettere sul mistero del dolore.

D’un tratto spalancò le ali brune e si librò in aria.

Attraversò il boschetto come un’ombra, e come un’ombra veleggiò attraverso il giardino.
Al centro del prato c’era un bel rosaio, e quando lo vide l’usignolo si posò su uno dei suoi rami.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono bianche!” rispose “Bianche come la spuma del mare, e più bianche della neve sui monti.
Ma va’ da mio fratello, che cresce intorno alla vecchia meridiana, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò fino al rosaio che cresceva intorno alla vecchia meridiana.
“Dammi una rosa rossa,” implorò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni!”
Ma il rosaio scosse i rami.
“Le mie rose sono gialle!” rispose “Gialle come l’asfodelo che fiorisce nei campi, gialle come grano.
Ma va’ da mio fratello che fiorisce sotto la finestra dell’uomo, e forse lui ti darà quello che cerchi.”
Così l’usignolo volò al rosaio che cresceva sotto la finestra dell’uomo.
“Dammi una rosa rossa,” esclamò “e ti canterò la più dolce delle mie canzoni.”

Ma il rosaio scosse i rami.

“Le mie rose sono rosse,” rispose “più rosse del corallo.
Ma l’inverno mi ha gelato le vene, la neve mi ha distrutto i germogli e la tempesta mi ha spezzato i rami: non avrò nemmeno una rosa”.
“Una rosa rossa è tutto quello che voglio!” gridò l’usignolo “Solo una rosa rossa!
Non esiste un modo per procurarmela?”
“Una maniera c’è,” rispose il rosaio “ma è così terribile che non ho il coraggio di dirtela!”
“Dimmela,” disse l’usignolo “io non ho paura”.
“Se vuoi una rosa rossa,” disse il rosaio “devi tingerla con il tuo sangue.
Devi cantare per me col petto contro una delle mie spine.
Tutta la notte devi cantare per me, e la spina deve trafiggerti il cuore,
e il tuo sangue deve scorrere nelle mie vene e diventare mio.”
“La morte è un prezzo alto da pagare per una rosa rossa!” disse l’usignolo “La vita è bella e cara tutti.
Eppure l’amore è più grande della vita.
E che cos’è mai il cuore di un uccello in confronto al cuore di un uomo?”
Si librò in volo e ritornò dall’uomo, che continuava a disperarsi.
“Sii felice!” gli gridò l’usignolo “Sii felice!

Avrai la tua rosa rossa.

La tingerò io con il sangue del mio cuore.
In cambio ti chiedo solo di essere sincero nel tuo amore.”
L’uomo alzò il capo, ma naturalmente non capiva nulla di quello che l’usignolo diceva.
Ma la quercia capì e si rattristò, perché amava molto l’usignolo che aveva costruito il proprio nido in mezzo ai suoi rami.
“Cantami un’ultima canzone,” sussurrò “sarò tanto sola quando tu non ci sarai più!”
L’usignolo cantò per la quercia e la sua voce sembrava acqua zampillante da una fonte d’argento.
L’uomo se ne andò, sbuffando:
“L’usignolo ha una bella voce, ma certamente nessun sentimento.
Pensa solo al canto, alle belle note.
Non gliene importa niente degli altri.

Sono tutti così gli artisti!”

Andò nella sua stanza, si distese sul letto e, pensando alla sua amata, si addormentò.
Quando in cielo si accese la luna, l’usignolo volò al roseto e mise il petto contro una spina.
Tutta la notte cantò, col petto contro la spina.
Anche la fredda luna di cristallo si chinò e ascoltò.
Tutta la notte cantò, e la spina gli penetrò sempre più profondamente nel petto, mentre il sangue della vita scorreva via.
Sbocciò una rosa meravigliosa, rossa come il sole d’oriente, rossa più di un rubino.
Ma la voce dell’usignolo si affievolì.
Le sue piccole ali cominciarono a tremare e un velo di dolore gli annebbiò gli occhi.
La sua voce meravigliosa si spense in un’ultima esplosione di trilli, mentre la rosa meravigliosa spalancava i petali alla fredda aria del mattino.
“Guarda, guarda!” gridò il rosaio.
“La rosa è finita ora!”
Ma l’usignolo non rispose, perché giaceva morto nell’erba alta.
A mezzogiorno, l’uomo aprì la finestra e guardò fuori.
“Ehi, ma che fortuna incredibile!” esclamò.
“Qui c’è una rosa rossa!
Non ho mai visto una rosa così in tutta la vita.
Così bella che di sicuro deve avere un lungo nome latino!”

Si spenzolò dalla finestra e la colse.

Poi corse alla casa della donna dei suoi sogni con la rosa in mano.
“Hai detto che avresti ballato con me se ti avessi portato una rosa rossa!” esclamò l’uomo.
“Ecco la rosa più rossa del mondo.
La porterai stasera sul cuore, e quando balleremo insieme ti dirò quanto ti voglio bene!”
Ma la donna si accigliò.
“Non mi serve più.
Non si intona con il mio vestito.
E poi il nipote del banchiere mi ha mandato dei gioielli veri, e tutti sanno che i gioielli costano molto più dei fiori!”
“Sei solo un’ingrata!” disse rabbioso l’uomo.
E gettò la rosa nella strada.
La rosa rossa finì in una pozzanghera e la ruota di un carro la schiacciò.
“L’amore non esiste!” concluse l’uomo.
E tornò a casa.
Si chiuse dentro la sua stanza, prese lo dallo scaffale un vecchio libro polveroso, e si mise a leggere.

Brano tratto dal libro “Il principe felice e altri racconti.” di Oscar Wilde