Lettera di un anziano padre al figlio

Lettera di un anziano padre al figlio

Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi, abbi pazienza con me:
ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnarti queste cose.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere.

Ascoltami.

Quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare.
Ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico.
Ho speso molta pazienza per insegnarti l’ABC e le prime addizioni.
Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non ti innervosire:

la cosa più importante non è quello che dico, ma il mio bisogno di essere lì con te ed averti davanti a me mentre mi ascolti.

Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso.
Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto, non arrabbiarti.
Un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo.

Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.

Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa, allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te.
Aiutami a camminare, aiutami ad arrivare alla fine dei miei giorni con amore, affetto e pazienza.
In cambio io ti darò sorrisi e l’immenso amore che ho sempre avuto per te.
Ti amo, figlio mio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Quei cari vecchietti…



Quei cari vecchietti…

All’età di novantadue anni nonna Fritz viveva ancora nella sua vecchia casa di campagna a due piani, preparava le fettucine fatte in casa e faceva il bucato con il vecchio strizzatoio nello scantinato.

Sempre da sola coltivava anche il suo orto,

grande abbastanza da sfamare tutta la contea di Bentos, usando soltanto una zappa e una vanga.
I suoi figli settantenni la sgridavano affettuosamente quando insisteva per tagliare l’erba del grande prato davanti casa con la sua vecchia e antiquata falciatrice.

“Ma faccio questi lavori solo al mattino presto o la sera,

quando é più fresco,” spiegava la nonna “e mi metto sempre il cappello.”
I suoi figli provarono un certo sollievo quando vennero a sapere che la nonna aveva cominciato a partecipare ai pranzi del centro anziani della zona.

“Si,” ammise la nonna mentre sua figlia annuiva soddisfatta “cucino per loro.

Sai, quei cari vecchietti sono così contenti!”

Brano tratto dal libro “Una tisana calda per l’anima delle donne.” di LeAnn Thieman

La nostra storia…


La nostra storia…

Più va avanti il tempo e più tutta questa storia ci coinvolge in pieno perché vediamo che c’è in giro molta gente che viene coinvolta nella stessa maniera, non è una questione di età, ci sono persone di qualsiasi età e questo da più senso alla storia, alla nostra storia, che poi è la storia anche delle persone che camminano, vivono, sorridono, etc…

Introduzione alla canzone “Io Vagabondo” nell’album “Ma che film la vita”. Augusto Daolio, Nomadi

Il giovane albero e l’indipendenza


Il giovane albero e l’indipendenza

Gli alberelli ormai si tenevano su da soli e sentivano il naturale desiderio di indipendenza, per questo volevano liberarsi dai sostegni che il contadino gli aveva messo alla base quando erano alberi piccini.
“Vi spostate?” chiese un alberello ai suoi sostegni, “Ora posso stare su da solo.”
I due sostegni lo guardarono dispiaciuti, dicendo:
“E questo è il tuo ringraziamento? Ti sosteniamo da quando eri un verde ramoscello.
Lo so, lo so e ve ne sono grato ma adesso posso andare avanti da solo.” disse l’alberello.

Mai i due sostegni non lo vollero lasciare e continuarono a volerlo strettamente abbracciare.

L’albero crebbe ugualmente ma con la convinzione che ciò che era divenuto dipendeva dal sostegno che aveva ricevuto.
E quando il sostegno non ci fu più, l’alberello non credendo in se stesso, restò basso.
Un altro alberello fece la stessa richiesta ma mentre stava per dire ai suoi sostegni di spostarsi, si accorse che di sostegno in realtà ne aveva uno solo e che si spostava instancabile un po’ di qua e un po’ di la, per dargli sempre la giusta direzione.

L’alberello ne fu commosso, il suo sostegno essendo da solo aveva imparato a camminare e a spostarsi da una parte all’altra, facendosi in due ed a volte in quattro.

Il sostegno lo liberò dal suo abbraccio, sapeva che quello era il momento del balzo verso l’indipendenza e si poteva fare solo con un pizzico di incoscienza, di cui l’età giovanile era l’essenza.
Da lì in poi l’alberello continuò a crescere e divenne alto e proteso al cielo, non ebbe mai dubbi sulle sue capacità ed andò avanti senza alcuna difficoltà.
Il suo sostegno ogni giorno doveva alzare il capo al cielo per scorgerne la cima, ed ogni giorno lo vedeva più grande di prima.
La giovinezza era la culla dell’incoscienza ma questo apparente eccesso madre natura lo aveva volutamente concesso, anche il primo volo degli uccellini era dall’incoscienza contaminato altrimenti per paura nessun uccello avrebbe mai volato.

Brano di Cleonice Parisi

L’amore senza età


L’amore senza età

 

Erano circa le ore 8:30, quando un anziano signore ottantenne è arrivato per rimuovere dei punti di sutura dal pollice della mano.
Egli ha dichiarato che aveva fretta dato che aveva un appuntamento alle ore 9.00.
Ho verificato i suoi segni vitali e l’ho fatto accomodare.
Sapevo che ci sarebbe voluto più di un’ora prima che qualcuno potesse occuparsi di lui.
L’ho visto controllare l’orologio con ansia e ho deciso di controllare la sua ferita perché non ero occupato con un altro paziente.
La ferita era guarita bene.

Quindi, ho parlato con uno dei medici per rimuovere i punti di sutura.
Abbiamo iniziato a conversare mentre mi prendevo cura della sua ferita.
Gli ho chiesto se avesse un altro appuntamento medico dopo, dato che aveva molta fretta.
Il signore mi ha detto di no e ha risposto che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie.
Mi ha detto che sua moglie si trovava nella casa di cura da un po’ di tempo, poiché era affetta dal morbo di Alzheimer.
Gli ho chiesto se la moglie si sarebbe preoccupata se fosse stato un po’ in ritardo.
Mi ha risposto che lei non lo riconosceva più già da cinque anni.

Allora, ho esclamato:
“E ancora vai ogni mattina, anche se lei non sa chi sei?”
Lui ha sorriso, mi ha accarezzato la mano e ha detto:
“Lei non mi conosce, ma io so ancora chi è!”
Ho dovuto trattenere le lacrime.
Ho avuto la pelle d’oca, e ho pensato:
“Questo è il genere di amore che voglio nella mia vita.”

Brano senza Autore, tratto dal Web