Le oche nel cortile (Adagiarsi)

Le oche nel cortile (Adagiarsi)

Le oche del cortile avevano un rito settimanale a cui tenevano molto.
In quel giorno facevano il bagno nello stagno, si lisciavano con cura le penne, facevano abluzioni e gargarismi, si lustravano il becco e poi dondolando e ancheggiando si radunavano in un angolo dell’aia, all’ombra di un vecchio salice piangente.

Là, il reverendo e saggio “ocone”,

erede della luminosa tradizione della “Eroica Comunità delle Oche”, chiudeva gli occhi e con voce commossa rievocava i tempi in cui le oche si levavano in volo in formazione a “V” per sfidare i venti e le distanze, solcando i cieli.
Rievocava le eroiche imprese delle oche che avevano attraversato l’oceano, superando terribili tempeste, e narrava di quando le oche volavano senza riposare per giorni e giorni,

magnifiche, vigorose e resistenti.

Parlava delle oche gloriose che avevano dato la vita per la salvezza dello stormo.
Le oche del cortile si commuovevano, piangevano, battevano le ali.
Ma, appena sentivano il gorgogliare del pasto che il pastore rovesciava nella vasca,

tutte si affrettavano verso il cibo, dondolando e ancheggiando.

Beate e soddisfatte.
Senza alzarsi da terra neanche un centimetro.

Brano senza Autore

Le oche in formazione a V (Incoraggiarsi)

Le oche in formazione a V (Incoraggiarsi)

Gli stormi di oche selvatiche hanno ripreso, come in passato, ad apparire anche nei nostri cieli!
Le oche volano in formazione triangolare, una formazione a “V”.
Si dispongono in modo che allo sbattere delle ali di ognuna si crei una spinta,

dal basso verso l’alto, per quella subito dietro!

In questo modo l’intero stormo aumenta l’autonomia di volo del settantun per cento, rispetto ad un uccello che voli, invece, da solo.
Così le oche percorrono migliaia di chilometri!
Quando la prima oca si stanca si sposta lateralmente ed un’altra oca prende il suo posto alla guida.

Gli stormi in volo fanno un chiasso terribile:

volando le oche gridano per incoraggiare quelle davanti a mantenere la velocità!
C’è anche un particolare importante, anzi fondamentale.
Quando un’oca esce dalla formazione perché si ammala o viene ferita, altre due oche escono insieme a lei e la seguono fino a terra,

per prestarle aiuto e protezione!

Rimangono con l’oca caduta finché non è in grado di riprendere il volo, oppure, finché non muore.
Soltanto allora riprendono il volo per raggiungere, di nuovo, il loro stormo!

Brano senza Autore

Peppino e la torre maledetta

Peppino e la torre maledetta

C’era una volta un villaggio costruito in una valle lunga e stretta, in mezzo a montagne alte e rocciose, che si spalancavano qua e là in distese di prati e di pascoli.
Gli abitanti del villaggio erano moderatamente soddisfatti:
le loro mucche e le loro pecore erano ben pasciute, latte e formaggio si vendevano bene, anche se il mercato era lontano.
Ma sulla loro felicità aleggiava un’ombra nera.
L’ombra nera della Torre Maledetta.
La Torre Maledetta era una ruvida formazione rocciosa che chiudeva la valle e incombeva sul villaggio impedendogli di essere illuminato dal sole, se non pochi minuti all’alba e altrettanto pochi al tramonto.
Per il resto del giorno il sole illuminava solo i fianchi più alti della valle.
Così il villaggio passava la sua giornata all’ombra.

Per colpa della Torre Maledetta.

A Peppino, un giovane dall’aria sveglia e dal carattere aperto e deciso, la cosa non andava proprio giù.
Gli sarebbe tanto piaciuto avere un giardino davanti alla casa, con i fiori e un ciliegio e due albicocchi e un melo.
Ma non sbocciavano fiori nel villaggio, né ortaggi, perché c’era troppo poco sole.
Chi voleva un orto doveva andare a coltivarlo lontano dal villaggio.
Per questo molti andavano ad abitare altrove e, piano piano, il villaggio perdeva abitanti.
Il villaggio rischiava di morire per colpa della Torre Maledetta.
Era l’unica cosa che riusciva a guastare il buonumore di Peppino.
Ogni mattino, mentre si stirava sul balcone della sua camera e si lasciava accarezzare dai raggi del sole, prima che fossero inghiottiti dall’ombra, fissava la superba roccia nera con gli occhi che mandavano lampi di dispetto.
“Accidenti, accidentaccio.” Brontolava, “Un villaggio senza fiori, senza farfalle e senza canzoni è un villaggio senza bambini, un villaggio che muore…”
Girava gli occhi sui tetti d’ardesia che avevano riflessi d’argento e sui camini che con il loro fumo facevano propaganda alla fragrante polenta che borbottava nei paioli di rame, pensava agli abitanti che conosceva tutti per nome, cognome e soprannome e si diceva:
“Devo assolutamente fare qualcosa…
Sono il più giovane del villaggio e quindi tocca a me!”
Un mattino, appena il sole si nascose dietro la parete nera della Torre prese la decisione.
Si mise sulle spalle il piccone nuovo che aveva comprato alla fiera e si incamminò, con passo risoluto verso la montagna.

“Dove vai?” gli chiese la mamma.

“Vado a buttare giù la Torre Maledetta!” rispose semplicemente Peppino.
“Ma cosa dici?
Sei diventato matto?
Non ce la farai mai!”
“Qualcuno deve incominciare una buona volta!” ribadì caparbio.
Arrivato ai piedi della Torre, alzò lo sguardo verso l’immensa parete scura che incombeva su di lui con un vago senso di minaccia.
“A noi due!” disse Peppino.
Gli rispose un rombo cupo, come una grassa risata sussultante, che terminò nel sibilo maligno del vento.
“Comincerò dall’alto.” si disse e cominciò a salire.
La vetta della Torre aveva qualche chiazza di neve, ma Peppino non degnò di uno sguardo il panorama.
Alzò il piccone e lo abbatté con tutte le sue forze contro la roccia.
“Tò, beccati questo!”
Con un po’ di sorpresa, si accorse che il suo colpo di piccone aveva staccato un grosso blocco di pietra che lentamente rotolò giù dalla vetta, trascinandosi dietro un corteo di sassi più piccoli.
“Allora si può!” esultò.

Moltiplicò i colpi, con rabbia, con gioia.

“Aprirò la strada al sole!”
Dopo qualche ora si buttò a terra, sudato, spossato.
E guardò il risultato della sua opera.
Aveva buttato giù un bel po’ di sassi, ma non aveva abbassato la Torre neanche di un millimetro. “Dovessi impiegarci tutta la vita ce la farò!” si disse.
Ma gli sembrò di riudire il rombo sussultante che era la risata di scherno della Torre.
Si rialzò e riprese a picchiare con il piccone.
“Beccati questo!
E anche questo!” gridava sbrecciando, scheggiando, frantumando le rocce della vetta.
Passò quel giorno e quello dopo.
Così per un mese.
Ogni mattina, Peppino rinnovava la sua sfida alla Torre Maledetta.
Ma il risultato non era granché: l’immane picco sembrava più alto e saldo che mai.
“Lascia perdere!” gli dicevano i concittadini, che cominciavano a crederlo un po’ matto, “Tanto ci siamo abituati.”
Scuotendo la testa, Peppino insisteva:
“Farò arrivare il sole sul vostro balcone tutto il giorno…
E sbocceranno i fiori nella piazza.”

Tornava lassù e ricominciava a picconare.

Dopo qualche mese, il «pic… pic…» del suo piccone divenne un rumore familiare per le pecore e le mucche degli alti pascoli.
Ma era così grande e solida quella roccia…
Un mattino, però, successe una cosa straordinaria.
Peppino stava spingendo giù dalla Torre un grosso masso che aveva appena staccato, quando udì chiaramente una vocina che lo chiamava:
“Peppino, Peppino!”
Si guardò intorno sorpreso.
La voce riprese a chiamare.
La cosa più strana era che la voce proveniva da dentro la montagna.
“Dove sei?” chiese Peppino.
“Qui, sotto i tuoi piedi, dentro la roccia!” rispose la vocina.
Peppino si inginocchiò e scrutò con attenzione nel buco lasciato dal masso.
Sul fondo si apriva una fessura e, dentro la fessura, piccola piccola si agitava una manina bianca. “Liberami!” implorò la vocina.
Impugnò il piccone e in poco tempo scavò fino ad arrivare alla mano, poi continuò con attenzione e infine si trovò davanti una bambina dagli occhi color lago alpino e vestito color spuma di torrente.
“Grazie!” disse la bambina, mentre Peppino la guardava con l’aria stralunata.
“Sono la fata delle sorgenti, ma il maligno architetto della Torre mi ha imprigionata.
Ma ora che mi hai liberata, il tuo desiderio si avvererà!”

“E come farai?

Sei così piccola e fragile!” chiese Peppino.
“Con la pazienza, un po’ di tempo e la forza dell’acqua!” sorrise la fatina.
Alzò la mano, come fosse il cenno di attacco di un direttore d’orchestra.
Mille gorgoglii, saltelli, risate, sciacquii riempirono l’aria.
Mille sorgenti sbocciarono sulla Torre Maledetta.
Piccole all’inizio, si riunirono a formare ruscelli, torrenti, cascate.
E ognuno di essi incideva, smerigliava, scavava, trasportava a valle ghiaia, sassi, detriti.
“Stanno facendo a pezzi la Maledetta!” gridò Peppino e fece volare in aria il cappello.
Voleva ringraziare la fata delle sorgenti, ma quella non c’era più.
Corse a dare la notizia al villaggio, che adesso era fiancheggiato da un torrente giovane e forte che scendeva dalla Torre Maledetta.
Oggi quel villaggio è inondato dal sole dal mattino alla sera, ed è pieno di fiori, farfalle e bambini.
Al posto della Torre c’è una serie di piccole rocce smozzicate, coperte dal muschio e dai cespugli.
Ci vanno i vecchietti a cercare i funghi.

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi

L’Ape Car e la Ferrari

L’Ape Car e la Ferrari

Qualche anno fa, dovendo sbrigare delle commissioni in un paese vicino al mio, passai davanti ad una osteria, molto nota per le sue tipicità.
Nei parcheggi notai l’Ape Car di un mio amico pittore, con in cima il suo cavalletto ed il suo inseparabile “bastardino”, ed a fianco parcheggiata una Ferrari rossa fiammante, orgoglio Italiano che tutto il mondo ci invidia.

Essendo un tifoso del cavallino rampante,

la tentazione di conoscere il fortunato possessore prese il sopravvento su di me, e per questa ragione, entrai incuriosito nel locale.
Il mio amico pittore, vedendomi entrare, mi fece festa e mi invitò al suo tavolo, dove, accanto a lui, sedeva un distinto signore, che scoprii essere il ferrarista.
Mi dissero di essere cugini e di essere nati in una grande famiglia patriarcale allevati a polenta, patate e fagioli.

Il destino fece sì che prendessero strade diverse,

con risultati vistosamente differenti.
Il primo con i colori, il pennello e tanta libertà sprecata, senza successo economico ed artistico, e con una Ape Card che la diceva lunga.
L’altro, con una formazione tecnica avuta frequentando una scuola serale, era diventato un affermato industriale sull’onda del miracolo economico del nord est, con tanto di Ferrari con cui sfrecciare, ma con tante responsabilità da onorare, come presidente di una industria.

Mi invitarono a condividere con loro un piatto di cotechino fumante,

specialità proposta dall’osteria, e fu bello vederli felici, a leccarsi le dita ed a ricordare la loro infanzia povera, quando avevano un capotto in due.
Entrambi erano orgogliosi del loro stato attuale anche se abissalmente differente.
Grazie ad un buon bicchiere di vino rosso facemmo una riflessione sul lavoro e sulle differenze nella vita e nella società, e soprattutto un confronto sulle differenze tra l’Ape Car e la Ferrari.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Corso di formazione per uomini e mariti


Corso di formazione per uomini e mariti

Corso di formazione che permette agli uomini di sviluppare quella parte del cervello della quale ignorano l’esistenza.

Programma: 2 moduli di cui uno obbligatorio.

Modulo 1: Corso di base obbligatorio

1. Imparare a vivere senza la mamma (2000 ore)
2. La mia donna non è mia mamma (350 ore)
3. Capire che il calcio non è altro che uno sport (500 ore)

Modulo 2: Vita a due

1. Avere bambini senza diventare geloso (50 ore)
2. Vincere la sindrome del telecomando (550 ore)
3. Non fare la pipì fuori dal water (100 ore, esercizi pratici con video)
4. Come arrivare fino al cesto dei panni sporchi senza perdersi (500 ore)
5. Come sopravvivere ad un raffreddore senza agonizzare (300 ore)

Sono inoltre previsti dei temi speciali di approfondimento:

Tema 1: il ferro da stiro; dalla lavatrice all’armadio: un processo misterioso.
Tema 2: tu e l’elettricità: vantaggi economici del contattare un tecnico competente per le riparazioni (anche le più basilari).
Tema 3: ultima scoperta scientifica: cucinare e buttare la spazzatura non provocano ne’ impotenza ne’ tetraplegia (pratica in laboratorio).
Tema 4: perché non è reato regalarle fiori anche se sei già sposato con lei.
Tema 5: il rullo di carta igienica: “la carta igienica nasce da sola nel portarullo?” (esposizioni sul tema della generazione spontanea).

Tema 6: come abbassare la tavoletta del bagno passo a passo (teleconferenza con l’Università di Harvard).

Tema 7: gli uomini che guidano possono chiedere informazioni ai passanti quando si perdono senza il rischio di sembrare impotenti (testimonianze).
Tema 8: la lavatrice: questa grande sconosciuta.
Tema 9: differenze fondamentali tra il cesto della roba sporca e il suolo (esercizi in laboratori di musicoterapia).
Tema 10: l’uomo nel posto del passeggero: è geneticamente possibile non parlare o agitarsi convulsamente mentre lei parcheggia?
Tema 11: la tazza della colazione: levita da sé fino al lavandino? (esercizi diretti da Silvan).
Tema 12: comunicazione extrasensoriale: esercizi mentali in modo che quando gli si dice che qualcosa è nel cassetto dell’armadio non domandi “in quale?”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il Re e i due falchi

Il Re e i due falchi

Una volta un re ricevette in regalo due piccoli falchi e li consegnò al maestro falconiere per la loro formazione.
Dopo pochi mesi, l’istruttore disse al re che uno dei falchi era stato educato perfettamente,

ma non sapeva cosa stesse accadendo all’altro.

Da quando era arrivato al palazzo non si era mosso dal ramo su cui stava al punto che gli doveva portare il cibo.
Il re convocò guaritori e maghi ma nessuno riuscì a fare volare il piccolo falco.
Quindi emise un editto tra i suoi sudditi e, la mattina seguente,

vide sorpreso il piccolo falco che volava nei suoi giardini.

“Portatemi il responsabile di questo miracolo!” disse il re.
Davanti al re comparve un contadino, e il re gli chiese:
“Come sei riuscito a far volare il falco?

Cosa sei, un mago?”

“Non è stato difficile mio signore!” spiegò l’uomo, “Ho semplicemente tagliato il ramo su cui stava.
Solo allora l’uccello si reso conto che aveva le ali e ha spiccato il volo.”

Brano senza Autore, tratto dal Web