Gli animali insegnano che…


Gli animali insegnano che…

Un signore va a caccia grossa in Africa e porta con sé il suo cucciolo.
Un giorno, durante una battuta, il cagnolino annoiato si mette a rincorrere una farfalla e, senza rendersene conto, si allontana dal gruppo dei cacciatori e si ritrova solo in mezzo alla savana.
Ad un tratto scorge un grosso leone che corre veloce verso di lui.
Impaurito si guarda intorno e vede poco lontano la carcassa di un grosso animale.
La raggiunge e comincia a leccare un osso.

Quando il leone sta per attaccarlo il cagnolino dice a voce alta:

“Mmm, che buon leone mi sono mangiato.
Me ne farei un altro subito.”
Il leone si ferma e sentendo quelle parole pensa:
“Che razza di animale sarà?
E se poi faccio la stessa fine di quello lì?
Meglio sparire!”
Una scimmia che stava appollaiata su un ramo e aveva assistito a tutta la scena scende dall’albero e dice al leone:

“Ma va là, stupido, è tutta una finta.

Quella carcassa era già lì da un pezzo.
Quello è semplicemente un cane e ti ha fregato!”
Il leone dice alla scimmia:
“Ah si?
Allora vieni con me che andiamo a trovare quel cane e poi vediamo chi mangia chi!”
E si mette a correre verso il cucciolo con la scimmia sulla groppa.
Il cagnolino che aveva sentito tutto si rende conto della vigliaccata della scimmia e atterrito si chiede:

“E adesso cosa faccio?”

Ci pensa su un attimo poi, invece di scappare, si siede dando le spalle al leone e dice a voce alta:
“Quella maledetta scimmia!
Mezz’ora fa le ho detto di portarmi un altro bel leone grasso e ancora non si fa vedere!”
A quelle parole il leone incavolatissimo mangia la scimmia in un boccone e il cagnolino fugge mettendosi in salvo.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La volpe ed il leone


La volpe ed il leone

C’era una volta una volpe che se ne andava tranquilla per i prati.
Era una mattina e i prati erano rifioriti dopo la brutta stagione invernale.
I profumi della natura solleticavano le sue nari accarezzandole la fantasia, permettendole di sognare paesi lontani, belli e sconosciuti.
All’improvviso l’attenzione della volpe venne richiamata da un violento ruggito.

Era un verso che non aveva mai sentito e, terrorizzata, fuggì a nascondersi dietro ad un cespuglio.

Da li, riparata tra le foglie, la volpe poté vedere il terribile animale che aveva emesso quel suono: si trattava di un leone, una bestia a lei sconosciuta.
Spaventata, la povera volpe, scappò via il più velocemente possibile.
Dopo quel brutto incontro passarono due giorni tranquilli:
tutto sembrava quasi essere stato dimenticato, quando, d’un tratto, la piccola volpe si imbatté ancora nel leone.

Questa volta il leone le apparve proprio davanti agli occhi, a pochi passi, ostacolandole il cammino.

La volpe, impaurita, iniziò a tremare come una foglia senza la forza di reagire e fuggire:
la volpe rimase ferma fino a quando il leone, a un certo punto, si allontanò.
Il giorno seguente la volpe si imbatté per la terza volta nel leone: scoprì che il proprio timore nei confronti di quel grosso e possente animale dal risonante ruggito, andava pian piano assopendosi.

Così, durante il successivo incontro, la volpe si dimostrò molto più calma e riuscì persino a guardarlo negli occhi, salutandolo con cordialità.

Quando ebbe ancora modo di vederlo, la volpe provò a rivolgergli la parola:
riuscì finalmente a scoprire in lui doti come il coraggio e l’intelligenza.
Da quel giorno la volpe non si stancò mai di ascoltare il leone, sicura che dall’esperienza di un animale così astuto e bravo cacciatore, avrebbe tratto solo vantaggi.

Brano di Esopo

Lentamente muore



Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare;

chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Brano di Martha Medeiros, attribuito a Neruda.

L’albero e il bambino


L’albero e il bambino

C’era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino andava a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta.
Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato ai suoi rami.
Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all’ombra dell’albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l’albero con tutto il suo piccolo cuore.
L’albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l’albero e l’albero gli disse:
“Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice.”

“Voglio dei soldi.

Sono troppo grande per arrampicarmi sugli alberi e per giocare.” disse il bambino.
“Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi.
Voglio dei soldi.
Puoi darmi dei soldi?”
“Mi dispiace,” rispose l’albero, “ma io non ho dei soldi.
Ho solo foglie e frutti.
Prendi i miei frutti, bambino mio, vai a venderli in città.
Così avrai dei soldi e sarai felice.”
Allora il bambino si arrampicò sull’albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.
E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare…
E l’albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l’albero tremò di gioia e disse:
“Avvicinati bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l’altalena con i miei rami e sii felice.”
“Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi.” rispose il bambino “Voglio una casa che mi ripari.” continuò, “Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa.

Puoi darmi una casa?”

“Io non ho una casa,” disse l’albero “la mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa.
Allora sarai felice.”
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne.
Quando tornò, l’albero era così felice che riusciva a mala pena a parlare.
“Avvicinati, bambino mio,” mormorò “vieni a giocare.”
“Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare.” disse il bambino.
“Voglio una barca per fuggire lontano di qui.
Tu puoi darmi una barca?”
“Taglia il mio tronco e fatti una barca;” disse l’albero, “così potrai andartene ed essere felice.”
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.
E l’albero fu felice… ma non del tutto.
Molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
“Mi dispiace, bambino mio,” disse l’albero “ma non mi resta più niente da donarti…

Non ho più frutti.”

“I miei denti sono troppo deboli per dei frutti.” disse il bambino.
“Non ho più rami,” continuò l’albero, “non puoi più dondolarti.”
“Sono troppo vecchio per dondolarmi sui rami.” disse il bambino.
“Non ho più tronco.” disse l’albero, “Non puoi più arrampicarti.”
“Sono troppo stanco per arrampicarmi.” disse il bambino.
“Sono desolato.” sospirò l’albero.
“Vorrei tanto donarti qualcosa… ma non ho più niente.
Sono solo un vecchio ceppo.
Mi rincresce tanto…”
“Non ho più bisogno di molto, ormai.” disse il bambino.
“Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi.
Mi sento molto stanco.”
“Ebbene,” disse l’albero, raddrizzandosi quanto poteva, “un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi.
Avvicinati, bambino mio, siediti.
Siediti e riposati.”
Così fece il bambino.
E l’albero fu felice.

Brano di Shel Silverstein