La cucitura ed il nodo

La cucitura ed il nodo

Un giovane dava molte preoccupazioni ai propri genitori perché oltre a non trovare lavoro, aveva le mani e le tasche bucate.
Spendeva senza freno i loro sudati risparmi e a nulla valevano le suppliche, le raccomandazioni e le minacce:

lui continuava la sua vita da perditempo con dispendiosi vizi come il gioco.

Come accade a tanti giovani, anche a lui capitò di avere una opportunità di recarsi a lavorare all’estero, per mettere a pieno i frutti dei suoi studi specialistici, dove aveva, invece, brillato.
La madre collaborò attivamente nel preparargli le valigie, rinnovandogli il vestiario, non senza versare qualche lacrima.
Il giovane contattò i genitori solo qualche mese dopo,

dicendo loro di trovarsi molto bene nel paese ospitante.

Spiegò di non averli contattati immediatamente dato che era adirato con sua madre che gli aveva cucito le tasche destre dei vestiti e messo nelle altre un filo rosso con nodo e non capiva il motivo.
Questa si affrettò a spiegare che la cucitura aveva lo scopo di ricordargli la moderazione nello spendere, che tanto la aveva fatta soffrire, e il filo rosso annodato affinché si ricordasse che in caso di bisogno la famiglia è sempre presente.

La spiegazione ebbe un grande effetto sul giovane ricercatore che,

da quel momento, inviò a casa, in maniera regolare, lo stipendio che riusciva ad accantonare, per paura di ricadere nel vizio del gioco.
Con il lavoro aveva ritrovato il valore da dare ai soldi oltre alla fiducia in se stesso, grazie anche alla trovata provocatoria della madre, con la cucitura delle tasche destre e del filo rosso annodato.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Partita a scacchi con il preside

Partita a scacchi con il preside

Nell’ora di ricreazione, un ragazzino negro se ne stava appartato in un angolo del giardino della sua scuola, mentre i compagni, poco più in là, giocavano allegramente col pallone.
Passò il direttore e lo scorse.
“Perché te ne stai qui solitario?” gli chiese.
“I miei compagni non vogliono che io giochi con loro, signore!” rispose il bimbo intimidito.

“Perché?” domandò l’uomo irritato.

“Dicono che sono un lurido negro e che debbo stare alla larga da loro!” balbettò il ragazzo.
Il direttore restò un attimo perplesso, poi gl’intimò di seguirlo.
Si avviarono verso gli uffici della direzione.
Al negretto, il cuore batteva forte in gola.

“Ho osato troppo?” si chiese.

Entrato nel suo ufficio, il preside si sedette alla scrivania, poi fece accomodare il ragazzino di fronte a lui e, presa una grande scacchiera dal cassetto, disse:
“D’ora in poi, all’intervallo, giocheremo tu ed io insieme.”
Gli insegnò le complesse regole del gioco e subito il fanciullo divenne padrone di ogni mossa.
Muoveva pedoni e alfieri con straordinario acume e sbalorditiva prontezza.
L’indomani, al loro secondo incontro, per rispetto al suo illustre avversario, il ragazzino lasciò che fosse il suo superiore a scegliere gli scacchi del colore che preferiva.
“Bianchi o neri?” gli chiese con deferenza.
“Fa lo stesso!” fu la cordiale risposta del direttore che aggiunse:

“Non hanno entrambi le medesime opportunità?

Non si può forse vincere o perdere in uguale misura, sia con gli uni che con gli altri?
Cosa importa il colore?
Quel che conta è giocare, ma giocare bene, rispettando le regole, sia da una parte che dall’altra.”
Finita la partita, il negretto corse giù in giardino.
Intrepido si aprì un varco nella cerchia dei compagni e, a testa alta, s’impose al gruppo affinché accettassero anche lui nei loro giochi.

Brano di Silvia Guglielminetti incluso nel libro “Il secondo libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.

La bambina e le due mele

La bambina e le due mele

Un giorno, una mamma, rientrando a casa dal lavoro, trovò la sua bambina con due mele nelle sue piccole manine.
Le guardava, le annusava, se le stava godendo prima di mangiarle, pregustando la loro dolcezza e morbidezza.
La mamma si avvicinò e chiese alla figlioletta se le potesse dare una delle sue due mele.

La bimba guardò le sue due mele, una era rossa e l’altra gialla.

Dubitò per un attimo, guardandole entrambe, e finalmente morse quella rossa, l’assaporò per bene, e poi morse anche quella gialla, con la stessa calma e compiacenza.
La mamma sentì il sorriso sul suo volto congelarsi, si chiedeva perché e da quando sua figlia era diventata così egoista.
Si chiedeva in cosa aveva sbagliato nel corrompere quell’angioletto che era stata quando era più piccola.
E cercava di non rivelare la sua delusione.
In quello stesso momento, la bambina le porse una delle due mele dicendo:

“Tieni mammina, questa è quella più dolce.”

La mamma prese la mela e abbracciò la sua bambina perché non vedesse che aveva le lacrime agli occhi.
Insieme si sedettero a mangiare le mele.
Entrambe avevano un sorriso gioioso e sereno, guardando le nuvole nel cielo si raccontarono le proprie giornate, una fatta di giochi e cose da imparare,

l’altra fatta di problemi e cose da risolvere.

Poi, quando la bambina fu concentrata su altro, la mamma scrisse un piccolo pensiero nel suo taccuino per non dimenticare:
“Non importa chi sei, come sei vissuto, cosa credi di aver visto o sentito, quanta esperienza e conoscenza pensi di avere, ritarda sempre il giudizio.
Dai agli altri il privilegio di spiegarsi.
Quello che percepisci può essere o non essere la realtà.”

Brano senza Autore

Un giocattolo in regalo

Un giocattolo in regalo

Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città.
L’uomo e la donna guardarono a lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sui banconi.
C’erano bambole che piangevano e ridevano, giochi elettronici, cucine in miniatura che cuocevano torte e pizze.

Non riuscivano a prendere una decisione.

Si avvicinò a loro una graziosa commessa.
“Vede,” spiegò la donna, “noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori casa tutto il giorno e spesso anche di sera.”

“È una bambina che sorride poco.” continuò l’uomo.

“Vorremmo comprarle qualcosa che la renda felice,” riprese la donna, “anche quando noi non ci siamo…
Qualcosa che le dia gioia anche quando è sola.”
“Mi dispiace,” sorrise gentilmente la commessa “ma noi non vendiamo genitori!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Ancora cinque minuti papà!

Ancora cinque minuti papà!

Una donna si avvicinò ad un uomo seduto sulla panchina di un parco giochi.
“Quel bambino con la maglietta rossa sullo scivolo è mio figlio.” disse lei.
“È un bravo bambino.
Mia figlia invece è quella bambina in bicicletta, con il vestito bianco.” rispose l’uomo.
Poco dopo, guardando l’orologio, il padre della piccola si alzò per andare via:

“Che ne dici Melissa, ce ne andiamo?”

La figlia rispose pregandolo di rimanere ancora altri cinque minuti al parco.
Senza dire altro, l’uomo annuì tornando a sedersi sulla panchina.
I cinque minuti chiesti dalla bambina passarono in fretta e puntuale l’uomo le chiese nuovamente: “Andiamo?”
“Ancora cinque minuti papà, solo cinque minuti!” disse la bambina.
Il papà sorridendo rispose “Okay!”

La donna, stupita della calma dell’uomo gli disse:

“Caspita, lei è davvero un padre molto paziente!”
A quel punto l’uomo sorrise ancora…
“Il fratello di Melissa è stato ucciso da un automobilista ubriaco l’anno scorso.
Non abbiamo trascorso molto tempo insieme, e adesso darei qualunque cosa pur di stare cinque minuti con lui.
Ho promesso a me stesso che non avrei ripetuto quel terribile errore con Melissa…

… Lei crede che le vengano concessi altri cinque minuti per giocare…

La verità è che sono io a concedermi altri cinque minuti per vederla giocare!”

Con poche parole l’uomo è riuscito ad affrontare una questione molto importante:
nella vita non ci si deve mai lasciar sopraffare dagli impegni lavorativi e dalla carriera, a scapito degli affetti e di tutto ciò che è veramente importante.
Spesso non si ha una seconda possibilità!

Brano senza Autore

La festa degli animali

La festa degli animali

In un paese lontano abitato solo da animali, era tradizione che una volta ogni dieci anni ci fosse la festa delle pecore e degli animali più indifesi e piccoli.
Da immemorabile tempo in quel giorno si sospendeva la ferrea legge della giungla e ogni animale, specialmente quelli delle categorie più pericolose, faceva del suo meglio per assumere un aspetto più mansueto:
i leoni andavano dal barbiere a tagliarsi un po’ la folta criniera,

i montoni a radersi la barba e le tigri si dipingevano gli occhi per apparire più dolci.

Solo alcuni lupi non facevano niente per favorire la festa; rimanevano ai lati apparentemente indifferenti, emarginati dagli altri, guardati a vista dai tutori dell’ordine perché erano sempre pronti ad approfittare della confusione per fare qualche ruberia o peggio ancora per azzannare qualcuno.
Nel giorno della festa, gli uccelli, le pecore, gli animali più mansueti, le scimmie e persino molti innocui serpenti e soprattutto i cuccioli di tutte le razze, anche quelle più feroci, erano i veri protagonisti delle danze e dei giochi.
Potevi trovare il cucciolo di leopardo giocherellare con la piccola antilope e anche i piccoli lupi tentare di scherzare con alcune ritrose e timide agnelline.

Sembrava un paradiso!

Però se qualcuno fosse stato capace di scendere fino al cuore di ogni animale durante la festa, avrebbe percepito per esempio che la leonessa si annoiava da morire:
aveva portato i cuccioli a divertirsi, però guardava gli altri animali giudicandoli secondo il suo istinto e le veniva una voglia matta di dare un’artigliata al primo capretto che le fosse capitato tra le zampe, tuttavia si tratteneva dal farlo, ritenendosi in ciò un po’ eroica, pensando che in fondo era solo questione di ore e che bastava attendere il termine del giorno per ritornare alla normalità della vita.
La gazzella, animale grazioso ma anche civettuolo, era desiderosa di sfuggire dal gruppo per brucare la sua erba preferita in solitudine e in santa pace.

Persino la pecorella ormai adulta,

aveva sentimenti di superiorità, sentendosi anche lei un po’ forte e potente solo perché poteva stare accanto, senza pericolo, al possente re della foresta, e guardava con occhi golosi di invidia il leone che sembrava vivere la vita più di lei piena di complessi e moralismi.
Solo i cuccioli spensierati, non avevano problemi; li avrebbero avuti ben presto!
Quando il giorno dopo vollero andare a continuare la festa, ignari delle differenze e delle distinzioni, i genitori nelle loro tane o covi, si studiarono bene di raccomandare loro con estrema serietà che la pecora non deve andare col lupo e che il leone deve sempre avere ragione e dominare…
E tante cose di questo genere e che l’obbedienza a tutto ciò è una grande virtù, perché fa stare ognuno al suo posto.

Così va il mondo!

Il bene è una povera eccezione in confronto del male che viene fatto passare per concretezza e saggezza di vita:
chi dice il contrario è sempre giudicato un illuso! (Pensare bene per credere!)

Brano senza Autore, tratto dal Web