La principessa resuscitata

La principessa resuscitata

Tanti anni fa, quando ero ancora un ragazzino, arrivò a Levada un camioncino.
Con un megafono invitava la popolazione ad andare a vedere una pellicola in bianco e nero, proiettata all’aperto, nel piazzale di una osteria del borgo, consigliando di portarsi una sedia.

Per me, e per tante persone, era la prima visione di un film.

Quella sera ci fu, infatti, il pienone.
La trama, ispirata alle favole, aveva come protagonista un principe, il quale cercava di salvare la sua promessa sposa, prigioniera di uomini malvagi.
Le scene principali riguardavano dei cavalieri al galoppo, integrate con rumori di spade e chiacchere di corte, ovviamente fuori campo.

La principessa, salendo le scale a chiocciola, fu raggiunta da ombre minacciose.

Il grido della fanciulla si sovrappose al primo piano di una grande lama conficcata nella propria schiena, dopo soli venti minuti di proiezione.
Un giovanotto si alzò e interruppe la proiezione.
Subito dopo si pose davanti al proiettore ed iniziò a gridare:

“La principessa non può morire così presto, voglio indietro i miei soldi!”

Ne seguì una specie di sommossa collettiva e l’operatore, visto ciò che stava accadendo, fece scorrere la pellicola al contrario.
E, in questo modo, fece resuscitare la bella principessa.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il bambino da solo in stazione

Il bambino da solo in stazione

Nel grande atrio della stazione, piena di gente che andava e veniva, improvvisamente, un bambino scoppiò in un pianto disperato!
Nessuno resiste al pianto di un bambino e molta gente si fermò e gli si avvicinò per consolarlo ed aiutarlo.
“Che cos’hai bimbo?” chiesero alcuni, “Ti possiamo aiutare?

Che cosa ti è capitato?”

Il bambino non ascoltava le domande.
E, più la gente cercava di aiutarlo, più lui piangeva!
Finalmente gli si avvicinò un poliziotto.

Si chinò e prese il bambino in braccio!

“Bene giovanotto!” disse il poliziotto con bontà, “Non mi vuoi dire cosa c’è?
Perché stai piangendo?
Hai perso la mamma?”
Per un momento il bimbo trattenne il respiro.

Poi gridò con tutto il fiato che aveva:

“No! Io non ho perso la mamma!
È la mamma, che ha perso me!”

Brano senza Autore

Tonto Zuccone, al mercato

Tonto Zuccone, al mercato
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Le stufe

Il cappello

Leggere al contrario

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“Le stufe”

 

Tonto Zuccone, ormai giovanotto, come già narrato, non brillava certo di intelligenza.
Un giorno fu mandato dagli anziani genitori a fare una commissione facile:
comperare in paese una moderna stufa a legna per sostituire il vecchio focolare, per avere sempre l’acqua calda e per non essere più invasi dal fumo dentro casa.
Tonto tornò a casa sopra il carretto, trainato dal suo inseparabile asino, con due stufe nuove.
Alla richiesta di spiegazione dei genitori, entusiasta rispose:
“Il venditore mi ha rassicurato, anche per iscritto, che con questo tipo di stufa economica, rispetto al focolare, si risparmia metà legna ed io ho pensato che prendendone due la risparmiamo tutta!”

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“Il cappello”

 

Tonto Zuccone andò al mercato per comprarsi un capello nuovo.
Si soffermò presso una bancherella che ne aveva un’ampia gamma esposta, adocchiandone alcuni adatti alla sua tozza persona.
Il commerciante, notandolo interessato, gli disse:
“Se vuoi puoi provarli senza timore, abbiamo anche lo specchio gratis.”
“Certamente,” rispose Tonto, “mi sono portato per questo la testa.”
Ne scelse uno e chiese al commerciante quanto costasse, e questo gli rispose:
“Scontato per te, dodici euro!
Domani che non ci sono, undici!”
Tonto, per far notare che sapesse trattare e che conoscesse un po’ di matematica, replicò:
“No, no!
Tre per cinque fa quindici euro ed io questi ti do, o l’affare non lo si fa!”
Il commerciante sbalordito replicò:
“Per venirti incontro, e per una eccezione, accetto ciò che mi proponi.”
Tonto anche questa volta non smentì il nome che portava e la sua fama crebbe, sempre di più, nel circondario!

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“Leggere al contrario”

 

Qualche giorno dopo, Tonto Zuccone ritornò al mercato e come tanti altri accettò un volantino pubblicitario.
Subito dopo incrociò per caso un conoscente che, vedendolo intento ed assorto ad esaminarlo, gli fece notare che lo teneva al contrario.
Pertanto era inutile che lo conservasse poiché, non essendo andato a scuola, non lo poteva leggere.
Tonto, per niente sorpreso, replicò che in tanti sono capaci di leggere per il verso giusto e che lui, sicuramente, non si sarebbe scoraggiato a leggerlo al contrario.
Aggiunse che esiste la fortuna del principiante, pensando che il foglio scritto, sia sul fronte che sul retro, fosse come le monete, le quali hanno testa e croce dello stesso valore.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

La ragazza ed il mastelletto (Mastellina)

La ragazza ed il mastelletto (Mastellina)

Tanti, tanti anni fa, in un piccolo villaggio, vivevano un uomo e una donna.
Prima essi avevano abitato in una città, in un palazzo bello e ricco.
Ora invece vivevano poveramente in una misera capanna.
In tanta sfortuna, la loro unica consolazione era la figlia che avevano.
Sebbene ancor molto giovane, tutti l’ammiravano già per la sua straordinaria bellezza.
Ma, ahimé, prima che la ragazza fosse cresciuta, il padre morì e dopo pochi mesi anche la madre cadde gravemente malata.
“Che sarà di mia figlia, quando anch’io sarò morta?” ripeteva piangendo la donna, “È povera, e la sua bellezza sarà per lei soltanto un castigo.”
Quando la poverina sentì d’esser prossima a morire, chiamò a sé la ragazza, le raccomandò di essere buona e coraggiosa, e le disse di portarle il mastelletto di legno che stava dietro la porta.
La ragazza ubbidì e si inginocchiò accanto al letto della madre morente.
La donna alzò il mastelletto e lo mise in testa alla figlia in modo da nasconderle quasi completamente la faccia.
“Ora, figlia mia,” disse la donna, “promettimi di non toglierti mai di testa questo mastelletto.
Altrimenti, sarai molto infelice.”

La ragazza promise.

Morta che fu la madre, la ragazza campò come meglio poteva.
Lavorava sodo aiutando i contadini nei campi, e mai nessuno udì da lei una parola di lamento per quel che doveva fare.
La gente che la vedeva sempre col mastelletto in testa cominciò a chiamarla Mastellina.
A poco a poco tutti dimenticarono che sotto quella strana maschera si nascondeva il più bel volto del paese.
Un ricco possidente nei cui campi la ragazza lavorava, finì per accorgersi di lei, ammirato dalla sua modestia e diligenza.
Un giorno la chiamò, e le offrì di andare a servizio nella sua casa a curare la moglie ch’era molto malata.
La ragazza accettò l’incarico e svolse così bene il suo compito da meritarsi la fiducia di tutti.
Un giorno, il maggiore dei figli del padrone tornò a casa dalla città dove studiava.
Conobbe Mastellina, prese ad ammirare il suo carattere tranquillo e la sua indole buona, e andava chiedendo alla gente del villaggio notizie su di lei.
Seppe così che era un povera orfanella, da tutti chiamata Mastellina a causa appunto del mastelletto che portava in testa per nascondere, si diceva, i brutti lineamenti del suo viso.
Ma una sera, il giovanotto si avvicinò a Mastellina che portava un pesante secchio pieno d’acqua e vide il volto della ragazza riflesso nell’acqua del secchio.

Era di una bellezza eccezionale.

Egli decise subito di sposare la giovane serva.
I suoi genitori non approvarono la sua scelta, ma il giovane fu irremovibile e tanto disse e tanto fece che riuscì a fissare la data delle nozze.
Mastellina rimase molto male quando seppe che i suoi padroni non l’accettavano volentieri come nuora in casa loro.
Essa piangeva giorno e notte, e pregò il suo fidanzato di sposare una donna che potesse portargli una ricca dote.
Ma una notte essa vide in sogno sua madre, la quale le disse:
“Non temere, figlia mia.
Sposa pure il figlio del tuo padrone.”
La ragazza ne fu felice, si alzò tutta allegra e cominciò a prepararsi per le nozze.
Prima della cerimonia nuziale, tutti volevano togliere dal capo della sposa quello strano casco, ma nessuno ci riuscì.

Lo sposo però disse:

“Io le voglio tanto bene, e la sposerò così com’è!”
Le nozze furono celebrate.
Dopo la cerimonia ci fu uno splendido banchetto:
tutti erano intorno alla sposa a brindare alla sua salute, quando, all’improvviso, il mastelletto si spaccò in due cadendo per terra a pezzi con gran fracasso.
Oh meraviglia!
I pezzi erano tutti d’oro, d’argento e di pietre preziose.
Così la povera ragazza poté vantare una dote più bella e più ricca di quella di una principessa.
Ma quel che più stupì gli invitati fu la straordinaria bellezza della sposa.
I brindisi in onore della coppia felice non si contarono più; grida, canti e risate andarono avanti fino al mattino.

Brano di Bruno Ferrero

Amare Dio ed amare gli altri

Amare Dio ed amare gli altri
(Una leggenda irlandese)

Ci fu un tempo, dice una leggenda, in cui l’Irlanda era governata da un re che non aveva figli maschi.
Così, il sovrano inviò i suoi messi ad affiggere dei bandi sugli alberi di tutte le città del regno, per invitare ogni giovanotto che ne avesse i requisiti a presentarsi a palazzo e avere un colloquio con il re come possibile successore al trono.
Le caratteristiche richieste erano le seguenti:

“Amare Dio ed amare gli altri esseri umani.”

Il giovanotto di cui parla la leggenda vide i bandi e riflette fra sé e sé che amava Dio e gli altri esseri umani.
Tuttavia, data la sua estrema indigenza, non possedeva degli abiti che lo rendessero presentabile alla vista del re; ne disponeva dei mezzi per acquistare le vettovaglie necessario per il viaggio sino al castello.
Perciò mendicò ed ottenne dei prestiti finché non ebbe denaro a sufficienza per dei vestiti adeguati e per le provviste necessarie, e finalmente poté mettersi in viaggio alla volta del castello.
Lungo la strada, giunto quasi nei pressi della meta, incontrò un mendicante, il quale stava seduto tutto tremante, e non indossava altro che stracci; il poveretto allungò le braccia per implorare aiuto e con voce debole disse piano:

“Ho fame e ho freddo.
Mi aiuti?”

Il giovane fu così commosso dallo stato di bisogno del povero mendicante che si privò immediatamente degli abiti, facendo il cambio con gli stracci del mendicante.
Senza pensarci un attimo, inoltre, gli diede tutte le sue provviste.
Poi, benché titubante, riprese il cammino verso il castello, con indosso gli stracci e senza provviste per il viaggio di ritorno.
All’arrivo al castello, una persona al seguito del sovrano lo fece entrare e, dopo una lunga attesa, finalmente poté accedere nella sala del trono.
Quando il giovane, chinatesi profondamente davanti al sovrano, sollevò gli occhi, fu colmo di stupore:
“Voi… voi siete il mendicante che ho incontrato lungo la strada!”
“Sì!” rispose il re, “Quel mendicante ero proprio io.”
“Ma non siete un vero mendicante.
Siete il re.” esclamò il giovane.

“Sì, sono il re!” spiegò.

“Perché avete fatto questo?” chiese, allora, il giovane.
“Perché volevo scoprire se tu ami veramente, se ami Dio e gli altri esseri umani.
Sapevo che se mi fossi presentato a te come il re, saresti stato molto colpito dalla mia corona d’oro e dai miei abiti regali.
Avresti fatto qualunque cosa io chiedessi per via del mio aspetto regale; ma in questo modo non avrei mai saputo com’è realmente il tuo cuore.
Perciò mi sono presentato a te come un mendicante, senza pretese nei tuoi confronti se non quella dell’amore del tuo cuore.
Ed ho scoperto che tu ami realmente Dio e gli altri esseri umani.
Tu sarai il mio successore.
Tu avrai il mio regno!”

Brano tratto dal libro “Perché ho paura di essere pienamente me stesso. Alla scoperta della propria autoaffermazione.” di John Powell

La strategia del doppio

La strategia del doppio

Un giovanotto si era invaghito di una bella ragazza di un paese vicino.
L’aveva notata per la prima volta durante una sagra paesana, e questo interesse sembrava essere ricambiato.

Decise di andare a farle visita durante il filò nella sua casa colonica.

(“Far filò” voleva dire discorrere del più del meno di sera, tra vicini di casa, tra “contraenti”, cioè abitanti nello stesso gruppo di case, tra gruppetti di persone, tra parenti e amici.”)
In questa occasione, chiese informazioni ed apprese che il padre avrebbe concesso la mano della figlia prediletta solamente a chi le garantisse una sicurezza economica e a colui che avesse dimostrato anche grandi doti umane.
Per verificare ciò, lo spasimante sarebbe stato sottoposto ad un serrato interrogatorio.

Il ragazzo decise, allora, di portare con se un suo fidato amico per fargli da spalla.

Alle domande del padre circa casa, campi, animali, etc, avrebbe dovuto replicare che tutto era il doppio di quanto affermava.
L’“interrogatorio” procedette bene, il padrone di casa era sodisfatto dell’umiltà del giovane ma anche della sua consistenza economica.
Stava per congedarsi, soddisfatto del successo, quando emise un colpo di tosse ed il padre della ragazza chiese:

“Raffreddore?”

L’amico non attese la risposta e replicò con la tecnica del doppio, per fargli fare bella figura:
“No, sta giusto per morire!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il giovanotto ed i “giudizi”

Il giovanotto ed i “giudizi”

Cera una volta, tanti anni fa, un giovanotto di un paese dell’Agordino, forte e bellissimo ma non molto intelligente.
Raggiunta l’età per fidanzarsi, i suoi genitori, preoccupati, chiesero consiglio al vecchio e saggio parroco del paese.
Questo, dopo un lungo colloquio, consigliò ai genitori di far intraprendere al loro figlio un pellegrinaggio a Padova da Sant’Antonio, chiedendo ospitalità lungo la strada ed affidandogli anche una prova da superare.

Preparato l’occorrente per il pellegrinaggio,

quando arrivò il momento della partenza, gli consegnarono una scatoletta con dentro i “giudizi” (in realtà la scatola non conteneva altro che un grillo) da non aprire mai.
Percorso un lungo tratto di strada ed in prossimità del tramontar del sole, il giovanotto chiese ospitalità nella zona appena raggiunta.
Una coppia di contadini, ascoltata la storia del ragazzo,

gli diede la possibilità di riposarsi in un loro fienile.

Dopo aver accettato ed esser rimasto solo, l’aitante giovanotto, sopraffatto dalla curiosità, aprì la scatola e la cosa misteriosa saltò fuori e scomparve rapidamente.
Spaventato per la perdita, cercò la cosa misteriosa per diverse ore, ma rendendosi conto di non essere riuscito a ritrovarla, usando un forcone, buttò giù dal fienile tutto il fieno già riposto.

Al mattino la coppia di contadini gli chiese come mai avesse causato quel disastro,

ed il giovanotto rispose di aver perso i “giudizi.”
I proprietari, rimasti senza parole, sia per la risposta che per il gesto compiuto, esclamarono con rammarico:
“Ce ne siamo resi conto!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il contadino e lo strano giovane

Il contadino e lo strano giovane

Il padrone di una grossa fattoria aveva bisogno di un aiutante che badasse alle stalle e al fienile. Come voleva la tradizione, il giorno della festa del paese, cominciò a cercare.
Scorse un ragazzo di 16-17 anni che si aggirava tra i baracconi.
Era un tipo alto e magro, che non sembrava molto forte.
“Come ti chiami giovanotto?” chiese.
“Alfredo, signore!” rispose il giovane
“Sto cercando qualcuno che voglia lavorare nella mia fattoria.
Ti intendi di lavori agricoli?” continuò.
“Sissignore. Io so dormire in una notte ventosa!” rispose il giovane.

“Che cosa?” chiese il contadino sorpreso.

“Io so dormire in una notte ventosa!” replicò il giovane.
Il contadino scosse la testa e se ne andò.
Nel tardo pomeriggio, incontrò nuovamente Alfredo e gli rifece la proposta.
La risposta di Alfredo fu la medesima:
“Io so dormire in una notte ventosa!”
Al contadino serviva un aiutante non un giovanotto che si vantava di dormire nelle notti ventose.
Provò ancora a cercare, ma non trovò nessuno disposto a lavorare nella sua fattoria.

Così decise di assumere Alfredo che gli ripeté:

“Stia tranquillo, padrone, io so dormire in una notte ventosa!”
“D’accordo. Vedremo quello che sai fare!”
Alfredo lavorò nella fattoria per diverse settimane.
Il padrone era molto occupato e non faceva molta attenzione a quello che faceva il giovane.
Poi una notte fu svegliato dal vento.
Il vento ululava tra gli alberi, ruggiva giù per i camini, scuoteva le finestre.
Il contadino saltò giù dal letto.
La bufera avrebbe potuto spalancare le porte della stalla, spaventare cavalli e mucche, sparpagliare il fieno e la paglia, combinare ogni sorta di guai.
Corse a bussare alla porta di Alfredo, ma non ebbe risposta.

Bussò più forte.

“Alfredo, alzati!
Vieni a darmi una mano, prima che il vento distrugga tutto!”
Ma Alfredo continuò a dormire.
Il contadino non aveva tempo da perdere.
Si precipitò giù per le scale, attraversò di corsa l’aia e raggiunse la cascina.
Ed ebbe una bella sorpresa.
Le porte delle stalle erano saldamente chiuse e le finestre erano bloccate.
Il fieno e la paglia erano coperti e legati in modo tale da non poter essere soffiati via.
I cavalli erano al sicuro, e i maiali e le galline erano quieti.

All’esterno il vento soffiava con impeto.

Dentro la cascina, gli animali erano calmi e tutto era al sicuro.
D’improvviso il contadino scoppiò in una sonora risata.
Aveva capito che cosa intendeva dire Alfredo quando affermava di saper dormire in una notte ventosa.
Il giovane faceva bene il suo lavoro ogni giorno.
Si assicurava che tutto fosse a posto.
Chiudeva accuratamente porte e finestre e si prendeva cura degli animali.
Si preparava alla bufera ogni giorno.
Per questo non la temeva più.

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero