La voce della conchiglia

La voce della conchiglia

Il Re di “Nonsodove”, essendo ormai vecchio, convocò i suoi tre figli:
Valente, forte e risoluto ma arrogante;
Folco, intelligente ma avido e ambizioso;
Giannino, ancora giovane, il volto lentigginoso, svelto e furbo ma oggetto degli scherzi dei fratelli, che non lo stimavano molto.
Il Re disse ai figli:
“È ora che io designi il mio successore al trono.
Voglio bene a tutti e tre e non so chi scegliere.
Pertanto ho pensato che chi di voi mi porterà lo Smeraldo Verde sarà re.”

I figli sentendo quelle parole strabuzzarono gli occhi:

lo Smeraldo Verde era stato il sogno di tutti i cavalieri, ma tutti coloro che avevano cercato di prenderlo erano morti.
Il re allora disse:
“So che vi ho chiesto una cosa molto difficile, per questo ho pensato di darvi qualcosa che vi potrà giovare!”
Dicendo così aprì un contenitore in cui vi erano una spada, un sacchetto di monete d’oro e una conchiglia.
Il re disse ancora:
“Ecco: rappresentano la mia forza, la mia ricchezza, le mie parole: la lama di questa spada non può essere spezzata, chi avrà queste monete d’oro sarà il più ricco della terra e in questa conchiglia ci sono tutte le mie parole, quelle che vi ho detto da quando siete nati ad oggi. Scegliete!”
Valente e Folco si scambiarono un’occhiatina e scelsero secondo le loro inclinazioni, senza badare a Giannino.
Con mossa rapida Valente afferrò la spada fiammeggiante e Folco il sacco di monete.
Giannino prese la conchiglia e se la legò al collo.
Poi tutti e tre partirono.
Valente sul suo focoso destriero; Folco sulla sua carrozza dorata; Giannino a piedi, ma fischiettando.
Lo Smeraldo Verde si trovava nella grotta Ferrea e per raggiungerla bisognava attraversare per prima la foresta abitata dal bandito Molk.
Valente ingaggiò una furibonda battaglia contro i suoi uomini;
Folco gli offrì centomila monete d’oro, mentre Molk ne voleva di più.
Quando giunse Giannino i fratelli erano ancora là, uno a combattere e l’altro a contrattare.

Portò la conchiglia all’orecchio e sentì la voce del padre che gli diceva:

“Si prendono più mosche con un cucchiaio di miele che con un barile di aceto!”
Giannino preparò una deliziosa bevanda per il bandito e gliela offrì lodando per il suo coraggio e la sua generosità, cosa che mai nessuno gli aveva detto.
Molk, commosso gli chiese cosa volesse in cambio.
Giannino chiese di poter passare con i suoi fratelli attraverso la sua foresta.
Molk glielo concesse.
Giannino portò all’orecchio la conchiglia e sentì ancora la voce del padre:
“Le ore del mattino hanno l’oro in bocca!”
Mentre era ancora notte riprese il cammino; giunse al lago delle tempeste prima dell’alba, quando ancora era ghiacciato e lo poté attraversare.
I fratelli, invece, avendo dormito fino a tardi, quando arrivarono al lago il sole aveva sciolto il ghiaccio e perciò dovettero fare il giro lungo.
Il terzo ostacolo prima della grotta ferrea era la palude della tristezza, immensa e piena d’insidie.
Valente con la sua armatura veniva risucchiato dalle sabbie mobili; la carrozza di Folco si capovolse e tutte le monete andarono a fondo:

tornati indietro, si sedettero ai bordi della palude disperati.

Anche Giannino scivolò tante volte e fu sul punto di temere per la stessa vita, ma ogni volta portava all’orecchio la conchiglia dalla quale gli giungevano le parole del padre che lo guidavano e lo incoraggiavano.
Così riuscì a raggiungere la grotta ferrea e a prendere lo Smeraldo Verde.
Allora, pieno di gioia, gridò:
“Grazie, papà!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il regalo (Il cammino lungo e difficile)

Il regalo
(Il cammino lungo e difficile)

Tobia era un bambino di quarta elementare, silenzioso e sereno.
Viveva con i genitori e la sorellina in una modesta casetta, ai margini del paese, appollaiato su una collina costellata di ulivi, a qualche chilometro dal mare.
Il giorno della chiusura della scuola, prima delle vacanze di Natale, tutti i bambini della quarta elementare fecero a gara per portare un regalo alla maestra, che si chiamava Marisa, ed era gentile e simpatica.

Sulla cattedra, si ammucchiarono pacchetti colorati…

La maestra ne notò subito uno piccolo piccolo, con un bigliettino vergato dalla calligrafia chiara ed ordinata di Tobia:
“Alla mia maestra.”
Marisa ringraziò i bambini, uno alla volta.
Quando venne il turno di Tobia, aprì il pacchettino e vide che conteneva una piccola, magnifica conchiglia, la più bella che la maestra avesse mai visto:
era tutta un ricamo pieno di fantasia, foderato di madreperla iridescente.
“Dove hai preso questa conchiglia, Tobia?” chiese la maestra.

“Giù, alla Scogliera Grande!” rispose il bambino.

La Scogliera Grande era molto lontana, e si poteva raggiungere solo tramite un sentierino scosceso.
Era un cammino interminabile e tribolato, ma solo là si potevano trovare delle conchiglie speciali, come quella di Tobia.
“Grazie, Tobia!
Terrò sempre con me questo bellissimo regalo, che mi ricorderà la tua bontà…
Ma dovevi proprio fare tutto quel lungo e difficile cammino, per cercare un regalo per me?” chiese.

Tobia sorrise e rispose:

“Il cammino lungo e difficile fa parte del regalo!”

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La cocorita Francesca

La cocorita Francesca

In una giungla piena di suoni e di colori, viveva una cocorita che aveva il carattere festoso e vivace come le sue piume azzurre, verdi, oro e arancione.
Si divertiva a svolazzare nell’intrico dei rami, giocava a nascondino con altri pappagallini colorati e con i bengalini candidi.
Si chiamava Francesca e ovunque arrivava riusciva a comunicare la sua intensa gioia di vivere.
Perfino le scimmie, che non sopportavano cocorite e pappagallini, facevano eccezione per la cocorita Francesca.
Era un uccellino felice, grato di essere vivo e di avere avuto in dono un paio di ali per volare e un bellissimo vestito di piume morbido e screziato.
Ogni mattina, appena il sole irrompeva attraverso lo spesso fogliame, si levava il suo grido:

“È una bellissima giornata!

Forza fratelli, non fate i pigroni, spalancate le ali: il cielo è tutto nostro!”
E incominciava a tracciare arabeschi nell’aria, come un fiore multicolore portato dal vento.
Ma, un brutto giorno, il cielo sulla foresta si fece improvvisamente nero e minaccioso come una palude senza sole.
Un silenzio pesante, pieno di paura, attanagliò le creature della giungla.
Le cocorite si strinsero tremanti le une alle altre, a formare una nube tremante.
Un vento violento afferrò le chiome degli alberi più alti e cominciò a scuoterli come se volesse sradicarli, rovesciando nidi e piccoli pappagallini che non sapevano ancora volare.
Poi cominciò la sarabanda dei tuoni e dei fulmini.
Staffilate di fuoco sibilavano dal cielo e colpivano senza pietà i vecchi tronchi, finché improvvisa si levò una fiamma e un albero centenario prese fuoco, urlando il suo dolore, con i rami nodosi levati verso il cielo come un’ultima disperata invocazione di aiuto.
“Il fuoco!
Si salvi chi può!” tutte le lingue animali della foresta gridarono all’unisono il loro terrore.
Migliaia di animaletti cominciarono a fuggire, ma il fumo acre e impenetrabile toglieva loro il respiro, faceva bruciare gli occhi e impediva crudelmente di vedere le vie di scampo.
La cocorita Francesca volava affannata, cercando di guidare i più piccoli e i più spaventati:
“Di qua!
Correte di qua!

Il fiume è da questa parte!”

Molti animali, sentendo il suo grido, si affrettarono a fuggire verso il corso d’acqua, altri invece finivano intrappolati dal fuoco e dal fumo.
Francesca, invece di mettersi in salvo, come tutti gli uccelli, continuava a sorvolare i più sfortunati, cecando un modo per aiutarli.
La disperazione le suggerì un’idea.
Volò sino al fiume che scorreva ai margini della foresta e lì si immerse nelle acque scure.
Poi riemerse con il corpicino intriso d’acqua e volò sull’inferno di fiamme, scrollando e scuotendo le piume per liberare le gocce d’acqua e farle piovere sulle fiamme.
Incurante del pericolo, sfiorando coraggiosamente le fiamme, tornò indietro e si immerse di nuovo nel fiume.
Poi, via!
“A scagliare il suo carico prezioso sul fuoco che continuava a ruggire.
Piccole gemme piovevano sul rogo.
Una cosa insignificante, ma la cocorita coraggiosa e testarda ripeté più e più volte il suo viaggio tra il fiume e le fiamme.
Le sue belle piume erano tutte bruciacchiate e il suo colore era quello della cenere, non riusciva più a tenere aperti gli occhi, ma non le importava.
“Che altro posso fare!” si ripeteva, “Solo volare, ed io volerò fino allo stremo delle forze pur di salvare una sola vita!”
Due occhi acuti, ma vagamente annoiati osservavano tutto dall’alto.
Un gigantesco avvoltoio veleggiava, godendosi lo spettacolo della giungla in fiamme.
Scorse la cocorita impegnata nella sua lotta contro il fuoco e sghignazzò:

“Che stupida bestia.

Come può pensare di domare il fuoco con quattro gocce d’acqua?
Chi ha mai visto una cosa del genere?”
Il coraggio dell’uccellino però lo aveva commosso un po’ e scese in picchiata verso la foresta in fiamme.
La cocorita stava ancora sfidando il fuoco quando vide apparire al suo fianco l’enorme avvoltoio dagli occhi gialli.
“Vattene, uccellino, il tuo compito è senza speranza!” gracchiò imperioso l’avvoltoio, “Cosa possono fare poche gocce d’acqua contro questo inferno?
Vola lontano prima che sia troppo tardi!”
“Non posso.
Devo fare qualcosa, devo tentare!” rispose la cocorita.
“Guarda in che stato sei!” continuò l’avvoltoio, “Fra un po’ finirai in una fiammata, mi sembri un tizzone affumicato!”
“Riesco ancora a volare…
Qualcosa farò!” replicò la cocorita.
“Ma che ti importa di loro?
Non hanno mai fatto niente per te.” esclamò l’avvoltoio.

“Sono miei amici:

li voglio salvare.” spiegò la cocorita.
La cocorita, stremata e ferita non ascoltava più.
Ostinata, continuava a fare la spola tra l’acqua e il fuoco.
L’avvoltoio, prima di sparire oltre le colonne di fumo, gridò:
“Basta!
Fermati stupida piccola cocorita!
Salva te stessa!”
Francesca era irremovibile.
“Ci mancava anche l’avvoltoio con i suoi consigli!” brontolava, “Consigli!
Anche la nonna e tutti i miei parenti mi direbbero le stesse cose.
Non ho bisogno di consigli, ma di qualcuno che mi aiuti!”
Proprio in quel momento, un gran frullare di ali riempì il cielo.
Una nube colorata, gialla, verde, blu, rossa e bianca si affiancò alla piccola cocorita.
Migliaia e migliaia di cocorite, pappagallini, bengalini, tucani, uccelli piccoli e grandi, si immergevano nell’acqua e andavano a scrollare le piume sul fuoco.
Le fiamme erano violente, ma gli uccelli erano milioni e arrivavano a ondate successive, senza smettere mai.

Come stupito, il fuoco si arrestò.

E cominciò lentamente a sfrigolare e illanguidire.
La cocorita Francesca, insieme alle poche gocce d’acqua che aveva raccolto, scagliò sulle fiamme anche le sue lacrime.
Ma erano lacrime di gioia.
“Grazie.” mormorò e cadde a terra, senza più un filo di forza.
Quando si risvegliò il temporale era scoppiato e l’acqua del cielo stava completando l’opera iniziata dalla coraggiosa cocorita.
“Urrà per Francesca!” gridarono gli abitanti della foresta, che le stavano tutti intorno.
La piccola cocorita aprì gli occhi e disse:
“È una bellissima giornata!”

Brano tratto dal libro “Storie belle e buone.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professore ed il ringraziamento a Dio

Il professor Matthew Henry stava rincasando dall’Università, quando a pochi metri da casa sua si trovò davanti una canna di pistola puntata contro gli occhi.
Dietro la pistola c’era un rapinatore con il volto coperto che gli intimò di consegnargli borsa e portafoglio.

Lo fece e il rapinatore si dileguò rapidamente nell’oscurità.

Ancora spaventato dalla spiacevole esperienza, quella sera si sedette alla scrivania e scrisse questa preghiera:
“Signore, oggi sono stato derubato.

So che devo ringraziarti per molte cose.

Per prima cosa ti ringrazio di non essere mai stato rapinato prima, e in un mondo come questo è quasi un miracolo.
In secondo luogo voglio dirti grazie perché mi hanno portato via solo il portafoglio che, come sempre, conteneva solo pochi soldi, e una vecchia borsa piena di carta.

Ti voglio ringraziare anche, Signore,

perché non c’erano con me mia moglie e mia figlia, che si sarebbero spaventate molto e anche per il fatto che ora non devono piangere per me.
Infine, Signore, voglio ringraziarti in modo particolare, perché io sono stato il derubato e non il ladro.”

Il modo più semplice ed efficace per lottare contro la sofferenza consiste nel non essere noi causa di sofferenza.

Brano tratto dal libro “Dieci motivi per essere cristiani (e cattolici).” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il bambino e la cameriera

Il bambino e la cameriera

La famiglia si accomodò ad un tavolo del ristorante.
La cameriera raccolse prima le ordinazioni degli adulti e poi si rivolse al piccolo di sette anni.

“Tu che cosa prendi?” gli domandò.

Il bambino si guardò intorno timidamente e disse:
“Vorrei un panino con la salsiccia.”
La cameriera non aveva ancora iniziato a scrivere, quando la madre del piccolo la fermò.

“Macché panino,” disse,

“gli porti una bistecca con carote e purè di patate!”
La cameriera non le fece caso e chiese al bambino:
“Come lo vuoi il panino, col ketchup o con la senape?”
“Ketchup, grazie.” rispose il bambino.
“Arrivo fra un minuto.” disse la cameriera, mentre ritornava in cucina.

A tavola erano tutti ammutoliti per lo stupore.

Alla fine il bambino fissò i presenti a uno a uno ed esclamò:
“Ehi! Lei crede che io esisto davvero!”

Brano senza Autore

Il pane nell’armadio

Il pane nell’armadio

Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano.
Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo.
Si fermò e bussò alla porta.
Uscì una donna con la faccia sofferente e disse:
“Cosa desidera, signore?”

“Vengo ad aiutarti.” rispose Dio.

“Aiutarmi?
È molto difficile.
Nessuno lo ha fatto finora.
Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame.
Mi resta soltanto un pezzo di pane nell’armadio… quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi!”
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male.
Il suo Volto diventò sofferente come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance.
“Nessuno ha voluto aiutarti, donna?” domandò Dio.

“Nessuno, signore.

Tutti mi hanno voltato le spalle!” rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto.
A guardarlo, sembrava povero come lei.
Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire.
Allora andò all’armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glieLo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi, le disse:
“No, no, grazie.
Tu ne hai più bisogno di me.
Conservalo e dallo a tuo figlio.
Domani ti arriverà il mio aiuto.
Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto a Me!”

Detto questo, se ne andò.

La donna non capì nulla… ma fu molto colpita da quello sguardo.
Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l’ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa:
l’armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai.
In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era “Colui” che aveva bussato alla sua porta e, da quel giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:
condividere il pane con i bisognosi.

Brano senza Autore

Il monaco ed il topolino

Il monaco ed il topolino

Tanti anni fa, in una piccola città scoppiò una grave carestia.
Non si trovava più cibo da nessuna parte.
Tutti gli abitanti, da i ricchi signori ai poveri contadini, erano stremati, deboli ed affamati.
Un giorno, un monaco di nome Cadog arrivò a visitare la città.
Cadog era buono, gentile e cordiale.
Amava sinceramente Dio e tutte le sue creature.
Gli piaceva molto leggere, studiare, scrivere e imparare.
E ogni giorno aveva un visitatore, un minuscolo visitatore, con dei magnifici baffi grigi, il naso a punta e una lunga coda rosa.
Saliva sul tavolo di Cadog, scorrazzava in mezzo ai suoi libri, si infilava tra le penne d’oca che gli servivano per scrivere.

Ma Cadog non se ne preoccupava.

Neanche un pò.
Gli piaceva il topolino e non lo cacciava via come facevano tutti gli altri in città, che davano la caccia ai topi e li uccidevano ritenendoli la causa della carestia.
E forse fu per questo che, un giorno, il topolino arrivò con un regalo.
Sette chicchi dorati
Si arrampicò sul tavolo di Cadog, si infilò tra le sue penne d’oca e, nel bel mezzo dei libri del monaco, lasciò cadere un chicco di grano!
“Grazie, amico mio.” disse Cadog al topolino.
Il topo si sedette, fece un grazioso inchino e squittì, come per dire:
“Non si va mai da un amico a mani vuote.”
Mezz’ora dopo, il topolino ritornò con un altro chicco di grano e di nuovo gentilmente Cadog lo ringraziò.

Il topolino ritornò una terza volta.

Poi una quarta.
E una quinta.
E una sesta volta.
Quando alla fine ci furono sette chicchi di grano sul suo libro, Cadog ebbe un’idea.
Prese un filo di seta rossa e con molta attenzione ne legò l’estremità a una zampa del topolino.
“Non ti disturberà più di tanto,” promise il buon monaco, “e potrà fare un mondo di bene.”
Lasciò andare il topolino, guardando bene da che parte andava.
Il topolino correva molto più velocemente di Cadog, ma il monaco poteva seguire il filo di seta che si srotolava attraverso muri, giardini, boschi, fino a un imponente ammasso di terra.
Il topolino si infilò in una stretta apertura.
Un’enorme quantità di grano.
Cadog corse a chiamare il suo maestro e insieme cominciarono a scavare.
Sepolte sotto la terra e detriti c’erano le rovine di un antico palazzo.
E sepolto nei capaci magazzini del palazzo c’era un’enorme quantità di grano!

Cadog e il maestro corsero ad annunciare la notizia ai loro amici.

E ben presto per tutta la città si sparse il fragrante profumo del pane appena sfornato.
Ora c’era nuovamente cibo per tutti, in attesa della nuova stagione!
Il giorno dopo, il topolino venne a trovare il suo amico, come sempre.
Si arrampicò sul tavolo di Cadog e si infilò tra le sue penne d’oca.
Appena si sedette nel bel mezzo del libro di Cadog, con garbo il monaco gli slegò il filo di seta dalla zampa.
“Grazie, amico mio!” disse, “Dio ti ha mandato da me per un motivo, che solo adesso capisco.
Il tuo acuto naso e le tue zampette hanno salvato l’intera città.”
Poi prese una pagnotta di pane fresco e croccante e lo mise davanti alla piccola creatura.
E il topolino e il monaco condivisero il cibo.
Mangiare insieme è un gesto di riconciliazione

Brano tratto dal libro “L’Eucaristia raccontata ai bambini.” di Bruno Ferrero e Anna Peiretti. Edizione ElleDiCi.

Tre racconti brevi su Dio

Tre racconti brevi su Dio
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Il missionario ed il cantante

La chiesa ed i fedeli

Siate come il vetro

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“Il missionario ed il cantante”

Un missionario, che era vissuto in Cina per molti anni, ed un famoso cantante, che vi era rimasto soltanto per due settimane, tornavano negli Stati Uniti a bordo della stessa nave.
Quando attraccarono a New York, il missionario vide una gran folla di ammiratori in attesa del cantante.

“Signore, non capisco!” mormorò il missionario,

“Ho dedicato 42 anni della mia vita alla Cina, e lui ci è rimasto soltanto due settimane, eppure ci sono migliaia di persone che gli danno il bentornato a casa, mentre per me non c’è nessuno!”
Ed il Signore gli rispose:
“Figliolo, ma tu non sei ancora a casa!”

Brano senza Autore.
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“La chiesa ed i fedeli”

Un uomo cercava una buona chiesa da frequentare ed entrò per caso in una chiesa in cui i fedeli ed il prete stavano leggendo il loro libro di preghiere.
E dicevano:

“Non abbiamo fatto queste cose che avremmo dovuto fare,

ed abbiamo fatto queste altre cose che non avremmo dovuto fare!”
L’uomo si lasciò cadere in un banco e sospirò sollevato dicendo:
“Grazie a Dio, ho finalmente trovato la mia gente!”

Brano senza Autore.
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“Siate come il vetro”

Siate come il vetro; il vetro, se è pulito, non si vede!
Però fa vedere al di là di se stesso.
Anche voi, se siete limpidi e non appannati dall’orgoglio e dall’egoismo,

sarete come il vetro:

lascerete vedere Gesù al di là di voi stessi e così aiuterete tanta gente a incontrarlo.

Brano di Madre Teresa di Calcutta

Quanto costa un biglietto?

Quanto costa un biglietto?

Un mattino, la segretaria stava vendendo i biglietti per l’ultima serata dello spettacolo allestito dalla scuola.
La sera prima avevano registrato il tutto esaurito.
La prima della fila di quel giorno era una madre.
“Penso che sia terribile dover pagare per vedere recitare mio figlio.” annunciò, estraendo il borsellino dalla borsa.
“La scuola chiede una donazione volontaria per contribuire alle spese per la scenografia e i costumi,” spiegò la segretaria, “ma nessuno deve pagare.
Lei può avere tutti i biglietti di cui ha bisogno!”
“Oh, pagherò!” borbottò, “Due adulti ed un bambino.”
E fece cadere un biglietto da dieci.

La segretaria le diede il resto.

In quel momento il ragazzo dietro di lei svuotò sul tavolo la tasca piena di monete.
“Quanti biglietti?” chiese la segretaria.
“Non mi servono i biglietti per vedere lo spettacolo stasera!” disse.
“Voglio solo pagare!” e spinse verso di lei le monete.
“Ma devi avere il biglietto per vedere lo spettacolo di stasera?” chiese la segretaria.
Il ragazzo scosse la testa: “L’ho già visto!”
La segretaria spinse indietro la pila di monetine.
“Se vuoi vedere lo spettacolo con la tua classe non devi pagare.” gli disse, “È gratis!”
“No!” insistette il ragazzo, “Io l’ho visto ieri sera.
Io e mio fratello siamo arrivati tardi.
Non abbiamo trovato nessuno per comprare i biglietti, così siamo entrati!”
Un sacco di gente in mezzo a quella folla era probabilmente entrata.
I pochi volontari presenti non potevano controllare che tutti avessero il biglietto.

Lui spinse nuovamente avanti il denaro:

“Pago adesso per ieri sera!”
Quel ragazzo e suo fratello dovevano essere rimasti in fondo.
Ed essendo arrivati quando il botteghino era già chiuso, probabilmente non avevano nemmeno visto tutto lo spettacolo.
Alla segretaria dispiaceva prendere quei soldi.
Una pila di monetine nelle mani di un ragazzino è di solito il risultato di paghette risparmiate con cura.
“Se il banco dei biglietti era chiuso quando siete arrivati, non potevate pagare!” argomentò allora.
“Questo è quello che ha detto mio fratello!” spiegò il ragazzino.
“Nessuno si accorgerà della differenza.” gli assicurò la segretaria, “Non preoccuparti!”
Pensando che la questione fosse chiusa, spinse di nuovo indietro le monete.

Lui pose la sua mano sulla sua:

“Io conosco la differenza!”
Per un istante le loro mani si unirono in silenzio al di sopra del mucchietto di monete.
Poi la segretaria disse:
“Due biglietti costano sei euro.”
Le monete vennero contate fino alla cifra corretta.
“Grazie!” dissero insieme.
Il ragazzino sorrise, si voltò e se ne andò.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il gigante buono

Il gigante buono

Il paese dove i bambini rimanevano bambini era diviso a metà da un fiume.
Là c’era un gigante buono che si caricava i piccoli sulle spalle per portarli da una parte all’altra.
Ma i bambini erano tanti e il gigante uno solo.

Un giorno, un merlo disse al gigante buono:

“Perché, invece di fare tanti viaggi, non aspetti che ci siano almeno tre bambini su una sponda?
Tu ti riposeresti un po’ e loro potrebbero conoscersi meglio.”
Ma il gigante pensò che sarebbe stato egoistico da parte sua.
Dopo qualche mese, lo stesso merlo gli disse:
“Tu conosci il fiume molto bene.
Perché non gli chiedi di darti una mano abbassando le sue acque, solo per qualche settimana?”
Ma il gigante pensò che sarebbe stata una mancanza di tatto.
Dopo un anno, il merlo si fece vivo di nuovo:
“Guarda quanti alberi ci sono!

Per te sarebbe un gioco da ragazzi farci una zattera.

Potresti insegnare ai bambini…”
Il gigante, sorridendo, lo interruppe:
“Grazie, grazie davvero.
Ma non ti devi preoccupare per me!
E poi dove lo trovo il tempo?
Con tutti i piccoli che devo traghettare…”
Il merlo non tornò più.
Ma una sera, il gigante buono, stremato da tutte le sue traversate, cadde disteso sul letto del fiume.
Grosso come era, non riusciva più ad alzarsi.

Allora i bambini si dissero:

“Non possiamo lasciarlo lì!”
Piano piano, dandosi la mano, entrarono nel fiume.
Con loro grande stupore (e con grande stupore dello stesso gigante) si accorsero che l’acqua non arrivava loro più in su della vita.
“Uno, due, tre… issa!” gridarono tutti insieme.
Con gentilezza, sollevarono il gigante buono e lo portarono sull’altra sponda.

Brano senza Autore.