È importane osservare la natura


È importane osservare la natura

Un padre ricco, volendo che suo figlio sapesse quale fosse il significato di essere povero, gli fece passare alcune giornate con una famiglia di contadini.
Il bambino trascorse tre giorni e tre notti nei campi.
Di ritorno in città, ancora in macchina, il padre gli chiese:
“Cosa mi dici della tua esperienza?”

“Bella!” rispose il bambino.

“Hai appreso qualcosa?” insistette il padre.
Il bimbo in quel momento iniziò a parlare:
Noi abbiamo un cane, loro ne hanno quattro.
Noi abbiamo una piscina con acqua trattata, che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume, con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.
Noi abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

Il nostro giardino arriva fino al muro. Il loro, fino all’orizzonte.

Noi compriamo il nostro cibo; loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.
Noi ascoltiamo CD… Loro ascoltano una sinfonia continua di pappagalli, grilli e altri animali… tutto ciò, qualche volta accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.
Noi utilizziamo il microonde. Ciò che cucinano loro, ha il sapore del fuoco lento
Noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme… Loro vivono con le porte aperte, protetti dall’amicizia dei loro vicini.
Noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre e alle loro famiglie.
Il padre rimase molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio concluse:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri!”

Ogni giorno, diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura!

Brano senza Autore

L’importanza di essere gentili. (La storia di Arturo)


L’importanza di essere gentili. (La storia di Arturo)

Un giorno, quando ancora ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola.
Il suo nome era Arturo e sembrava stesse trasportando tutti i suoi libri a casa.
Pensai tra me e me:
“Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì?
Deve essere un ragazzo strano.”
Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di pallone con i miei amici), così scrollai le spalle e mi incamminai.
Camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro ad Arturo.

Si scagliarono contro di lui facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango.

I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell’erba un paio di metri più in là.
Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi.
Mi rapì il cuore!
Così mi avvicinai a lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi.
Raccolsi i suoi occhiali e glieli diedi, dicendogli:
“Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere.”
Arturo mi guardò e disse: “Grazie!”

C’era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove vivesse.
Scoprii che abitava vicino casa mia così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima.
Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.
Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andasse di giocare a calcio con i miei amici e lui disse di sì.
Trascorremmo in giro tutto il week-end e più lo conoscevo più Arturo mi piaceva, così come piaceva ai miei amici.
Arrivò il lunedì mattina ed ecco Arturo con tutta la pila dei libri ancora.

Lo fermai e gli dissi:

“Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!”
Egli rise e mi diede metà dei libri.
Nei successivi quattro anni io e Arturo diventammo amici per la pelle.
Una volta adolescenti cominciammo a pensare all’università, Arturo decise per Roma ed io per un’altra città.
Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi.
Arturo sarebbe diventato un medico mentre io mi sarei occupato di cause e litigi.
Arturo era il primo della nostra classe e io lo prendevo spesso in giro dicendogli di essere un secchione.

Arturo doveva preparare un discorso per il diploma.

Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare.
Il giorno dei diplomi vidi Arturo, ed aveva un ottimo aspetto.
Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori.
Si era un po’ riempito nell’aspetto e stava molto bene con gli occhiali.
Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano.
Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po’ nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi:

“Giovane te la caverai alla grande!”

Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) sorrise e mi disse: “Grazie!”
Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce:
“Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri.
I genitori, gli insegnanti, ma più di tutti i tuoi amici.
Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare.
Voglio raccontarvi una storia proseguì!
Guardai il mio amico Arturo incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro.

Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end.

Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stesse portando a casa tutte le sue cose.
Arturo mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso.
“Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto!”
Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni.
Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.
Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.
Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio.
Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo.
Cercate il buono negli altri.
“Gli amici sono angeli che ci sollevano i piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La vecchia zia Ada


La vecchia zia Ada

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero degli anziani, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei.
Si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale.
“Brava, così verranno le formiche!” dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via.
“Ecco,” borbottarono le vecchine “che cosa ci avete guadagnato?
Ha beccato ed è volato via.

Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.”

La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l’uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionato, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva.
Dopo qualche tempo l’uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso.
“Ci sono i vostri uccellini!” dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po’ d’invidia.
E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all’anice e intanto diceva:
“Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.” esclamava la vecchia zia Ada.
“Eh,” mormoravano le altre vecchine “se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli.
E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri?”

La vecchia zia Ada non lo sapeva più:

forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro:
“Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare.”
E quando avevano finito di beccare il biscotto:
“Su, andate, andate.
Cosa aspettate ancora?
Le ali sono fatte per volare.”
Le vecchine scrollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po’ matta, perché vecchia e povera com’era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie.
Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po’ di tempo, e non valeva più la pena di mettersi in viaggio per il funerale.
Ma gli uccellini tornarono per tutto l’inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari

Un grazie inaspettato

Un grazie inaspettato

Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore.
Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri.
Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino:
una semplice mano disegnata in maniera infantile.
“Ma la mano di chi?”
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta.

“Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare!””disse un bambino.
“Un contadino,” disse un altro “perché alleva i polli e le patatine fritte.”
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano.
“E’ la tua mano, maestra!” mormorò il bambino.
Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita.
Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto.

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero