L’uomo ed il pettirosso

L’uomo ed il pettirosso

Un uomo trovò un pettirosso fra gli spini e lo catturò, dicendo:
“Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo!”
Al che il pettirosso gli parlò:
“Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto!
Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore!”
“Sì, d’accordo,” rispose l’uomo, “ma prima dimmi le massime e poi ti lascerò andare!”

“E come posso fidarmi?

Facciamo così: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano.
Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto.
Poi volerò sulla cima dell’albero, e da lì ti dirò la terza massima!”
Così fu convenuto e l’uccellino cominciò:
“Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla.”
“Bene,” disse l’uomo, “mi piace!” e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima:
“Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona!”
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell’albero gridò tra i gorgheggi:

“Uomo sciocco e stupido!

Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini.
Se mi avessi aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco!”
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando:
“Povero me, in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso!
Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso!
Perché questo insulso scambio per tre sole massime…
Ma, un momento!
Ehi, pettirosso: me ne hai dette solo due; dimmi almeno anche la terza!”

E il pettirosso rispose:

“Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile.
Ed ecco che sei per terra a lamentarti.
Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché minima prova.
Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale?
Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?”
E volò via.

Brano tratto dal libro “Saggezza islamica.” di Gabriel Marcel. Edizione Paoline.

Cacciatori di scimmie

Cacciatori di scimmie

I cacciatori di scimmie hanno escogitato un metodo geniale e infallibile per catturarle.
Quando hanno scoperto la zona della foresta in cui più spesso si radunano,

affondano nel terreno dei vasi con il collo lungo e stretto.

Con molta attenzione coprono di terra i vasi, lasciando libera solo l’apertura a pelo d’erba.
Poi mettono nel vaso una manciata di riso e bacche, di cui le scimmie sono molto ghiotte.

Quando i cacciatori si sono allontanati, le scimmie ritornano.

Curiose per natura, esaminano i vasi e, quando si accorgono delle ghiottonerie che contengono, infilano le mani dentro a abbrancano una grossa manata di cibo, la più grossa possibile.
Ma il collo dei vasi è molto stretto.
Una mano vuota vi scivola dentro, quando è piena non può assolutamente venire fuori.

Allora le scimmie tirano, tirano.

È il momento che i cacciatori, nascosti nei paraggi, aspettano.
Si precipitano sulle scimmie e le catturano facilmente.
Perché esse si dibattono violentemente, ma non le sfiora neppure per un attimo il pensiero di aprire la mano e abbandonare ciò che stringono in pugno.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Due cuori in un armadio

Due cuori in un armadio

Mi racconto.
Correva l’anno 1966 e, poco più che quattordicenne, a causa degli insuccessi scolastici, andai a fare l’apprendista in un laboratorio calzaturiero, con l’intento di imparare il mestiere, così come si usava in quel periodo.
Per i primi due mesi, quelli di rodaggio per intenderci,

i proprietari non mi misero in regola e lavorai in nero.

Però anche in quel periodo i locali subivano delle ispezioni per i continui infortuni e per l’evasione fiscale.
Fuori regola eravamo io ed una coetanea, una bella e vispa ragazzina di cui mi innamorai, platonicamente, subito.
I proprietari avevano istallato un campanello d’allarme e in caso di ispezione,

noi due dovevamo nasconderci dentro un armadio non molto grande.

Un giorno suonò l’allarme e ci precipitammo dentro questo armadio.
Fu una emozione forte, io sentivo il suo respiro ed il suo profumo.
Mi trovai per la prima volta a contatto ravvicinato con l’altro sesso ed il mio cuore cominciò a battere all’impazzata,

così tanto che credetti di svenire.

Nell’oscurità totale e in quel silenzio inquietante, lei prese la mia mano e se la portò al cuore sfiorandomi con un bacio.
Nessuna parola potrà mai descrivere l’emozione di due cuori quattordicenni in un armadio.
Capì solo più tardi di essere stato, rispetto a lei, un imbranato apprendista.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’eremita e l’esempio dello sparviero

L’eremita e l’esempio dello sparviero

Un eremita vide una volta, in un bosco, uno sparviero.
Lo sparviero portava al suo nido un pezzo di carne:
lacerò quella carne in tanti piccoli pezzi, e si mise a imbeccare anche una piccola cornacchia ferita.
L’eremita si meravigliò che uno sparviero imbeccasse così una piccola cornacchia, e penso:

“Dio mi ha mandato un segno.

Neppure una piccola cornacchia ferita viene abbandonata da Lui.
Dio ha insegnato addirittura ad un feroce sparviero a nutrire una creaturina d’altra razza, rimasta orfana al mondo.
Si vede proprio che Dio dà il necessario a tutte le creature:
e noi, invece, stiamo sempre in pensiero per noi stessi.
Voglio smetterla di preoccuparmi di me stesso!
Dio mi ha fatto vedere che cosa devo fare.

Non mi procurerò più di mangiare!

Dio non abbandona nessuna delle sue creature:
non abbandonerà neanche me!”
E così fece:
si mise a sedere in quel bosco e non si mosse più di là:
pregava, pregava, e nient’altro.
Per tre giorni e per tre notti rimase così, senza bere un sorso d’acqua e senza mangiare un boccone.
Dopo tre giorni, l’eremita s’era tanto indebolito, che non era più capace d’alzare la mano.

Dalla gran debolezza, s’addormentò.

Ed ecco apparirgli in sogno un angelo.
L’angelo lo guardò accigliato e gli disse:
“Il segno era per te, certo.
Ma perché tu imparassi ad imitare lo sparviero!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La leggenda del minestrone di Fagioli di Levada

La leggenda del minestrone di Fagioli di Levada

Tanti secoli orsono, un potente re bandì un editto in cui asseriva che avrebbe concesso la mano di sua figlia a chi avesse portato a corte il piatto più rappresentativo del suo regno.
Il regno era composto da diverse contee, ognuna delle quali vantava eccellenze culinarie.
Ci fu una gara serrata e tanti giovani portarono piatti con prodotti e ricette tipiche,

ma nessuno di questi incontrò i favori del re.

In quel regno era emigrato un giovane veneto per lavoro, il quale era perdutamente innamorato della principessa.
Sapeva però che, come emigrato, non aveva tipicità da portare, ma si ricordò il piatto povero della sua terra; fece un minestrone con un po’ di ortaggi del regno ed abbondò con i fagioli portati dalla sua terra natia.

Il re ne sentì da lontano il profumo ed entusiasta chiese:

“Da dove arriva questo ottimo odore?”
Il giovane rispose:
“È il piatto della mia terra di origine e si chiama minestrone di fagioli;
rende forti come i leoni ed è profumatissimo, nasce da un pentolone,

è un mangiare da poveri ma da re vale un regno.”

Il re entusiasta decretò il minestrone di fagioli piatto tipico delle sue terre e concesse al giovane la mano della figlia.
Da quel momento, i fagioli di Levada divennero, grazie al re, famosi ed ambiti in tutto il mondo.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’aquila ed il falco

L’aquila e il falco

Racconta una leggenda sioux che, una volta, Toro Bravo e Nube Azzurra giunsero tenendosi per mano alla tenda del vecchio stregone della tribù e gli chiesero:
“Noi ci amiamo e ci vogliamo sposare.
Ma ci amiamo tanto che vogliamo un consiglio che ci garantisca di restare per sempre uniti, che ci assicuri di restare l’uno accanto all’altra fino alla morte.
Che cosa possiamo fare?”
Ed il vecchio, emozionato vedendoli così giovani e così innamorati, così ansiosi di una parola bella, disse:

“Fate ciò che dev’essere fatto.

Tu, Nube Azzurra, devi scalare il monte al nord del villaggio.
Solo con una rete, devi prendere il falco più forte e portarlo qui vivo, il terzo giorno dopo la luna nuova.
E tu, Toro Bravo, devi scalare la montagna del tuono; in cima troverai la più forte di tutte le aquile.
Solo con una rete prenderla e portarla a me, viva!”
I giovani si abbracciarono teneramente e poi partirono per compiere la missione.
Il giorno stabilito, davanti alla stregone, i due attendevano con i loro uccelli.
Il vecchio li tolse dal sacco e costatò che erano veramente begli esemplari degli animali richiesti.

“E adesso, che dobbiamo fare?” chiesero i giovani.

“Prendete gli uccelli e legateli fra loro per una zampa con questi lacci di cuoio.
Quando saranno legati, lasciateli andare perché volino liberi.”
Fecero quanto era stato ordinato e liberarono gli uccelli.
L’aquila ed il falco tentarono di volare, ma riuscirono solo a fare piccoli balzi sul terreno.
Dopo un po’, irritati per l’impossibilità di volare, gli uccelli cominciarono ad aggredirsi l’un altro beccandosi fino a ferirsi.
Allora, il vecchio disse:
“Non dimenticate mai quello che state vedendo.

Il mio consiglio è questo:

voi siete come l’aquila e il falco.
Se vi terrete legati l’uno all’altro, fosse pure per amore, non solo vivrete facendovi del male, ma, prima o poi, comincerete a ferirvi a vicenda.
Se volete che l’amore fra voi duri a lungo, volate assieme, ma non legati con l’impossibilità di essere voi stessi.”

Leggenda Sioux.

L’intagliatore di giada

L’intagliatore di giada

Un giovane cinese decise di diventare un provetto intagliatore di giada.
Si recò perciò dal migliore maestro di tutta la Cina e si mise a bottega da lui.
Il primo giorno, il maestro gli mise in mano un pezzo di giada e gli disse:

“Tienilo stretto in pugno!”

Per tutto il giorno il giovane rimase fermo con il pugno chiuso.
Non fece altro.
Il giorno dopo, si presentò baldanzoso dal maestro, convinto di imparare qualcosa di nuovo.
Ma il maestro gli mise in mano un pezzo di giada e gli disse:

“Stringi il pugno!”

E per tutto il giorno il giovane rimase nuovamente fermo impalato con il pugno stretto su un pezzo di giada.
Così il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Per un anno intero.
Un mattino, come era ormai abituato a fare, il giovane si presentò dal maestro con la mano aperta.
Come al solito, il maestro gli mise una pietra in mano.
Ma, appena la pietra gli sfiorò la mano, il giovane esclamò:

“Ma questa non è giada!”

Il maestro sorrise:
“Ora conosci la giada!”

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Editrice ElleDiCi.

Er bijetto da cento lire

Er bijetto da cento lire

Un Bijetto da Cento diceva:
“È più d’un mese
che giro ‘sto paese,

sempre in funzione, sempre in movimento!

Comincianno da un vecchio, che una notte
me diede a ‘na coccotte,
so’ capitato in mano a un farmacista,
a un avvocato, a un giudice, a un fornaro, a un prete e a un socialista.

Capisco ch’è ‘na gran soddisfazione d’annà in saccoccia a tutti:

ommini e donne, onesti e farabbutti; ma d’artronne trovo curioso che l’istesso fojo,
che j’ha servito a fa’ ‘na bona azzione, poi serva a fa’ un imbrojo!
Mó, da quattr’ora, sto ner portafojo d’una signora onesta:

ma indove finirò doppo de questa?

Chi lo sa? chi lo sa? Chi me possiede me conserva, me stima,
me tiè da conto assai, ma nun me chiede quer che facevo co’ chi stavo prima.
E questo è naturale, capirai:
quanno se tratta de pijà quatrini la provenienza nun se guarda mai!

Brano di Trilussa

L’uccelletto (L’uccello in Chiesa)

L’uccelletto
(L’uccello in Chiesa)
(a fine pagina troverete l’audio ed il video di questo brano, narrato da Andrea Bocelli, tratto da Youtube)

Era d’agosto e un povero uccelletto,
ferito dalla fionda d’un maschietto,
andò, per riposare l’ala offesa,
sulla finestra aperta d’una chiesa.

Dalle tendine del confessionale
il parroco intravide l’animale
ma, pressato dal ministero urgente,
rimase intento a confessar la gente.
Mentre in ginocchio alcuni, altri a sedere

dicevano i fedeli le preghiere,

una donna, notato l’uccelletto,
lo prese al caldo e se lo mise al petto.
D’un tratto un cinguettio ruppe il silenzio e il prete a quel rumore
il ruolo abbandonò di confessore
e scuro in viso peggio della pece
s’arrampicò sul pulpito e poi fece:

“Fratelli, chi ha l’uccello, per favore,
esca fuori dal tempio del Signore.”
I maschi, un po’ stupiti a tal parole,
lenti s’accinsero ad alzar le suole.
Ma il prete a quell’errore madornale

“Fermi!” gridò, “mi sono espresso male.

Rientrate tutti e statemi a sentire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire.”

A testa bassa, la corona in mano,
cento donne s’alzarono pian piano.
Ma mentre se n’andavano ecco allora
che il parroco strillò: “Sbagliate ancora!
Rientrate tutte quante, figlie amate,
ch’io non volevo dir quel che pensate.”
“Ecco, quello che ho detto torno a dire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire,
ma mi rivolgo, non ci sia sorpresa,

soltanto a chi l’uccello ha preso in chiesa.”

Finì la frase e nello stesso istante
le monache s’alzaron tutte quante,
e con il volto pieno di rossore
lasciavano la casa del Signore.
“Oh Santa Vergine!” esclamò il buon prete,
“Fatemi la grazia, se potete!”
Poi: “Senza fare rumore dico, piano piano,
s’alzi soltanto chi ha l’uccello in mano.”
Una ragazza, che col fidanzato
s’era messa in un angolo appartato,
sommessa mormorò, col viso smorto:
“Che ti dicevo? Hai visto? Se n’è accorto!”

Brano di Trilussa

La donna e l’uovo

La donna e l’uovo

Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo.
Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse:
“Tutte le nostre preoccupazioni sono finite.

Guardate un po’:

ho trovato un uovo!
Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia.
Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina.
Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova.

Così avremo tante galline e tante uova.

Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina.
Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca.
La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria.

Venderemo la mandria e ci compreremo un campo,

poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo…”
Mentre parlava, la donna gesticolava.
L’uovo le scivolò di mano e si finì rotto per terra.

Brano tratto dal libro “40 Storie nel deserto.” di Bruno Ferrero. Editrice ElleDiCi.