Il debito

Il debito

Un uomo molto ricco aveva tanti debitori.
Quando fu assai avanti negli anni, chiamò alcuni di quelli che gli dovevano più denaro e disse:
“Se non potete restituirmi oggi quanto vi ho prestato, mi dovete giurare solennemente che pagherete i vostri debiti nella vostra vita futura e, così facendo, io brucerò le cambiali che mi avete firmato.”

Il primo debitore gli doveva una piccola somma.

Giurò che nella vita futura avrebbe accettato di essere il cavallo del creditore e che l’avrebbe portato in giro sulla groppa dovunque volesse andare.
Il vecchio accettò l’offerta e bruciò le carte con il suo debito.
Il secondo debitore doveva una somma più grossa e promise:
“Io sono pronto a diventare nell’altra vita il tuo bue.
Tirerò l’aratro per arare i campi e i tuoi carri di fieno e così pagherò il mio debito!”

Il vecchio accettò e bruciò le cambiali del secondo debitore.

Per ultimo toccò ad un uomo che aveva un debito enorme.
“Per ripagare il mio debito, disse, nella vita futura sarò tuo padre!”
Il vecchio andò su tutte le furie, prese un bastone e stava per picchiare il debitore irriverente.
L’altro lo fermò e disse:
“Lasciami spiegare prima di picchiarmi.
Il mio debito è enorme, non posso certo ripagarlo diventando solo il tuo bue o il tuo cavallo.

Sono pronto ad essere tuo padre.

Così lavorerò giorno e notte per te, ti proteggerò quando sarai piccolo e veglierò su di te fino a quando sarai cresciuto.
Affronterò qualsiasi sacrificio, rischierò anche la vita perché a te non manchi nulla, e alla mia morte ti lascerò tutte le ricchezze che avrò accumulato.
Non è molto di più che farti da bue e da cavallo?
Non è una buona proposta per pagare il mio debito?”

Brano senza Autore

Cristo è risorto

Cristo è risorto

Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza.
Si celebrava il primo viaggio spaziale.
Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin.
Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare, in cielo:

Dio proprio non l’aveva visto.

Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione.
Il salone era gremito di gente.
La riunione era ormai alla fine.
“Ci sono delle domande?” chiese.
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente:

“Christòs ànesti!”, “Cristo è risorto!”

Il suo vicino ripeté, un po’ più forte:
“Christòs ànesti!”
Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora.
Infine tutti si alzarono gridando:
“Christòs ànesti!”, “Cristo è risorto!”
Il commissario si ritirò confuso e sconfitto.
Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c’è un fatto.
Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo:

Christòs ànesti.

Tutto il cristianesimo vi è condensato.
Un fatto: non si può niente contro di esso.
I filosofi possono disinteressarsi del fatto.
Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all’umanità:
Gesù è risorto.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il Messia in ritardo

Il Messia in ritardo

Ad una comunità ebraica molto osservante fu annunciato che nella notte solenne del sabato di Pasqua il Messia sarebbe arrivato.
Avrebbe cominciato la sua missione proprio dalla comunità.

Il giorno di sabato, si radunarono tutti.

Le donne avevano preparato la cena, osservando ancora più scrupolosamente le prescrizioni della tradizione e della Legge, gli uomini avevano provato a lungo la musica, i canti e le danze.
Sapevano che in quella notte, finalmente, il Messia sarebbe arrivato.
La festa cominciò…
Mezzanotte: da lì a poco l’avrebbero visto!
L’una del mattino: il suo arrivo era imminente.

Le due: i cuori battevano più forte.

Le tre: la stanchezza cominciava a farsi sentire.
Le quattro: alcuni cominciarono a perdersi d’animo.
Le cinque: sonnecchiavano e sbadigliavano tutti…
Non arrivava ancora…
A mezzogiorno, il Messia bussò finalmente alla porta!

Entrando disse educatamente:

“Scusatemi, ma ho incontrato un bambino che piangeva e mi sono fermato a consolarlo!”
Finché ci saranno bambini che piangono, il Messia non arriverà!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La cattedrale con magnifiche vetrate

La cattedrale con magnifiche vetrate

C’è una cattedrale con magnifiche vetrate!
Una di esse, in particolare, attira l’attenzione per la sua singolare bellezza ed i giochi di luce.

Ecco la sua storia:

Durante la costruzione della cattedrale il maestro e gli artigiani più bravi lavoravano in laboratori allestiti all’interno del cantiere.
Un mattino, al maestro si presentò un giovane forestiero che portava alla cintura gli arnesi da artigiano.
“Ho già gli operai e gli scultori che mi servono!” disse il maestro ed indicò, sgarbatamente, la porta d’uscita allo straniero.
“Non chiedo di lavorare le pietre!” disse lo sconosciuto.
“Mi piacerebbe soltanto realizzare una vetrata, come prova, senza alcun impegno o spesa da parte vostra!”
Il maestro accettò e concesse al giovane una vecchia “baracca” inutilizzata accanto alla discarica del cantiere.

Nei mesi seguenti nessuno gli badò.

Il giovane lavorava nella sua “baracca” silenzioso ed alacre!
E venne il giorno in cui portò fuori la sua opera segreta.
Era una vetrata di incredibile splendore, con colori luminosi che nessuno aveva mai visto prima.
Senza dubbio più incantevole di tutte le altre vetrate della cattedrale!
La fama della stupenda vetrata si sparse e cominciò ad arrivare gente, da vicino e da lontano, per ammirarla.
“Dove hai preso tutti questi meravigliosi pezzi di vetro così brillanti e luminosi?” chiedevano, sorpresi ed eccitati allo stesso tempo, i maestri artigiani.

E lo straniero rispose:

“Oh, ho trovato frammenti qua e là, dove lavoravano gli operai!
Questa vetrata è fatta con i pezzi scartati da altri come inutili!” (Racconto per Pasqua)

Brano senza Autore

Ricomincia

Ricomincia

Se sei stanco e la strada ti sembra lunga, se ti accorgi che hai sbagliato strada, non lasciarti portare dai giorni e dai tempi, Ricomincia.

Se la vita ti sembra troppo assurda, se sei deluso da troppe cose e da troppe persone, non cercare di capire il perché, Ricomincia.

Se hai provato ad amare ed essere utile,

se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti, non lasciar là un impegno assolto a metà, Ricomincia.

Se gli altri ti guardano con rimprovero, se sono delusi di te, irritati, non ribellarti, non domandar loro nulla, Ricomincia.

Perché l’albero germoglia di nuovo dimenticando l’inverno,

il ramo fiorisce senza domandare perché, e l’uccello fa il suo nido senza pensare all’autunno, perché la vita è speranza e sempre Ricomincia…

Brano senza Autore

Maria e la “croce” sul pane

Maria e la “croce” sul pane

Un giorno Maria si alzò di buon mattino e, senza calzare i sandali per non svegliare Gesù e Giuseppe che ancora dormivano, a piedi nudi e di buona lena, si diede a sfaccendare per casa.
Riattizzò dalla cenere il fuoco, spalancò la finestra, andò ad attingere acqua al pozzo, poi pensò al pane per il giorno che cominciava.
Guardò nella dispensa e non trovò che un mucchietto di farina non più grande di un pugno.
Per tre era poco, ma doveva bastare.
Quella di fare il pane era per Maria una lieta fatica.
Lo impastava con amore fino a renderlo una morbida pasta, ne faceva delle pagnottelle odorose e paffute, le portava al forno a farle dorare.
La fragranza del pane quotidiano era per lei una dolce preghiera di ringraziamento che saliva al cielo, anche quando, come in quel giorno, il pensiero di quell’unica pagnottella che doveva bastare per tutti le pesava sul cuore.
Posata la forma su un’assicella coperta di lino, prese una fascina sotto il braccio e andò al forno.

Là incontrò altre donne col pane da cuocere.

L’infornata sarebbe stata una sola.
Vedendo il poco che portava, una di loro le chiese con aria sprezzante:
“Non siete più tre in famiglia, Maria?”
“Fornaio,” disse un’altra, “attento a quando caverete il pane dal forno!
Fate in modo che qualcuno non allunghi le mani più del dovuto per fare crescere il poco che ha portato!”
Maria guardava fuori della bottega verso la sua casa lontana, sperando di vedere arrivare Gesù.
Vedendola così distratta, la donna che aveva la forma più grande prese un coltello e con due colpi fece una croce sul pane di Maria.
“Così,” disse alle altre, “quando sarà cotto si potrà riconoscere il nostro bello grosso e non confonderlo con quella pagnottella da niente!”
E accennava alla piccola forma di pasta portata da Maria.

Il fornaio mise a cuocere le forme.

“Il mio mettetelo nel cantuccio più caldo perché si rosoli bene!” raccomandò una.
Le donne, aspettando, chiacchieravano, e il fornaio dava a tratti un’occhiata al forno per voltare il pane che cuoceva.
“Ce n’è una che non smette di crescere!” disse manovrando la pala di legno.
E la donna che aveva fatto la croce sul pane di Maria pensava che quella forma fosse di sicuro la sua.
Il fornaio tornò a voltare il pane e, sempre più stupito, sbottò:
“C’è un pane che fiorisce come una rosa.
Pare che si alzi in punta di piedi!”
E la donna superba pensò fra sé:
“Eppure ho sempre adoperato lo stesso mucchio di farina degli altri giorni.”

Quando il fornaio tolse le pagnotte, ecco cosa vide:

quello segnato dalla croce sembrava moltiplicato in grandezza.
Da misera pasta era diventato il più grosso, il più dorato, il più odoroso.
Il segno tracciato dalla donna prepotente lo aveva fatto fiorire e crescere come per incanto.
C’erano lì molte donne e la notizia del prodigio, com’è naturale, si diffuse in fretta.
Da quel giorno tutti cominciarono a portare il loro pane segnato da una croce e, ancora oggi, nelle campagne, non si cuoce pane che non porti quel segno di croce come una piccola benedizione di Dio.

Leggenda medievale
Brano senza Autore

Una colazione da principe

Una colazione da principe

Diversi anni fa, quando non era all’ordine del giorno spostarsi e conseguentemente non era semplice incontrarsi, conobbi mia moglie.
Lei era di Padova mentre io abitavo in provincia di Treviso.
Ci incontrammo, casualmente, poiché entrambi frequentavamo l’associazione CVS (Centro Volontari Sofferenza) che, per statuto, promuove e promuoveva la spiritualità dei malati.
Decidemmo di fare il viaggio di nozze, nel lontano 1984, in una casa per esercizi spirituali nel comune di Re, nella Val Vigezzo, ai confini del Piemonte ed a ridosso della Svizzera, per servire come volontari i disabili.

Io pulivo le camere al mattino e mia moglie serviva a tavola duranti i pasti.

Proprio in quei giorni, venne a mancare Monsignor Luigi Novarese, carismatico fondatore dell’associazione e, i sacerdoti preposti, volarono a Roma per il funerale, raccomandandoci di essere gioiosi, poiché il cielo aveva accolto un nuovo angelo.
Anni dopo, infatti, fu beatificato.
Seguendo le istruzioni, passammo da un silenzio solenne e meditativo ad un approccio diverso, creando più interazioni tra i vari partecipanti.
Trovammo tutti beneficio, ricevendo più di quello che avevamo donato.

Qualche giorno dopo rientrammo a casa, stanchi ma felici.

Essendo arrivati a tarda ora con l’autobus, non riuscimmo ad andare a fare spesa.
La mattina dopo, non appena ci svegliammo, proposi a mia moglie di andare a fare colazione al bar, ma lei mi disse:
“Non preoccuparti, mio principe, ci penso io.
Ad una sola condizione:
ti dovrai alzare solamente quando ti chiamerò io!”
Rimasi, quindi, in camera.

Udivo, però, uno strano ed insistente sbattere.

Il suono proveniva dalla cucina ma non riuscivo a capire cosa stesse succedendo.
Alla fine mia moglie mi chiamò per la colazione e con mia sorpresa trovai le fette biscottate imburrate.
Sopra ogni fetta biscottata aveva disegnato un cuore con lo zucchero di canna.
Rimasi sì sorpreso, ma anche perplesso, poiché la sera prima non avevamo burro in casa, e le chiesi come avesse fatto.
Mia moglie mi spiegò che il continuo sbattere che avevo udito, era stato provocato dal fiasco usato per fare il burro in casa.
Fece il burro con la panna ed il latte presenti in casa, con la tecnica dello sbattere, che sua nonna le aveva insegnato.
Mi sentii, in quella circostanza, veramente un principe fortunato e mai colazione fu così buona e gradita.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il genero usurpatore

Il genero usurpatore

Un caratteristico paesello, posto sulla riva destra del fiume Piave ed a ridosso delle colline dell’Asolano, durante la prima guerra mondiale, fu teatro e baluardo del fronte difensivo italiano durante la rovinosa ritirata di Caporetto, venne pesantemente colpito dalle artiglierie Astro-Ungariche.

Difficile e lunga fu la ricostruzione.

Ci fu bisogno dell’intervento dello Stato che assegnò, a delle cooperative venute da fuori, la riparazione dei muri e dei tetti ridotti in macerie.
Tra le laboriose ed esperte maestranze edili, c’erano anche dei baldi giovani e, uno di questi si innamorò, fin da quando la vide, di una ragazza del paese.
Dopo un breve fidanzamento, seguì un matrimonio riparatore, ed il giovane si accasò presso l’abitazione dei suoceri.
Il nuovo arrivato, fin da subito, non rispettò le gerarchie e le tradizioni consolidate e, pensando di essere lui il padrone di casa e dei campi, iniziò a vantarsi senza pudore.
Il suocero, dopo ripetute lamentele ed innumerevoli richiami, gli disse:
“Ragazzo mio, vola basso, sei solo un fortunato ospite!”

Il genero lo prese alla lettera.

Si tagliò con le forbici le ali del cappello e, come segno di sfida, si aggirava in questo modo per il paese, noncurante di poter diventare una macchietta.
Non soddisfatto, una sera, nel tradizionale filò in stalla, davanti agli stupefatti partecipanti sopraggiunti, continuò a vantarsi di essere lui il nuovo padrone, esclamando:
“Ho pure le mucche che ben vedete e le venderemo solo quando lo dirò io!”

Il suocero, stizzito da tali assurde affermazioni, perse le staffe e replicò:

“Se tutto quel che era mio, ora asserisci che sia tuo, prendi anche questo che non può essere disgiunto!”
Terminata la frase, prese una grande manata di sterco fresco di mucca e glielo tirò in piena faccia.
I partecipanti applaudirono alla spettacolare sortita del suocero, nei confronti dello spudorato e ingrato genero che, da quel momento, fu costretto, così malamente conciato, ad abbassare la cresta.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il ritorno dei fiori

Il ritorno dei fiori

Siccome non riusciva più ad accettare la cattiveria degli uomini, il più potente dei maghi aveva lasciato la regione per andare a vivere sulla vetta di un’alta montagna.
Dal giorno della sua partenza, tutti i fiori della prateria, quelli che spuntano sulle colline e nei boschi, quelli che fioriscono sui bordi dei fiumi, sulle rive dei laghi e del mare, appassirono e morirono.
Nessuno sopravvisse.
Il paese divenne un deserto, perché dopo la morte dei fiori, gli uccelli, le farfalle, le api e tutti gli insetti fuggirono lontano.
I vecchi abitanti della regione raccontavano ai bambini la bellezza dei fiori e degli insetti, ma i bambini non ci credevano.

“Sono soltanto storie!” dicevano.

Solo il figlio di una povera vedova credeva che esistessero ancora, da qualche parte, fiori e insetti.
E quando la mamma taceva, reclamava ancora un’altra storia, perché voleva sentir parlare della bellezza dei fiori.
“Ah!” diceva, “Quando sarò grande, andrò a cercare il mago per chiedergli di ridarci i fiori.”
Quando fu cresciuto, la sua passione per i fiori era sempre più forte.
Allora disse alla madre:
“Ho deciso: parto per cercare il mago e domandargli di ridarci i fiori!”
Sua madre, all’inizio si rifiutò di credergli.
“Figlio mio!
Io ti ho raccontato solo delle storie!
Ho sentito mia madre raccontarle, perché le aveva sentite da sua madre.
Ma non bisogna credere a queste storie!
Probabilmente i fiori non sono mai esistiti.
E quanto al mago, nessuno potrà mai ritrovarlo.
La montagna su cui vive è la più alta di tutte le montagne!”
Ma il giovane non la ascoltò neppure e un bel mattino partì.
La gente del paese che lo guardava allontanarsi sorrideva ironicamente.
“È proprio matto!” dicevano, “Bisogna essere pazzi per credere a queste storie!”

E i suoi amici lo prendevano in giro.

Il giovane si diresse a nord.
Camminò per tanto e tanto tempo.
Alla fine arrivò ai piedi di una montagna, così alta, ma così alta che non si intravedeva la cima.
Non si perse di coraggio.
Girò intorno alla montagna, ma non vide nessun sentiero, solo rocce ripide e levigate.
Per tre volte, lentamente, ripercorse la base della montagna.
“Se il mago ha trovato un modo per salire, lo troverò anch’io!” si diceva.
Dopo aver scrutato attentamente ogni più piccolo appiglio, si accorse che ad un certo punto una roccia aveva un’attaccatura, che formava come un minuscolo gradino.
Guardò meglio e poco più in alto ne scoprì un altro.
Si allontanò un po’ e vide che sulla parete della montagna era tracciata una scala che saliva a spirale.
Prese a salire, pieno di entusiasmo, senza mai voltarsi indietro perché aveva paura delle vertigini.
Dopo il primo giorno, la vetta della montagna non si vedeva ancora.

Neppure dopo il secondo e il terzo giorno.

Le forze cominciavano ad abbandonarlo quando, il quarto giorno, si rese conto tutto d’un colpo che la vetta era vicina e, al calar della notte, finalmente, riuscì a raggiungerla.
Poco sotto le rocce della cima gorgogliava una sorgente.
Stremato e assetato, il giovane s’inchinò e bevve l’acqua fresca.
Appena le sue labbra assaggiarono l’acqua tutta la sua stanchezza scomparve.
Si sentì rinvigorito e più forte che mai.
In quel momento, sentì una voce che gli chiedeva che cosa era venuto a cercare.
“Sono venuto,” rispose il giovane, “per chiedere al grande mago di ridarci i fiori e gli insetti.
Un paese senza fiori, senza uccelli e senza api, è triste e senza gioia.
Sono sicuro che gli abitanti del mio paese la farebbero finita con tutta la loro cattiveria se il mago ridonasse loro i fiori.”
Allora il giovane fu sollevato da mani invisibili.
Dolcemente fu portato verso la regione dei fiori eterni, e le mani invisibili lo deposero al suolo nel bel mezzo di un tappeto di fiori di tutti i colori.
Il giovane non credeva ai suoi occhi.

Non li aveva immaginati così belli i fiori!

Un profumo delicato aleggiava nell’aria e i raggi del sole danzavano sui fiori multicolori.
La gioia del giovane fu così grande, che si mise a piangere.
Udì nuovamente la voce che gli disse di cogliere tutti i fiori che preferiva.
Si riempì le braccia di tutti i fiori che riuscì a raccogliere.
Poi le mani invisibili lo risollevarono e lo riportarono sulla cima della montagna.
Allora, la voce gli disse:
“Riporta questi fiori nel tuo paese che solo grazie alla tua fede e al tuo coraggio da questo momento non sarà mai più senza fiori.
Fioriranno dappertutto.
I venti del nord, del sud, dell’est e dell’ovest porteranno la pioggia che sarà il loro nutrimento e le api torneranno per donarvi il miele che esse ricaveranno dai fiori.”
Il giovane ringraziò e iniziò subito la discesa dalla montagna che, malgrado la quantità di fiori che portava, gli parve molto più facile della salita.
Quando gli abitanti del paese lo videro tornare con le braccia cariche di fiori, si misero a respirare il profumo e furono presi dalla voglia di cantare.
Non riuscivano a credere alla loro felicità.

Quando furono certi di non sognare, dissero:

“Ah! Lo sapevamo che i fiori esistevano e che le storie dei nostri vecchi dicevano il vero!”
Il paese ridivenne un grande giardino.
Sulle colline, nelle valli, sui bordi dei fiumi e dei laghi, nei boschi, nei campi, i fiori sbocciarono e si moltiplicarono.
I venti dei quattro punti cardinali si davano il cambio per innaffiarli.
Tornarono gli uccelli e le farfalle, gli insetti ronzanti e soprattutto le api.
Finalmente la gente poté riassaggiare il miele e la gioia tornò a regnare nel paese.
Quando gli uomini videro la loro terra trasformata grazie al giovane che aveva osato ciò che nessuno aveva creduto possibile, gli chiesero di essere il loro re.
Egli accettò e divenne un re buono, coraggioso e intelligente.
“Ricordiamoci sempre,” diceva, “che era stata la cattiveria degli uomini a provocare la scomparsa dei fiori dal nostro paese.”
E siccome nessuno voleva ricominciare ad abitare in un deserto ed essere privato del miele, si sforzavano tutti di essere più buoni che mai.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il contadino avido

Il contadino avido

Un contadino possedeva un misero campicello, nel quale produceva un raccolto magro e stentato!
Non c’era giorno che, moglie e figli, non gli rinfacciassero la sua pochezza.
Un giorno, finalmente, ebbe un insperato colpo di fortuna.
Mentre era intento a sgobbare nel suo campicello, vide sulla strada un cavallo imbizzarrito che stava per rovesciare il calesse di un gran possidente della zona e, coraggiosamente, lo bloccò.

Il ricco proprietario terriero, per sdebitarsi, gli disse:

“Ti regalerò tutta la terra che riuscirai a contornare camminando dall’alba al tramonto!
L’unica condizione è che ti dovrai trovare al tramonto nel punto esatto da cui eri partito al mattino!”
Il contadino fu sopraffatto della gioia:
“Ho chiuso con i giorni degli stenti e della miseria!
Avrò tanta terra e sarò ricco!”
Il mattino dopo fissò il punto di partenza sull’alto di una collinetta verde e cominciò a camminare allegramente, senza fretta, con un passo tranquillo.

“Qui costruirò la mia fattoria.

Quello è il posto adatto ad una stalla.
In questa bella piana coltiverò frumento e laggiù seminerò legumi e patate!”
Camminando però, gli venne in mente che quella era la sua unica occasione e cominciò a correre.
Il sole stava rapidamente percorrendo il suo cammino in cielo.
Più terra avrebbe inglobato nel suo possedimento più sarebbe stato ricco.
Era al limite della resistenza ma c’erano ancora un laghetto, un prato verde e un bosco folto.
Il sole declinava sull’orizzonte.
Accelerò il ritmo della corsa.
Sudato, ansante e allo stremo delle forze giunse al traguardo.

Crollò esausto!

Il suo cuore cessò di battere per lo sforzo eccessivo nell’istante in cui il sole tramontava.
Ora possiede tutto il terreno che gli serve:
il piccolo lembo di terra in cui è sepolto!

Brano senza Autore