La famiglia di rospi

La famiglia di rospi

In un angolo del grande parco, in una macchia di alberi e cespugli carichi di fiori e bacche colorate, c’era un piccolo stagno, coperto di ninfee bianche e rosate.
Nello stagno viveva una famiglia di rospi.
Papà, mamma e un vispo piccoletto.

Era una famiglia felice.

“Sei il bambino più bello del mondo.” sussurrava mamma rospo al suo piccolo, che gorgogliava soddisfatto, e poi lo copriva di baci.
“Tu sei la più buona mamma del mondo.” le rispondeva il piccolo e poi correva a tuffarsi nella fresca acqua dello stagno.
Papà rospo guardava con orgoglio la sua famiglia, i bordi fioriti dello stagno, l’acqua scura e fresca e diceva:
“Viviamo nel luogo più incantevole dell’universo.”
Un giorno, la vita tranquilla della famigliola fu messa a soqquadro da una serie di strilli.
Provenivano da un gruppo di ragazzine che passeggiavano sul sentiero che fiancheggiava lo stagno:

“Iiih! Che puzza!”

“Sembra un letamaio… Andiamo via di qui.”
“Che acqua putrida!”
“Ehi! Guarda quegli orribili rospi!”“Che schifo!”
“E quello piccolo, tutto bitorzoluto, che creature orrende!”

Papà e mamma rospo si rincantucciarono nel fango, pieni di vergogna.

Il piccolo si nascose sotto una foglia di ninfea, avvilito e mortificato.
Nello stagno la felicità era finita per sempre.

Brano senza Autore

Tre racconti brevi su Dio

Tre racconti brevi su Dio
—————————–

Il missionario ed il cantante

La chiesa ed i fedeli

Siate come il vetro

—————————–
“Il missionario ed il cantante”

Un missionario, che era vissuto in Cina per molti anni, ed un famoso cantante, che vi era rimasto soltanto per due settimane, tornavano negli Stati Uniti a bordo della stessa nave.
Quando attraccarono a New York, il missionario vide una gran folla di ammiratori in attesa del cantante.

“Signore, non capisco!” mormorò il missionario,

“Ho dedicato 42 anni della mia vita alla Cina, e lui ci è rimasto soltanto due settimane, eppure ci sono migliaia di persone che gli danno il bentornato a casa, mentre per me non c’è nessuno!”
Ed il Signore gli rispose:
“Figliolo, ma tu non sei ancora a casa!”

Brano senza Autore.
—————————–
“La chiesa ed i fedeli”

Un uomo cercava una buona chiesa da frequentare ed entrò per caso in una chiesa in cui i fedeli ed il prete stavano leggendo il loro libro di preghiere.
E dicevano:

“Non abbiamo fatto queste cose che avremmo dovuto fare,

ed abbiamo fatto queste altre cose che non avremmo dovuto fare!”
L’uomo si lasciò cadere in un banco e sospirò sollevato dicendo:
“Grazie a Dio, ho finalmente trovato la mia gente!”

Brano senza Autore.
—————————–
“Siate come il vetro”

Siate come il vetro; il vetro, se è pulito, non si vede!
Però fa vedere al di là di se stesso.
Anche voi, se siete limpidi e non appannati dall’orgoglio e dall’egoismo,

sarete come il vetro:

lascerete vedere Gesù al di là di voi stessi e così aiuterete tanta gente a incontrarlo.

Brano di Madre Teresa di Calcutta

Mamma, ribassa

Mamma, ribassa

Isabella aveva dovuto sostituire suo marito nella gestione della casa e della piccola fattoria.
Il marito era emigrato in Francia a fare il bracciante agricolo stagionale per la raccolta delle barbabietole da zucchero.
Quando non aveva impegni scolastici,

Isabella veniva aiutata da suo figlio maggiore.

Avevano una stalla con diverse mucche da governare, ed Isabella si lamentava con il marito per la carenza di fieno, che doveva comprare a caro prezzo.
Questi acquisti, per lei, stavano diventando davvero onerosi.
Attraverso una fitta corrispondenza attraverso la posta, concordarono di vendere la mucca che avrebbe fruttato più soldi, chiamando il solito commerciante di fiducia.
Isabella aveva più volte assistito alle trattative di suo marito e decise di applicare quanto aveva appreso.

Allo stesso tempo pensò di insegnare al ragazzo come condurre una trattativa vantaggiosa.

Elogiò la salute della mucca, la beltà, la mitezza e l’ottima ed abbondante produzione di latte.
Concordarono un prezzo, che parve equo ad entrambi, e stabilirono la caparra, ma improvvisamente il commerciante ebbe un ripensamento circa la presunta età della bestia.
Isabella ebbe un sussulto di orgoglio e volle mostrare al commerciante che anche lei, sebbene donna, sapesse come si stabilisce l’età di una mucca, dallo stato della dentatura.
Per fermare la testa della bestia, che nel frattempo si era innervosita perché troppo bistrattata, fu costretta ad entrare nella greppia e nel fare questa operazione gli si era alzata, senza che se accorgesse, la gonna.

Il figlio, imbarazzato, disse subito:

“Mamma! Mamma, ribassa!”
Isabella prontamente rispose:
“No che non ribasso, dopo aver guardato e stimato da commerciante del mestiere.”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il ragazzino e la barca a vela

Il ragazzino e la barca a vela

C’era una volta un ragazzino che aveva costruito una barca a vela.
Ne aveva scavato con cura lo scafo nel legno, l’aveva smerigliato con estrema attenzione dipingendolo infine con ogni possibile delicatezza, poi aveva ritagliato la vela dalla più candida delle stoffe.
Una volta terminato, non vedeva l’ora di varare la sua barchetta e così la portò subito al lago.
Trovò uno spiazzo d’erba vicino alla riva e, inginocchiatosi, depose con cautela il piccolo vascello sul pelo dell’acqua.
Soffiò un pochino nella vela e si mise ad aspettare.
Ma la barca non si muoveva e così il ragazzo soffiò più forte, finché il vento colmò la piccola vela e la barchetta prese il largo.
“Si muove! Si muove!” gridava, battendo le mani e saltando sulla riva del lago.

All’improvviso il ragazzo si fermò.

Si era reso conto di non aver assicurato la barchetta con uno spago.
Vide la sua creatura spingersi sempre più lontano finché non sparì del tutto dalla sua vista.
Il ragazzino era felice e triste nello stesso tempo:
orgoglioso che la sua barca veleggiasse bene, ma triste di averla perduta.
Corse a casa in lacrime.
Qualche tempo dopo, girovagando per il paese, per caso passò davanti da una bottega che vendeva giocattoli vecchi e nuovi.
E in vetrina c’era la sua barca.
Era in estasi.

Corse dentro e disse entusiasta al negoziante:

“Quella è la mia barca.
La mia.”
L’uomo squadrò il ragazzino e rispose:
“Ti sbagli.
L’ho comprata.
Adesso è in vendita!”
“Ma è la mia barca!” gridò il piccolo, “L’ho fatta io.
L’ho varata e poi l’ho persa.
È mia!”
“Ti sbagli!” ripeté il negoziante, “Se la vuoi te la devi comperare.”
“Quanto costa?” chiese il ragazzo.
Quando ebbe sentito il prezzo ebbe un tuffo al cuore.
Nella sua piccola cassaforte, a casa, c’era soltanto qualche spicciolo.
A capo chino se ne uscì dal negozio.
Ma il ragazzino era un tipo deciso.
Tornato a casa, andò nella sua stanza e contò i suoi averi fino all’ultima monetina per scoprire quanto denaro gli mancava per potersi ricomprare la sua preziosa barca.

Fece qualche lavoretto e risparmiò:

adesso aveva i soldi.
Corse di nuovo al negozio, sperando che la barca fosse ancora lì.
Sorrise:
eccola in mezzo alla vetrina al solito posto.
Entrò nel negozio, rovesciò le tasche e depose tutto il suo denaro vicino alla cassa.
“Voglio comprare la mia barca!” esclamò.
Il negoziante prese la barca dalla vetrina e la mise nelle mani del ragazzino, eccitatissimo.
Il piccolo strinse la barchetta al petto e corse a casa dicendosi pieno di orgoglio:
“Tu sei la mia barca.
La mia!
Sei due volte mia!
Mia perché ti ho fatto, e mia perché ti ho riconquistato!”

Brano senza Autore.

La bacchetta della maestra Pia

La bacchetta della maestra Pia

Una volta la scuola primaria era molto diversa da quella odierna.
Alcuni insegnanti usavano metodi didattici molto discutibili, oggi da codice penale.
Colpivano con una bacchetta le mani degli alunni che avevano errato nello scrivere o che copiavano da altri.

In alternativa gli alunni venivano fatti inginocchiare in castigo dietro la lavagna

o venivano obbligati ad indossare delle orecchie da asino di carta.
Un giorno, in classe arrivò una giovane maestra supplente che si fece apprezzare subito dai ragazzi per la sua solarità e per la competenza didattica.
Dopo i saluti di rito, per prima cosa prese la bacchetta di legno da sopra la scrivania e la spezzò in varie parti, facendo gioire i ragazzi che la temevano.

Domandò:

“Chi ha portato in classe questo strumento di tortura?”
Dall’ultimo banco si alzò la mano dell’allievo più robusto, solo perché ripetente, che con orgoglio disse:
“Sono stato io su richiesta della nostra maestra Pia!”
La supplente sorrise ed aggiunse:
“Scommetto che questa bacchetta è stata usata maggiormente con te.
Certamente non è stata pia nei tuoi riguardi e non occorre che guardi il registro!”

Lo scolaro chiese:

“Come fa a saperlo?”
La risposta dell’insegnante fu:
“Perché sei il meno furbo di tutti.
Hai portato a scuola lo strumento che ti punisce ed addirittura ne sei fiero.
Fino a quando io sarò in questa classe userò il metodo Montessori che non prevede bacchettate.
Questo metodo vi farà amare di più la scuola e le sue materie, ed arriveremo al punto che le vacanze vi annoieranno!”

Ricordi, ricordi di un tempo passato, oggi nuovamente attuali.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

L’Ape Car e la Ferrari

L’Ape Car e la Ferrari

Qualche anno fa, dovendo sbrigare delle commissioni in un paese vicino al mio, passai davanti ad una osteria, molto nota per le sue tipicità.
Nei parcheggi notai l’Ape Car di un mio amico pittore, con in cima il suo cavalletto ed il suo inseparabile “bastardino”, ed a fianco parcheggiata una Ferrari rossa fiammante, orgoglio Italiano che tutto il mondo ci invidia.

Essendo un tifoso del cavallino rampante,

la tentazione di conoscere il fortunato possessore prese il sopravvento su di me, e per questa ragione, entrai incuriosito nel locale.
Il mio amico pittore, vedendomi entrare, mi fece festa e mi invitò al suo tavolo, dove, accanto a lui, sedeva un distinto signore, che scoprii essere il ferrarista.
Mi dissero di essere cugini e di essere nati in una grande famiglia patriarcale allevati a polenta, patate e fagioli.

Il destino fece sì che prendessero strade diverse,

con risultati vistosamente differenti.
Il primo con i colori, il pennello e tanta libertà sprecata, senza successo economico ed artistico, e con una Ape Card che la diceva lunga.
L’altro, con una formazione tecnica avuta frequentando una scuola serale, era diventato un affermato industriale sull’onda del miracolo economico del nord est, con tanto di Ferrari con cui sfrecciare, ma con tante responsabilità da onorare, come presidente di una industria.

Mi invitarono a condividere con loro un piatto di cotechino fumante,

specialità proposta dall’osteria, e fu bello vederli felici, a leccarsi le dita ed a ricordare la loro infanzia povera, quando avevano un capotto in due.
Entrambi erano orgogliosi del loro stato attuale anche se abissalmente differente.
Grazie ad un buon bicchiere di vino rosso facemmo una riflessione sul lavoro e sulle differenze nella vita e nella società, e soprattutto un confronto sulle differenze tra l’Ape Car e la Ferrari.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La moto in soggiorno

La moto in soggiorno

Agli inizi degli anni sessanta, un ragazzo, di nome Claudio, aveva prestato servizio militare in Friuli, nel corpo degli alpini.
Aveva trascorso tranquillamente quel periodo, nonostante le difficoltà della vita militare e del suo ruolo di conducente di muli, dato che aveva trovato una fidanzatina durante le ore di libera uscita.

Tornato nel suo Veneto, aveva intrapreso con la sua amata una fitta corrispondenza epistolare.

Tra le cose che lei gli chiedeva, una di queste era di mandare foto significative da esibire alle amiche ed ai parenti.
Claudio, nella ristrettezza degli anni sessanta, non sapeva cosa inviarle, perché di modesta famiglia contadina.
Si comprò, allora, con i sudati risparmi e qualche debito, come tanti giovani di allora, una moto Vespa nuova, per fare bella figura con la fidanzata, essendo un bene di prestigio molto di moda.
Costretto al risparmio forzato, pensò di fare un’unica foto includendo la vetrinetta del soggiorno, anch’essa nuova, con dentro in bella mostra le porcellane ed i calici di pregio.

Per fare questo, spinse la moto in soggiorno per immortalare il tutto.

Preso dall’orgoglio del nuovo acquisto, in attesa dell’amico fotografo, pensò di far sentire il rombo del motore alla madre, accelerando al massimo.
La madre stava dall’altra parte della moto, e sentendosi anche lei entusiasta, in quello stesso momento ingranò la marcia per sbaglio, mandando la moto a sbattere violentemente contro la vetrina, mandando in frantumi il prezioso e fragile contenuto.
Fu difficile per Claudio scrivere alla fidanzata che la sua Vespa nuova era già ammaccata e momentaneamente fuori uso per l’incidente avvenuto in soggiorno.

Questo “sfortunato” incidente aveva causato la rottura della vetrina.

Le scrisse che quando sarebbe arrivata in Veneto per conoscere i suoi genitori e per vedere la casa, avrebbe trovato tutti i servizi spaiati e con la cesellatura rovinata, e si giustificava in anticipo se non avesse potuto sostituire il tutto per il gran giorno.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il serpente a sonagli ed il giovane

Il serpente a sonagli ed il giovane

In una tribù indiana, i giovani venivano riconosciuti adulti dopo un rito di passaggio vissuto nella più stretta solitudine.
Durante questo periodo di solitudine dovevano provare a se stessi di essere pronti per l’età matura.
Una volta uno di loro camminò fino a una splendida valle verdeggiante di alberi e radiosa di fiori.
Guardando le montagne che cingevano la valle, il giovane notò una vetta scoscesa incappucciata di neve dal biancore abbacinante.

“Mi metterò alla prova contro quella montagna.” pensò.

Indossò la sua camicia di pelle di bisonte, si gettò una coperta sulla spalla e cominciò la scalata.
Quando arrivò in cima, vide sotto di sé il mondo intero.
Il suo sguardo spaziava senza limiti, e il suo cuore era pieno di orgoglio.
Poi udì un fruscio vicino ai suoi piedi, abbassò lo sguardo e vide un serpente.
Prima che il giovane potesse muoversi, il serpente parlò.
“Sto per morire!” disse, “Fa troppo freddo quassù per me e non c’è nulla da mangiare.

Mettimi sotto la tua camicia e portami a valle!”

“No!” rispose il giovane, “Conosco quelli della tua specie.
Sei un serpente a sonagli.
Se ti raccolgo mi morderai e il tuo morso mi ucciderà!”
“Niente affatto,” disse il serpente, “Con te non mi comporterò così.
Se fai questo per me, non ti farò del male!”

Il giovane rifiutò per un po’, ma quel serpente sapeva essere molto persuasivo.

Alla fine, il giovane se lo mise sotto la camicia e lo portò con sé.
Quando furono giù a valle, lo prese e lo depose delicatamente a terra.
All’improvviso il serpente si arrotolò su se stesso, scosse i suoi sonagli, scattò in avanti e morse il ragazzo a una gamba.
“Mi avevi promesso…” gridò il giovane.
“Sapevi che cosa rischiavi quando mi hai preso con te!” disse il serpente strisciando via.

Brano tratto dal libro “L’importante è la rosa.” di Bruno Ferrero. Edizione Elledici.

Le ali dell’invidia

Le ali dell’invidia

Molto lontano da qui, in un luogo che non è segnato su nessuna carta geografica, esiste un paese, si trova ai piedi di una grande montagna.
Questo paese ha una particolarità, tutte le persone generose e di animo buono posseggono delle ali.
Si, proprio delle ali, per poter volare ed essere ancora più utili al prossimo.
Ogni anno, il sindaco con la sua giunta, eleggono i nuovi cittadini buoni donandogli delle magnifiche ali di soffici piume bianche.
Ovviamente i vincitori, essendo persone umili, quasi si imbarazzano nel ricevere questo meritato premio.
Purtroppo in questo particolare paese non esistono solo cittadini bravi, ve ne sono anche di cattivi; uno è particolarmente malvagio, se fa delle buone azioni è solo per ottenere qualcosa in cambio, è anche molto presuntuoso e invidioso, così tanto invidioso che vorrebbe a tutti i costi quelle magnifiche ali.
Così, ogni anno cerca di fare il buono per ottenere il tanto ambito riconoscimento, ma il sindaco non si fa ingannare facilmente e si accorge sempre che tutte le sue azioni sono false e per un secondo fine.
Così, il malvagio cittadino decide di avere quelle ali… costi quel che scosti.

Pensa e ripensa, escogita una perfida idea:

“Se nessuno mi regala le ali, me le costruirò da solo!
E non mi accontenterò di ali in sciocche piume bianche, le costruirò in modo da fare invidia a tutti:
le farò d’oro!”
Così si mise all’opera, ci volle parecchio tempo per costruire le ali ma, alla fine, il lungo lavoro terminò.
“Eccole finalmente!
Sono meravigliose!”
Pensò fiero di se l’uomo malvagio
“D’oro splendente, così tutti vedranno la mia ricchezza!

Rimarranno abbagliati dal loro splendore!”

Tutto questo avvenne proprio il giorno della nuova elezione dei cittadini buoni!
Quale migliore occasione per sfoggiare le sue splendenti ali davanti a tutti!!
Non restava che provare la sua opera, voleva essere visto da tutto il paese e così, con molta fatica, si mise le ali in spalla e si trascinò fino in cima alla montagna, tutti i suoi concittadini lo avrebbero visto volare fiero sopra le loro teste, visto che il paese si trovava proprio ai piedi della montagna.
Salito in cima, prese una lunga rincorsa e, arrivato all’orlo del precipizio, si lanciò nel vuoto!
In quel momento un grande bagliore provocato dal riflesso del sole sulle ali d’oro attirò l’attenzione di tutti i cittadini riuniti nella piazza per la grande manifestazione, i quali alzarono lo sguardo e videro inizialmente una grande luce, ma subito dopo un grande polverone, una valanga che si fermò solo dopo essere arrivata a valle.
Tutti i cittadini accorsero verso la “valanga” e videro, senza troppo stupore, che si trattava del loro concittadino malvagio, molti di loro cominciarono a deriderlo!

E lui?

Si vergognò profondamente!
Il peso del suo orgoglio, della sua malvagità, dell’arroganza, era tanto quanto l’oro pesantissimo delle sue ali che lo avevano fatto cadere rovinosamente così in basso!
Non si sa che fine abbia fatto lo spregevole individuo, non sappiamo se abbia cambiato le sue abitudini, ma di certo è stato un avvertimento per tutti coloro che hanno bramato più volte ali non meritate.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La vecchietta che aspettava Dio

La vecchietta che aspettava Dio

La vita di ognuno di noi è intessuta di attese.
Si tratta di una esperienza importante e di grande valore educativo.
Consapevole di ciò, la Chiesa ha fissato un tempo per ravvivare questo ‘stato’ fondamentale nella vita del cristiano:
il tempo dell’Avvento.
La storia sottolinea che Dio è sempre sorprendente… è possibile incontrarlo in tanti modi, ma in modo particolare nelle persone che ci avvicinano tutti i giorni.
C’era una volta un’anziana signora che passava in pia preghiera molte ore della giornata.
Un giorno sentì la voce di Dio che le diceva:
“Oggi verrò a farti visita!”
Figuratevi la gioia e l’orgoglio della vecchietta.

Cominciò a pulire e lucidare, impastare e infornare dolci.

Poi indossò il vestito più bello e si mise ad aspettare l’arrivo di Dio.
Dopo un po’, qualcuno bussò alla porta.
La vecchietta corse ad aprire.
Ma era solo la sua vicina di casa che le chiedeva in prestito un pizzico di sale.
La vecchietta la spinse via:
“Per amore di Dio, vattene subito, non ho proprio tempo per queste stupidaggini!
Sto aspettando Dio, nella mia casa!
Vai via!” e sbatté la porta in faccia alla mortificata vicina.
Qualche tempo dopo, bussarono di nuovo.

La vecchietta si guardò allo specchio, si rassettò e corse ad aprire.

Ma chi c’era?
Un ragazzo infagottato in una giacca troppo larga che vendeva bottoni e saponette da quattro soldi.
La vecchietta sbottò:
“Io sto aspettando il buon Dio.
Non ho proprio tempo.
Torna un’altra volta!”
E chiuse la porta sul naso del povero ragazzo.
Poco dopo bussarono nuovamente alla porta.
La vecchietta aprì e si trovò davanti un vecchio cencioso e male in arnese.
“Un pezzo di pane, gentile signora, anche raffermo…
E se potesse lasciarmi riposare un momento qui sugli scalini della sua casa…” implorò il povero.

“Ah, no!

Lasciatemi in pace!
Io sto aspettando Dio!
E stia lontano dai miei scalini!” disse la vecchietta stizzita.
Il povero se ne partì zoppicando e la vecchietta si dispose di nuovo ad aspettare Dio.
La giornata passò, ora dopo ora.
Venne la sera e Dio non si era fatto vedere.
La vecchietta era profondamente delusa.
Alla fine si decise ad andare a letto.
Stranamente si addormentò subito e cominciò a sognare.
Le apparve in sogno il buon Dio che le disse:
“Oggi, per tre volte sono venuto a visitarti, e per tre volte non mi hai ricevuto!”

Brano di Bruno Ferrero