La quercia e il giunco. (Forza e saggezza)



La quercia e il giunco.
(Forza e saggezza)

La quercia è il simbolo della forza e della saggezza.
Essa si erge maestosa e potente tra il verde dei prati, innalza le fronde verso il cielo con forza e determinazione e domina incontrastata su tutto il paesaggio che la circonda.
Nemmeno l’inverno è in grado di sottometterla:
la quercia a differenza degli altri alberi non si denuda, non cede mai il suo fogliame al signore del gelo, ma conserva sempre la sua dignità, soprattutto di fronte alle intemperie.
Fiera e composta, essa è signora degli alberi e padrona di se medesima, ostello misericordioso per i piccoli roditori e gli uccelli, nido di sapienza e di esperienza, roccaforte inespugnabile e grandiosa, torre imperturbabile e quasi eterna…

Ma, nonostante questo, la quercia talvolta pecca di superbia e il suo orgoglio e la sua fierezza spesso possono rivelarsi fatali.

E, così, nelle giornate in cui infuria la tempesta, la grande quercia si ostina a sfidare il vento violento e brutale.
Non si abbassa, ma conserva il suo fiero comportamento anche di fronte al vento più crudele e impetuoso.
Consapevole e orgogliosa della propria potenza, non si piega e ostenta un’incrollabile fermezza.
Ma, nonostante questo, nonostante la sua esasperata ostinazione, non riesce a resistere alla furia del vento, il quale senza alcuna pietà la spezza.
Così la quercia cade a terra, spezzata in due, distrutta dalla sua stessa arroganza.
In fin di vita si guarda intorno per osservare per l’ultima volta quella che è sempre stata la sua terra, il luogo dove essa stessa ha mostrato a tutti la sua incredibile forza.

Ed è in tale momento che la bellissima quercia scorge un timido e insignificante giunco.

Lo guarda attentamente stupendosi di trovarlo ancora lì, ancorato al suolo, nonostante la brutalità del vento.
In un primo momento non riesce a spiegarsi un fatto tanto assurdo:
il giunco ha ancora le sue radici, mentre lei, la signora degli alberi, si trova in fin di vita e, inoltre, con una buona parte del suo corpo distesa al suolo, spezzata dalla bufera.
Ed è allora che la quercia comprende.
Il giunco è salvo per il semplice, ma pur sempre straordinario fatto, che, a differenza di lei, ha saputo piegarsi alla follia del vento, torcendo l’esile corpicino e avvicinandolo al suolo.
Umile e consapevole dei propri limiti, il giunco ha saputo saggiamente piegarsi e il vento l’ha risparmiato.

Superba e altera, la quercia ha voluto dimostrare la sua forza e il vento l’ha punita.

Fissando il giunco, la quercia prova dolore e il suo viso s’inumidisce.
Che siano lacrime o rugiada la quercia lo sa bene, ma preferisce non pensarci.
Essa si spegne e abbandonando questo mondo comprende finalmente il significato della sua esistenza e il senso del suo patetico destino.
Infine nella sua mente prende consistenza una domanda, di cui la quercia conosce bene la risposta:
nei giorni di tempesta chi è il più forte tra la quercia e il giunco?

Brano di Jean de La Fontaine

L’isola dei sentimenti


L’isola dei sentimenti

C’era una volta un’isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini:
il Buon Umore, la Tristezza, il Sapere… anche l’Amore!
Un giorno venne annunciato ai sentimenti che l’isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono, solo l’Amore volle aspettare fino all’ultimo momento.
Quando l’isola fu sul punto di sprofondare, l’Amore decise di chiedere aiuto.
La Ricchezza passò vicino all’Amore su una barca lussuosissima e l’Amore le disse: “Ricchezza, mi puoi portare con te?”
“Non posso c’è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te.” rispose la Ricchezza.

L’Amore allora decise di chiedere all’Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello:

“Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?”
“Non ti posso aiutare, Amore.” rispose l’Orgoglio, “Qui è tutto perfetto, potresti rovinare la mia barca.”
Allora l’Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto:
“Tristezza ti prego, lasciami venire con te!”
“Oh Amore,” rispose la Tristezza, “sono così triste che ho bisogno di stare da sola”.
Anche il Buon Umore passò di fianco all’Amore, ma era così contento che non sentì che lo stava chiamando.

All’improvviso una voce disse:

“Vieni Amore, ti prendo con me.”
Era un vecchio che aveva parlato.
L’Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio.
Quando arrivarono sulla terra ferma, il vecchio se ne andò.
L’Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere:

“Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?”

“E’ stato il Tempo!” rispose il Sapere.
“Il Tempo?” si interrogò l’Amore, “Perché mai il Tempo mi ha aiutato?”
Il Sapere pieno di saggezza rispose:
“Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’Amore sia importante nella vita.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia del pacco di biscotti


La storia del pacco di biscotti

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto.
Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo.
Comprò anche un pacchetto di biscotti.
Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.

Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale.

Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l’uomo ne prese uno, lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.
Tra lei e lei pensò:
“Ma tu guarda se solo avessi un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno.”

Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui.

Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò:
“Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!”
L’uomo prima che lei prendesse l’ultimo biscotto lo divise a metà!

“Ah, questo è troppo.”

pensò e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose, il libro e la sua borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.
Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando… nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell’uomo seduto accanto a lei che generosamente aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell’orgoglio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’agricoltore e Dio


L’agricoltore e Dio

Non molto tempo fa, esisteva un contadino che si lamentava sempre delle condizioni atmosferiche che, a suo parere, erano sempre contrarie alle sue semine ed ai suoi raccolti.
Un giorno il contadino incontrò Dio e gli disse:
“Hai creato il mondo, ma non sei un contadino, non conosci l’agricoltura.
Hai ancora molto da imparare.
Hai ancora poca esperienza riguardo il clima e le condizioni atmosferiche adatte all’agricoltura.”
Dio gli chiese:

“Qual è il tuo consiglio?”

“Dammi un anno e lascia che le cose vadano come voglio e vedrai che la povertà e la fame non esisteranno mai più sulla terra.” esclamò il contadino.
Dio accettò.
Naturalmente, l’agricoltore chiese il massimo:
niente più tempeste né alcun pericolo per il grano.
Il grano cresceva sano e abbondante ed i contadini erano felici.
Tutto sembrava perfetto.

Alla fine dell’anno, l’agricoltore rivide Dio e gli disse con orgoglio:

“Hai visto quanto grano?
C’è abbastanza cibo per 10 anni senza dover più lavorare!”
Dio annuì con compassione.
Tuttavia, una volta raccolto tutto il grano il contadino si rese conto che i chicchi erano tutti vuoti.
Perplesso, chiese a Dio cosa fosse accaduto, ed Egli rispose:
“Hai deciso di eliminare tutti i conflitti e gli attriti, così il grano non ha potuto maturare. Questo è il risultato della tua presunzione.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La campana d’argento


La campana d’argento

C’era una volta una magnifica cattedrale simbolo di una grande città.
Su di essa svettava un superbo campanile, orgoglio di tutti gli abitanti.
Tuttavia l’opera era incompiuta.
Il campanile era muto: mancava la campana.
Il vescovo decise di dotare il campanile di una campana degna dell’immagine della cattedrale:
lanciò a tutta la città un invito per raccogliere oggetti d’argento, da far fondere, per realizzare con il contributo di tutti una campana d’argento.

Cominciarono ad arrivare oggetti e monili d’argento.

Un giorno da Don Enrico, incaricato dal vescovo di raccogliere le oblazioni, arrivò una povera vedova.
Ella consegnò timidamente un centesimo d’argento, che era tutto quello che possedeva.
Il prete prese la moneta con piglio sprezzante e appena la donna lasciò la stanza, lanciò la moneta fuori dalla finestra, nel giardino sottostante:
“Un centesimo…
Va bene solo per i mendicanti!
A cosa può servire per una grande opera come la nostra campana?”
Dopo poche settimane venne raccolto molto argento:
venne fuso e venne realizzata una campana stupenda.
Era un’opera d’arte, una meraviglia che ogni esperto giudicò perfetta.

Nel giorno di Pasqua, la maestosa campana d’argento fu benedetta, innalzata sul campanile e inaugurata.

Fu il vescovo ad avere l’onore di dare il primo rintocco della nuova campana.
La campana d’argento però emise soltanto un gemito pietoso, un suono pessimo, sordo che durò inoltre pochissimo.
Dopo il clamoroso insuccesso tecnici ed esperti intervennero per analizzare l’opera:
nessuno riusciva a spiegare il perché.
Il vescovo pregò Dio di mostrargli la causa di tale fallimento.
Una notte, in sogno, un angelo gli rivelò quello che il suo incaricato aveva fatto con l’offerta della povera vedova.
Allora il vescovo cercò immediatamente Don Enrico, incaricato alla raccolta delle offerte, e gli chiese spiegazioni.
Entrambi andarono allora in giardino e insieme, inginocchiati nell’erba e fra i cespugli, cercarono e cercarono…

fino a quando finalmente riuscirono a trovare la moneta della vedova.

Il vescovo fece rifondere la campana d’argento, aggiungendo anche il centesimo donato dalla povera vedova.
Quando, qualche settimana dopo riprovarono a collaudare la campana, il suo suono riempì l’aria con la melodia più bella che si fosse mai sentita provenire da una cattedrale.

Brano senza Autore