Giobbe e i bachi da seta (La leggenda di San Giobbe)

Giobbe e i bachi da seta
(
La leggenda di San Giobbe)

La festa di San Giobbe si celebra il 10 maggio, che è anche il giorno del mio compleanno.
Da piccolo, diversi anni fa, mia nonna,

proprio in questo giorno, mi raccontò questa leggenda.

Giobbe era un sant’uomo e non peccava mai.
Notando tutta questa bontà il diavolo disse al Signore:
“Meraviglia!
Se non fa mai peccato ha già tutto quel che vuole.”

Allora il Signore disse:

“Fai quello che vuoi, mettilo alla prova!”
Il diavolo per prima cosa gli tolse tutte le sue ricchezze, ma Giobbe non si lamentò.
Vedendo questo, il diavolo allora gli mandò dolorose malattie ed il sant’uomo le sopportò in silenzio.
Il diavolo, non contento, aggravò le malattie a Giobbe e lo riempì di piaghe puzzolenti pieni di vermi.
La moglie lo portò perfino sopra un letamaio e tutti lo deridevano, ma nessun lamento uscì mai dalla sua bocca, al contrario, solo preghiere.
Trascorsero diversi giorni e sul letamaio, nel frattempo, era cresciuto un verde albero che faceva ombra a Giobbe.

Allora il Signore, vista la fedeltà di Giobbe, disse al diavolo:

“Visto che Giobbe è stato paziente, d’ora in poi non gli farai nessun male ed avrà la mia protezione!”
Il Signore diede al Santo il doppio delle ricchezze che possedeva e pose fine alle sue tribolazioni.
Trasformò l’albero del letamaio in gelso ed i vermi in bachi da seta.
Giobbe poté ritornare dalla sua famiglia, divenne vecchio, contento e ricco con la seta dei suoi bachi, poiché con il loro filo venivano realizzati i paramenti sacri dei sacerdoti ed i vestiti dei re.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Dio è come lo zucchero

Dio è come lo zucchero

Mancavano cinque minuti alle 16:00.
Trenta bambini, tutti della quinta elementare, quel pomeriggio, erano eccezionalmente irrequieti, agitati, emozionati, chiassosi, rumorosi.

Alle 16:00 in punto arrivò la maestra per iniziare l’esame scritto di religione.

Immediatamente un silenzio generale piombò nella sala dove erano seduti i bambini in attesa delle domande.

1° Domanda: “Chi mi sa dire con parole sue chi è Dio?” cominciò a dettare la maestra.
2° Domanda: “Come fate a sapere che Dio esiste, se nessuno l’ha mai visto?”

Dopo 20 minuti, tutti avevano consegnate le risposte.
La maestra lesse ad una ad una le prime 29; erano più o meno ripetizioni di parole dette e ascoltate molte volte:

“Dio è nostro Padre.

Ha fatto la terra, il mare e tutto ciò che esiste.”
Le risposte erano esatte, per cui si erano guadagnati la promozione.
Poi chiamò Ernestino, un piccolo e vispo bambino biondo, lo fece avvicinare al suo tavolo e gli consegnò il suo foglietto, dicendogli di leggerlo ad alta voce davanti a tutti i suoi compagni.
Ernestino, temendo una pesante umiliazione davanti a tutta la classe, con la conseguente bocciatura, cominciò a piangere.
La maestra lo rassicurò e lo incoraggiò.

Singhiozzando Ernestino lesse:

“Dio è come lo zucchero che la mamma ogni mattina scioglie nel latte per prepararmi la colazione.
Io non vedo lo zucchero nella tazza, ma se la mamma non lo mette, ne sento subito la mancanza.
Ecco, Dio è così, anche se non lo vediamo.
Se Lui non c’è la nostra vita è amara, è senza gusto.”
Un applauso forte riempì l’aula e la maestra ringraziò Ernestino per le risposte così originali, semplici e vere.
Poi completò:
“Vedete bambini, ciò che ci fa saggi non è il sapere molte cose, ma l’essere convinti che Dio fa parte della nostra vita.”

Brano tratto dal libro “La Zattera: Regole per vivere in armonia.” di Carlo Gaudio

I due bambini ed il laghetto gelato

I due bambini ed il laghetto gelato

Una volta, due piccoli amici si divertivano a pattinare su un laghetto gelato.
Era una sera nuvolosa e fredda, i due bambini giocavano senza timore; improvvisamente il ghiaccio si spaccò e si aprì inghiottendo uno dei bambini.
Lo stagno non era profondo, ma il ghiaccio cominciò quasi subito a rinchiudersi.

L’altro bambino corse alla riva,

afferrò la più grossa pietra che riuscì a trovare e si precipitò dove il suo piccolo compagno era sparito.
Cominciò a colpire il ghiaccio con tutte le sue forze, picchiò e picchiò finché riuscì a rompere il ghiaccio, afferrare la mano del suo piccolo amico e aiutarlo a uscire dall’acqua….
Quando arrivarono i pompieri e videro quanto era accaduto si chiesero sbalorditi:

“Ma come ha fatto?

Questo ghiaccio è pesante e solido, come ha potuto spaccarlo con questa pietra e quelle manine minuscole?”
In quel momento comparve un anziano che disse:
“Io so come ha fatto!”

“Come?” chiesero i pompieri.

Il vecchietto rispose:
“Non aveva nessuno dietro di lui a dirgli che non poteva farcela!”

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il “sì” dei facchini

Il “sì” dei facchini

È bello poter raccontare una storia di successo, soprattutto quando la si è vissuta in prima persona.
Tanti anni fa fui ispirato dalla lettura del libro “La valle dell’Eden.” di John Steinbeck.
Seminai il primo campo di fagioli, non seguendo più la tradizioni delle nostre parti.

La nostra usanza si limitava alla coltivazione di un piccolo orticello familiare.

Dovendoli vendere freschi al mercato generale di Treviso, decisi di proporli ad un commerciante che accettò senza entusiasmo, essendo il mercato saturo di fagioli campani e piemontesi.
Dovendo fare la bolla di consegna per il conto vendita, riportavo il peso esatto considerando il calo fisiologico.
Nell’estratto conto della vendita reale, però, trovavo però l’ammanco di diversi kilogrammi e preoccupato feci una indagine, scoprendo che la colpa era dei facchini.
Per consuetudine, questi facevano la provvista quotidiana per uso privato di ortaggi e frutta,

prendendo solo i migliori in assoluto presenti nel mercato.

Invece di arrabbiarmi, li ringraziai di essere comportati come l’Uomo del Monte della nota pubblicità, dato che avevano preferito i miei borlotti.
Promisi loro di regalargli qualche kg di fagioli purché non ne avessero intaccato il peso.
Galvanizzato dalla scoperta che i miei fagioli erano, per bontà e freschezza, i migliori del mercato, decisi di dare loro un nome e li chiamai Levada, proprio come il mio paese.
Stampai le etichette-promo sponsorizzato da una banca locale, riscontrando un immediato successo, anche mediatico.
Non contento, con l’appoggio delle istituzioni fondai la confraternita Borlotto Nano Levada, siccome anche altri miei paesani seguirono il mio esempio.

La Pro Loco istituì la Festa del Borlotto Nano di Levada,

la quale riscontrò un successo di presenze per la qualità dei piatti proposti a tema.
Attualmente durante la festa viene eletta anche Miss Fagiolo. (alla fine del brano la foto dell’autore con l’ultima Miss)
Tutto ovviamente grazie al provvidenziale “si” dei facchini ai miei fagioli, che decretarono così il successo delle mie fatiche, iniziate leggendo un libro ed inseguendo un sogno, ora condiviso con tanti amici.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Nella foto l’autore del brano Dino De Lucchi ed Elena Comazetto, eletta Miss Fagiolo alla XXIII Festa del Borlotto Nano di Levada.

Le caramelle in una mano

Le caramelle in una mano

Un bambino aveva fatto la spesa per la mamma.
Era stato preciso ed attento.
Il droghiere, per premiarlo, prese da uno scaffale una grossa scatola di caramelle, la aprì e la presentò al bambino:

“Prendi, piccolo!”

Il bambino prese una caramella, ma il droghiere lo incoraggiò:
“Prendi tutte quelle che stanno in mano!”
Il bambino lo guardò con i suoi grandi occhi e gli disse:

“Oh… allora, prendile tu per me!”

“Perché?” domandò il droghiere.
“Perché tu hai la mano più grande!” rispose il bambino.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

I momenti di felicità

I momenti di felicità

Un turista si fermò, per caso, nei pressi di un grazioso villaggio immerso nella campagna.
La sua attenzione fu attirata dal piccolo cimitero:
era circondato da un recinto di legno lucido e c’erano tanti alberi, uccelli e fiori incantevoli.
Il turista s’incamminò lentamente in mezzo alle lapidi bianche distribuite a casaccio in mezzo agli alberi.

Cominciò a leggere le iscrizioni.

La prima:
Giovanni Tareg, visse 8 anni, 6 mesi, 2 settimane e 3 giorni.
Un bambino così piccolo seppellito in quel luogo…
Incuriosito, l’uomo lesse l’iscrizione sulla pietra di fianco, diceva:
Denis Kalib, visse 5 anni, 8 mesi e 3 settimane.
Un altro bambino…
Una per una prese a leggere le lapidi.
Recavano tutte iscrizioni simili:
il nome e il tempo di vita esatto del defunto, ma la persona che aveva vissuto più a lungo aveva superato a malapena gli undici anni…
Si sentì pervadere da un grande dolore, si sedette e scoppiò in lacrime.
Una persona anziana che stava passando rimase a guardarlo piangere in silenzio e poi gli chiese se stesse piangendo per qualche famigliare.
“No, no, nessun famigliare,” disse il turista, “ma che cosa succede in questo paese?
Che cosa c’è di così terribile da queste parti?
Quale orribile maledizione grava su questa gente, per cui tutti muoiono bambini?”

L’anziano sorrise e disse:

“Stia sereno.
Non esiste nessuna maledizione.
Semplicemente qui seguiamo un’antica usanza.
Quando un giovane compie quindici anni, i suoi genitori gli regalano un quadernetto, come questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel momento, ogni volta che uno di noi vive intensamente qualcosa apre il quadernetto e annota quanto tempo è durato il momento di intensa e profonda felicità.
Si è innamorato… Per quanto tempo è durata la grande passione?
Una settimana? Due? Tre settimane e mezzo?
E poi… l’emozione del primo bacio quanto è durata?
Il minuto e mezzo del bacio? Due giorni? Una settimana?

E la gravidanza o la nascita del primo figlio?

E il matrimonio degli amici?
E il viaggio più considerato?
E l’incontro con il fratello che ritorna da un paese lontano?
Per quanto tempo è durato il piacere di quelle situazioni?
Ore? Giorni?
E così continuiamo ad annotare sul quadernetto ciascun momento in cui assaporiamo il piacere… ciascun momento.
Quando qualcuno muore, è nostra abitudine aprire il suo quadernetto e sommare il tempo in cui ha assaporato una soddisfazione piena e perfetta per scriverlo sulla sua tomba, perché secondo noi quello è l’unico, vero tempo vissuto!”

Non limitarti ad esistere… vivi!
Non limitarti a toccare… senti!
Non limitarti a guardare… vedi!
Non limitarti a udire… ascolta!
Non limitarti a parlare… dì qualcosa!

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il bambino al concerto di Paderewski

Il bambino al concerto di Paderewski

Volendo incoraggiare il proprio bambino a fare progressi nel suonare il pianoforte, una madre portò il proprio piccolo ad un concerto di Paderewski.
Dopo essersi seduta, la madre vide un’amica nella platea ed andò a salutarla.
Il piccolo, stanco di aspettare, si alzò, attraversò la sala ed arrivò davanti ad una porta su cui c’era scritto:

“Vietato entrare.”

Quando le luci si attenuarono e il concerto stava per iniziare, la madre ritornò al suo posto e vide che suo figlio non era più là.
All’improvviso il sipario si aprì e le luci furono puntate sul grande pianoforte al centro del palcoscenico.
Sgomenta, la madre vide suo figlio seduto tranquillamente davanti al pianoforte mentre suonava il motivetto:

“Mambrù andò alla guerra.”

A quel punto, il grande maestro fece la sua entrata, si recò velocemente al piano e sussurrò all’orecchio del bambino:
“Non smettere, continua pure a suonare.”
Quindi Paderewski stese la mano sinistra e cominciò a suonare la parte del basso.

Poi pose la mano destra vicina a quella del bambino e

vi aggiunse un bell’accompagnamento musicale.
Entrambi, il vecchio maestro e il piccolo apprendista, trasformarono così una situazione imbarazzante in un evento fortemente creativo.
Il pubblico ascoltò emozionato.

Brano senza Autore.

Il pastore e la gabbia arrugginita

Il pastore e la gabbia arrugginita

C’era una volta un uomo di nome George Thomas, che fu un pastore protestante e visse in un piccolo paese.
La mattina di una Domenica di Pasqua si recò in Chiesa, portando con sé una gabbia arrugginita.
La sistemò vicino al pulpito.
La gente rimase alquanto scioccata.
Il pastore se ne accorse e cominciò a parlare:
“Ieri stavo passeggiando quando vidi un ragazzo con questa gabbia.
Nella gabbia c’erano tre uccellini, tremavano dal freddo e per lo spavento.

Fermai il ragazzo e gli chiesi:

“Cos’hai lì, figliolo?”
“Tre vecchi uccelli!” fu la risposta.
“Cosa farai di loro?” chiesi
“Li porto a casa e mi divertirò con loro!” rispose il ragazzo che continuò a parlare, “Li stuzzicherò, strapperò le piume, cosi litigheranno.
Mi divertirò tantissimo!”
“Ma presto o tardi ti stancherai di loro.

Allora che cosa ne farai?”

chiese nuovamente il pastore.
“Oh, ho dei gatti…” disse il ragazzo, “A loro piacciono gli uccelli, li darò a loro.”
Il pastore rimase in silenzio per un momento…
Poi domandò:
“Quanto vuoi per questi uccelli, figliolo?”
“Cosa? Perché li vuoi, signore, sono uccelli di campo, niente di speciale.
Non cantano.
Non sono nemmeno belli!” replicò il ragazzo.
“Quanto?” chiese di nuovo il pastore.

Pensando fosse pazzo, il ragazzo disse:

“Dieci dollari!”
Presi allora dieci dollari dalla mia tasca e li misi in mano al ragazzo.
Come un fulmine il ragazzo sparì.
Dopo aver recuperato la gabbia con delicatezza andai in un campo dove c’erano alberi ed erba.
Aprii la gabbia e con gentilezza lasciai liberi gli uccellini.”
Non appena il pastore finì di parlare, tutti capirono il motivo della gabbia vuota accanto al pulpito.

Brano senza Autore.

I tre agnellini

I tre agnellini

Lassù sulle montagne del Tirolo, c’era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire santi e Madonne con grande abilità.
Ma giunse il tempo in cui non ci furono più ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio.
Dritte gli disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli.

Il bambino rispose:

“A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare.”
Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si muoveva.
“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto, dove abiti?”
“Là!” rispose il fanciullo indicando vagamente l’alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l’agnellino era pronto, bello da sembrare vivo.
Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane zingara con un bambino in braccio.
Il bambino appena vide l’agnellino protese le braccine e l’afferrò.
Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere disperato.

Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse sospirando:

“Tienilo pure.
Intaglierò un altro agnellino.”
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.
“Oh! Che meraviglioso agnellino!” disse, “Posso averlo per piacere?”
“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro” rispose Dritte e ne realizzò un altro.
Ma il bambino dai capelli d’oro non ritornò, e l’agnellino rimase abbandonato sullo scaffale della bottega.
La situazione del villaggio continuava a peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del villaggio per far loro dimenticare la fame.
Prima di Pasqua, in un giorno uggioso, un mercante di passaggio si offrì di comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare.

Dritte rifiutò di intagliare giocattoli per denaro:

“Sono alla locanda,” disse il commerciante, “in caso cambiate idea.”
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò l’agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega.
Mentre tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d’oro.
“Ho tenuto l’agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto.
Ne farò subito un altro!”
“Non ho bisogno di un altro agnellino,” disse il fanciullo scuotendo il capo, “quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche a me.
Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un santo.”
Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda.
“Costruirò giocattoli per voi!” disse.
“Allora avete cambiato idea.” sussurrò il mercante.
“No!” rispose Dritte con gli occhi scintillanti, “Ma ho ricevuto un segno da Dio!”

Brano tratto dal libro “Tutte storie. Per la catechesi, le omelie e la scuola di religione.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Lavorare troppo poco

Lavorare troppo poco

Nel 1984 mi trovai senza lavoro per il fallimento della fabbrica dove ero stato assunto.
Il riposo forzato durò solo otto giorni dato che degli amici universitari mi invitarono ad andare con loro a Cortina, visto che dovettero andare a cercare lavoro per la seguente stagione estiva.
Mentre attendevo il loro ritorno in macchina, improvvisamente mi vennero a chiamare.
In quell’albergo erano alla ricerca di un giardiniere tuttofare, ed insistettero affinché mi proponessi.

Alla fine venni assunto.

Il nuovo lavoro consisteva nel curare un piccolo giardino e nell’innaffiarlo.
Sfortunatamente l’estate piovosa rendeva tutto inutile, ma venivo comunque lodato per la bellezza momentanea del giardino.
Dovevo altresì aiutare il facchino a portare le valigie quando era oberato di lavoro, compito che svolgevo volentieri.
Siccome mi vergognavo, mi dileguavo subito dopo aver portato le valigie, senza attendere la mancia.
Gli ospiti quando mi incontravano, in un secondo momento,

insistevano affinché la accettassi.

La mancia era quasi sempre il doppio di quella del facchino che, diversamente da me, tendeva la mano.
Diventò geloso di quello che stava accadendo e mi chiamava sempre di meno.
Abituato al lavoro duro e costante della fabbrica, chiesi al direttore di farmi lavorare di più perché mi annoiavo.
Questi mi disse di mettermi nella hall dell’albergo e di stare con le mani dietro la schiena con la mia bella divisa per fare scena, compito che risultò essere di una sofferenza inaudita per me.

Allora decisi di inventarmi il lavoro, da solo.

Andavo in qualche stanza a svitare le lampadine e aspettavo che mi chiamassero per risolvere il problema; per la direzione divenni un bravo elettricista.
Un’altra invenzione che ebbe successo fu quella di appendere nell’ascensore, dopo averlo battuto a macchina, l’oroscopo del giorno, che copiavo con larga licenza da vecchi giornali, scrivendo solo belle parole per tutti i segni.
In alcuni momenti pensavo di essere anch’io un ospite del rinomato albergo e mi stupivo del fatto che mi pagassero.
Alla scadenza del mese, non ci crederete, mi licenziai, visto che mi facevano lavorare troppo poco, ed anche perché facevo le “notti piccole”, coinvolto nelle serate della mitica e tentacolare Cortina.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno