Le suore carmelitane in viaggio

Le suore carmelitane in viaggio

Un gruppo di suore carmelitane, che stava viaggiando verso la Terra Santa, fece una tappa a Beirut, nel Libano.
Attraversando la città, passarono davanti ad un grande edificio che sembrò loro una chiesa cristiana, e vi entrarono.

Si trovarono in una moschea musulmana, in mezzo ad una folla in preghiera.

L’intrusione delle suore provocò una certa agitazione tra i musulmani, ma il loro “ulema” li assicurò:
“State tranquilli, queste donne sono speciali:
sono sante e vestono come Miriam, la madre di Gesù di Nazaret.”
Si rivolse quindi alle suore e continuò:
“In vostro onore mi permetto di leggere dal Corano alcuni brani, dove si parla di Miriam, esaltata e lodata come la santa madre di Gesù.”

Così le suore ascoltarono in silenzio le belle parole che il Corano dice di Maria.

Tutti i presenti seguirono la lettura con grande attenzione e devozione.
Al termine, l’ulema aggiunse:
“Le nostre care visitatrici hanno sentito cosa dice il nostro libro santo.
Ora vi prego,” disse rivolto alle suore, “diteci come voi venerate Miriam.”

Tra i fedeli musulmani si destò una grande curiosità.

Le carmelitane intonarono l’Ave Maria per suggellare quell’incontro inaspettato.
Un profumo soave e delicato avvolse tutti i fedeli della moschea e una luce azzurrina, simile ad un impalpabile manto fatto d’aria, scese dall’alto della cupola.
Ancora oggi tutti si chiedono come ciò sia potuto capitare.

Brano tratto dal libro “Mese di Maggio per i bambini.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Il piano del Signore

Il piano del Signore

Durante l’Ascensione, Gesù gettò un’occhiata verso la terra che stava piombando nell’oscurità.
Soltanto alcune piccole luci brillavano timidamente sulla città di Gerusalemme.
L’Arcangelo Gabriele, che era venuto ad accogliere Gesù, gli domandò:

“Signore, che cosa sono quelle piccole luci?”

“Sono i miei discepoli in preghiera, radunati intorno a mia madre.
E il mio piano, appena rientrato in cielo, è di inviare loro il mio Spirito, perché quelle fiaccole tremolanti diventino un incendio sempre vivo che infiammi d’amore, poco a poco, tutti i popoli della terra!”

L’Arcangelo Gabriele osò replicare:

“E che farai, Signore, se questo piano non riesce?”
Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose dolcemente:
“Ma io non ho un altro piano…”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

San Bruno e le rane

San Bruno e le rane

C’era una volta un santo, tanto tanto santo, magro magro, allampanato e sempre vestito con un ampio saio bianco.
Si chiamava Bruno, ma era così buono che tutti lo chiamavano “San” Bruno.
Non mangiava mai carne né dolci e si nutriva in pratica di insalata, senza olio.
La cosa che piaceva di più a san Bruno era parlare con Dio e perciò passava il giorno e gran parte della notte in preghiera.
San Bruno si era costruito una capanna in una vallata selvaggia tappezzata di boschi e cespugli arruffati.

E, ahimè, anche di qualche stagno.

E gli stagni, come si sa, sono popolati di rane garrule e chiacchierone.
Così, quando san Bruno si immergeva nella preghiera appassionata della sera, attraverso le finestre arrivava il “cra-cra” incessante e ossessionante delle rane.
Tanto più che al gracidio si aggiungevano i ronzii di mosche e zanzare, il rumore dei becchi degli aironi, il frusciare delle foglie.
San Bruno cercava di concentrarsi nella preghiera e stringeva con feroce intensità il suo crocefisso, ma le rane instancabili si davano il cambio e non smettevano mai.
San Bruno si metteva a recitare le preghiere a voce altissima, gridando con tutte le sue forze per vincere l’irrefrenabile gracidio delle rane, ma non serviva a niente.
Sempre più irritato, allora, si affacciò alla finestra e gridò:
“Silenzio!
Sto pregando!”
Era un santo e gli ordini dei santi sono sempre ascoltati.
Immediatamente, i boschi e gli stagni piombarono nel silenzio, come un fuoco che si spegne, e la capanna di san Bruno fu avvolta da un silenzio profondo e ovattato.

“Oh, finalmente!” sospirò san Bruno.

Rospi e rane non facevano più il minimo rumore, gli aironi guardavano la finestra della capanna con il becco chiuso, le mosche e le zanzare non osavano decollare dalle foglie su cui si erano posate e perfino il venticello della sera taceva.
Soddisfatto, il santo riprese la sua preghiera.
Ma non era contento, si sentiva a disagio.
E chiara, all’interno della sua preghiera, sentì una voce che diceva:
“E se a Dio il canto delle rane piacesse più delle tue preghiere?”
Sorpreso e turbato, il santo rispose:
“Ma come può Dio trovare piacevole il gracidare delle rane o il ronzio delle zanzare?
O qualsiasi altro rumore?
E poi, perché mai Dio ha creato il rumore?”
In preda a questi interrogativi, san Bruno si affacciò di nuovo alla finestra e, pentito, disse:

“Vabbé! Fate come volete!”

Tutto ricominciò come prima.
Insetti e rane riempirono di un ritmo dolce il silenzio della notte.
Le orecchie di san Bruno non opposero più resistenza e quello che prima gli pareva un ignobile fracasso.
Gli sembrò improvvisamente una musica incantata e stupenda che avvolgeva tutto.
Pieno di stupore, il santo sentì che il suo cuore batteva all’unisono con l’universo.
E che il bosco, il cielo, i cespugli, il vento e le creature piccole e grandi della terra erano una meravigliosa preghiera.
Da quella sera, San Bruno divenne famoso come “Il santo che prega con le rane!”

Brano senza Autore

Fonte: Bollettino Salesiano, biesseonline.

Maria e la “croce” sul pane

Maria e la “croce” sul pane

Un giorno Maria si alzò di buon mattino e, senza calzare i sandali per non svegliare Gesù e Giuseppe che ancora dormivano, a piedi nudi e di buona lena, si diede a sfaccendare per casa.
Riattizzò dalla cenere il fuoco, spalancò la finestra, andò ad attingere acqua al pozzo, poi pensò al pane per il giorno che cominciava.
Guardò nella dispensa e non trovò che un mucchietto di farina non più grande di un pugno.
Per tre era poco, ma doveva bastare.
Quella di fare il pane era per Maria una lieta fatica.
Lo impastava con amore fino a renderlo una morbida pasta, ne faceva delle pagnottelle odorose e paffute, le portava al forno a farle dorare.
La fragranza del pane quotidiano era per lei una dolce preghiera di ringraziamento che saliva al cielo, anche quando, come in quel giorno, il pensiero di quell’unica pagnottella che doveva bastare per tutti le pesava sul cuore.
Posata la forma su un’assicella coperta di lino, prese una fascina sotto il braccio e andò al forno.

Là incontrò altre donne col pane da cuocere.

L’infornata sarebbe stata una sola.
Vedendo il poco che portava, una di loro le chiese con aria sprezzante:
“Non siete più tre in famiglia, Maria?”
“Fornaio,” disse un’altra, “attento a quando caverete il pane dal forno!
Fate in modo che qualcuno non allunghi le mani più del dovuto per fare crescere il poco che ha portato!”
Maria guardava fuori della bottega verso la sua casa lontana, sperando di vedere arrivare Gesù.
Vedendola così distratta, la donna che aveva la forma più grande prese un coltello e con due colpi fece una croce sul pane di Maria.
“Così,” disse alle altre, “quando sarà cotto si potrà riconoscere il nostro bello grosso e non confonderlo con quella pagnottella da niente!”
E accennava alla piccola forma di pasta portata da Maria.

Il fornaio mise a cuocere le forme.

“Il mio mettetelo nel cantuccio più caldo perché si rosoli bene!” raccomandò una.
Le donne, aspettando, chiacchieravano, e il fornaio dava a tratti un’occhiata al forno per voltare il pane che cuoceva.
“Ce n’è una che non smette di crescere!” disse manovrando la pala di legno.
E la donna che aveva fatto la croce sul pane di Maria pensava che quella forma fosse di sicuro la sua.
Il fornaio tornò a voltare il pane e, sempre più stupito, sbottò:
“C’è un pane che fiorisce come una rosa.
Pare che si alzi in punta di piedi!”
E la donna superba pensò fra sé:
“Eppure ho sempre adoperato lo stesso mucchio di farina degli altri giorni.”

Quando il fornaio tolse le pagnotte, ecco cosa vide:

quello segnato dalla croce sembrava moltiplicato in grandezza.
Da misera pasta era diventato il più grosso, il più dorato, il più odoroso.
Il segno tracciato dalla donna prepotente lo aveva fatto fiorire e crescere come per incanto.
C’erano lì molte donne e la notizia del prodigio, com’è naturale, si diffuse in fretta.
Da quel giorno tutti cominciarono a portare il loro pane segnato da una croce e, ancora oggi, nelle campagne, non si cuoce pane che non porti quel segno di croce come una piccola benedizione di Dio.

Leggenda medievale
Brano senza Autore

Perché non abbiamo le scarpe?

Perché non abbiamo le scarpe?

Si racconta di un uomo che arrivò in una città una fredda mattina d’inverno.
Come entrò nell’albergo, notò che ognuno là dentro girava scalzo, incluso il personale e i clienti.
Sedutosi al tavolo per la colazione, incuriosito chiese al cameriere:
“Perché non avete le scarpe?

Non le conoscete?”

“Ovvio che conosciamo le scarpe!” replicò il cameriere un po’ offeso.
“E allora perché non le calzate?” chiese il visitatore.
“Ah, questa è una buona domanda.” rispose il cameriere, “Già! Perché non abbiamo le scarpe?”
Dopo colazione il visitatore volle fare un giro per la città, ammantata di neve.
Anche per le strade la gente girava scalza.
Stupito, chiese a un passante:
“Perché non avete le scarpe?
Non sapete che vi proteggono i piedi e rendono la vostra vita più confortevole?”

Il passante rispose:

“Credetemi, signore, noi sappiamo tutto sulle scarpe.
Vede quell’edificio?
Quella è una fabbrica di scarpe.
Siamo così fieri di quella fabbrica che ci riuniamo là dentro una volta alla settimana e l’amministratore ci spiega quanto siano meravigliose e utili le scarpe!”
“E allora perché non le avete addosso?” insistette il visitatore.
“Ah, questa è davvero una domanda interessante!” rispose il passante, “Già! Perché non abbiamo le scarpe?”

Quando si tratta di preghiera, molti cristiani sono come le persone di quella strana città.
Sanno tutto sulla preghiera.
Credono che essa sia utile.
Sanno quante benedizioni e pace sgorghino dalla preghiera.
Spesso in chiesa ascoltano anche prediche sull’importanza della preghiera.

Ma se si chiede loro:

“Perché non preghi di più?” o “Perché non preghi assieme a tuo marito, a tua moglie e ai tuoi figli?” questi cristiani ti rispondono:
“Già! è una bella domanda.
Perché non lo faccio?”

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Tobia e la preghiera dell’alfabeto

Tobia e la preghiera dell’alfabeto

La giornata di Tobia, come accade a tutti i bambini, aveva molti più impegni di quella del Presidente della Repubblica.
Il mattino alle sette, la mamma arrivava ronzando come un implacabile elicottero: “
Tobia, pigrone, fuori dal letto, giù i piedoni!”
Il bambino fingeva di riaddormentarsi e la mamma gli faceva il solletico dappertutto.

Subito dopo, arrivavano le cose serie:

“Le orecchie, tutte e due!
I denti!
Non ti accorgi che i calzini sono scompagnati?
No e poi no!
A scuola con le scarpe da ginnastica non ci vai!
Non me ne importa un fico secco se sono comode!
Attento che scivoli…
Te l’avevo detto che scivolavi!”
In cucina, il ronzio ripartiva:
“Mangia con calma!
Niente brioche!
Pane e marmellata!
Non sorbire il latte come un’idrovora.
Non ti sporcare!
Ti sei sporcato!
Intanto la sorellina gli faceva le boccacce e lui non poteva reagire perché la mamma stava sempre dalla parte della più piccola.
Quando finalmente si sedeva sul bus, tirava un grosso sospiro di sollievo.
Un sollievo che durava poco.

Le maestre ronzano come la mamma:

“State fermi!
Oggi impariamo il passato remoto del verbo “crogiolarsi”.
Tobia, prova tu!”
Poi c’era l’inglese:
“Toby, can you speak more slowly, please?”
E l’aritmetica:
“Se ho cinque pere, due mele, quattro kiwi, ma perdo una pera e due kiwi, che mi resta?”
Fino all’ora di tornare a casa.
Qui tutto ricominciava:
“Tobia, lascia stare tua sorella!”
“Mi ha sporcato il quaderno apposta!” replicava il bimbo.
“Tobia, lavati le mani!
Tobia, non mettere i gomiti sul tavolo!
Tobia, mangia la verdura!” gridava la mamma.
Finalmente dopo il rito del pigiamino, dei piedi, dei denti, Tobia poteva andare a letto.
Il rito della buonanotte era il migliore della giornata.
Il papà lo abbracciava, la sorellina fingeva di baciarlo e gli morsicava l’orecchio, la mamma lo stringeva forte.

Per Tobia l’odore di mamma era la cosa più bella del mondo.

“II mio ometto.
Ti voglio tanto bene, Tobia!” gli sussurrava la mamma.
“Anch’io, mamma!” rispondeva Tobia.
“E prima di addormentarti ricordati la preghiera!” gli ricordò la mamma.
“Sì, mamma!” esclamò Tobia.
Le lenzuola sapevano di fiori e di mamma.
Tobia affondò nel letto e chiuse gli occhi.
Si ricordò della preghiera.
Allora pregò in questo modo:
“Sono veramente stanco, Signore.
E non mi ricordo neanche una preghiera.
Facciamo così: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che ti piacciono di più!”
Quella sera, il buon Dio disse ai suoi angeli:
“Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è senz’altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero!”

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L’angelo e le preghiere della sera

L’angelo e le preghiere della sera

Nel cuore di una vallata di campi, prati e boschi, in una casetta a due piani, viveva una famigliola felice.
Erano in tre per il momento:
una mamma, un papà e un bambino biondo di sei anni.
Al centro della valle scorreva un torrente “allegro” e “tortuoso”.
La casetta sorgeva un po’ isolata dal paese e così, la domenica, la famigliola saliva in un’auto piccolina e andava a Messa nella Chiesa parrocchiale.
La sera, prima di addormentarsi, tutti insieme pregavano.
Un Angelo del Signore, tutte le sere, raccoglieva le preghiere e le portava in cielo.
Un inverno piovve per molti giorni.
Il torrente si gonfiò di acqua scura.
La valle cominciò ad essere sommersa dall’acqua.

Il papà svegliò la mamma e il bambino.

Si strinsero spaventati perché l’acqua aveva invaso il pian terreno della casetta.
E continuava a salire.
Sempre più scura, sempre più veloce.
“Saliamo sul tetto!” esclamò il papà.
Prese il bambino e salì in soffitta e di là sul tetto, mentre la mamma li seguiva.
Sul tetto si sentirono come naufraghi su un’isoletta che diventava sempre più piccola.
Perché l’acqua che continuava a salire arrivò implacabile fino alle ginocchia del papà.
Il papà si sistemò ben saldo sul tetto, abbracciò la mamma e le disse:
“Prendi il bambino in braccio e sali sulle mie spalle!”
Mamma e bambino salirono sulle spalle del papà, che continuò:
“Mettiti in piedi sulle mie spalle e alza il bambino sulle tue, non avere paura!
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”

La mamma baciò il bambino e disse:

“Sali sulle mie spalle e non avere paura.
Qualunque cosa capiti, io non ti lascerò!”
L’acqua continuava ad alzarsi.
Sommerse il papà e le sue braccia tese a tenere la mamma, poi inghiottì la mamma e le sue braccia tese a tenere il bambino.
Ma il papà non mollò la presa e neanche la mamma.
L’acqua continuò a salire.
Arrivò alla bocca del bambino, agli occhi ed infine alla fronte.
L’Angelo del Signore, che era venuto a prendere le preghiere della sera, vide solo un ciuffetto biondo spuntare dall’acqua torbida.
Con mossa leggera afferrò il ciuffo biondo e tirò.
Attaccato ai capelli biondi venne su il bambino e, attaccata al bambino, venne su la mamma e, attaccato alla mamma, venne su il papà.
Nessuno aveva mollato la presa!
L’Angelo spiccò il volo e posò con dolcezza l’originale “catena” sulla collina più alta dove l’acqua non sarebbe mai arrivata.

Papà, mamma e bambino “ruzzolarono” sull’erba:

poi si abbracciarono, piangendo e ridendo.
Invece delle preghiere, quella sera, l’Angelo portò in cielo il loro amore.
E tutte le “schiere celesti” scoppiarono in un fragoroso applauso!

Brano senza Autore

La donna nella caverna

La donna nella caverna

Racconta la leggenda che una donna povera con un bimbo sulle braccia, passando davanti a una caverna udì una voce misteriosa che da dentro le diceva:
“Entra per otto minuti, prendi quanto desideri, ma non dimenticare la cosa più importante.

Ricorda ancora:

quando sarai uscita, la porta si chiuderà per sempre.
Perciò, approfitta della possibilità, ma non dimenticare la cosa più importante!”
La donna entrò nella caverna e vi trovò molte ricchezze.
Affascinata dall’oro e dai gioielli, mise il bimbo per terra e cominciò a raccogliere ansiosamente quanto poteva nel suo grembiule.

La voce misteriosa parlò di nuovo:

“Hai solo otto minuti!”
Passati gli otto minuti, la donna carica d’oro e pietre preziose corse fuori dalla caverna, e la porta si chiuse.
Quando fu fuori si ricordò che il bambino era rimasto dentro la caverna.
Ma la porta era ormai chiusa per sempre.
La ricchezza durò poco e la disperazione per sempre.

Lo stesso avviene spesso con noi.
Abbiamo circa ottant’anni di vita in questo mondo, e una voce sempre ci avverte:
“Non dimenticarti la cosa più importante!”
E la cosa più importante sono i valori spirituali:
la salvezza della nostra anima, la preghiera, la vigilanza, la famiglia, gli amici, la vita, Dio!
Così sprechiamo il nostro tempo quaggiù, e lasciamo da parte l’essenziale:

“I tesori dell’anima!”

E quando la porta di questa vita si chiuderà a niente serviranno i rimpianti.
Viviamo in un modo disperato perché abbiamo “dimenticato la cosa più importante!”

Brano senza Autore

La perseveranza della formica

La perseveranza della formica

L’altro giorno ho visto una formica che trasportava una foglia enorme.
La formichina era piccola e la foglia doveva pesare almeno il doppio della (formica) stessa.
Ora la trascinava, ora la sollevava sopra la testa.
Quando soffiava il vento, la foglia cadeva, facendo cadere anche la formica.
Fece molti capitomboli, ma nemmeno questo fece desistere la formica dalla sua impresa.
L’osservai e la seguii, finché giunse vicino a un buco, che doveva essere la porta della sua casa.
Allora pensai:
“Finalmente ha concluso la sua impresa!”
Mi illudevo.

Perché, anzi, aveva appena terminata solo una tappa.

La foglia era molto più grande del foro, per cui la formica lasciò la foglia di lato all’esterno ed entrò da sola.
Così mi dissi:
“Poverina, tanto sacrificio per nulla!”
Mi ricordai del detto popolare:
“Nuotò, nuotò e morì sulla spiaggia!”
Ma, la formichina mi sorprese.
Dal buco uscirono altre formiche, che cominciarono a tagliare la foglia in piccoli pezzi.
Sembravano allegre nel lavoro.
In poco tempo, la grande foglia era sparita, lasciando spazio a pezzettini che ormai erano tutti dentro il buco.

Immediatamente mi ritrovai a pensare alle mie esperienze.

Quante volte mi sono scoraggiato davanti all’ingorgo degli impegni o delle difficoltà?
Forse, se la formica avesse guardato le dimensioni della foglia, non avrebbe nemmeno cominciato a trasportarla.
Ho invidiato la perseveranza, la forza di quella formichina.
Naturalmente, trasformai la mia riflessione in preghiera e chiesi al Signore che mi desse la tenacia di quella formica, per “caricare” le difficoltà di tutti i giorni.
Che mi desse la perseveranza della formica, per non perdermi d’animo davanti alle cadute.

Che io possa avere l’intelligenza,

l’abilità di quella formichina, per dividere in pezzi il fardello che, a volte, si presenta tanto grande.
Che io abbia l’umiltà per dividere con gli altri i frutti della fatica come se il tragitto non fosse stato solitario.
Chiesi al Signore la grazia di riuscire, come quella formica, a non desistere dal cammino, specie quando i venti contrari mi fanno chinare la testa verso il basso… specie quando, per il peso di ciò che mi carica, non riesco a vedere con nitidezza il cammino da percorrere.
La gioia delle larve che, probabilmente, aspettavano il cibo all’interno, ha spinto quella formica a sforzarsi e superare tutte le avversità della strada.
Dopo il mio incontro con quella formica, sono stato rafforzato nel mio cammino.
Ringrazio il Signore per averla messa sulla mia strada e per avermi fatto passare sul cammino di quella formichina.
I sogni non muoiono, solo si assopiscono nel cuore della gente.
Basta svegliarli, per riprendere il cammino!

Brano senza Autore

Fiducia in Dio

Fiducia in Dio
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Due racconti brevi sulla Fiducia in Dio:

La fiducia in Dio ed il buonsenso

Il quadro con fiori e farfalle

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“La fiducia in Dio ed il buonsenso”


Un giovane andò a far visita al maestro e gli disse:
“Ho tanta confidenza in Dio che ho lasciato la mia moto lì fuori, perché sono sicuro che Dio protegge gli interessi di coloro che lo amano!”

Il maestro gli rispose:

“Esci subito e chiudi la tua moto!
Dio non può prendersi cura, al posto tuo, di ciò che sei capace di fare e che devi fare con il buonsenso!”

Brano senza Autore.
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“Il quadro con fiori e farfalle”


Un giorno un giovane andò da un maestro di spiritualità e chiese:
“Con quale preghiera posso rivolgermi al Signore,

affinché possa aiutarmi a fare della mia vita un capolavoro?”

Il vecchio saggio annuì accennando un lieve sorriso e comprese che la domanda era sincera.
L’aiutò con un piccolo regalo.
Si trattava di un quadro, in cui si potevano contemplare fiori ed alcune belle farfalle.

Sotto, un’iscrizione:

“Signore, aiutami a non essere come le farfalle:
agile di ali, però senza mai piantar radici in nessun luogo!”
Quel pensiero fu per il giovane l’inizio di una profonda e radicale conversione…

Brano senza Autore.