L’importanza della cravatta

L’importanza della cravatta

Un uomo si era perso nel deserto e si trascinava da due giorni sulla sabbia infuocata.
Era ormai giunto allo stremo delle forze.

Improvvisamente vide davanti a sé un mercante di cravatte.

Non aveva con sé nient’altro: solo cravatte.
E cercò subito di venderne una al pover’uomo, che stava morendo di sete.
Con la lingua impastata e la gola riarsa, l’uomo gli diede del pazzo:

“Si vende una cravatta a uno che muore di sete?”

Il mercante alzò le spalle e continuò il suo cammino nel deserto.
Alla sera, il viaggiatore assetato, che strisciava ormai sulla sabbia, alzò la testa e rimase allibito: era nel piazzale di un lussuoso ristorante, con il parcheggio pieno d’automobili!

Una costruzione grandiosa, assolutamente solitaria, in pieno deserto.

L’uomo si arrampicò a fatica fino alla porta e, sul punto di svenire, gemette:
“Da bere, per pietà!”
“Desolato, signore,” rispose il compitissimo portiere, “qui non si può entrare senza cravatta!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un posto a sedere

Un posto a sedere

C’era una volta un uomo che acquistò una casa e impegnò tutto il suo tempo e le sue energie per farla diventare una reggia.
Si alzava al mattino presto e subito a lavoro per realizzare la sua reggia.
Passarono gli anni, la casa cambiò d’aspetto, ma questo non gli bastava, la voleva ancora più bella, così continuò con modifiche e ritocchi, tanto che la gente del suo paese diceva:

“Ma come è cambiata questa casa!” e questo rallegrava il proprietario.

Questo signore aveva a cuore solo il suo progetto tanto che i compaesani bussarono alla sua casa per dirgli:
“Il parroco vorrebbe vederti domenica in parrocchia.”
Ma lui non volle smuoversi dalla sua casa:
“Ho da fare, devo finire qui, non mi scocciate!”
Altre persone gli fecero lo stesso annuncio ed ebbero la stessa risposta.
Un giorno andò anche il parroco del paese a parlargli ed ebbe la stessa risposta.

L’uomo terminò la sua villa e un giorno anche la morte bussò alla sua porta:

“Stavolta devi venire per forza!”
E comparve alla presenza dell’Altissimo però non trovò posto dove sedersi e si domandò:
“Mi scusi, non trovo un posto per sedermi.”
E il Signore rispose:
“Ti ho mandato tante persone per farti venire ad occupare il tuo posto e tu non sei mai venuto.
Ora se vuoi sederti devi usare per forza questa.”

E gli mostrò la prima pietra che usò per erigere la sua villa.

Era una pietra piccola e scomoda e non dava possibilità di sedersi bene.
L’uomo si lamentava e chiese se si poteva avere un’altra sedia.
Il Signore gli disse:
“Questa è la sedia che ti sei portato, hai fatto tutto tu, io non c’entro nulla!”

Brano di Stefano Molisso

L’uragano

L’uragano

Dieci contadini furono sorpresi da un improvviso uragano mentre stavano recandosi nel campo, i fulmini, la grandine il vento facevano davvero paura, così decisero di rifugiarsi in un vecchio tempio in rovina.

La tempesta era davvero violenta, uno dei contadini preso dalla paura disse:

“Qui in mezzo a noi ci deve essere sicuramente un peccatore, che va allontanato prima che la tempesta ci annienti tutti.”
“Dobbiamo scoprire il colpevole!” suggerì uno.
“Appendiamo i nostri cappelli fuori dalla porta,” disse un altro “quello di noi a cui appartiene il primo cappello che verrà portato via dal vento, sarà il peccatore e lo abbandoneremo al suo destino.”

“Solo così ci potremo salvare!” continuò a dire un altro.

Così convinti, misero fuori a gran fatica i cappelli, il vento ne ghermì uno immediatamente.
Senza alcuna pietà i contadini spinsero fuori dalla porta il padrone del cappello.

Il poveretto, piegato in due per resistere al vento, si allontanò nella tempesta.

Aveva fatto pochi metri, che sentì un forte boato: un fulmine spaventoso si era abbattuto sul tempio e lo aveva polverizzato con tutti i suoi occupanti.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Bisogna affrontare i rovesci della vita

Bisogna affrontare i rovesci della vita

Un giorno un acquazzone mi colse di sorpresa mentre camminavo per strada.
Grazie a Dio avevo ombrello ed impermeabile.

Tuttavia, entrambi si trovavano nel portabagagli dell’automobile,

parcheggiata molto lontano.
Mentre correvo a prenderli, pensavo a quale strano segno stavo ricevendo da Dio!

Le mie riflessioni furono queste:

“Abbiamo sempre le risorse necessarie per affrontare i rovesci che la vita ci impone, ma, nella maggior parte delle occasioni, tali risorse sono sepolte in fondo al nostro cuore, e ciò ci fa perdere molto tempo nel ritrovarle.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La fede (L’ombrello rosso)

La fede
(L’ombrello rosso)

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia.
Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami.

L’erba era sparita dai prati.

La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate.

Da mesi non cadeva una vera pioggia.

Il parroco del paese organizzò un’ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All’ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.
Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede.

Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari.

Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.
Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto ciò che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Bambina, intreccia i capelli!

Bambina, intreccia i capelli!

Mia nonna diceva che quando una donna si sentirà triste, quello che potrà fare è intrecciare i suoi capelli:
così il dolore rimarrà intrappolato tra i suoi capelli e non potrà raggiungere il resto del corpo.
Bisognerà stare attente che, la tristezza, non raggiunga gli occhi, perché li farà piangere e sarà bene non lasciarla posare sulle nostre labbra, perché ci farà dire cose non vere.

“Che non entri nelle tue mani,”

mi diceva, “perché tosterà di più il caffè o lascerà cruda la pasta:
alla tristezza piace il sapore amaro.
Quando ti sentirai triste, bambina, intreccia i capelli:
intrappola il dolore nella matassa e lascialo scappare quando il vento del nord soffia con forza.

I nostri capelli sono una rete in grado di catturare tutto:

sono forti come le radici del vecchio cipresso e dolce come la schiuma della farina di mais.
Non farti trovare impreparata dalla malinconia, bambina, anche se hai il cuore spezzato o le ossa fredde per ogni assenza.

Non lasciarla in te, con i capelli sciolti,

perché fluirà come una cascata per i canali che la luna ha tracciato nel tuo corpo.
Intreccia la tua tristezza, intreccia sempre la tua tristezza!
E, domani, quando ti sveglierai con il canto del passero, la troverai pallida e sbiadita tra il telaio dei tuoi capelli.”

Brano di Peter Klug

La collezione di rocchetti di filo colorato

La collezione di rocchetti di filo colorato

In una storia narrata dal saggio indiano Ramakrishna, una donna va a trovare un’amica che da molto tempo non vedeva.
Entrata in casa sua, nota una magnifica collezione di rocchetti di filo colorato.

Questa esibizione multicolore la attrae in maniera irresistibile,

e quando l’amica va un momento in un’altra stanza, la donna ruba vari rocchetti e li nasconde tenendoli sotto le braccia.
L’amica però se ne accorge e, senza accusarla, le dice:

“È da tanto tempo che non ci vediamo.

Perché non danziamo assieme per festeggiare il nostro incontro?”
La donna, imbarazzata, non può rifiutare ma, per non lasciar cadere i rocchetti,

è costretta a danzare in modo molto rigido.

L’altra la esorta a liberare le braccia e a muoverle danzando, e quella risponde:
“Non sono capace, io danzo solo così!”

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Oscar Mondadori 2005.

Il filo di cotone

Il filo di cotone

C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile.
“Sono troppo debole per fare una corda.” si lamentava.
“E sono troppo corto per fare una maglietta.
Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi.

Sono scolorito e ho le doppie punte…

Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato!
Non servo proprio a niente.
Sono un fallito!
Nessuno ha bisogno di me.
Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!”
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo.

Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse:

“Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone.
Ho un’idea:
facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto:
tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa.

Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce.

È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare.”
Il filo di cotone accettò di buon grado.
Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore.
E fu felice.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero

Amo le persone che…

Amo le persone che…

Non c’è niente di più bello di un abbraccio, un bacio o un pensiero inaspettato.
Mi piacciono le persone che quando hanno qualcosa da dirti, te la dicono senza nessuno scrupolo.

Mi piacciono quelle persone con tanta creatività e con tanta voglia di fare.

Amo le persone che arrossiscono non appena le si viene fatto un complimento.
Amo le persone che dicono sempre la loro opinione, non si vergognano e non hanno paura di cosa possa accadere dopo.

Amo le persone protagoniste.

Amo le persone che fanno di tutto per strapparti un sorriso, quelle che ti migliorano la giornata o chissà, magari un giorno anche la vita.
Ed infine, amo quelle persone che non usano doppie facce ma usano il cuore.

Brano di Jonathan Congiu

Il barilotto

Il barilotto

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.
Sull’orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.
E questo possente signore aveva un bell’aspetto, nobile e imponente.
Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.
Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.
Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.

La sua crudeltà era divenuta proverbiale.

Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.
Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lauti banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.
Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.
Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.
Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell’inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa.

“Pentirmi io? Mai!

Non confesserò neppure un peccato!” tuttavia il pensiero dell’inferno gli provocò un po’ di spavento salutare.
A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.
Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati:
uno dietro l’altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:
“Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito.
Dovresti almeno fare un po’ di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita!”
“Farò qualunque penitenza.
Non ho paura di niente, io!
Purché sia finita questa storia!” replicò il signore.
“Digiunerai ogni Venerdì per sette anni…!” disse allora il santo eremita.

“Ah, no! Questo puoi scordartelo!” rispose il crudele signore.

“Vai in pellegrinaggio fino a Roma…” suggerì allora l’eremita.
“Neanche per sogno!” esclamò il cavaliere.
“Vestiti di sacco per un mese…” proseguì l’eremita.
“Mai!” continuò il crudele signore.
Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose:
“Bene, figliolo.
Fa’ soltanto una cosa:
vammi a riempire d’acqua questo barilotto e poi riportamelo!”
“Scherzi?
È una penitenza da bambini o da donnette!” sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.
Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.
Immerse il barilotto nell’acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.
“È un sortilegio magico,” ruggì il penitente, “ma ora vedremo!”

Si diresse verso una sorgente:

il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!
Provò ad esplorare l’interno del barilotto con un bastone:
era assolutamente vuoto.
“Cercherò tutte le acque del mondo!” sbraitò il cavaliere, “Ma riporterò questo barilotto pieno!”
Si mise in viaggio, così com’era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.
Ad ogni sorgente, pozza d’acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d’acqua.
Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.
Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all’orlo dell’acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero