L’importanza di essere gentili. (La storia di Arturo)


L’importanza di essere gentili. (La storia di Arturo)

Un giorno, quando ancora ero un ragazzino delle superiori, vidi un ragazzo della mia classe che stava tornando a casa da scuola.
Il suo nome era Arturo e sembrava stesse trasportando tutti i suoi libri a casa.
Pensai tra me e me:
“Perché mai uno dovrebbe portarsi a casa tutti i libri di venerdì?
Deve essere un ragazzo strano.”
Io avevo il mio week-end pianificato (feste e una partita di pallone con i miei amici), così scrollai le spalle e mi incamminai.
Camminando vidi un gruppo di ragazzini che correvano incontro ad Arturo.

Si scagliarono contro di lui facendo cadere tutti i suoi libri e lo spinsero facendolo cadere nel fango.

I suoi occhiali volarono via, e li vidi cadere nell’erba un paio di metri più in là.
Lui guardò in su e vidi una terribile tristezza nei suoi occhi.
Mi rapì il cuore!
Così mi avvicinai a lui mentre stava cercando i suoi occhiali e vidi una lacrima nei suoi occhi.
Raccolsi i suoi occhiali e glieli diedi, dicendogli:
“Quei ragazzi sono proprio dei selvaggi, dovrebbero imparare a vivere.”
Arturo mi guardò e disse: “Grazie!”

C’era un grosso sorriso sul suo viso, era uno di quei sorrisi che mostrano vera gratitudine.

Lo aiutai a raccogliere i libri e gli chiesi dove vivesse.
Scoprii che abitava vicino casa mia così gli chiesi come mai non lo avessi mai visto prima.
Parlammo per tutta la strada e io lo aiutai a portare alcuni libri.
Mi sembrò un ragazzo molto carino ed educato così gli chiesi se gli andasse di giocare a calcio con i miei amici e lui disse di sì.
Trascorremmo in giro tutto il week-end e più lo conoscevo più Arturo mi piaceva, così come piaceva ai miei amici.
Arrivò il lunedì mattina ed ecco Arturo con tutta la pila dei libri ancora.

Lo fermai e gli dissi:

“Ragazzo finirà che ti costruirai dei muscoli incredibili con questa pila di libri ogni giorno!”
Egli rise e mi diede metà dei libri.
Nei successivi quattro anni io e Arturo diventammo amici per la pelle.
Una volta adolescenti cominciammo a pensare all’università, Arturo decise per Roma ed io per un’altra città.
Sapevo che saremmo sempre stati amici e che la distanza non sarebbe stata un problema per noi.
Arturo sarebbe diventato un medico mentre io mi sarei occupato di cause e litigi.
Arturo era il primo della nostra classe e io lo prendevo spesso in giro dicendogli di essere un secchione.

Arturo doveva preparare un discorso per il diploma.

Io fui molto felice di non essere al suo posto sul podio a parlare.
Il giorno dei diplomi vidi Arturo, ed aveva un ottimo aspetto.
Lui era uno di quei ragazzi che aveva veramente trovato se stesso durante le scuole superiori.
Si era un po’ riempito nell’aspetto e stava molto bene con gli occhiali.
Aveva qualcosa in più e tutte le ragazze lo amavano.
Oggi era uno di quei giorni, potevo vedere che era un po’ nervoso per il discorso che doveva fare, così gli diedi una pacca sulla spalla e gli dissi:

“Giovane te la caverai alla grande!”

Mi guardò con uno di quegli sguardi (quelli pieni di gratitudine) sorrise e mi disse: “Grazie!”
Iniziò il suo discorso schiarendosi la voce:
“Nel giorno del diploma si usa ringraziare coloro che ci hanno aiutato a farcela in questi anni duri.
I genitori, gli insegnanti, ma più di tutti i tuoi amici.
Sono qui per dire a tutti voi che essere amico di qualcuno è il più bel regalo che voi potete fare.
Voglio raccontarvi una storia proseguì!
Guardai il mio amico Arturo incredulo non appena cominciò a raccontare il giorno del nostro incontro.

Lui aveva pianificato di suicidarsi durante il week-end.

Egli raccontò di come aveva pulito il suo armadietto a scuola, così che la madre non avesse dovuto farlo dopo, e di come si stesse portando a casa tutte le sue cose.
Arturo mi guardò intensamente e fece un piccolo sorriso.
“Ringraziando il cielo fui salvato, il mio amico mi salvò dal fare quel terribile gesto!”
Udii un brusio tra la gente a queste rivelazioni.
Il ragazzo più popolare ci aveva appena raccontato il suo momento più debole.
Vidi sua madre e suo padre che mi guardavano e mi sorridevano, lo stesso sorriso pieno di gratitudine.

Non avevo mai realizzato la profondità di quel sorriso fino a quel momento.

Non sottovalutate mai il potere delle vostre azioni.
Con un piccolo gesto potete cambiare la vita di una persona, in meglio o in peggio.
Dio fa incrociare le nostre vite perché ne possiamo beneficiare in qualche modo.
Cercate il buono negli altri.
“Gli amici sono angeli che ci sollevano i piedi quando le nostre ali hanno problemi nel ricordare come si vola.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)


La storia di Azzurra. (La storia di una goccia d’acqua)

Sgorgò dalla terra un mattino in cui il cielo azzurro si rispecchiava nella sorgente dove era nata.
Per questo fu chiamata Azzurra.
Azzurra era una goccia d’acqua e con le sue innumerevoli sorelle formò subito un ruscelletto allegro che gorgogliando e saltellando scorreva tra le pietre e l’erba sui pendii di una montagna.
Azzurra faceva capriole e giocava con i raggi del sole.
La sua breve infanzia trascorse nella più assoluta spensieratezza.
Il ruscello confluì in un torrente che si precipitava baldanzoso verso il fondovalle, trascinando ghiaia e detriti.
Azzurra e le sue compagne si divertivano a fare il solletico alle radici degli alberi, scherzavano con le giovani trote che tentavano di fermarsi nelle pozze limpide e chiare.

Azzurra amava i giochi pericolosi:

con alcune amiche si buttava in corse sfrenate, si impennava con spruzzi improvvisi e iridescenti.
Si fermava talvolta in placidi laghetti.
In quei momenti di tranquillità, Azzurra chiedeva:
“Sorelle mie dove stiamo andando?”
“Al mare! Al mare!” sentiva rispondere da tutte le parti.
“Al mare, naturalmente!” dicevano le nuvole che si vantavano di avere un punto di vista molto più alto.
“Al mare, sciocchina!” ripetevano le anatre con il loro becco giallo.
“E com’è il mare?” continuava a chiedere Azzurra.

“Il mare è la cosa più bella e grande.

Non puoi neanche immaginarla e non si può dire a parole” dicevano le nuvole.
Il torrente confluì un giorno in un piccolo fiume che si muoveva fluido e deciso fra i campi e i boschetti della pianura.
Azzurra e le sue amiche non giocavano più e si erano stancate delle stupide conversazioni dei pesci, che oltretutto non hanno nessun senso dell’umorismo.
“Correre, correre senza un momento di pausa…
Chi ce lo fa fare?” sbottò un giorno Dora, la più cara amica di Azzurra.
“Dopotutto che ce ne importa del mare?”
È vero pensò anche Azzurra.
“Fermiamoci qui, possiamo sfuggire al fiume,” propose un’altra “ci sono cataletti che si inoltrano nella boscaglia, ne infiliamo uno e restiamo lì a divertirci fin che ci pare.”

Un bel gruppo di gocce accettò con entusiasmo e Azzurra si unì a loro.

Trovarono rivoli di acqua che filtravano in mezzo all’erba, rallentarono il loro cammino e si fermarono formando pozze di acqua stagnante.
I primi tempi furono di grande euforia.
Era così bello starsene a far niente, pigrottare tra chiacchiere e risate, come in una perenne vacanza.
Ma poi qualcosa cambiò.
Lentamente le gocce cominciarono a intorpidirsi e quella parte di fiume stava diventando una palude.
Era come una lenta agonia.
Un gruppetto di gocce, tra cui Azzurra, decisero di aprirsi un varco e raggiungere di nuovo il grande letto del fiume.
E muovendosi a fatica, prive di forze com’erano ormai, finirono in una secca.
Azzurra ora aveva davanti a sé solo rocce, sabbia.

E fu presa dal panico.

“E’ la mia fine, non riuscirò ad attraversare questo deserto!
La sabbia mi assorbirà ed io scomparirò…
non arriverò mai al mare… ho fallito tutto!” e si disperò.
Ma il Vento aveva ascoltato i suoi lamenti e decise di salvarle la vita.
“Lasciati scaldare dal sole, salirai in cielo sotto forma di vapore acqueo… al resto penserò io.” le suggerì.

Azzurra ebbe ancor più paura:

“Io sono fatta per scorrere fra due rive di terra, liquida, pacifica, limpida… non sono fatta per volare per aria.”
Il Vento rispose: “Non aver paura quando salirai nel cielo sotto forma di vapore diventerai una nuvola e io ti porterò al di là del deserto e tu potrai di nuovo cadere sulla terra sotto forma di pioggia, ritroverai il fiume e arriverai al mare.”
Molte compagne di Azzurra avevano troppa paura e furono divorate dal deserto.
“Verrò con te.” sussurrò Azzurra al Vento.
I raggi del sole la presero con grande dolcezza e la sollevarono nel cielo e con tante altre compagne divenne una nuvola bianca che il vento spingeva con garbo.

Volare era un’ebbrezza stupenda e dall’alto Azzurra vedeva tutto il percorso della sua vita:

la montagna su cui era nata, il ruscello, il torrente, il fiume, e la palude in cui aveva rischiato di perdersi…
E improvvisamente tutto le fu chiaro e una gioia sconfinata la inondò:
c’era un piano in tutto ciò e laggiù, oltre l’orizzonte qualcuno la stava aspettando, il mare.
Il vento mantenne la promessa e un mattino Azzurra scese come pioggia leggera nei pressi del grande fiume, che l’accolse nel suo cuore liquido.
Il fiume si muoveva maestoso verso il mare e Azzurra scorreva leggera, pervasa da una gioiosa speranza.
Quando il caldo abbraccio del mare l’accolse, conobbe quello che da sempre cercava.
Una cosa la colpì: nell’incontro col mare non si era dissolta nel tutto era rimasta se stessa e così tutte le altre gocce immerse nella felicità del mare infinito che tutte le accoglieva e le superava.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia di una perla


La storia di una perla

C’era una volta una conchiglia.
Se ne stava in fondo al mare cullata dalle onde, sfiorata dal passaggio sinuoso di pesci colorati e cavallucci marini.
Fino a quando una tempesta giunse fino a lei sconvolgendole la vita.
La violenza delle onde la capovolse più e più volte facendola girare, rotolare, urtare, trasportandola lontano fino a che, ammaccata e dolorante si fermò.
Stava cercando di capire dov’era finita quando, improvvisa, una fitta lancinante la trapassò!
Che cosa stava succedendo ancora?

Ecco!

Attraverso le valve, nello stravolgimento di prima, era riuscito a intrufolarsi un sassolino che, pur piccolo, aveva contorni spigolosi e appuntiti.
Sulla carne viva faceva proprio male!
La conchiglia provò a muoversi e ad espellerlo, ma senza risultato.
Tentò e ritentò anche nei giorni seguenti.
Il dolore non passava!
Pianse, e pian piano le sue lacrime ricoprirono il sassolino.

Strano, il dolore iniziava ad attenuarsi.

Cercò ancora di eliminarlo ma ormai faceva parte di lei.
Tra le maglie della rete, assieme ai pesci, in pescatore vide una conchiglia.
La aprì e, meraviglia, si trovò tra le mani ruvide e callose una perla bellissima, brillante.
La girò e rigirò: perfetta!
I pescatori sanno che ogni perla ha una storia da raccontare e l’accostò all’orecchio.

Ascoltando, ripensò alla sua vita.

Quante tempeste aveva attraversato, quante solitudini, quanto dolore e rabbia e ribellione!
Quante lacrime si erano mescolate alle gocce del mare !
Ma proprio quelle lacrime erano riuscite a compiere il miracolo anche dentro di lui.
Una perla frutto del dolore, della rinuncia, della pazienza, di quel “sassolino” che ti entra dentro e non riesci più a buttare fuori; una perla capace di donare luce a chi si avvicina!
Il pescatore guardò quel miracolo racchiuso nella mano, fissò la sua luce, alzò il viso al cielo terso, e sorrise.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia dei tre leoni e della montagna difficile


La storia dei tre leoni e della montagna difficile

C’era un volta, una foresta…
Un giorno il macaco, rappresentante eletto dagli animali, fece una riunione con tutta la combriccola della foresta, e disse:
“Noi sappiamo che il leone è il re degli animali.
Ma c’è un problema: ci sono tre leoni forti.
Ora, quale di loro dobbiamo ossequiare?
Quale, fra loro, sarà il nostro re?”
I tre leoni commentarono fra loro:

“È vero, una foresta non può avere tre re.

Occorre decidere quale di noi sarà il re.”
Ma come fare?
Questa era la grande domanda:
lottare fra loro non volevano, poiché erano molto amici.
Bene, signori leoni, la soluzione sta nella Montagna Difficile.
Abbiamo deciso che dovete scalare la montagna e colui che arriverà per primo in cima, sarà consacrato re.
La Montagna Difficile era la più alta fra tutte, in quella immensa foresta.
La sfida fu accettata.
Deciso il giorno, migliaia di animali circondarono la montagna per assistere alla grande scalata.

Il primo tentò e non ci riuscì.

Il secondo tentò e non ci riuscì.
Il terzo tentò e non ci riuscì.
Gli animali erano curiosi e impazienti.
Infine, quale dei leoni sarà il re, una volta che tutti e tre erano stati sconfitti?
Fu in quel momento che un’aquila, anziana e di grande sapienza, chiese la parola:
“So io chi deve essere il re!
Volavo sopra di loro e ho ascoltato quello che hanno detto sulla montagna, vedendosi sconfitti.”
Il primo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto!”

Il secondo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto!”

Anche il terzo leone aveva detto: “Montagna, mi hai vinto…” ma aggiunse:
“Ma tu, montagna, già hai raggiunto la tua altezza finale, mentre io sto ancora crescendo.”
E l’aquila completò:
“La differenza è che il terzo leone ha avuto un atteggiamento da vincitore davanti alla sconfitta.
E chi pensa così è più grande dei suoi problemi.
È re di se stesso, è pronto per essere il re.”
Gli animali applaudirono entusiasticamente il terzo leone, che fu incoronato re della foresta.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia del cavallo che cadde nel pozzo


La storia del cavallo che cadde nel pozzo

Un giorno, il cavallo di un contadino cadde in un pozzo, non riportò alcuna ferita, ma non poteva uscire da lì con le sue proprie forze.
Per molte ore l’animale nitrì fortemente, disperato, mentre il contadino pensava a cosa avrebbe potuto fare, finalmente il contadino prese una decisione crudele:

pensò che il cavallo era già molto vecchio e non serviva più a niente,

e anche il pozzo ormai era secco ed aveva bisogno di essere chiuso in qualche maniera.
Così non valeva la pena sprecare energie per tirarlo fuori dal pozzo.

Allora chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a interrare vivo il cavallo.

Ciascuno di essi prese una pala e cominciò a gettare della terra dentro il pozzo.
Tuttavia, con sorpresa di tutti, dopo che ebbero gettato molte palate di terra, il cavallo si calmò.

Il contadino guardò in fondo al pozzo e con sorpresa vide che ad ogni palata di terra che cadeva sopra la schiena,

il cavallo la scuoteva, salendo sopra la stessa terra che cadeva ai suoi piedi.
Così, in poco tempo, tutti videro come il cavallo riuscì ad arrivare alla bocca del pozzo, passare sopra il bordo e uscire da lì, trottando felice.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia dell’asino. (Vivi come credi)


La storia dell’asino. (Vivi come credi)

C’era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino.
Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo.
Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava:
“Guardate quel ragazzo quanto è maleducato!
Lui sull’asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano.”
Allora la moglie disse a suo marito:
“Non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio!”

Il marito lo fece scendere e salì sull’asino.

Arrivati al secondo paese, la gente mormorava:
“Guardate che svergognato quel tipo!
Lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l’asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa.”
Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l’asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava:
“Pover’uomo!
Dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull’asino!

E povero figlio!

Chissà cosa gli spetta, con una madre del genere!”
Allora si misero d’accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull’asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese:
“Sono delle bestie, più bestie dell’asino che li porta.
Gli spaccheranno la schiena!”
Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all’asino.
Ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo:

“Guarda quei tre idioti; camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!”

Conclusione: ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi.
Fai cosa ti dice il cuore, ciò che vuoi.
Una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali, perciò: canta, ridi, balla, ama…
e vivi intensamente ogni momento della tua vita…
prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi!

Brano di Sir Charles Spencer “Charlie” Chaplin

La storia del pacco di biscotti


La storia del pacco di biscotti

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto.
Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo.
Comprò anche un pacchetto di biscotti.
Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.

Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato un signore che stava leggendo il giornale.

Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l’uomo ne prese uno, lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.
Tra lei e lei pensò:
“Ma tu guarda se solo avessi un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno.”

Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno, ne prendeva uno anche lui.

Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò:
“Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!”
L’uomo prima che lei prendesse l’ultimo biscotto lo divise a metà!

“Ah, questo è troppo.”

pensò e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose, il libro e la sua borsa e si incamminò verso l’uscita della sala d’attesa.
Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l’attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando… nell’aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell’uomo seduto accanto a lei che generosamente aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell’orgoglio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia di Rob


La storia di Rob

Rob è il tipo di persona che ti fa piacere odiare:
è sempre di buon umore ed ha sempre qualcosa di positivo da dire.
Quando qualcuno gli chiede come va, lui risponde:
“Se andasse meglio di cosi, sarei due persone!”
È un ottimista.
Se un collega ha un giorno no, Rob riesce sempre a fargli vedere il lato positivo della situazione.
Vederlo mi incuriosiva e così un giorno gli chiesi:
“Io non capisco, non è possibile essere ottimisti ogni giorno, come fai?”

Rob mi rispose:

“Ogni giorno mi sveglio e mi dico, oggi avrò due possibilità.
Posso scegliere di essere di buon umore o posso scegliere di essere di cattivo umore.
E scelgo di essere di buon umore.
Quando mi succede qualcosa di brutto io posso scegliere di essere una vittima o di imparare da ciò.
Ed io scelgo di imparare.
Ogni volta che qualcuno viene da me a lamentarsi per qualcosa, io posso scegliere di accettare le lamentele, o posso scegliere di aiutarlo a vedere il lato positivo della vita.
Ed io scelgo il lato positivo della vita.”
“Ma non è sempre così facile” gli dissi.

“Sì, lo è;” disse Rob, “la vita è tutta una questione di scelte.

Quando tagli via tutto ciò che non conta, è tutta una questione di scelte.
Sta a te scegliere come reagire alle situazioni, sta a te decidere come lasciare che gli altri influenzino il tuo umore.
Tu scegli se essere di buon umore o di cattivo umore.
Alla fine sei tu a decidere come vivere la tua vita.”
Dopo quella conversazione ci perdemmo di vista perché io cambiai lavoro, ma spesso mi ritrovai a pensare alle sue parole, quando dovevo fare una scelta nella mia vita, invece di reagire agli eventi.
Ho saputo che Rob aveva avuto un brutto incidente sul lavoro, era caduto da 18 metri di altezza, e dopo 18 ore di sala operatoria fu dimesso dall’ospedale con una piastra d’acciaio nella schiena.

Sono andato a trovarlo e gli ho chiesto come si sentisse:

“Se stessi meglio sarei due persone,” mi rispose, “vuoi vedere le mie cicatrici?”
“Ma come fai,” gli chiesi, “ad essere così positivo dopo quello che ti è successo?”
“Mentre stavo cadendo, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la mia bimba.
Poi mentre giacevo per terra, mi sono detto che potevo scegliere di vivere o di morire.
Ed ho scelto di vivere.”
“Ma non hai mai avuto paura?” aggiunsi.
“Sì, quando mi hanno portato in ospedale ed ho visto l’espressione sul viso dei medici e degli infermieri, ho avuto paura, perché era come se guardassero un uomo morto!

Poi un’infermiera mi ha chiesto se avessi allergie, ed io risposi si.

Tutti mi guardarono, ed io urlai: sono allergico alla gravità!”
Tutti scoppiarono a ridere, ed io dissi:
“Ed ora operatemi da uomo vivo, non come se fossi già morto.”
Rob mi ha insegnato che ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere di vivere la vita pienamente.
Quindi è inutile preoccuparsi sempre per il domani, perché ogni giorno ha i suoi problemi su cui scegliere di vivere, e domani penseremo ai problemi di domani.
Dopotutto, oggi e il domani di cui ti preoccupavi ieri.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La storia della matita



La storia della matita

Il bambino guardava la nonna intenta a scrivere una lettera.
Ad un certo punto, chiese:
“Stai scrivendo una storia su di noi?
E’ per caso una storia su di me?”
La nonna smise di scrivere, sorrise, e disse al nipote:

“In effetti, sto scrivendo di te.

Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando.
Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande.”
Il bimbo osservò la matita, incuriosito, e non vide niente di speciale.
“Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!”
“Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose.” rispose la nonna.

Ci sono cinque qualità in essa che, se tu riuscissi a mantenere, farebbero di te un uomo in pace col mondo.

Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi.
Questa mano noi la chiamiamo Dio, e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo, e usare il temperino.
Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata.

Pertanto, sappi sopportare un po’ di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.

Terza qualità: la matita ci permette sempre di usare una gomma per cancellare gli sbagli.
Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all’interno.
Dunque, fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
Infine, la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno.
Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce, e cerca di essere conscio di ogni singola azione.

Brano tratto dal libro “Come il fiume che scorre.” di Paulo Coelho

Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard



Saper insegnare: L’incredibile storia di Teddy Stoddard

Mentre se ne stava davanti alla sua classe di quinta elementare, il primo giorno di scuola, la maestra disse ai bambini una falsità.
Come la maggior parte degli insegnanti, guardò i suoi studenti e disse che lei li amava tutti allo stesso modo.
Tuttavia, ciò era impossibile perché lì in prima fila, accasciato sulla sedia, c’era un ragazzino di nome Teddy Stoddard.
La signora Thompson aveva osservato Teddy l’anno precedente e aveva notato che non giocava serenamente con gli altri bambini…
I suoi vestiti erano disordinati e spesso avrebbe avuto bisogno di farsi un bagno.

Inoltre, Teddy era scontroso e solitario.

Arrivò il momento in cui la signora Thompson avrebbe dovuto evidenziare in negativo il rendimento scolastico di Teddy; prima però volle consultare i risultati che ogni bambino aveva raggiunto negli anni precedenti; per ultima, esaminò la situazione di Teddy.
Tuttavia, quando vide il suo fascicolo, rimase sorpresa:
in prima elementare il maestro di Teddy aveva scritto:
“Teddy è un bambino brillante con una risata pronta.
Fa il suo lavoro in modo ordinato e ha buone maniere…”

Il suo insegnante, in seconda elementare, aveva scritto:

“Teddy è uno studente eccellente, ben voluto dai suoi compagni di classe, ma è tormentato perché sua madre ha una malattia terminale e la vita in casa deve essere una lotta.”
Il suo insegnante di terza elementare aveva scritto:
“La morte di sua madre è stata dura per lui e tenta di fare del suo meglio, ma suo padre non mostra molto interesse e, se non verranno presi i giusti provvedimenti, il suo contesto famigliare presto lo influenzerà.”
Infine l’insegnante del quarto anno aveva scritto:
“Teddy si è rinchiuso in se stesso e non mostra più interesse per la scuola.

Non ha amici e qualche volta dorme in classe.”

A questo punto, la signora Thompson si rese conto del problema e si vergognò di se stessa.
Si sentì anche peggio quando i suoi studenti le portarono i regali di Natale, avvolti in bellissimi nastri e carta brillante, fatta eccezione per Teddy.
Il suo dono era stato maldestramente avvolto nella pesante carta marrone di un sacchetto di generi alimentari.
La signora Thompson però aprì il regalo prima degli altri.
Alcuni bambini cominciarono a ridere quando videro un braccialetto di strass con alcune pietre mancanti e una bottiglietta di profumo piena per un quarto, ma lei soffocò le risate dei bambini esclamando quanto fosse grazioso il braccialetto e mettendo un po’ di profumo sul polso.
Quel giorno Teddy Stoddard rimase dopo la scuola, giusto il tempo di dire:

“Signora Thompson, oggi profumava come la mia mamma quando usava proprio quel profumo.”

Dopo che i bambini se ne furono andati, la signora Thompson pianse per almeno un’ora; da quel giorno si dedicò veramente ai bambini e non solo per insegnare loro le sue materie.
Prestò particolare attenzione a Teddy e, con la sua vicinanza, la mente del piccolo iniziò a rianimarsi.
Più lei lo incoraggiava, più velocemente Teddy rispondeva.
Alla fine dell’anno, Teddy era diventato uno dei bambini più intelligenti della classe e, nonostante la sua bugia che avrebbe amato tutti i bambini in ugual modo, la maestra si accorse che Teddy divenne uno dei suoi “preferiti.”
Un anno dopo la fine della scuola, la signora Thompson trovò un biglietto sotto la porta: era da parte di Teddy; la lettera diceva che era stata la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.

Passarono sei anni prima che ricevesse un altro messaggio da Teddy.

Terminato il liceo, terzo nella sua classe, riferiva che la signora Thompson era ancora la migliore insegnante che avesse mai avuto in vita sua.
Quattro anni dopo, ricevette un’altra lettera, dicendo che quando le cose erano difficili, a volte, era rimasto a scuola, si era impegnato al massimo e ora si sarebbe presto laureato al college con il massimo degli onori.
Confermava che la signora Thompson era sempre la migliore insegnante che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita, la sua preferita.
Poi passarono altri quattro anni e arrivò ancora un’altra lettera.
Questa volta spiegava che dopo aver ottenuto la laurea, aveva deciso di andare avanti.
La lettera spiegava che lei era ancora la migliore e preferita insegnante che avesse mai avuto, ma ora la sua firma era un po’ più lunga.

La lettera riportava, in bella grafia, Dr. Theodore F. Stoddard.

Ma la storia non finisce qui.
Arrivò ancora un’altra lettera quella primavera.
Teddy scrisse che aveva incontrato una ragazza e stava per sposarsi.
Spiegò che suo padre era morto un paio di anni prima e chiese alla signora Thompson di accompagnarlo al matrimonio facendo le veci della madre dello sposo.
Naturalmente, la signora Thompson accettò.
E indovinate un po’ che fece?
Indossò proprio quel braccialetto, quello con gli strass mancanti, quello che Teddy le aveva regalato; fece anche in modo di mettere il profumo che la madre di Teddy indossava l’ultimo Natale che passarono insieme.

Si abbracciarono e il Dr. Stoddard sussurrò all’orecchio della signora Thompson:

“Grazie signora Thompson per aver creduto in me.
Grazie mille per avermi fatto sentire importante e per avermi mostrato che avrei potuto fare la differenza.”
La signora Thompson, con le lacrime agli occhi, sussurrò:
“Teddy, ti stai sbagliando.
Sei tu quello che mi ha insegnato che potevo fare la differenza: non sapevo come insegnare fino a quando ti ho incontrato.”

Brano senza Autore, tratto dal Web