Lascia che le cose si rompano,

smetti di sforzarti di tenerle incollate.
Lascia che le persone si arrabbino.
Lascia che ti critichino, la loro reazione non è un problema tuo.
Lascia che tutto crolli.
Ciò che è destinato ad andarsene se ne andrà comunque.
Ciò che dovrà rimanere, rimarrà comunque.

Quel che se ne va, lascia sempre spazio a qualcosa di nuovo:

sono le leggi universali.
E non pensare mai che non ci sia più nulla di bello per te, solo che devi smettere di trattenere quel che va lasciato andare.
Solo quando il tuo viaggio sarà terminato, allora finiranno le possibilità, ma fino a quel momento, lascia che tutto crolli, lascia andare.

Citazione di Claudia Crispolti.

Tonto Zuccone e gli acquisti

Tonto Zuccone e gli acquisti
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Alla fiera

L’orologio

Il panino doppio

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“Alla fiera”

Tonto Zuccone andò ad una fiera e la sua attenzione venne richiamata da alcuni uomini concitati attorno ad un tavolino.
Stavano partecipando al gioco delle tre carte, per lui nuovo.
Con entusiasmo partecipò anche lui.
Provò a sfidare diverse volte la fortuna, che però gli voltava ripetutamente le spalle.
Alla fine chiese al banditore come si facesse a vincere almeno una volta, poiché ci teneva tanto.

All’imbonitore non parve vero e gli disse:

“Siccome ti chiami Tonto voglio, in via eccezionale venirti in contro ed accontentarti, con una vincita strepitosa e sicura.
Attraverso i miei poteri telepatici, basta che tu metta i soldi e rinunci alla posta vinta.
Tonto pur di vincere accettò e rientrò a casa con una grande soddisfazione tutta sua, comportandosi come tanti insistenti giocatori del gratta e vinci, dove il banco vince sempre.

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“L’orologio”

Tonto Zuccone desiderava tanto avere un orologio tutto suo per non dover chiedere sempre l’ora a qualcuno.
Voleva però spendere pochissimo.
Si recò da diversi orologiai, ma non trovò nessuno che vendesse l’orologio al prezzo da lui desiderato, poiché era fissato nel risparmiare a tutti i costi.
Incontrò casualmente per strada un venditore ambulante abusivo, che proponeva tra le sue mercanzie anche dei colorati orologi che piacevano tanto a Tonto, e scelse quello a prezzo più stracciato.
Dopo alcuni giorni, però, l’orologio non diede segni di vita e Tonto percorse in lungo e in largo tutte le strade, sotto un sole cocente, per incrociare l’ambulante.
Trovato, gli agitò in faccia l’orologio che non dava segni di vita, e lo supplicò di sostituirlo essendo, secondo lui, ancora in garanzia.

Lo minacciò di segnalarlo, altrimenti, alle autorità.

Il venditore non si scompose per niente, dopo aver inquadrato il tipo, e gli disse:
“Io te lo sostituirei anche, se fosse rotto del tutto, ma, se stai attento, segna ancora l’ora giusta due volte al giorno e, se lo conservi con cura, un giorno varrà una fortuna per questo!”
A queste argomentazioni Tonto non seppe rispondere e continuò a portare l’orologio, pur avendo la cinghia che gli scatenava una reazione allergica, contento e felice della minima prestazione.

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“Il panino doppio”

Tonto Zuccone entrò trafelato, e in disordine, in una rinomata paninoteca in pieno centro città.
Chiese se potesse avere un panino farcito doppio al prezzo di uno, non avendo soldi sufficienti, siccome li aveva spesi in souvenir.
Aveva tanta fame accumulata, avendo percorso in lungo e in largo, sotto il sole cocente, l’impegnativo percorso turistico.
Il navigato cameriere, che ne aveva visto di cotte e crude, inquadrò professionalmente il singolare personaggio e gli rispose che non cera nessun problema.
Continuò dicendogli che avrebbe onorato immediatamente tale richiesta e che, visto il caso umano, gli avrebbe riservato la precedenza su altri clienti meno affamati ed esigenti.

Dopo qualche minuto, Tonto vide arrivare due piatti di servizio.

Dentro un piatto c’era il panino desiderato, mentre nell’altro uno specchio.
Il cameriere, sarcasticamente, gli disse:
“Ecco il tuo bel panino, se lo vuoi doppio e gratis, mettilo davanti allo specchio!”

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

La storia di un vaccino contro il coronavirus

La storia di un vaccino contro il coronavirus

Una anziana signora, nonna di diversi nipoti, influenzata dai No-Vax, era contraria a qualunque vaccino per immunizzarsi dal coronavirus (covid19), condividendo teorie complottiste, e quant’altro, inculcate dalla badante negazionista.
La nipote, incaricata di sovraintendere ai suoi bisogni, era preoccupata per il testardo diniego e, non riuscendo a convincerla con ragionamenti logici e scientifici, pensò, conoscendo la sua intima indole, ad uno stratagemma.

Le promise che, qualora avesse fatto il vaccino, sarebbe stata fotografata e postata nei social.

La nonnina era sensibilissima a questo tema poiché, fin da piccola, aveva sognato di fare l’attrice.
Aveva coltivato questa sua passione negli anni, arrivando anche a far parte di una compagnia teatrale, ma solo a livello amatoriale.
Giunto il giorno programmato per l’iniezione, la meticolosa nipote, nell’accompagnarla, spiegò allo staff medico la problematica e gli addetti si prestarono ben volentieri alla sceneggiata, anche per cambiare, per un momento, l’atmosfera triste che si respirava nell’ospedale.

In tre immortalarono con il loro smartphone il momento fatidico del vaccino,

offrendo altresì un bel mazzo di fiori alla signora, ovviamente comprato dall’amorevole nipote.
Gli occhi della nonnina, vedendo esaurito il suo desiderio da prima donna, si illuminarono per la gioia e, dopo questo istante, sopraggiunse una lacrima di felicità, poiché era stata trattata, a suo dire, come la regina Elisabetta.

Quella inaspettata reazione fece bene anche agli operatori sanitari.

Fece intravedere loro uno spiraglio di luce in fondo al tunnel della pandemia.
In tantissimi casi un gesto, che può essere considerato insignificante, può, in realtà, essere determinante a raggiungere un nobile obbiettivo, come quello di debellare l’insidioso virus.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Tonto Zuccone, girovagando

Tonto Zuccone, girovagando
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La macchina

A Venezia

Il risotto con le mosche

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“La macchina”

Tonto Zuccone, dopo ripetuti tentativi ed una raccomandazione non tanto trasparente, prese la patente di guida per la macchina.
Stupì tutti perché acquistò una macchina nuova, rosso fiammante, invece di una usata per impratichirsi nella guida.
Scorrazzava felice per le vie del paese, esibendo il suo gioiello rosso con uno stuolo di amici a bordo.
Mutò d’umore quando svoltando a destra sentiva uno strano rumore in macchina e lo stesso quando girava a sinistra.

Andò a farla benedire da un sacerdote amico credendola stregata, ma niente, i rumori persistevano.

Tornò dal concessionario, deluso, per la riparazione o per una eventuale sostituzione essendo ancora in garanzia.
I meccanici incuriositi dallo strano caso fecero un giro di prova e tornarono quasi subito ridendo per quello che avevano scoperto.
Il rumore era causato da due latine di Coca Cola vuote, abbandonate dagli amici di scorribande, che ruzzolavano nella parte posteriore della vettura ad ogni sterzata o sobbalzo.
L’episodio bastò a far perdere a Tonto ogni interesse per la macchina, il quale tornò alla sgangherata bicicletta.

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“A Venezia”

Tonto Zuccone andò per la prima volta a visitare, da solo, la tanto desiderata Venezia.
Dopo aver chiesto informazioni, gli fu indicato di prendere un vaporetto per fare un giro turistico per le vie d’acqua e poter, così, ammirare la meraviglia dell’Adriatico con i suoi palazzi, calli e canali.
Si recò alla biglietteria con una certa titubanza e l’addetto in divisa, vedendolo impacciato, gli chiese dove volesse recarsi.

Tonto gli diede una grossa banconota e gli disse:

“Dovunque e da nessuna parte!”
Il bigliettaio, abituato ad aver a che fare con turisti da tutto il mondo, intuì con chi stava parlando e replicò:
“Si vede anche da lontano che sei Tonto in visita a Venezia!”
La cosa stupì lo spaesato campagnolo che domandò stupito:
“Come fate a conoscermi anche qui?
Non credevo di essere così famoso!”

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“Il risotto con le mosche”

Il risotto è un piatto tipico della tradizione del nord Italia e sta diventando sempre di più un piatto nazionale.
Forti del primato produttivo e qualitativo del riso nostrano, essendo degli storici e accorti produttori, non temiamo il confronto con quelli di dubbia importazione e dal prezzo stracciato.
I nostri bravi chef, di tramandata e gloriosa tradizione gastronomica, lungo tutto lo stivale, propongono i risotti nelle varianti con il prezioso zafferano, con le verdure di stagione, ai funghi, con carni e pesci e, chi più ne ha, più ne metta.

Alcuni anni fa, Tonto Zuccone fu invitato ad un pranzo di battesimo da un amico in terra Feltrina, nel Bellunese.

Dopo gli antipasti di rito, nel menù non poteva mancare di certo il risotto fatto secondo la tradizione locale, con i resti della carne di cacciagione, tagliati a sottili pezzettini che risultavano alla vista di colore scuro, chiamato per questo motivo risotto con le mosche, per la somiglianza con gli insetti dittari.
La neo mamma, nonché provetta cuoca, era particolarmente fiera di questo piatto tramandato gelosamente dalle sue ave e chiese con un pizzico di orgoglio a Tonto se gradisse il suo risotto con le mosche e se lo avesse mai gustato prima.
Tonto a sentirlo nominare ed alla vista della portata ebbe una reazione di disgusto e di netto rifiuto.

Questo evento fece ridere la cuoca, ma anche gli altri commensali, a crepapelle.

Ascoltata la risposta di Tonto, la padrona di casa disse scherzando che ad ogni mosca aveva tolto la testa e le zampe, soprattutto per omaggiare il gradito ospite.
Tonto non volle sentire ulteriori spiegazioni, fu sufficiente vedere ed ascoltare il nome del piatto per rimanere, ancor di più, perplesso e basito della strana, per lui, cucina locale.
Rinunciò ad ottimo risotto, eseguito con cottura e mantecatura perfette.
Il risotto con le mosche è una specialità tutta feltrina, di nicchia gastronomica, non contemplata nei manuali di cucina e gelosamente tramandata da generazione in generazione, che solo un “tonto” come Tonto poteva rifiutare a priori.

Brani di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione dei racconti a cura di Michele Bruno Salerno

La scatola di colori (Ho dipinto la Pace)

La scatola di colori
(Ho dipinto la Pace)

Avevo una scatola di colori, brillanti, decisi e vivaci.
Avevo una scatola di colori, alcuni caldi, altri molto freddi.

Non avevo il rosso per il sangue dei feriti.

Non avevo il nero per il pianto degli orfani.
Non avevo il bianco per le mani e il volto dei morti.
Non avevo il giallo per le sabbie ardenti.

Ma avevo l’arancio per la gioia della vita.

E il verde per i germogli e i nidi.
E il celeste dei chiari cieli splendenti.
E il rosa per i sogni e il riposo.

Mi sono seduta e ho dipinto la pace.
Poesia trovata nello zainetto di Tali Sarek, una bimba di Beersheba (Israele) di 12 o 13 anni, al tempo della guerra del Kippur.
Esprime con parole semplici e toccanti la reazione di una creatura davanti alla guerra.
C’è il rifiuto del dolore, delle atrocità e delle sofferenze.
Prevale il sogno e il bisogno della pace.

Il furto (La lezione di un padre al figlio)


Il furto
(La lezione di un padre al figlio)

C’era una volta un ragazzo che aveva rubato.
La cosa si era risaputa e il ragazzo temeva la reazione del padre, uomo onesto e stimato da tutti.

Quella sera in casa l’aria era pesante.

Dopo la cena rimasero soltanto padre e figlio.
Il ragazzo aveva paura e aspettava.
Il padre non aveva parlato per tutta la sera.

Improvvisamente il padre si alzò e andò presso il camino.

Impugnò decisamente uno dei ferri che servivano per attizzare il fuoco.
Il ferro era acuminato e rovente.
Senza dire una parola si diresse verso il tavolo.
Spaventato, il ragazzo lo guardava con gli occhi dilatati.

Il padre arrivò davanti al figlio,

posò la propria mano sinistra sul tavolo e poi la trapassò con il ferro.
Senza dire una parola.
Per tutta la vita, quel ragazzo non rubò mai più.

Brano senza Autore

Il pane nell’armadio

Il pane nell’armadio

Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano.
Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo.
Si fermò e bussò alla porta.
Uscì una donna con la faccia sofferente e disse:
“Cosa desidera, signore?”

“Vengo ad aiutarti.” rispose Dio.

“Aiutarmi?
È molto difficile.
Nessuno lo ha fatto finora.
Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame.
Mi resta soltanto un pezzo di pane nell’armadio… quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi!”
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male.
Il suo Volto diventò sofferente come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance.
“Nessuno ha voluto aiutarti, donna?” domandò Dio.

“Nessuno, signore.

Tutti mi hanno voltato le spalle!” rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto.
A guardarlo, sembrava povero come lei.
Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire.
Allora andò all’armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glieLo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi, le disse:
“No, no, grazie.
Tu ne hai più bisogno di me.
Conservalo e dallo a tuo figlio.
Domani ti arriverà il mio aiuto.
Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto a Me!”

Detto questo, se ne andò.

La donna non capì nulla… ma fu molto colpita da quello sguardo.
Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l’ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa:
l’armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai.
In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era “Colui” che aveva bussato alla sua porta e, da quel giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:
condividere il pane con i bisognosi.

Brano senza Autore

Corri, non esitare! (Senza Rimpianto)

Corri, non esitare!
(Senza Rimpianto)

Che cos’è il rimpianto?
Il rimpianto non è altro che una reazione negativa a comportamenti avuti nel passato.
In poche parole:
È il rendersi conto di una determinata cosa che avremmo voluto fare, ma che non abbiamo mai fatto.
Sono sicura che ognuno di noi rimpiange almeno una cosa nella vita.
Ognuno di noi vorrebbe ritornare indietro nel tempo per dire o fare, cose che non abbiamo mai avuto il coraggio di fare.
Che cosa succederebbe se avessimo la possibilità di correggere le cose?

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“La vita è troppo breve per avere dei rimpianti.” mi disse una donna anziana.
Forse sull’ottantina.
“Come dice, scusi?” chiesi cortesemente come per accertarmi che si stesse rivolgendo a me.
“Mi ricordi me alla tua età.” continuò tenendo lo sguardo fisso davanti a se.
“A quei tempi ero piena di rimpianti… e lo sono tutt’ora.”
E mentre disse l’ultima frase, mi guardò negli occhi abbozzando un sorriso amaro.
La guardai per diversi minuti, senza saper cosa dire.
Poi, quando feci per andar via, ricominciò a parlare.
Presi posto su una delle sedie accanto alla sua, mentre lei cominciò ad avere dei violenti colpi di tosse:

“Tutto bene?

Non deve sforzarsi per…”
Ma mi rassicurò con un gesto della mano e proseguì il suo racconto.
“Quando avevo la tua età avevo questo amico, che poi tanto amico non era.” pronunciò con uno sguardo nostalgico, “A quei tempi non capivo cos’era l’amore.
Pensavo che quello che provavo per lui fosse normale, sai, nei confronti di un amico.”
“E cosa è accaduto?
Quando si è resa conto di amarlo?” mi scoprì a dire ritrovandomi in quanto ha detto.
“Me ne accorsi quando una mattina mi confessò di voler andare a fare il militare.”
“E lei come l’ha presa?
Gli ha confessato di amarlo?”

“Oh, no, tutt’altro!

Mi congratulai con lui.
Non era da tutti voler andare in guerra.
In quel momento, pensai che fosse stupido ma anche maledettamente coraggioso.
Ma non osavo ammettere a me stessa che in realtà non volevo che partisse…” ricominciò a tossire, ma non fermò la narrazione, “Quando arrivò il giorno della partenza non andai a salutarlo, non ne ero in grado.
E quello fu il mio più grande rimpianto, perché lui non tornò più.” concluse con gli occhi lucidi.
Mi alzai bruscamente dalla sedia mentre il cuore cominciò a rimbombarmi nel petto.
L’unica cosa che riuscivo a sentire era il rumore del treno che si stava avvicinando.

“Corri, non esitare!”

Mi disse lei sorridendo come se avesse capito tutto quanto.
Sorrisi a mia volta, consapevole del fatto che se non le avessi dato retta, me ne sarei pentita per il resto della vita.
Feci per correre verso i binari, ma una domanda mi balenò in mente facendomi ritornare sui miei passi:
“Scusi la domanda improvvisa ma posso chiederle perché lei è qui?”
Mi guardò negli occhi, e solo allora notai quanto fossero famigliari.
Mi sorrise e mi disse semplicemente:
“Ogni giorno a quest’ora prendo un treno nella speranza di ricongiungermi con lui.”
E così fu.

Brano di Maddalena Dinu

Tre racconti brevi

Tre racconti brevi
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Il maestro ed il discepolo

Il tesoro nel podere

Un combattimento tra due giovani cervi

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“Il maestro ed il discepolo”

Un giorno un discepolo si macchiò di una grave colpa.
Tutti si aspettavano che il maestro lo punisse in modo esemplare.
Ma passò un anno e il maestro non diede segno di reazione.

Allora un altro discepolo protestò:

“Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto, Dio ci ha dato gli occhi!”
Il maestro replicò:
“È vero, ma anche le palpebre!”

Brano senza Autore.
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“Il tesoro nel podere”

Lo aveva scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un tesoro.
Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità.
Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli il podere.
Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato,

ma gli aveva chiesto una somma altissima.

Per mettere insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo.
Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato.
Passò altro tempo.
L’uomo investiva, trafficava, dirigeva, viaggiava.
Si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.

Brano senza Autore. Apologo (Favola allegorica a fine spiccatamente pedagogico) Indiano.
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“Un combattimento tra due giovani cervi”

Due giovani cervi, bellissimi esemplari, si incontrarono nel bosco.
Entrambi gelosi del proprio territorio, decisero di affrontarsi.
Il combattimento durò a lungo:
nessuno dei due voleva cedere.
Alla fine, il più forte, con un ultimo movimento della testa, ebbe la meglio sull’avversario.
Ma i palchi dell’ucciso rimasero incastrati in quelli dell’uccisore, lucidi e possenti.

Impossibili da districare.

Il vincitore tentò in ogni modo di sbarazzarsi del corpo dell’altro cervo, ma non ci riuscì.
Fu costretto a trascinarselo dietro, fino a che, spossato, dovette fermarsi.
All’alba, a liberarlo da quel peso morto fu lo sparo di un cacciatore.

Brano senza Autore.

Il bambino, il medico ed il saggio

Il bambino, il medico ed il saggio

Un vecchio saggio fu invitato a parlare in una parrocchia sulla fiducia in Dio.
La chiesa era affollata di adulti, molto attenti.
In prima fila, seduto sulle ginocchia della nonna, c’era un bambino che giocava con un pezzo di carta in mano.
La sua presenza ispirò al vecchio saggio un paragone e disse:
“Vedete questo bambino?
Questo bambino, come del resto tutti noi, ha paura del medico e dei suoi interventi che spesso sono dolorosi!”
A sostegno della sua tesi si rivolse verso il bambino e disse:

“Come ti chiami?”

“Riccardo!” disse il bimbo.
“Riccardo, quanti anni hai?” proseguì allora il saggio.
“Quattro e mezzo!” rispose fiero agitando la manina.
“È vero che tu hai paura del medico?” domandò allora il saggio.
“No! Io non ho paura del medico!” esclamò il bambino.
Sorpreso dalla risposta, il vecchio saggio insistette:

“Ma come!

Non hai paura del medico quando ti prescrive le medicine amare, quando ti fa la puntura… insomma quando ti fa male?
Non hai paura del medico?”
“No! No! Io non ho paura del medico!” rispose il bambino con maggior forza.
Nel frattempo la nonna osservava preoccupata le repliche del nipotino.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto, il vecchio saggio piacevolmente meravigliato dalla reazione del bambino disse:

“Senti, Riccardo.

Saresti contento di venire qui al microfono e dire a me e a tutta questa gente, perché tu non hai paura del medico?”
Riccardo scese dalle ginocchia della nonna, prese il microfono e ad alta voce disse:
“Io non ho paura del medico perché il medico è mio papà!”
Una sonora e gioiosa sorpresa da parte dei presenti accolse l’inattesa risposta.
E la nonna rasserenata confermò:
“Sì, sì. Suo papà fa il medico!”
È il vecchio saggio compiaciuto, rivolgendosi all’assemblea replicò:
“Devo aggiungere altro?
Ora sapete cosa è la fiducia in Dio!”

Brano senza Autore.