Scherzo per Carnevale

Scherzo per Carnevale

“A carnevale ogni scherzo vale.” recita il detto.
Io ho capito il significato di questa frase da bambino, quando a casa nostra venne una coppia di sposi in maschera.
Erano un uomo e una donna, ma si erano mascherati invertendo i propri ruoli.

A questo si aggiungeva una singolarità.

Direte voi, che cosa?
Tenevano in braccio una specie di bambola che cullavano e per noi bambini, ovviamente, era la principale curiosità.
Fatti accomodare in casa, mia madre gli chiese se desiderassero qualcosa.
Risposero di no con un cenno e diedero il bambolotto in braccio a mio padre, che era seduto, facendogli segno di cullarlo e di dargli il ciuccio.
Solamente per aver visto questi due signori truccati in questo modo, questa scena iniziale fece divertire noi bambini, ma il momento più bello si ebbe quando la donna mascherata si alzò e fece il gesto di sistemare il vestitino al pupazzo, facendo fare, nello stesso tempo, un salto dalla sedia a mio padre,

che si trovò con i pantaloni bagnati.

Il pupazzo non era altro che un grande fiasco capovolto, addobbato e truccato per sembrare un infante e spostando la maschera (cioè togliendo il tappo), fece fuoriuscire l’acqua di cui era pieno il fiasco, simulando, così, un bisogno fisiologico di mio padre.
Passato il primo attimo di imbarazzo per i pantaloni bagnati e vedendo noi bambini divertiti, mio padre sorrise e ci diede una grande lezione carnevalesca, servendo lui stesso da bere alla coppia.

Lo sentii dire sottovoce:

“Compare, anche quest’anno me la hai fatta!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La lista della spesa e la preghiera

La lista della spesa e la preghiera

Una donna infagottata in abiti fuori misura entrò nel negozio di alimentari.
Si avvicinò al gestore del negozio e, umilmente a voce bassa, gli chiese se potesse avere una certa quantità di alimenti a credito.
Gli spiegò che suo marito si era ammalato in modo serio e non poteva più lavorare e i loro quattro figli avevano bisogno di cibo.
L’uomo sbuffò e le intimò di togliersi dai piedi.

Dolorosamente la donna supplicò:

“Per favore signore!
Le porterò il denaro più in fretta che posso!”
Il padrone del negozio ribadì duramente che lui non faceva credito e che lei poteva andare in un altro negozio nel quartiere.
Un cliente che aveva assistito alla scena si avvicinò al padrone e gli chiese di tentare almeno di accontentare la povera donna.
Il droghiere con voce riluttante, chiese alla donna:
“Hai una lista della spesa?”

Con un filo di speranza nella voce, la donna rispose:

“Sì, signore!”
“Bene,” disse l’uomo, “Metta la sua lista sulla bilancia.
Le darò tanta merce quanto pesa la sua lista.”
La donna esitò un attimo con la testa china, estrasse dalla borsa un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa in fretta, poi posò il foglietto con cautela su un piatto della bilancia, sempre a testa bassa.
Gli occhi del droghiere e del cliente si dilatarono per la meraviglia quando videro il piatto della bilancia abbassarsi di colpo e rimanere abbassato.
Il droghiere fissando la bilancia, brontolò:
“È incredibile!”
Il cliente sorrise e il droghiere cominciò a mettere sacchetti di alimenti sull’altro piatto della bilancia.
Sbatteva sul piatto scatole e lattine, ma la bilancia non si muoveva.
Così continuò e continuò, con una smorfia di disgusto sempre più marcata.
Alla fine afferrò il foglietto di carta e lo fissò, livido e confuso.

Non era una lista della spesa.

Era una preghiera:
“Mio Dio, tu conosci la mia situazione e sai ciò di cui ho bisogno:
metto tutto nelle tue mani.”
Il droghiere consegnò alla donna tutto ciò che le serviva, in un silenzio imbarazzato.
La donna ringraziò e lasciò il negozio.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

I Re Magi dimenticati

I Re Magi dimenticati

I ragazzi dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del Natale.
Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di Giuseppe.
C’era una particina perfino per il bue e l’asino.
Avevano distribuito le parti.
Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino.
Avevano così deciso di travestire da asino il cane di Lucia.

Era abbastanza grosso e pacifico:

con le orecchie posticce faceva un asinello passabile.
Purché non sì fosse messo ad abbaiare in piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò:
“Avete dimenticato i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli.
Mancava solo un giorno alla rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi?
Fu don Pasquale, il vice parroco, a trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un dono a Gesù Bambino.
Un dono a loro scelta.
Tutto quello che devono fare è spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel particolare dono.”

La squadra dei ragazzi si mise in moto.

Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito.
Il cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del municipio.
Portava in mano una stampella.
La posò accanto alla culla del Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto.
Uno scontro frontale.
Fui ricoverato all’ospedale con parecchie fratture.

I medici erano pessimisti sul mio recupero.

Nessuno azzardava un pronostico.
Da quel momento incominciai ad essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso:
poter muovere la testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via.
Quei mesi in ospedale mi cambiarono.
Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che possiedo.
Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui prima non mi accorgevo.
Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli.
Portava un catechismo.
Lo posò accanto alla culla del Bambino e disse:
“Finché i miei bambini erano piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata.
Poi i ragazzi sono cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi.
Chiesi al parroco di fare catechismo ai bambini.
Così ridiedi un senso a tutta la mia vita.

Mi sento come un apostolo, un profeta:

aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è un’attività che mi appassiona.
Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane.
Portava un foglio bianco.
Lo pose accanto alla culla del Bambino e disse:
“Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare.
Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi.
Non ho niente da presentare.
Il mio futuro mi sembra così vago.
Ti offro questo foglio bianco, Bambino Gesù.
Io so che sei venuto per portarci speranze nuove.
Vedi, io sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita.
Ora che ci sei tu, tutto cambierà!”

Brano tratto dal libro “Storie di Natale, d’Avvento e d’Epifania.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

La ragazza ed il barbone

La ragazza ed il barbone

Un giorno, mentre passeggiava per strada, una ragazza notò un barbone che cantava in cambio di qualche monetina.
Non ci fece troppo caso ed entrò in una caffetteria.
Qualche minuto dopo aver presto posto ed aver ordinato, vide entrare il barbone.
Questi iniziò a contare le monetine, vicino a lei, ma con le offerte ricevute aveva raccolto solo poco più di un euro.

Titubante e deluso si avviò verso l’uscita,

ma la ragazza, avendo assistito a tutta la scena, impulsivamente, decise di offrigli un caffè ed un bel panino.
Il barbone indeciso se accettare o meno si convinse solamente quando la stessa ragazza lo invitò al suo tavolo.
Nonostante fosse rimasto sorpreso e combattuto dalla proposta si sedersi con lei, alla fine la raggiunse.
Iniziarono a parlare ed il barbone le fece diverse confidenze.
Le raccontò che la maggior parte delle volte le persone erano cattive nei suoi confronti,

solo per il fatto che vivesse per strada.

Le ammise anche che furono le droghe a farlo finire per la strada e che per questo si odiava.
Lui continuava a sognare di essere il figlio del quale la propria madre possa essere orgogliosa, nonostante la donna fosse morta per un tumore diversi anni prima.
I due parlarono per più di un’ora, ma ad un certo punto la ragazza si rese conto che il tempo era trascorso in fretta e che si era fatto molto tardi.
Nel momento in cui la ragazza stava per alzarsi, il barbone le chiese di aspettare solo un momento e si mise a scrivere qualcosa su un foglietto tutto spiegazzato.
Le diede il foglio di carta in mano e le chiese scusa per la sua brutta lettera, poi si salutarono.
Quando la ragazza aprì il biglietto capì di aver fatto qualcosa di molto più importante che offrire un semplice pasto ad un mendicante.

Sul foglietto c’era scritto:

“Mi sarei voluto suicidare oggi, ma grazie a te non lo voglio più fare.
Grazie bella persona.”
A volte un gesto generoso o solamente un sorriso possono fare la differenza, più di quanto possiamo immaginare.

Storia vera, liberamente ispirata al racconto autobiografico di Casey Fisher

Non bere quando devi guidare

Non bere quando devi guidare

Mamma… sono uscita con amici.
Sono andata ad una festa e mi sono ricordata quello che mi avevi detto:
di non bere alcolici.
Mi hai chiesto di non bere visto che dovevo guidare, cosi ho bevuto una Sprite.
Mi sono sentita orgogliosa di me stessa, anche per aver ascoltato il modo in cui, dolcemente, mi hai suggerito di non bere se dovevo guidare, al contrario di quello che mi dicono alcuni amici.
Ho fatto una scelta sana ed il tuo consiglio è stato giusto.
Quando la festa è finita, la gente ha iniziato a guidare senza essere in condizioni di farlo.
Io ho preso la mia macchina con la certezza che ero sobria.

Non potevo immaginare, mamma, ciò che mi aspettava…

Qualcosa di inaspettato!
Ora sono qui sdraiata sull’asfalto e sento un poliziotto che dice:
“Il ragazzo che ha provocato l’incidente era ubriaco!”
Mamma, la sua voce sembra così lontana…
Il mio sangue è sparso dappertutto e sto cercando, con tutte le mie forze, di non piangere.
Posso sentire i medici che dicono:

“Questa ragazza non ce la farà!”

Sono certa che il ragazzo alla guida dell’altra macchina non se lo immaginava neanche, mentre andava a tutta velocità.
Alla fine lui ha deciso di bere ed io adesso devo morire…
Perché le persone fanno tutto questo, mamma?
Sapendo che distruggeranno delle vite?
Il dolore è come se mi pugnalasse con un centinaio di coltelli contemporaneamente.
Dì a mia sorella di non spaventarsi, mamma, dì a papà di essere forte.
Qualcuno doveva dire a quel ragazzo che non si deve bere e guidare…

Forse, se i suoi glielo avessero detto, io adesso sarei viva…

La mia respirazione si fa sempre più debole e incomincio ad avere veramente paura…
Questi sono i miei ultimi momenti, e mi sento cosi disperata…
Mi piacerebbe poterti abbracciare mamma, mentre sono sdraiata, qui, morente.
Mi piacerebbe dirti che ti voglio bene per questo…
Ti voglio bene e…. addio”

Queste parole sono state scritte da un giornalista che era presente su una scena di un incidente.
La ragazza, mentre moriva, sussurrava queste parole ed il giornalista scriveva… scioccato.
Questo giornalista ha iniziato subito dopo una campagna contro la guida in stato di ebbrezza.

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’elefante incatenato

L’elefante incatenato

Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.
Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.

Che cosa lo teneva legato?

Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia:
“Se è ammaestrato, perché lo incatenano?”
Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.

Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto.

Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza.

L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare:

sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!

A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai.”
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”

Brano tratto dal libro “Lascia che ti racconti. Storie per imparare a vivere.” di Jorge Bucay

La ricerca del palloncino (La ricerca della felicità)

La ricerca del palloncino
(La ricerca della felicità)

Un gruppo di 50 persone stava frequentando un seminario.
Improvvisamente l’oratore si fermò e decise di fare un’attività di gruppo.
Iniziò a dare un palloncino a ciascuno dei 50 seminaristi.

Ad ognuno fu chiesto di scrivere con un pennarello il proprio nome su di esso.

Poi tutti i palloncini furono raccolti e messi in un’altra stanza.
Una volta riempita la stanza di palloncini, l’oratore chiese ai 50 seminaristi di rientrare dentro e trovare il palloncino col proprio nome entro 5 minuti.
La scena fu questa:
tutti erano freneticamente alla ricerca del palloncino col proprio nome, ognuno si scontrava con l’altro, spinte, gomitate…

Nella stanza regnava il caos totale!

Allo scadere dei 5 minuti nessuno riuscì a trovare il proprio palloncino.
Vista la prova fallimentare ad ognuno di loro fu chiesto di raccogliere un palloncino qualsiasi e darlo alla persona che aveva scritto il nome su di esso.
In pochissimi minuti tutti avevano in mano il proprio palloncino!

A questo punto l’oratore disse:

“Questo è esattamente ciò che sta accadendo nella nostra vita.
Tutti siamo alla ricerca frenetica della felicità… giriamo come delle trottole, ma non riusciamo a trovarla.
La nostra felicità sta nella felicità delle altre persone.
Rendete loro felici e avrete la vostra felicità.
È questo lo scopo della vita umana.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Er cane moralista

Er cane moralista

Più che de prescia er Gatto
agguantò la bistecca de filetto
che fumava in un piatto,
e scappò, come un furmine, sur tetto.

Lì se fermò, posò la refurtiva
e la guardò contento e soddisfatto.

Però s’accorse che nun era solo
perché er Cagnolo der padrone stesso,
vista la scena, j’era corso appresso
e lo stava a guardà da un muricciolo.
A un certo punto, infatti, arzò la testa
e disse ar Micio: – Quanto me dispiace!

Chi se pensava mai ch’eri capace
d’un’azzionaccia indegna come questa?

Nun sai che nun bisogna
approfittasse de la robba artrui?
Hai fregato er padrone! Propio lui
che te tiè drento casa! Che vergogna!

Nun sai che la bistecca ch’hai rubbato
peserà mezzo chilo a ditte poco?

Pare quasi impossibbile ch’er coco
nun te ciabbia acchiappato!
Chi t’ha visto? – Nessuno…
E er padrone? – Nemmeno…
Allora – dice – armeno
famo metà per uno!»

Brano di Trilussa

Una lettera d’amore – La porta

La porta

C’è un quadro famoso che rappresenta Gesù in un giardino buio.
Con la mano sinistra alza una lampada che illumina la scena, con la destra bussa ad una porta pesante e robusta.
Quando il quadro fu presentato per la prima volta ad una mostra, un visitatore fece notare al pittore un particolare curioso:

“Nel suo quadro c’è un errore.

La porta è senza maniglia!”
“Non è un errore!” rispose il pittore, “Quella è la porta del cuore umano.
Si apre solo dall’interno.”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero
Una lettera d’amore

Per il suo compleanno, una principessa ricevette dal fidanzato un pesante pacchetto dall’insolita forma tondeggiante.
Impaziente per la curiosità, lo apri e trovò… una palla di cannone.
Delusa e furiosa, scagliò a terra il nero proiettile di bronzo.
Cadendo, l’involucro esteriore della palla si aprì apparve una palla più piccola d’argento.

La principessa la raccolse subito.

Rigirandola fra le mani, fece una leggera pressione sulla sua superficie.
La sfera d’argento si aprì a sua volta e apparve un astuccio d’oro.
Questa volta la principessa aprì l’astuccio con estrema facilità.
All’interno, su una morbida coltre di velluto nero, spiccava un magnifico anello, tempestato di splendidi brillanti che facevano corona a due semplici parole:
“Ti amo.”

Brano tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” di Bruno Ferrero

Cose belle in Tram



Cose belle in Tram

Dopo una giornata stressante e stancate, nel tram di ritorno a casa, noto di non avere gli auricolari in borsa.
Alzo allora gli occhi e noto una piccola testolina appoggiata teneramente al braccio del suo papà che continuava a chiedere il perché di ogni cosa,

“tati” “tati”  illuminando tutto con tenere risate.

Addolcita incrocio lo sguardo di un signore anziano preso dalla stessa scena che interviene teneramente giocando con il bambino, dicendogli ad un certo punto:
“Piccolo, ricordati di sorridere così sempre.

Ridi perché sei il futuro.

Sei tutto.”

Brano di Monica Minasi