Il segnale

Il segnale

Poco prima di morire, mio suocero chiamò a sé la famiglia:
“So che la morte è soltanto un passaggio, e voglio poter compiere questa traversata libero da ogni tristezza.
Affinché non siate angustiati, vi invierò un segnale per comunicarvi che è valsa la pena aiutare gli altri in questa vita”.
Poi chiese di essere cremato e si raccomandò che le sue ceneri fossero sparse nell’Arpoador, mentre un registratore suonava la sua musica preferita.

Morì due giorni dopo.

Un amico si adoperò per agevolare la cremazione a San Paulo.
Di ritorno a Rio, ci recammo tutti ad Arpoador con un magnetofono, i nastri e la scatola con la piccola urna cineraria.
Quando arrivammo davanti al mare, scoprimmo che il coperchio era fissato con alcune viti.

Tentammo di aprire l’urna, inutilmente.

Nei dintorni non c’era nessuno, tranne un mendicante, che si avvicinò:
“Che cosa vi serve?”
Mio fratello rispose:

“Un cacciavite.

Qui dentro ci sono le ceneri di nostro padre!”
“In vita dev’essere stato un uomo molto buono, visto che ho appena trovato questo!” replicò il vagabondo.
E ci porse un cacciavite.

Brano tratto dal libro “Le scarpe sotto il letto.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Se siete interessati ad una persona e questa,

in quel determinato momento, non vi asseconda, non ingelositela uscendo con un’altra.
Magari starà aspettando il momento giusto o un vostro segnale concreto e, contrariamente a ciò che pensate, l’unica cosa che potrete ottenere sarà il far perdere definitivamente l’interesse nei vostri confronti.

Citazione Anonima.

Le pernici superbe

Le pernici superbe

Una numerosa colonia di pernici argentate si era stabilita ai bordi di un bosco.
Ma un cacciatore si accorse di loro e tese le sue reti.
Una volta prigioniere delle maglie della rete, le sfortunate pernici si dibattevano invano.
Una pernice saggia e anziana radunò le pernici scampate alla cattura e cercò di insegnare loro una tattica per salvare le piume.
“Sorelle mie,” disse, “state ben attente!
Avete visto come cadono le reti del cacciatore, nel prato.
Se per disgrazia ci finite dentro, dovete semplicemente infilare la testa nelle maglie della rete e poi battere le ali con forza tutte insieme.
Riuscirete a sollevare la rete e lasciarla sui rami di un albero.”

Il giorno dopo, molte pernici incapparono nella rete del cacciatore.

Si ricordarono delle raccomandazioni della vecchia pernice, infilarono la testa nelle maglie della rete e cominciarono a sbattere le ali con tutta la loro energia.
La rete volò con loro fin sopra la chioma di un faggio.
Là, appoggiata come un vecchio straccio inutile, la trovò il cacciatore.
Qualche giorno dopo, alcune pernici razzolavano nel prato beccando insetti e teneri germogli.
Improvvisamente la rete del cacciatore calò su di loro.
“Ascoltate, sorelle!” disse una delle pernici, “Sappiamo che cosa dobbiamo fare per liberarci.
Facciamo passare le nostre teste attraverso le maglie della rete; e poi al mio tre, battiamo le ali tutte insieme.

Siete pronte? Uno, due, tr…”

“Non vedo perché devi essere tu a comandare!” interruppe bruscamente un’altra pernice, “Sono io la più forte!
Tocca a me dirigere l’operazione…”
“E allora?” strillò un’altra, “Sono io la più anziana!”
“Ma chi vi credete di essere?” sbraitò un’altra pernice, “Non ho nessuna intenzione di stare ad ascoltare voi!”
“Io ho più esperienza!” riprese la prima, “È normale che sia io a comandare.
Attente!
Al mio segnale: uno, due, tr…”

Contemporaneamente altre pernici iniziarono a gridare:

“Tocca a me!
Voglio dare io il segnale!”
“No, tocca a me!
O sentirete quant’è affilato il mio becco!”
“Provaci se hai il coraggio, grassona!”
“Per favore, ascoltatemi!” supplicò la prima pernice, “Il cacciatore non tarderà.
Al tre, battete le ali: uno, due tre!”
Ma le pernici non sentivano più niente.
Con le piume arruffate lottavano a colpi di becco, di zampe, di testate furibonde, schiamazzando e strepitando.
Tutto quel trambusto attirò il cacciatore che, ridacchiando, ficcò le pernici nel sacco, dove continuarono a colpirsi e insultarsi.

Brano senza Autore

Il semaforo blu

Il semaforo blu

Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo fece una stranezza.
Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi:

“Attraversiamo o non attraversiamo?

Stiamo fermi?”
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l’insolito segnale blu, di un blu così blu, che nel cielo di Milano non si era mai visto.
In attesa di capirci qualcosa, gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire il tubo di scarico delle proprie moto ed i pedoni più grassi gridavano:
“Lei non sa chi sono io!”

Gli spiritosi lanciavano frizzi:

“Il verde se lo sarà mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.
Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai giardini.
Col giallo sapete che ci fanno?
Allungano l’olio d’oliva.”
Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all’incrocio a districare il traffico.
Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:

“Poveretti!

Io avevo dato il segnale di “via libera” per il cielo.
Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare.
Ma forse gli è mancato il coraggio!”

Favola tratta dal libro “Leggo una storia con il Maestro Gianni. Il Semaforo Blu.” di Gianni Rodari

Il santino elettorale dimenticato

Il santino elettorale dimenticato

Per diversi anni fui consigliere di una importante cooperativa, operante nel territorio Montebellunese, la cui attività si basava sull’acquisto e sulla vendita di beni e sul supporto ai servizi inerenti l’agricoltura.
Ero, e sono tutt’ora, convinto dell’importanza di questo istituto, infatti rimasi consigliere di questa organizzazione finché non venne assorbita da una società più grande.
Nel corso degli anni, imparai tante cose e diedi il mio modesto contributo, comunque sempre apprezzato.

Facendo parte del consiglio di amministrazione,

capitava di dover partecipare a delle riunioni in vesti ufficiali e, in una di queste occasioni, mi mandarono a rappresentare la cooperativa ad un importante convegno sul terzo settore, dove il relatore più atteso era un onorevole, nonché sottosegretario del governo di allora.
Fui inviato, soprattutto, per cercare di mediare con il politico affinché espletasse una importante pratica riguardante la nostra cooperativa, giacente al Ministero da anni.
Anche altri soci avevano provato a mettersi in contatto con il suddetto onorevole, ma tutte le iniziative precedenti non avevano avuti riscontri positivi.
Indossai per l’occasione una giacca di velluto leggera, usata raramente ma considerata, da me, un portafortuna.
Seduto su una poltroncina, durante la pausa del convegno, toccandomi le tasche della giacca, mi ritrovai nel taschino un vecchio santino elettorale di propaganda di qualche anno prima, proprio dell’onorevole in questione, con la sua bella effige patinata.

Sembrava proprio un segnale della Dea bendata.

Finita la sua relazione andai a congratularmi e gli ricordai il nostro problema, che naturalmente ben conosceva.
Parlandogli, estrassi il suo santino elettorale.
Notai con piacere che, con immensa rapidità, me lo levò dalla mano per guardarlo.
Dopo averlo girato dalla parte opposta alla propria immagine, vide un numero di telefono scritto con un pennarello rosso, e mi chiese a chi appartenesse.
Non sapendo cosa rispondergli, improvvisai, mentendo.
Gli spiegai che il numero di telefono era servito per la catena telefonica, organizzata dalla cooperativa, per la sua elezione.

Finita la spiegazione, notai il suo volto appagato.

A prova di quanto detto, appena rientrato a Roma, evase la nostra pratica senza alcun problema.
In seguito a questa autorizzazione, al primo consiglio della cooperativa, ricevetti una busta con un biglietto aereo per un soggiorno organizzato, ovviamente tutto pagato, per otto giorni a Istanbul.
Fu il mio primo e unico viaggio in aereo all’estero, ottenuto grazie ad un santino elettorale dimenticato nel taschino da anni.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il Re scricciolo

Il Re scricciolo

Un giorno, tanto tempo fa, un orso grande e grosso sentì dire che lo scricciolo era il Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così piccolo, ma così piccolo che l’orso non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone nella reggia del sovrano.
“Puah!” brontolò ad alta voce, “Questa sarebbe una reggia?
Lo scricciolo è solo il Re degli straccioni!”
Ma nel nido c’erano i piccolini dello scricciolo, così minuscoli da essere quasi invisibili.
Sentendo le parole dell’orso saltarono su offesi e senza paura si misero a gridare:
“Chiedi subito scusa, maleducato!”

L’orso se ne andò sghignazzando.

Poco dopo tornarono Re e Regina scriccioli.
I piccoli raccontarono subito che cosa era accaduto.
“Non sia mai detto che i miei piccoli vengano offesi!” disse il Re, “Dichiarerò subito guerra all’orso!”
E così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo piccolo di Re scricciolo andò a dichiarare la guerra, l’orso gigantesco rise ancora più forte e la sua risata soffiò via l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si radunava.
C’erano tutti gli animaletti con le ali: uccellini, farfalle, mosche, api…

Anche l’orso radunò il suo esercito.

C’erano tutti gli animali più grossi a quattro zampe: lupi, cavalli, elefanti…
Il comando supremo era affidato alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la volpe spiegò il suo piano ai soldati:
“Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale.
Finché starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la coda, vorrà dire che le cose vanno male e dobbiamo scappare, ma questa è un’eventualità da non prendere neppure in considerazione…”
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quello che aveva udito.
“Bene.” disse il Re, “Quando la volpe verrà avanti, la zanzara vada a pungerla sotto la coda!”

I due eserciti si fronteggiarono.

La volpe aveva la coda ben dritta e, dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò sotto la coda della volpe e cominciò a pungerla e a pungerla finché essa fu costretta ad abbassare la coda per il dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbassata, i soldati dell’orso pensarono:
“Abbiamo perso!” e fuggirono a gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i suoi coraggiosi piccolini.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La leggenda del Prosecco

La Leggenda del Prosecco

Tanti secoli orsono, in un ridente paesello dal nome non ben precisato, posto in una ridente zona collinare con panorami mozzafiato, ora zona Unesco, veniva coltivato un prestigioso vitigno, dal quale veniva prodotto un ottimo vino Prosecco.
Era consumato prevalentemente dagli stessi abitanti,

fatta eccezione per qualche conoscente dei paesi limitrofi.

In tanti ne abusavano nel consumo, dallo speziale al curato.
Allora come adesso, sappiamo che il prosecco è di una bontà unica.
Solo il sacrestano era astemio ed in previsione di un aumento di lavoro durante la festa patronale, contrariato per quello che stava succedendo e per quello che sarebbe potuto succedere,

ideò un singolare espediente.

Sperando nelle trame della provvidenza, si servì di una civetta entrata accidentalmente in chiesa.
Catturata, la rinchiuse nel tabernacolo.
Il buon curato, il giorno stesso, riponendo l’ostia dopo il rito della comunione, nell’aprire il tabernacolo vide due grandi occhi spalancati che lo fissavano,

spaventato corse al pulpito e balbettando disse:

“Cari fedeli, oggi abbiamo ricevuto un forte segnale dal Padre Eterno in persona, che mi ha fissato, guardandomi con due occhi spalancati…
Forse è giunto il momento in cui dobbiamo bere tutti un po’ di meno, dedicandoci al commercio del nostro prezioso nettare!”
In seguito a questo commento del curato, incominciò la fortuna commerciale di un vino ora di nomea internazionale.
Ogni anno vengono stappate milioni di bottiglie per brindare in ogni circostanza.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Il segnale del naufrago


Il segnale del naufrago

Un povero naufrago arrivò sulla spiaggia di un’isoletta deserta aggrappato ad un piccolo relitto della barca su cui stava viaggiando, dopo una terribile tempesta.
L’isola era poco più di uno scoglio, aspro e inospitale.
Il pover’uomo cominciò a pregare.
Chiese a Dio, con tutte le sue forze, di salvarlo e ogni giorno scrutava l’orizzonte in attesa di veder sopraggiungere un aiuto, ma non arrivava nessuno.
Dopo qualche giorno si organizzò.
Sgobbando e tribolando fabbricò qualche strumento per cacciare e coltivare, sudando sangue riuscì ad accendere il fuoco, sì costruì una capanna e un riparo contro le violente bufere.

Passò qualche mese.

Il pover’uomo continuava la sua preghiera, ma nessuna nave appariva all’orizzonte.
Un giorno, un colpo di brezza sul fuoco spinse le fiamme a lambire la stuoia del naufrago.
In un attimo tutto s’incendiò.
Dense volute di fumo si alzarono verso il cielo.
Gli sforzi di mesi, in pochi istanti, si ridussero a un mucchietto di cenere.
Il naufrago, che invano aveva tentato di salvare qualcosa, si buttò piangendo nella sabbia.
“Perché Signore?

Perché anche questo?”

Qualche ora dopo, un grossa nave attraccò vicino all’isola.
Vennero a prenderlo con una scialuppa.
“Ma come avete fatto a sapere che ero qui?” chiese il naufrago, quasi incredulo.
“Abbiamo visto i segnali di fumo” gli risposero.

Le tue difficoltà di oggi sono segnali di fumo per la grazia futura.
Dio verrà a salvarti.

Brano tratto dal libro “Il Segreto dei Pesci Rossi.” di Bruno Ferrero