Sarà un tramezzino che vi seppellirà

Sarà un tramezzino che vi seppellirà
Lo ha scritto uno dei titolari di un locale storico di Monza, il Libra, che non ho il piacere di conoscere.

L’altro giorno stavo lavorando al bancone del Libra durante un mezzogiorno, come al solito tanta gente, tutto molto informale, insomma un bell’ambiente per lavorare e fare la pausa pranzo.
Verso fine turno lo vedo entrare e so che sarà un problema.
Giacca stazzonata, faccia segnata da una vita sicuramente difficile, lascia l’idea di un uomo che vive in un auto, ha i movimenti rapidi di un predatore spaventato, sul chi vive.
Vede che può ordinare senza pagare subito e mi si avvicina.
Sorrido.
Gli chiedo se ha bisogno di qualcosa.
Ha occhi fermi ma stanchi, si vede che avrebbe bisogno di una doccia e di un buon sonno.

“Panini, quanto?” chiede.

Io glielo offrirei volentieri ma ho paura prima di tutto di ferirlo, sono cose delicate che si capiscono solo quando si lavora tanto con le persone, tutti i tipi di persone.
“3 euro,” gli dico per andargli incontro “e te lo faccio fare come vuoi.”
Sorrido.
“Sensa maiale” dice in uno slavo italianeggiante.
“Un bel tramezzino tonno pomodoro lattuga e salsa, va bene?
3 euro e ci metto anche la Cola, oggi c’è un offerta.” mi invento al volo.
Annuisce, non capisce bene cosa succede, forse pensa che voglia fregarlo, continua a guardarsi intorno, cerca probabilmente la presenza di un buttafuori.
Inizia a rovistarsi nelle tasche.
“Tranquillo, paghi dopo,” gli dico, “siediti pure.”
Si mette su una panca all’esterno da dove può guardarmi.
Mando l’ordine in cucina, spiego la situazione e chiedo che lo facciano bello gozzo quel tramezzino.
Faccio pagare un paio di persone, gli porto la cola giusto mentre arriva il tramezzino.

Che non è un tramezzino.

È “Il Fottuto Tramezzino Di Fine di Mondo.”
È tipo quadruplo e c’è dentro l’equivalente di un pasto-famiglia in tonno e verdure.
Mi viene da ridere e ringrazio la fortuna di avere ragazzi simili a lavorare con me.
“Occhio Stanco” continua a subodorare una fregatura, sembra seduto sui carboni ardenti ma in quattro morsi si divora il “Tramezzinosaurus Rex.”
Visto che sto passandogli vicino mi chiede:
“Posso caffè?”
Sorrido.
Annuisco e vado alla vecchia, storica Faema.
Metto sotto il beccuccio la tazzina e, riflesso nella macchina, vedo che “Giacca Stazzonata” si alza e a passo spedito se ne va attraversando la strada.
Gli auguro dentro di me buona fortuna, con una punta di dispiacere per non avergli potuto far provare il mio caffè.

Vado fiero del mio espresso.

Nel frattempo un altro cliente, che era fermo al bancone a mangiare un panino e ha visto e seguito tutto, si muove deciso e mi viene incontro.
È un quarantino brizzolato bene, con una lacoste di un colore che se lo metto io sembro sbirulino e invece su di lui sembra elegante, jeans falso usurati, occhiali fumé e orologio digitale d’ordinanza.
“Eccallà penso.
Adesso questo mi attaccherà un pippone sugli zingheri, i latri, la riconoscenza, i nostri nonni mica scappavano senza pagare…” e invece dice solo:
“Piadina, birretta, caffè!”
“Sono dieci euro!” dico, e sorrido riconoscente del suo silenzio
Lui prende il portafoglio, mi dà un Ticket Restaurant da 10, poi esita un attimo, e mi dà altri 10 euro dicendo:
“Pago anche per il signore di prima, dice, credo che sia dovuto andare.”
Sorrido, per la prima volta veramente e non solo con la faccia:

“Grazie ma non posso accettare, era mio ospite!”

Lui sembra rimanerci un po’ male, rimette il deca in tasca, fa per girarsi poi invece mi guarda, tira di nuovo fuori i soldi e dice:
“Allora glieli lascio, se torna lui o un suo amico mi farebbe piacere che fossero anche i miei ospiti.”
Prendo i soldi e vorrei stringergli la mano, ma lui saluta ed esce.
E io mi rendo conto che aveva un accento straniero, forse slavo anche lui.
E mi chiedo quale è la sua storia.
Figlio di immigrati?
Arrivato qua in cerca di fortuna?
Avrà avuto anche lui momenti difficili o semplicemente si è sentito solidale con uno straniero in terra straniera?
Lo guardo mentre attraversa veloce la strada e penso che in fondo a qualsiasi tunnel, ai tubi catodici, ai titoli dei giornali e dei talkshow ci sono le persone, che sono sempre meglio di come le immaginiamo.
E che quel manipolo di poveri stronzi, violenti che seminano paure e odio perché è nella paura e nell’odio che vivono, non hanno scampo.
Un giorno un Tramezzino li seppellirà, tutti.

Brano di Paolo Loscalzo

I vestiti ed il bramino

I vestiti ed il bramino

C’era una volta un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regalavano.
Un giorno pensò:
“Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero intoccabile.”
Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri dell’India.

Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.

Andò al mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta:
si mise un bel vestito bianco, un turbante di seta e una giacchetta ricamata.
La gente lo salutava e gli dava denaro per lui e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si inchinò profondamente.

Poi disse:

“Oh! Fortunati voi, vestiti!
Fortunati!
Sulla terra ciò che è certamente più onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è sotto!”

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La parola piangere. Favola & Filastrocca.

La parola piangere.
Favola & Filastrocca.
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Favola
Filastrocca
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“Favola”

 

Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani.
Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condurrà i suoi scolari, in fila per due, a visitare il “Museo del Tempo Che Fu,” dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola:

“Piangere.”

Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano, quindi chiesero:
“Signora, che vuol dire?
“È un gioiello antico?
Apparteneva forse agli Etruschi?”
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male.
Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime:
chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.

“Sembra acqua!” disse uno degli scolari.

“Ma scottava e bruciava!” rispose la maestra.
“Forse la facevano bollire prima di adoperarla?” chiese ancora uno degli scolari.
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi.
Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano da vedere cose più facili come:
L’inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.

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“Filastrocca”

 

Un giorno tutti saremo felici.
Le lacrime, chi le ricorderà?

I bimbi scoveranno
nei vecchi libri
la parola “piangere”
e alla maestra in coro chiederanno:
“Signora, che vuol dire?

Non si riesce a capire”.

Sarà la maestra,
una bianca vecchia
con gli occhiali d’oro,
e dirà loro:
“Così e così”.

I bimbi lì per lì
non capiranno.
A casa, ci scommetto,
con una cipolla a fette
proveranno e riproveranno
a piangere per dispetto
e ci faranno un sacco di risate…

E un giorno tutti in fila,

andranno a visitare
il Museo delle lacrime:
io li vedo, leggeri e felici,
i fiori che ritrovano le radici.

Il Museo non sarà tanto triste:
non bisogna spaventare i bambini.
E poi, le lacrime di ieri
non faranno più male:

è diventato dolce il loro sale.

E la vecchia maestra narrerà:
“Le lacrime di una mamma senza pane…
le lacrime di un vecchio senza fuoco…
le lacrime di un operaio senza lavoro…
le lacrime di un negro frustato
perchè aveva la pelle scura…”
“E lui non disse nulla?”
“Ebbe paura?”
“Pianse una sola volta ma giurò:
una seconda volta
non piangerò”.

I bimbi di domani

rivedranno le lacrime
dei bimbi di ieri:
del bimbo scalzo,
del bimbo affamato,
del bimbo indifeso,
del bimbo offeso, colpito, umiliato…

Infine la maestra narrerà:
“Un giorno queste lacrime
diventarono un fiume travolgente,
lavarono la terra
da continente a continente,
si abbatterono come una cascata:
così, così la gioia fu conquistata”.

Favola e Filastrocca di Gianni Rodari

Il mercante, il cavallo ed il chiodo

Il mercante, il cavallo ed il chiodo

Un mercante aveva concluso ottimi affari alla fiera:
aveva venduto tutta la merce e la sua borsa era gonfia di pezzi d’oro e d’argento.
Per prudenza voleva rientrare a casa prima del cadere della notte e decise perciò di mettersi sollecitamente in marcia.
Assicurò saldamente la sua borsa alla sella del suo cavallo e poi lo spronò, partendo al galoppo.

Verso mezzogiorno fece tappa in una città.

Il palafreniere che aveva accudito il suo cavallo, tendendogli le redini, gli fece notare un particolare:
“Signore, al cavallo manca un chiodo al ferro della zampa posteriore sinistra!”
“Lascia perdere,” sbottò il mercante, “per le sei leghe soltanto che mi restano da fare, il ferro terrà benissimo. Ho fretta!”
A metà pomeriggio, il mercante sostò a una locanda e fece dare una razione d’avena al suo cavallo.
Il valletto che badava alla stalla venne a dirgli:
“Signore, manca un ferro alla zampa posteriore sinistra del vostro cavallo.

Se volete, provvedo a ferrarlo.”

“Ma no,” disse il mercante, “ho molta fretta e la bestia sopporterà bene le due leghe che mi restano da fare.”
Risalì in sella e continuò la strada, ma poco dopo il cavallo cominciò a zoppicare.
Non zoppicò a lungo prima di incominciare a vacillare.
Non vacillò a lungo prima di cadere e spezzarsi una zampa.
Così il mercante fu costretto ad abbandonarlo.
Si caricò la borsa sulle spalle, fu sorpreso dalla notte quando la strada si inoltrava in un bosco pericoloso, due malandrini lo derubarono di tutto e arrivò a casa il mattino dopo, pesto e arrabbiato.

“E tutto per colpa di un maledetto chiodo!” concluse.

Le catene non tengono unito un matrimonio.
Sono i fili, centinaia di piccoli fili, a cucire insieme i coniugi nel corso degli anni.
Tanti piccoli fili “da niente.”
Ma noi abbiamo sempre fretta e spesso ne spezziamo qualcuno.
Finché ci sorprende il disastro.

Brano dei Fratelli Grimm

Il sogno, la croce ed il burrone

Il sogno, la croce ed il burrone

Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva:
“Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce?
Possibile che non esista un mezzo per evitarla?
Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”

Il Buon Dio gli rispose con un sogno.

Vide che la vita degli uomini sulla Terra era una sterminata processione.
Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle.
Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro.
Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale.
Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga:
per questo faceva tanta fatica ad avanzare.
“Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno!” si disse.
Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce.
Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero.
E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.

Era un burrone:

una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della felicità eterna.”
Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passavano con facilità.
Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra.
Le croci sembravano fatte su misura:
congiungevano esattamente i due margini del precipizio.

Passavano tutti.

Ma non lui.
Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi:
“Ah, se l’avessi saputo…”
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.

Brano tratto dal libro “Cerchi nell’acqua.” di Bruno Ferrero. Edizioni Elledici.

La prosperità

La prosperità

Un uomo ricco chiese a Sengai di scrivergli qualche cosa per la continua prosperità della sua famiglia, così si potesse custodirla come un tesoro di generazione in generazione.
Sengai si fece dare un foglio di carta e scrisse:

“Muore il padre, muore il figlio, muore il nipote.”

L’uomo ricco andò in collera:
“Io ti avevo chiesto di scrivere qualcosa per la felicità della mia famiglia!
Perché mi fai uno scherzo del genere?”

“Non sto scherzando affatto” spiegò Sengai.

“Se prima che tu muoia dovesse morire tuo figlio, per te sarebbe un gran dolore.
Se tuo nipote morisse prima di tuo figlio, ne avreste entrambi il cuore spezzato.
Se la tua famiglia, di generazione in generazione, muore nell’ordine che ho detto,

sarà il corso naturale della vita.

Questa per me è la vera prosperità!”

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

Quattro brani brevi di Bruno Ferrero

Quattro brani brevi
di Bruno Ferrero
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L’anima al sole

Credi in Dio?

Che cosa devo fare per la pace del mondo?

Devi imparare ad ascoltare

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“L’anima al sole”

 

Un missionario in Papua Nuova Guinea si accorse che uno dei suoi nuovi cristiani, un fiero capo della tribù kanaka, alla fine di ogni Messa andava davanti al tabernacolo e vi rimaneva a lungo, dritto come una palma, a torso nudo.
Era un uomo molto semplice, che non aveva ancora neppure imparato a leggere la Bibbia.
Un giorno il missionario non resistette alla curiosità e gli chiese che cosa facesse, così fermo e silenzioso davanti al tabernacolo.
Ridendo, il kanako rispose:
“Tengo la mia anima al sole!”

Tratto dal libro “Quaranta (40) storie nel deserto.” Edizioni ElleDiCi.

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“Credi in Dio?”

 

Due pesci rossi vivevano in un vaso di vetro.
Nuotando pigramente in tondo avevano anche tempo per filosofare.
Un giorno un pesce chiese all’altro:
“Tu credi in Dio?”
“Certo!” rispose il secondo pesce.
“E come fai a saperlo?” chiese il primo pesce.
“Chi credi che ci cambi l’acqua, tutti i giorni?” domandò filosoficamente il secondo pesce.

Tratto dal libro “Il segreto dei pesci rossi.” Edizioni ElleDiCi.

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“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”

 

Un giovane studente che aveva una gran voglia di impegnarsi per il bene dell’umanità, si presentò un giorno da San Francesco di Sales e gli chiese:
“Che cosa devo fare per la pace del mondo?”
San Francesco di Sales gli rispose sorridendo:
“Non sbattere la porta così forte…”

Tratto dal libro “L’importane è la rosa.” Edizioni ElleDiCi.

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“Devi imparare ad ascoltare”

 

Un uomo, preoccupato perché il suo matrimonio era in crisi, si recò a chiedere consiglio da un famoso maestro.
Questi lo ascoltò e poi gli disse:
“Devi imparare ad ascoltare tua moglie.”
L’uomo prese a cuore questo consiglio e tornò dopo un mese per dire che aveva ascoltato ogni parola che la moglie dicesse.
Il maestro gli disse sorridendo:
“Ora torna a casa e ascolta ogni parola che non dice.”

Tratto dal libro “Il canto del grillo.” Edizioni ElleDiCi.

La strada giusta

La strada giusta

L’Angelo della Morte bussò un giorno alla casa di un uomo.
“Accomodati pure.” disse l’uomo, “Ti aspettavo”!”
“Non sono venuto per fare due chiacchiere,” disse l’Angelo, “ma per prenderti la vita!”
“E che altro potresti prendermi?” chiese l’uomo.

“Non so.

Ma tutti, quando giungo io, vorrebbero che io prendessi qualsiasi cosa, ma non la vita.
Sapessi quali offerte mi fanno!” replicò l’angelo.
“Non io.
Non ho nulla da darti.
Le gioie che mi sono state donate le ho godute.
Mi sono divertito, ma senza fare del divertimento lo scopo della mia vita.

Gli affanni, li ho affidati al vento.

I problemi, i dubbi, le inquietudini li ho affidati alla provvidenza.
Ho utilizzato i beni terreni solo per quanto mi erano necessari, rinunciando al superfluo.
Il sorriso, l’ho regalato a quanti me lo chiedevano.
Il mio cuore a quanti ho amato e mi hanno amato.

La mia anima l’ho affidata a Dio.

Prenditi dunque la mia vita, perché non ho altro da offrirti!” concluse l’uomo.
L’Angelo della Morte sollevò l’uomo fra le sue braccia e lo trovò leggero come una piuma.
All’uomo la stretta dell’Angelo parve tenerissima.
E il Signore spalancò le porte del Paradiso perché stava per entrarvi un santo…

Brano senza Autore, tratto dal Web

La festa di Dio

La festa di Dio

Il settimo giorno, terminata la Creazione, Dio dichiarò che era la sua festa.
Tutte le creature, nuove di zecca, si diedero da fare per regalare a Dio la cosa più bella che potessero trovare.
Gli scoiattoli portarono noci e nocciole; i conigli carote e radici dolci; le pecore lana soffice e calda; le mucche latte schiumoso e ricco di panna.

Miliardi di angeli si disposero in cerchio, cantando una serenata celestiale.

L’uomo aspettava il suo turno, ed era preoccupato:
“Che cosa posso donare io?
I fiori hanno il profumo, le api il miele, perfino gli elefanti si sono offerti di fare la doccia a Dio con le loro proboscidi per rinfrescarlo!”
L’uomo si era messo in fondo alla fila e continuava a scervellarsi.

Tutte le creature sfilavano davanti a Dio e depositavano i loro regali.

Quando rimasero solo più alcune creature davanti a lui, la chiocciola, la tartaruga e il bradipo poltrone, l’uomo fu preso dal panico.
Arrivò il suo turno.
Allora l’uomo fece ciò che nessun animale aveva osato fare.

Corse verso Dio e saltò sulle sue ginocchia, lo abbracciò e gli disse:

“Ti voglio bene!”
Il volto di Dio si illuminò, tutta la creazione capì che l’uomo aveva fatto a Dio il dono più bello ed esplose in un alleluia cosmico.

Brano tratto dal libro “Solo il vento lo sa.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

Aspettando Dio

Aspettando Dio

Un giorno un uomo venne a sapere che Dio stava per andare a trovarlo.
“Da me?” si preoccupò, “Nella mia casa?”
Si mise a correre affannato attraverso tutte le camere, salì e scese per le scale, si arrampicò fin sul tetto, si precipitò in cantina.
Vide la sua casa con altri occhi, adesso che doveva venire Dio.
“Impossibile! Povero me!” si lamentava, “Non posso ricevere visite in questa indecenza.

È tutto sporco!

Tutto pieno di porcherie.
Non c’è un solo posto adatto per riposare.
Non c’è neppure aria per respirare!”
Spalancò porte e finestre.
“Fratelli! Amici!” invocò, “Qualcuno mi aiuti a mettere in ordine! Ma in fretta!”
E cominciò a spazzare con energia la sua casa.
Attraverso la spessa nube di polvere che si sollevava, vide uno che era venuto a dargli aiuto.

In due era più facile.

Buttarono fuori il ciarpame inutile, lo ammucchiarono e lo bruciarono.
Si misero in ginocchio e strofinarono vigorosamente le scale e i pavimenti.
Ci vollero molti secchi di acqua per pulire i pavimenti e tutti i vetri.
Pulirono anche la sporcizia che si annidava negli angoli più nascosti.
“Non finiremo mai!” sbuffava l’uomo.
“Finiremo!” diceva l’altro, fiducioso.

Continuarono a lavorare, fianco a fianco, per tutto il giorno.

E, finalmente, la casa pareva messa a nuovo, lustra e profumata di pulito.
Quando scese il buio, andarono in cucina a apparecchiarono la tavola.
“Adesso,” disse l’uomo, “può venire il mio Visitatore!
Adesso può venire Dio.
Dove starà aspettando?”
“Io sono qui!” disse l’altro.
Poi, sedendosi al tavolo, aggiunse: “Siediti e mangia con me!”

Brano senza Autore, tratto dal Web