Una penna disobbediente

Una penna disobbediente

C’era una volta un grande e bravissimo poeta che nessuno conosceva perché nessuno aveva mai letto le sue poesie.
Il poeta, fin da piccolo, si era affezionato ad una sola ed unica penna e non ne aveva mai utilizzate altre.
Questa penna, però, si era sempre rifiutata di scrivere per paura di finire il suo inchiostro:

perciò nessuno conosceva le bellissime poesie del poeta.

Un giorno il poeta si recò presso una biblioteca e portò con sé anche la sua penna.
Fu lì che la penna conobbe tante altre penne come lei e vide che tutte scrivevano, senza farsi troppi problemi.
C’era lì anche una penna appoggiata su una scrivania che sembrava molto anziana, perché aveva quasi terminato tutto il suo inchiostro.
Dopo averle rivolto il saluto, la penna del poeta le parlò delle sue resistenze a scrivere.

Ma l’anziana penna, che aveva scritto tanto, le disse:

“Guarda intorno quanti libri.
Tanta gente può venire qui a leggere ed imparare cose nuove proprio perché delle penne come noi sono state utili ai loro padroni.
Non serve a nulla e a nessuno tenere per sé ciò che loro ci dicono.
Noi abbiamo il grande compito di manifestare agli altri il loro pensiero, le loro idee, cioè di scrivere ciò che di più profondo c’è in loro utilizzando ciò che di più profondo c’è in noi, cioè l’inchiostro.

Questo ci rende utili e fa crescere la gente.”

La penna del poeta ringraziò di cuore l’anziana penna e da quel giorno iniziò a scrivere tutte le poesie che il poeta recitava.
Il poeta fu apprezzato e conosciuto da molti perché da quel giorno tanta gente poté leggere le sue splendide poesie.

Brano tratto dal libro “Nove Vie in Betlemme.” di Angelo Valente

Il nuovo principe (Un granello alla volta)

Il nuovo principe
(Un granello alla volta)

In uno sperduto angolo del regno d’Etiopia, viveva un re che amava le favole più di ogni altra cosa al mondo.
Diventato vecchio, però, si annoiava perché ormai le conosceva tutte.
Così un giorno fece annunciare in tutto il Paese che avrebbe dato il titolo di principe a chiunque gli avesse saputo raccontare una favola nuova, in grado di suscitare la sua attenzione e la curiosità di conoscere il finale.
Numerosi cantastorie vennero da tutti gli angoli del reame e dai Paesi vicini, ma nessuno riuscì ad interessare le orecchie reali, sempre tristi e distratte.
Un giorno un povero contadino bussò alle porte del palazzo per raccontare al vecchio re la storia di un agricoltore che aveva ammassato nel suo granaio il raccolto più ricco della sua vita.
Ma c’era un piccolo buco nel granaio e, quando tutto il grano fu portato dentro, una formica vi entrò e portò via un chicco.

“Molto interessante, continua.” disse il re.

Il contadino proseguì:
“Il secondo giorno un’altra formica passò nel buchino e portò via un altro chicco di grano, il terzo giorno accadde la stessa cosa…”
Il re era ormai molto preso dalla storia del contadino e chiese di tagliare corto sui dettagli per sapere come andava a finire tutto quel via vai di formiche nel granaio.
“Vai avanti, non mi annoiare!” urlò il re rosso in viso.
Ma il contadino continuava.
“Basta!

Vai avanti!” ordinò il re.

Il contadino sembrava sordo e proseguiva con la sua cantilena di formiche e chicchi di grano.
Si interruppe per dire:
“Mio re, questa è la parte più importante della storia:
il granaio è ancora pieno di chicchi di grano.”

Allora il sovrano esclamò:

“Hai vinto tu!
Ho capito che bisogna saper ascoltare gli altri con pazienza e umiltà.
I racconti più belli non sono quelli che ci stupiscono con grandi eventi, ricchezze, rivoluzioni e storie d’amore impossibili.
Sono quelli che, come succede nella vita di ogni giorno, ci fanno sperare di riuscire a vedere i risultati dei nostri sforzi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza della cravatta

L’importanza della cravatta

Un uomo si era perso nel deserto e si trascinava da due giorni sulla sabbia infuocata.
Era ormai giunto allo stremo delle forze.

Improvvisamente vide davanti a sé un mercante di cravatte.

Non aveva con sé nient’altro: solo cravatte.
E cercò subito di venderne una al pover’uomo, che stava morendo di sete.
Con la lingua impastata e la gola riarsa, l’uomo gli diede del pazzo:

“Si vende una cravatta a uno che muore di sete?”

Il mercante alzò le spalle e continuò il suo cammino nel deserto.
Alla sera, il viaggiatore assetato, che strisciava ormai sulla sabbia, alzò la testa e rimase allibito: era nel piazzale di un lussuoso ristorante, con il parcheggio pieno d’automobili!

Una costruzione grandiosa, assolutamente solitaria, in pieno deserto.

L’uomo si arrampicò a fatica fino alla porta e, sul punto di svenire, gemette:
“Da bere, per pietà!”
“Desolato, signore,” rispose il compitissimo portiere, “qui non si può entrare senza cravatta!”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un posto a sedere

Un posto a sedere

C’era una volta un uomo che acquistò una casa e impegnò tutto il suo tempo e le sue energie per farla diventare una reggia.
Si alzava al mattino presto e subito a lavoro per realizzare la sua reggia.
Passarono gli anni, la casa cambiò d’aspetto, ma questo non gli bastava, la voleva ancora più bella, così continuò con modifiche e ritocchi, tanto che la gente del suo paese diceva:

“Ma come è cambiata questa casa!” e questo rallegrava il proprietario.

Questo signore aveva a cuore solo il suo progetto tanto che i compaesani bussarono alla sua casa per dirgli:
“Il parroco vorrebbe vederti domenica in parrocchia.”
Ma lui non volle smuoversi dalla sua casa:
“Ho da fare, devo finire qui, non mi scocciate!”
Altre persone gli fecero lo stesso annuncio ed ebbero la stessa risposta.
Un giorno andò anche il parroco del paese a parlargli ed ebbe la stessa risposta.

L’uomo terminò la sua villa e un giorno anche la morte bussò alla sua porta:

“Stavolta devi venire per forza!”
E comparve alla presenza dell’Altissimo però non trovò posto dove sedersi e si domandò:
“Mi scusi, non trovo un posto per sedermi.”
E il Signore rispose:
“Ti ho mandato tante persone per farti venire ad occupare il tuo posto e tu non sei mai venuto.
Ora se vuoi sederti devi usare per forza questa.”

E gli mostrò la prima pietra che usò per erigere la sua villa.

Era una pietra piccola e scomoda e non dava possibilità di sedersi bene.
L’uomo si lamentava e chiese se si poteva avere un’altra sedia.
Il Signore gli disse:
“Questa è la sedia che ti sei portato, hai fatto tutto tu, io non c’entro nulla!”

Brano di Stefano Molisso

L’uragano

L’uragano

Dieci contadini furono sorpresi da un improvviso uragano mentre stavano recandosi nel campo, i fulmini, la grandine il vento facevano davvero paura, così decisero di rifugiarsi in un vecchio tempio in rovina.

La tempesta era davvero violenta, uno dei contadini preso dalla paura disse:

“Qui in mezzo a noi ci deve essere sicuramente un peccatore, che va allontanato prima che la tempesta ci annienti tutti.”
“Dobbiamo scoprire il colpevole!” suggerì uno.
“Appendiamo i nostri cappelli fuori dalla porta,” disse un altro “quello di noi a cui appartiene il primo cappello che verrà portato via dal vento, sarà il peccatore e lo abbandoneremo al suo destino.”

“Solo così ci potremo salvare!” continuò a dire un altro.

Così convinti, misero fuori a gran fatica i cappelli, il vento ne ghermì uno immediatamente.
Senza alcuna pietà i contadini spinsero fuori dalla porta il padrone del cappello.

Il poveretto, piegato in due per resistere al vento, si allontanò nella tempesta.

Aveva fatto pochi metri, che sentì un forte boato: un fulmine spaventoso si era abbattuto sul tempio e lo aveva polverizzato con tutti i suoi occupanti.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Bisogna affrontare i rovesci della vita

Bisogna affrontare i rovesci della vita

Un giorno un acquazzone mi colse di sorpresa mentre camminavo per strada.
Grazie a Dio avevo ombrello ed impermeabile.

Tuttavia, entrambi si trovavano nel portabagagli dell’automobile,

parcheggiata molto lontano.
Mentre correvo a prenderli, pensavo a quale strano segno stavo ricevendo da Dio!

Le mie riflessioni furono queste:

“Abbiamo sempre le risorse necessarie per affrontare i rovesci che la vita ci impone, ma, nella maggior parte delle occasioni, tali risorse sono sepolte in fondo al nostro cuore, e ciò ci fa perdere molto tempo nel ritrovarle.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La fede (L’ombrello rosso)

La fede
(L’ombrello rosso)

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia.
Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami.

L’erba era sparita dai prati.

La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate.

Da mesi non cadeva una vera pioggia.

Il parroco del paese organizzò un’ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All’ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.
Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede.

Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari.

Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.
Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto ciò che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Bambina, intreccia i capelli!

Bambina, intreccia i capelli!

Mia nonna diceva che quando una donna si sentirà triste, quello che potrà fare è intrecciare i suoi capelli:
così il dolore rimarrà intrappolato tra i suoi capelli e non potrà raggiungere il resto del corpo.
Bisognerà stare attente che, la tristezza, non raggiunga gli occhi, perché li farà piangere e sarà bene non lasciarla posare sulle nostre labbra, perché ci farà dire cose non vere.

“Che non entri nelle tue mani,”

mi diceva, “perché tosterà di più il caffè o lascerà cruda la pasta:
alla tristezza piace il sapore amaro.
Quando ti sentirai triste, bambina, intreccia i capelli:
intrappola il dolore nella matassa e lascialo scappare quando il vento del nord soffia con forza.

I nostri capelli sono una rete in grado di catturare tutto:

sono forti come le radici del vecchio cipresso e dolce come la schiuma della farina di mais.
Non farti trovare impreparata dalla malinconia, bambina, anche se hai il cuore spezzato o le ossa fredde per ogni assenza.

Non lasciarla in te, con i capelli sciolti,

perché fluirà come una cascata per i canali che la luna ha tracciato nel tuo corpo.
Intreccia la tua tristezza, intreccia sempre la tua tristezza!
E, domani, quando ti sveglierai con il canto del passero, la troverai pallida e sbiadita tra il telaio dei tuoi capelli.”

Brano di Peter Klug

La collezione di rocchetti di filo colorato

La collezione di rocchetti di filo colorato

In una storia narrata dal saggio indiano Ramakrishna, una donna va a trovare un’amica che da molto tempo non vedeva.
Entrata in casa sua, nota una magnifica collezione di rocchetti di filo colorato.

Questa esibizione multicolore la attrae in maniera irresistibile,

e quando l’amica va un momento in un’altra stanza, la donna ruba vari rocchetti e li nasconde tenendoli sotto le braccia.
L’amica però se ne accorge e, senza accusarla, le dice:

“È da tanto tempo che non ci vediamo.

Perché non danziamo assieme per festeggiare il nostro incontro?”
La donna, imbarazzata, non può rifiutare ma, per non lasciar cadere i rocchetti,

è costretta a danzare in modo molto rigido.

L’altra la esorta a liberare le braccia e a muoverle danzando, e quella risponde:
“Non sono capace, io danzo solo così!”

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Oscar Mondadori 2005.

Il filo di cotone

Il filo di cotone

C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile.
“Sono troppo debole per fare una corda.” si lamentava.
“E sono troppo corto per fare una maglietta.
Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi.

Sono scolorito e ho le doppie punte…

Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato!
Non servo proprio a niente.
Sono un fallito!
Nessuno ha bisogno di me.
Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!”
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo.

Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse:

“Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone.
Ho un’idea:
facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto:
tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa.

Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce.

È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare.”
Il filo di cotone accettò di buon grado.
Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore.
E fu felice.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero