Il “gioco” degli sguardi

Il gioco degli sguardi

Alla cortese attenzione della rivista “Raccontaci la tua estate”:

Nei primi giorni di ottobre del 1987, alla soglia dei trent’anni, fui nominato dal provveditore agli studi di Macerata per un incarico annuale fino al 30 giugno, come professore di lettere in un istituto alberghiero.
Nato e cresciuto a Nuoro, dopo la laurea ed il dottorato presso l’università di Cagliari, lasciavo la mia bella Sardegna per la terraferma.
Accettai al volo poiché, dopo aver terminato il dottorato, avevo ricoperto solo qualche breve supplenza in una scuola media di Cagliari.
Quello fu il mio primo incarico annuale e, in quel caso, mi vennero affidate due prime e due seconde, per un totale di 18 ore settimanali.
Fu una esperienza entusiasmante e formativa, nonostante la poca voglia di impegnarsi dei miei studenti.
Andai a vivere da miei zii (ecco il perché della scelta della città di Macerata), che avevano due figli.

Zio Lele era un postino e Zia Mariella una professoressa di biologia alle scuole medie.

Mio cugino Alfonso, che aveva la mia età, lavorava in una piccola industria tessile come contabile, mentre mia cugina Nunzia, di 23 anni, stava studiando Matematica all’Università di Perugia e che, conseguentemente, vedevo una o due volte al mese.
I miei cugini avevano trascorso quasi tutte le estati, fin da quando eravamo piccoli, da noi a Nuoro, in particolar modo fino ai miei primi anni universitari.
Durante quelle estati, con Alfonso eravamo, praticamente, inseparabili.
Terminata la scuola, insieme alla zia arrivavano lui e Nunzia, che essendo più piccola di noi di sette anni, non veniva minimamente considerata.
Questa abitudine di non considerare Nunzia, non mutò neanche con il trascorrere del tempo.
Mille avventurose scorribande estive, dai primi anni del 1960 alla fine del 1970.
La nostra estate iniziava i primi di giugno e terminava qualche giorno prima dell’inizio della scuola a settembre.
Ad agosto arrivava anche lo zio e, tra i nonni, i miei genitori ed i miei fratelli, entrambi più grandi di me, era sempre una grande festa.

In quel momento, per la prima volta, mi ritrovai a vivere con i miei zii e mio cugino.

Alfonso mi fece integrare alla grande, guidandomi per le strade di Macerata e coinvolgendomi nella sua comitiva.
Alla fine dell’anno scolastico, dopo aver aspettato che mia cugina avesse terminato gli esami di quella sessione, con lei e mia zia, ci recammo a Nuoro.
Non dovendo presenziare agli esami dei miei studenti, la mia prima esperienza come professore terminò, per questa ragione, i primi di giugno del 1988.
Arrivammo in Sardegna due giorni prima della sconfitta dell’Italia contro l’URSS agli europei di quell’anno, poi vinti dall’Olanda, guidata dal trio milanista Gullit, Van Basten e Rijkaard (che sarebbe arrivato in Italia solo alla fine del campionato europeo).
Ripresi ad uscire abitualmente con i miei pochi amici rimasti a vivere a Nuoro, però senza Alfonso.
Ma, ogni giorno che passava, vedevo Nunzia sempre più annoiata.
Le chiesi se volesse uscire con me e, pur di non stare a casa con sua mamma, i miei genitori e la nonna, accettò la proposta al volo.
Nei suoi modi di fare ritrovai tanti atteggiamenti di Alfonso e, praticamente, fino all’arrivo di quest’ultimo, trascorremmo l’intero mese di luglio insieme.
Eravamo così affiatati che anche io rimasi sorpreso.
Sostanzialmente mia cugina era una macchietta.
La situazione non cambiò neanche quando arrivò, i primi di agosto, Alfonso.
Nunzia continuò ad uscire con noi, nonostante il fratello non fosse particolarmente entusiasta della cosa.

Le serate di luglio, prima che arrivasse Alfonso, avevano il seguente copione:

aperitivo pre-cena al bar della signora Amelia, post-cena ancora nello stesso posto e poi in giro per Nuoro fino alle 2 – 3 di notte.
Tanti compaesani, non riconoscendo mia cugina, che con gli anni era diventata una ragazza carina, ci scambiavano per una coppia.
Ma questo non ci stupiva più di tanto e continuavamo con la nostra routine.
Alcuni momenti al bar mi facevano sorridere:
a volte, incrociavo lo sguardo timido e pungente di Emma, una coetanea di mia cugina, che aveva gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Emma era la cameriera, nonché la figlia minore di Amelia, rientrata per l’estate dall’università per aiutare la mamma e la sorella maggiore Manuela, di un paio di anni più grande della stessa Emma, a gestire il bar.
Avevo visto crescere Emma, essendo quel bar il nostro locale di riferimento e, anche lei crescendo, come mia cugina, era diventata graziosa.
L’unico problema era che le tre (Nunzia, Emma e Manuela), un tempo appartenenti alla stessa compagnia estiva, anni prima avevano litigato e, nonostante il tempo trascorso, mia cugina ancora non parlava le due sorelle.
Anzi, ogni volta che mia cugina notava qualche sguardo tra me ed Emma o si arrabbiava o mi faceva battutine.
La situazione non cambiò in seguito all’arrivo di Alfonso ma, a parte qualche altro sguardo, l’estate trascorse in un lampo senza che accadesse di niente di rilevante.
I miei cugini ed i miei zii rientrarono a Macerata ed io restai a Nuoro in attesa di una nuova chiamata a scuola.

Che arrivò puntualmente gli ultimi giorni di settembre.

Mi affidarono le stesse classi dell’anno prima, quindi ora insegnavo a due seconde e due terze.
Le terze le avrei dovute accompagnare alla qualifica professionale di fine anno.
Anche questo secondo anno trascorse tranquillo ma, rispetto all’anno precedente, riuscì a rientrare a Nuoro solo a fine giugno.
Durante l’anno scolastico acquisii maggior consapevolezza nei miei mezzi e questo aiutò sia me che i ragazzi, che a giugno dovettero sostenere l’esame per ottenere la qualifica triennale.
Ogni giorno, inoltre, prendevo confidenza e sicurezza nel vivere nella meravigliosa città di Macerata, in compagnia, anche, degli amici di mio cugino.
Giunse fine anno e insieme a zia Mariella, finiti gli esami, ci recammo a Nuoro.
Zio Lele e Alfonso ancora lavoravano mentre Nunzia stava per sostenere l’ultimo esame universitario e, dopo aver terminato, intorno al 10 di luglio, ci raggiunse in Sardegna.
Riprendemmo le abitudini dell’anno precedente e, ormai, per buona parte dei miei compaesani, eravamo diventati una coppia fissa.
Tra i pochi a non pensarla così c’era ovviamente Emma, con la quale continuammo a scambiarci qualche sguardo.
Anche Nunzia iniziò a rassegnarsi all’idea, soprattutto dopo che un suo vecchio amico, Nicola, nonché amico di Emma, mi disse, non proprio velatamente, che quest’ultima avesse un interesse nei miei confronti.

Si susseguirono i giorni, ma la situazione non cambiò.

Non avevo preso ancora in considerazione l’idea di avvicinarmi seriamente a lei, e neanche la stessa fece qualcosa per farmi cambiare idea.
Con l’arrivo di agosto giunsero a Nuoro sia Alfonso che una mia vecchia amica, Lara, che, poco prima delle ferie estive, si era lasciata con il fidanzato.
Trascorremmo in quattro un’estate spensierata, circondati anche dai restanti amici del nostro gruppo e, contemporaneamente, anche l’idea su Emma si volatilizzò.
A settembre non partirono solo i miei zii ed i miei cugini, ma anche io mi unii a loro.
Avevo ricevuto dal provveditorato una nomina dal primo settembre per un incarico annuale in un liceo scientifico.
Mi affidarono due quarte e due quinte ginnasio (l’equivalente attuale di primo e secondo anno del liceo scientifico).
Anche quell’anno trascorse in maniera tranquilla.
Ad ogni mese di lezione trascorso, per me ed Alfonso, si aggiungeva anche un invito ad un matrimonio, ricevuto direttamente da Nuoro.
Subito dopo Natale Nunzia si laureò.
Rientrata Nunzia eravamo in cinque a casa degli zii, così decisi di “avvicinarmi” a Nuoro.
Per l’anno successivo feci domanda di trasferimento per insegnare a Cagliari e decisi di iniziare a preparare l’esame per l’abilitazione come professore.

A fine aprile arrivò una notizia poco piacevole.

L’azienda di mio cugino a breve avrebbe chiuso e così, Alfonso iniziò a cercare un nuovo lavoro.
Arrivarono altri inviti per dei matrimoni, per un totale finale di sei.
La scuola finì e data la situazione, con i primi di giugno del 1990, arrivammo a Nuoro.
Io, la zia, Alfonso, Nunzia ed il suo fidanzato che, da qualche tempo, aveva iniziato a frequentare casa dei miei zii.
Giusto in tempo per seguire, qualche giorno dopo, i mondiali di Italia 90 e le sue notti magiche.
Il bar di Amelia si era organizzato alla grande, coadiuvata sempre da Manuela ed Emma che, durante l’ultimo anno, era, però, dimagrita parecchio.
Il popolo italiano era festante dopo le vittorie, seppur risicate, con Austria, Stati Uniti e Cecoslovacchia.
Il giorno degli ottavi con l’Uruguay combaciò con il compleanno di Emma ed il caso volle che al mio gruppo si fosse unita anche Lara.
La partita terminò ovviamente a favore della nazionale italiana e poco dopo, Emma invitò controvoglia tutto il gruppo, per mangiare insieme una fetta di torta.
Ovviamente non era entusiasta del fatto che ci fosse Lara.
Ma questo episodio la aiutò a farle capire che io e Lara non stessimo insieme.
Durante un aperitivo pomeridiano, prima dei quarti della nazionale italiana, per uno strano caso del destino, io ed Emma rimanemmo soli per circa dieci minuti ed iniziammo a parlare.

E ci trovammo al volo.

Da quel momento in poi, ogni qual volta andavamo con gli amici al bar, io ed Emma scambiavamo quattro chiacchiere.
E anche Amelia sembrava contenta di questa cosa mentre Manuela era, a dir poco, contrariata.
La sera dei quarti, dopo la vittoria con l’Irlanda, Emma si aggregò al nostro gruppo con un paio di suoi amici, la sua migliore amica Nadia, Nicola ed Enzo, la sorella ed altri ragazzi, e così fece anche in alcune delle serate seguenti.
Il 3 luglio, giorno delle semifinali, terminarono le notti magiche della nazionale italiana, in seguito alla sconfitta rimediata contro l’Argentina ai calci di rigori, nello scenario surreale del San Paolo che, invece di sostenere all’unisono la nazionale italiana, supportò la nazionale argentina capitanata da Maradona.
All’atto conclusivo del torneo, però, l’Argentina venne sconfitta in finale dalla Germania, riunitasi da poco, in seguito alla caduta del muro di Berlino.
L’Italia si accontenterà del terzo gradino del podio ottenuto ai danni dell’Inghilterra.
Emma continuò, in quelle sere, ad unirsi al nostro gruppo, ma sempre accompagnata dai propri amici.
Ovviamente sotto gli sguardi contrariati di Nunzia e Manuela.
Il mercoledì seguente con Alfonso ci recammo a Sassari per il primo dei sei matrimoni, che si sarebbe tenuto di giovedì, e poi sabato ci recammo a Cagliari per quello successivo.

Rientrammo a Nuoro nella tarda serata di lunedì.

Il giorno dopo, in attesa dei seguenti matrimoni, che ci avrebbero rallegrato le seguenti quattro domeniche, con la solita combriccola, andammo a degustare l’abituale aperitivo.
Emma non si avvicinò minimamente al tavolo in quel momento, ma la sera si unii tranquillamente al nostro gruppo.
E, quella sera, rimasi perplesso.
Era abbracciata ad un suo amico, Enzo.
Subito dopo incrociai lo sguardo compiaciuto, ma anche ironico, di Nunzia.
Ricordavo chi fosse Enzo poiché, quando io ero rover negli scout, lui era un simpatico lupetto sempre molto cordiale con tutti noi poco più grandi di lui.
Quella sera fu il preludio ad altre scene strane.
Dopo altri due matrimoni, Enzo per qualche giorno non si fece vedere.
Emma riprese a guardarmi, sotto lo sguardo perplesso di Alfonso, Nunzia, Lara e degli altri che conoscevano la storia.
Nei giorni precedenti il quinto matrimonio, Emma ed Enzo ripresero ad unirsi al nostro gruppo e, in quei momenti, alternavano abbracci, rapide passeggiate mano nella mano e, una sera, anche un bacio fugace.
Nunzia, intanto, gongolava.
I giorni trascorsero rapidamente e con i primi di agosto, con Alfonso, ci recammo al quinto matrimonio.
Durante questa giornata notai una graziosa ragazza con gli occhi cangianti, che attirò fortemente la mia attenzione.
Avendo vissuto per dieci anni lontano da Nuoro, non ricordavo precisamente chi fosse questa ragazza.

Con il trascorrere delle ore, la riconobbi.

Era Viola, una cugina della sposa, figlia di un fornaio che abitava nei pressi di casa di mia nonna, ma anche coetanea di Nunzia.
Come era cambiata e come era diventata carina con il passare degli anni.
Finita la cerimonia e la festa, rientrammo a casa.
In seguito, prendemmo parte all’ultimo matrimonio e per i restanti giorni di agosto ci dedicammo a rilassarci.
Trascorsero tante altre serate in compagnia, in cui a volte si univano Emma, Enzo ed il loro gruppetto, che continuavano il loro teatrino, mentre in altre sere, si univa la sola Emma con Manuela ed altri amici.
Il 31 di agosto, cioè due giorni prima di raggiungere la mia nuova destinazione (Cagliari) e il giorno prima della partenza dei miei zii e dei miei cugini, io e Nunzia fummo raggiunti da un amico o da una amica, ora non ricordo con precisione, di Emma, che mi chiese come avessi reagito al fatto di aver visto stare insieme Emma ed Enzo.
Risposi con assoluta tranquillità e sincerità di aver già accennato ai miei amici che, qualora fossero stati realmente fidanzati, a me poteva fare solo piacere.
La cosa importante era che Emma fosse convinta e felice di questa scelta.
Altre persone al mio posto, dopo gli atteggiamenti che aveva assunto nelle settimane precedenti, non avrebbero voluto sapere più niente di lei e gli spiegai che, non essendo superficiale, non basavo le mie idee esclusivamente sulle apparenze e, in ogni caso, per me, non cambiava nulla.

Nunzia avallò la mia risposta.

Il giorno dopo, prima di partire, Nunzia mi ribadì di non pensare più ad Emma.
Conosceva la mia idea, cioè che fossi semplicemente intrigato dal fatto che lei potesse essere interessata a me, ma anche del fatto che io non avrei fatto nulla se non in seguito ad una sua palese dimostrazione di interesse.
Conclusi questo breve scambio di idee con mia cugina con le parole di Cesare Pavese:
“Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza, senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza.”
Alla fine, le raccontai di aver notato, durante un matrimonio, questa graziosa ragazza con gli occhi cangianti.
Ma questa… è un’altra storia.

Cordialmente, Professor Antonello.

“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno.
Il vostro futuro è come ve lo creerete.
Perciò createvelo buono.”
Citazione del Dr. Emmett L. Brown, “Doc”, in “Ritorno al futuro – Parte III”
Brano di Michele Bruno Salerno

© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente. 

La rete da pesca

La rete da pesca

Il fiordo era immerso nella profonda tranquillità della notte artica.
L’acqua sciabordava leggera sulla spiaggia.
Avvolto dal profumato tepore della sua casa di legno, Hans il pescatore tesseva la rete della sua prossima stagione di pesca.
Era solo nell’angolo del camino.
La sua dolce sposa Ingrid riposava nel piccolo cimitero di fianco alla chiesa.

Improvvisamente però risuonarono fresche risate gioiose.

La porta si aprì per lasciar passare la bionda Guendalina, la sua carissima figlia, che teneva per mano il fratellino Eric.
“Guendalina, ora sei in vacanza.
Vuoi prendere il mio posto a intrecciare la rete da pesca nuova mentre io vado a riparare la barca?” chiese il padre.
“Oh sì, papà!” rispose allegramente la bambina.
Le ore passavano.
Guendalina lavorava di buona lena, maglia dopo maglia, nodo dopo nodo.
Ma i giorni si aggiungevano ai giorni.
La corda era scabra.
L’appretto per impermeabilizzarla era ruvido e le mani facevano male.

Le sue piccole amiche si sporgevano dalla porta:

“Guendalina, vieni a giocare con noi!”
E le maglie si allentavano sempre di più, i nodi erano sempre meno stretti, la corda sempre meno impermeabilizzata.
Arrivò la primavera.
Il fiordo s’illuminò ai primi raggi del sole.
La pesca riprese.
Tutto fiero del lavoro della sua figlia carissima, Hans il pescatore imbarcò la sua rete da pesca nuova sul suo fidato vecchio battello.
“Vieni con me, piccolo Eric, per la nostra prima uscita!”
Pieno di gioia il ragazzino saltò a bordo.
La barca scivolò nell’acqua.
La rete affondò nelle onde verdazzurre.
Eric batteva le mani vedendo i pesci argentati saltare e guizzare nella rete ben piena.
“Una pesca fantastica!
Aiutami a tirare su la rete, figliolo!”

Ed Eric tirava, tirava con tutte le sue forze.

Ma vinto dal peso, pluf! piombò in acqua, proprio in mezzo alla rete.
“Non è niente!” pensò papà Hans, issando velocemente la rete a bordo.
“La mia rete è solida!
E la mia Guendalina che l’ha tessuta con le sue mani:
Eric verrà su con i pesci!”
La rete uscì dall’acqua leggera.
Ahimé, al fondo aveva solo un grande squarcio…
I nodi stretti male si erano allentati.
Le maglie mal fissate si erano aperte.
E il piccolo Eric riposava ormai in fondo al fiordo.
“Ah, se avessi intrecciato ogni maglia con amore!” piangeva Guendalina.

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Il rasoio pigro

Il rasoio pigro

Nella bottega di un barbiere, c’era una volta un bel rasoio.
Trovatosi da solo, un giorno, pensò di dare un’occhiata in giro, e tirò fuori la sua lama, che riposava nel manico come in una guaina.

Come vide il sole specchiarsi nel suo corpo, rimase meravigliato:

la lama d’acciaio mandava tali bagliori da farlo montare in boria.
“E io dovrei tornare in quella squallida bottega,” pensò il rasoio, “a tagliare le barbe insaponate di quei rustici villani, ripetendo all’infinito le stesse monotone operazioni!
Avvilire in questo modo il mio corpo così bello, sarebbe una pazzia.
Meglio andarmi a nascondere in qualche posto ben segreto, e godermi in tranquillità il resto dei miei giorni!”

Così dicendo si cercò un nascondiglio, e per molti mesi non si lasciò più trovare.

Senonché, venne pur il giorno in cui, volendo prendere un po’ d’aria, il rasoio lasciò il suo rifugio e, uscito cautamente fuori dal manico, tornò a guardare il proprio corpo.
Ahimè!
Cos’era mai successo?
La lama, divenuta scura come una sega arrugginita, non rispecchiava più lo splendore del sole.
Amareggiato e pentito, pianse invano il suo stupido errore:
“Oh, quanto sarebbe stato meglio tenere in esercizio la mia bella lama affilata!

La mia superficie sarebbe rimasta luccicante, il mio taglio netto e sottile!

Invece, eccomi qua, corroso e incrostato per sempre dalla ruggine!”

La stessa fine è riservata alle persone d’ingegno che invece di esercitare le loro qualità, preferiscono rimanere oziose.
Proprio come il rasoio, anch’esse perdono la sottigliezza e la luce dello spirito, e rimangono corrose dalla ruggine dell’ignoranza.

Brano di Leonardo da Vinci

Esseri Svegli

Esseri Svegli

Un giovane chiese al maestro:
“Che cosa devo fare per salvare il mondo?”

Il saggio rispose:

“Tutto quello che serve per far sorgere il sole domani mattina.”
“Ma allora a cosa servono le mie preghiere e le mie buone azioni, il mio impegno?”

domandò il giovane.

Il saggio lo guardò con tranquillità e gli rispose:
“Ti servono ad essere ben sveglio quando sorgerà il sole.”

Brano senza Autore.

Le scarpe di Natale

Le scarpe di Natale

C’era una volta una città i cui abitanti amavano sopra ogni cosa l’ordine e la tranquillità.
Avevano fatto delle leggi molto precise, che regolavano con severità ogni dettaglio della vita quotidiana.
Tutte le fantasie, tutto quello che non rientrava nelle solite abitudini era mal visto o considerato una stranezza.
E per ogni stranezza era prevista la prigione.
Gli abitanti della città non si dicevano mai “buongiorno” per la strada; nessuno diceva mai “per piacere”:
quasi tutti avevano paura degli altri e si guardavano sospettosamente.
C’erano anche quelli che denunciavano i vicini, se trovavano un po’ troppo bizzarro il loro comportamento.
Il commissario Leonardi, capo della polizia, non aveva mai abbastanza poliziotti per condurre inchieste, sorvegliare, arrestare, punire…
Già nella scuola materna, i bambini imparavano a stare ben attenti alle loro chiavi.

E c’erano chiavi per ogni cosa:

per le porte, per l’armadietto, per la cartella, per la scatola dei giochi e perfino per la scatola delle caramelle!
La sera, la gente aveva paura.
Rientravano tutti a casa correndo e poi sprangavano le porte e chiudevano ben bene le finestre.
Erano rimasti tuttavia dei ragazzi che sapevano ancora scambiarsi qualche strizzata d’occhi e anche degli insegnanti che li incoraggiavano…
Ma, soprattutto, c’era Cristiana.
Cristiana aveva i capelli biondi come il sole, gli occhi scintillanti come laghetti di montagna e non pensava mai:
“Chissà che cosa dirà la gente!”
Nella città si facevano molte dicerie sul suo conto.
Perché Cristiana aiutava tutti quelli che avevano bisogno di aiuto, consolava i bambini che piangevano e anche i vecchietti rimasti soli, perché accoglieva tutti coloro che chiedevano un po’ di denaro o anche solo qualche parola di speranza.

Tutto questo era scandaloso per la città.

Non potevano proprio sopportare ulteriormente quel modo di vivere così diverso dal loro.
E un giorno il commissario Leonardi, con venti poliziotti, andò ad arrestare Cristiana, o Cri-Cri, come l’avevano soprannominata gli amici.
E per essere sicuro che non combinasse altre stranezze, la fece mettere in prigione.
Questo accadde qualche giorno prima di Natale.
Natale era una festa, ma molti non sapevano più di chi o di che cosa.
Sapevano soltanto che in quei giorni si doveva mangiare bene e bere meglio.
Ma senza esagerare, per non prendersi qualche malattia…
Soprattutto, la sera della vigilia di Natale, tutti dovevano mettere le proprie scarpe davanti al camino, per trovarle piene di doni il giorno dopo.
Una cosa questa che, nella città, facevano tutti, ma proprio tutti.

Così fu anche quel Natale.

All’alba, tutti si precipitarono dove avevano messo le scarpe, per trovare i loro regali.
Ma… che cosa era successo?
Non c’era l’ombra di un regalo.
Neanche un torrone o un cioccolatino!
E poi… le scarpe!
In tutta la città, le scarpe risultavano spaiate.
Il commendator Bomboni si trovò con una scarpina da ballo, una vecchia ottantenne aveva una scarpa bullonata da calcio, un bambino di cinque anni aveva una scarpa numero 43, e così di seguito.
Non c’erano due scarpe uguali in tutta la città!
Allora si aprirono porte e finestre e tutti gli abitanti scesero in strada.
Ciascuno brandiva la scarpa non sua e cercava quella giusta.
Era una confusione allegra e festosa.
Quando i possessori delle scarpe scambiate si trovavano, avevano voglia di ridere e di abbracciarsi.
Si vide il commendator Bomboni pagare la cioccolata a una bambina che non aveva mai visto e una vecchietta a braccetto con un ragazzino.
Solo qualche finestra restava ostinatamente chiusa.
Come quella del commissario Leonardi.
Quando però il commissario sentì il gran trambusto che veniva dalla strada, pensò a una rivoluzione e corse a prendere le armi che teneva sul camino.
Immediatamente il suo sguardo cadde sulle scarpe che aveva collocato davanti al camino.

E anche lui si bloccò, sorpreso.

Accanto alla sua pesante scarpa nera c’era… una pantofola rossa di Cri-Cri.
Stringendo la pantofola rossa in mano, il commissario corse alla prigione.
La cella dove aveva rinchiuso Cri-Cri era ancora ben chiusa a chiave.
Ma la ragazza non c’era.
Ai piedi del tavolaccio, perfettamente allineate c’erano l’altra scarpa del commissario e l’altra pantofola rossa.
Dal finestrino, protetto da una grossa inferriata, proveniva una strana luce.
Il commissario si affacciò.
Nella strada la gente continuava a scambiarsi le scarpe e ad abbracciarsi.
Con un insolita commozione, il commissario si accorse che la luce che veniva dal finestrino era bionda e calda come il sole e aveva dei luccichii azzurri, come succede nei laghetti di montagna.
E incominciò a capire.

Brano senza Autore.

L’ortaggio migliore del minestrone

L’ortaggio migliore del minestrone

Maria Lucia era una bambina davvero graziosissima e dolcissima.
Aveva un visino tondo tondo, due guanciotte morbidissime, capelli di un castano luminoso, occhi di un verde che ispirava grande tranquillità e due manine di velluto.

Un giorno ricevette dalla sua famiglia un compito specialissimo:

preparare ed imboccare ogni settimana al fratellino, di un anno più piccolo di lei, un minestrone con ingredienti magici, che si vendevano al mercato anche a poco prezzo e che avrebbero fatto diventare quello scalmanato un angioletto.

La piccola Lucia però fece tutto di malumore,

non coccolò mai il fratellino nell’ imboccarlo poiché perse sempre la pazienza, in quanto il piccolo era davvero irrequieto.
Un giorno però quell’ amore di bambina decise di interrogarsi per migliorare davvero la situazione,

poiché il fratellino non era tanto cambiato.

Aveva forse trascurato e dimenticato troppe volte quelli che erano gli ingredienti migliori del minestrone?
Chiese consigli alla mamma, che le fece capire che aveva dimenticato troppe volte le carote della serenità, e di condire tutto con l’olio del suo affetto e il sale della sua pazienza.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Bisogna accettare ciò che la vita ci offre

Bisogna accettare ciò che la vita ci offre

Nei giorni scorsi, mentre stavo leggendo un trafiletto di giornale, ricevetti una telefonata da una vecchia amica, che non sentivo da un po’ di tempo…
Si sa, è sempre piacevole risentire una persona con cui si è percorso un tratto di strada insieme, e dopo le solite domande di rito, abbiamo iniziato a chiacchierare di quello che stava accadendo nelle nostre vite…

Tutto tranquillo, finché ad un certo punto lei esordisce con una frase del tipo: “Voi ragazzi maturate solo dopo i 27 anni…”,

legato al fatto che la sua ultima storia sentimentale era finita non proprio in maniera piacevole…
Udite queste parole, la reazione naturale sarebbe stata mandare a fare una passeggiata alla mia interlocutrice, invece, mantenendo una alquanto strana tranquillità, chiesi a questa ragazza se il suo ultimo partner fosse uno dei ragazzi che per diverso tempo le aveva fatto la corte, e naturalmente la risposta fu negativa…

La loro breve love-story era nata all’improvviso e per caso,

e per un altro assurdo motivo così era terminata, quindi a me venne naturale chiedere come mai si fosse lanciata in questa storia a scatola chiusa, e non avesse dato retta a nessuno dei suoi ammiratori precedenti…
Non sapendo cosa dire, farfugliò delle parole tipo che questo ragazzo le sembrava quello adatto, ma alla fine convenne con me che non sempre le storie non vanno o non iniziano proprio solo per colpa dei ragazzi, ma anche che le ragazze stesse nella maggior parte delle volte, non ascoltano proprio chi le vuole conoscere con le scuse più banali…

In quel momento mi ritornarono in mente le parole di un film:

“E’ la storia più vecchia del mondo: lui ama lei, ma lei ama un altro…”.
Partendo da questo presupposto qualunque discorso inizia a non aver alcun senso, ma nella vita bisogna sempre ricordare “che esistono persone che ci amano profondamente ma che non sanno come esprimere o mostrare i loro sentimenti…”

Brano di Michele Bruno Salerno
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.