La conquista della penna d’aquila


La conquista della penna d’aquila

In riva ad un lago azzurro, sorgeva un tranquillo villaggio indiano.
A mezzogiorno e a sera, dalle tende uscivano fumo e fragranti profumi che mettevano appetito ai piccoli indiani che giocavano.
Una sera d’estate, il clima del villaggio sembrò improvvisamente cambiare.
Gli uomini della tribù si raccolsero tutti nella tenda di Bisonte Nero, il grande capo, per il consiglio dei saggi e degli anziani.
Si erano riuniti per una questione importante che riguardava i piccoli indiani che avevano compiuto sette anni, dovevano cioè decidere quale sarebbe stata la “prova di forza” che avrebbero dovuto superare per essere accettati come membri della tribù.

Era ormai calato il sole, quando dalla tenda uscirono gli uomini, gli anziani e il grande capo.

I piccoli indiani si avvicinarono a Bisonte Nero impazienti di sapere quale sarebbe stata la prova di forza, e lui con voce solenne dichiarò:
“Domani all’alba con il primo raggio di sole, partirete con le vostre canoe verso l’altra riva del lago e cercherete la penna d’aquila dorata che è nascosta in un posto segreto.”
Al primo chiarore, apparvero dietro le montagne le ombre dei giovani indiani che portavano le loro canoe verso la riva del lago.
Stavano tutti indaffarati a prepararsi quand’ecco arrivare, camminando lentamente, Falco Stanco, un vecchio indiano che abitava in un villaggio dall’altra parte del lago.
Il vecchio si avvicinò ai bambini e disse loro:
“Sono vecchio e stanco e per tornare dalla mia tribù devo andare sull’altra riva del lago, e a piedi ci impiegherei tutta la notte.
Qualcuno di voi mi potrebbe portare sulla sua canoa?”
Il piccolo Volpe Astuta guarda gli altri e dice:
“Ma noi dobbiamo fare la prova di forza!”

E tutti gli altri dissero:

“No, non è possibile; se fosse un altro giorno sì, ma oggi dobbiamo correre.”
“Eh, sì!” pensò Nuvola Rossa “Se uno di noi prende sulla sua canoa Falco Stanco, rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna d’aquila.
Ma che fatica dovrà fare, povero vecchio, per compiere il giro del lago.
E come sarà triste se gli diremo tutti di no!”
Nuvola Rossa si avvicinò al vecchio e disse, deciso:
“Vieni, Falco Stanco; ti porto io!”
Gli altri sorpresi lo guardarono e pensarono:
“Nuvola Rossa non è stato molto furbo, così rimarrà indietro e non potrà conquistare la penna, ha perso la sua occasione, lui che è tra i ragazzi più abili!”
In quel momento spuntò il primo raggio di sole e con un grido di gioia i piccoli indiani partirono veloci.
Nuvola Rossa vedeva i suoi amici molto più avanti di lui, ormai lontani, e gli venne il dubbio di aver sbagliato.
Poi guardava Falco Stanco, vedeva il suo viso rugoso che sorrideva felice e sentiva nel suo cuore una voce che gli diceva:

“Hai fatto bene, hai fatto bene!”

I piccoli indiani avevano già preso a cercare nei boschi, quando verso Mezzogiorno arrivò anche Nuvola Rossa.
Il piccolo indiano era tutto sudato per la fatica e pensava che già vi era un vincitore.
Ma, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora trovato la penna d’aquila.
Nuvola Rossa riprese forza e entusiasmo, salutò Falco Stanco e si accinse alla ricerca.
Ma il vecchio indiano lo chiamò:
“Aspetta, vieni qui!
Ti devo dare una cosa!”
Un po’ a malincuore, Nuvola Rossa si fermò e andò verso Falco Stanco.
“Ieri sera,” proseguì l’anziano “il grande capo del tuo villaggio mi ha detto:
domani all’alba, quando vorrai tornare al tuo villaggio, recati dai piccoli indiani, chiedi loro di portarti sull’altra sponda, e a chi lo farà quando sarete arrivati, consegnagli questa.”
E Falco Stanco tirò fuori una meravigliosa penna d’aquila dorata!
Nuvola Rossa la afferrò e la sollevò con un urlo di gioia.

Gli altri accorsero pieni di stupore.

Falco Stanco rivolgendosi a Nuvola Rossa disse:
“Hai vinto la prova, perché la forza più grande è la forza dell’amore, e tu hai dimostrato di averla aiutandomi.
Nuvola Rossa ha avuto il coraggio di fare quello che nessuno voleva fare!”
I piccoli indiani si guardarono l’un l’altro, poi dissero:
“E’ vero, la forza più grande è l’amore e adesso anche noi vogliamo fare come Nuvola Rossa!”
Falco Stanco li salutò con la mano e pensò:
“Sì, questo è stato un giorno importante per i piccoli indiani perché hanno imparato che c’è qualcosa nella vita che vale più dell’ arrivare primi.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il guerriero più degno


Il guerriero più degno

Tre giovani africani furono fatti entrare nella capanna delle riunioni.
Il capo era seduto in fondo, circondato dai vecchi guerrieri.
I ragazzi gli s’avvicinarono.
“Per sei giorni,” egli disse, parlando lentamente, “siete stati lasciati nella foresta per mettere alla prova le vostre capacità, affinché noi potessimo giudicare se siete degni di essere considerati guerrieri.
Siete ritornati sani e salvi, nonostante i mille pericoli.

Ma non basta.

Che cosa avete fatto per meritare il nome di guerrieri?”
Tra l’attento silenzio degli uomini della tribù, i ragazzi narrarono le loro imprese.
Uno aveva ucciso un leopardo, un altro aveva lottato con un pitone.
Solo il terzo dei ragazzi non parlò.
“E tu, Mamadù, che cosa hai fatto?” chiese il capo.
“Ho preso un orcio di miele dalle api selvatiche!” rispose sommessamente Mamadù.

I ragazzi sorrisero.

Che cos’era rubare del miele dalle api?
Ci voleva pazienza, audacia anche, ma non era una prova degna di un guerriero della tribù.
“Perché hai preso il miele e non hai cacciato qualche animale feroce?” chiese il capo.
“Tu sai,” rispose Mamadù, “che i miei genitori sono vecchi e ammalati; dovevo pensare a loro e l’ho fatto portando loro il miele.”

Il capo si alzò.

Tese la lancia verso Mamadù e disse:
“Prendila, perché fra tutti tu sei il più degno.
Prima di essere cacciatore, un uomo deve essere uomo.
E c’è solo un modo per sapere quando egli è tale:
quando sopra ogni cosa egli mette l’amore e il rispetto per i suoi genitori.”

Brano di Alberto Manzi

Le tre pipe


Le tre pipe

Un vecchio saggio indiano dava questo consiglio agli irruenti giovani della sua tribù:
“Quando sei veramente adirato con qualcuno che ti ha mortalmente offeso e decidi di ucciderlo per lavare l’onta, prima di partire siediti, carica ben bene di tabacco una pipa e fumala.
Finita la prima pipa, ti accorgerai che la morte, tutto sommato, è una punizione troppo grave per la colpa commessa.

Ti verrà in mente, allora, di andare a infliggergli una solenne bastonatura.

Prima di impugnare un grosso randello, siediti, carica una seconda pipa e fumala fino in fondo.
Alla fine penserai che degli insulti forti e coloriti potrebbero benissimo sostituire le bastonate.
Bene!
Quando stai per andare a insultare chi ti ha offeso, siediti, carica la terza pipa, fumala, e quando avrai finito, avrai solo voglia di riconciliarti con quella persona.”

I monaci di un convento trovavano molta difficoltà ad andare d’accordo.
Spesso scoppiavano dispute, anche per motivi futili.
Invitarono allora un maestro di spirito che affermava di conoscere una tecnica ga­rantita per portare l’armonia e l’amore in ogni gruppo.

A loro il maestro rivelò il suo segreto:

“Ogni volta che sei con qualcuno o ce l’hai con qualcuno, devi dire a te stesso:
io sto morendo e anche questa persona sta morendo.
Se pensi veramente a queste parole, ogni amarezza scomparirà.”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero