Un pezzo di legno

Un pezzo di legno

C’è un uomo che tiene appeso in salotto, nel posto d’onore, uno strano oggetto.
Quando qualcuno gli chiede il perché di quella stranezza racconta:

Il nonno, una volta mi accompagnò al parco quando ero bambino.
Era un gelido pomeriggio d’inverno.
Il nonno mi seguiva e sorrideva, ma sentiva un peso.
Il suo cuore era malato, già molto malandato.

Volli andare verso lo stagno.

Era tutto ghiacciato, compatto!
“Dovrebbe essere magnifico poter pattinare,” urlai, “vorrei provare a rotolarmi e scivolare sul ghiaccio almeno una volta!”
Il nonno era preoccupato.
Nel momento in cui scesi sul ghiaccio, il nonno disse:
“Stai attento!”

Troppo tardi.

Il ghiaccio non teneva e urlando caddi dentro.
Tremando, il nonno spezzò un ramo e lo allungò verso di me.
Mi attaccai e lui tirò con tutte le sue forze fino ad estrarmi dal crepaccio di ghiaccio.
Piangevo e tremavo.
Mi fecero bene un bagno caldo e il letto, ma per il nonno questo avvenimento fu troppo faticoso, troppo emozionante.
Un violento attacco cardiaco lo portò via nella notte.

Il nostro dolore fu enorme.

Nei giorni seguenti, quando mi ristabilii completamente, corsi allo stagno e recuperai il pezzo di legno.
È con quello che il nonno aveva salvato la mia vita e perso la sua!
Ora, fin tanto che vivrò, starà appeso su quella parete come segno del suo amore per me!

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare!


Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare!

C’era una volta un uomo seduto ai bordi di un’oasi all’entrata di una città del Medio Oriente.
Un giovane si avvicinò e gli domandò:
“Non sono mai venuto da queste parti.
Come sono gli abitanti di questa città?”
Il vecchio gli rispose con una domanda:
“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”

“Egoisti e cattivi.

Per questo sono stato contento di partire di là.” disse il giovane.
“Così sono gli abitanti di questa città!” gli rispose il vecchio.
Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all’uomo e gli pose la stessa domanda:
“Sono appena arrivato in questo paese.
Come sono gli abitanti di questa città?”

L’uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:

“Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”
“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti.
Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!” disse il ragazzo.
“Anche gli abitanti di questa città sono così!” rispose il vecchio.
Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all’abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:
“Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?”

“Figlio mio,” rispose il vecchio “ciascuno porta il suo universo nel cuore.

Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui.
Al contrario, colui che aveva degli amici nell’altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli.
Perché, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La lezione della farfalla


La lezione della farfalla

Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione.
Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.
Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo.

La farfalla uscì immediatamente.

Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.
L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare.
Non successe nulla!
In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate.

Non fu mai capace di volare.

Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare.
Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare.

Molte volte gli sforzi che dobbiamo fare rappresentano esattamente ciò che è necessario affrontare per affermarci nella nostra esistenza.
Se non incontrassimo ostacoli, non avremmo la possibilità di diventare forti come invece siamo e non potremmo mai volare, proprio come quella farfalla.
Chiesi la forza e mi furono dati ostacoli da superare.
Chiesi la sapienza e mi furono dati problemi da risolvere.

Chiesi la prosperità e mi furono dati cervello e muscoli per lavorare.

Chiesi l’amore ed incontrai persone con problemi da aiutare.
Chiesi favori e mi furono date delle opportunità.
Non ho ricevuto niente di quello che ho chiesto, ma ho ricevuto tutto quello di cui avevo veramente bisogno.

Vivi la vita senza paura, affronta tutti gli ostacoli e dimostra che puoi superarli.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il paese dei cani


Il paese dei cani

C’era una volta uno strano piccolo paese.
Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.
Facciamo un esempio.
Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo, donna o bambino.
Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c’era sempre qualcuno per la strada.
Facciamo un altro esempio.
Il signore che abitava la casetta numero 99, rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni.
Lo stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c’era sempre qualcuno spaventato.

Figurarsi se capitava un forestiero.

Allora i novantanove cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta, passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a spiare fin che il forestiero non fosse passato.
A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati tutti un po’ sordi, e tra loro parlavano pochissimo.
Del resto non avevano mai avuto grandi cose da dire e da ascoltare.
Pian piano, a starsene sempre zitti e immusoniti, disimpararono anche a parlare.

E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani.

Loro forse credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di “bau bau” che faceva venire la pelle d’oca.
E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove villette sembravano diventate novantanove canili.
Però erano graziose, avevano tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.
Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi famosi viaggi.
I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare nervoso un paracarro.
Domandò un’informazione a una donna ed essa gli rispose abbaiando.
Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
“Ho capito!” concluse Giovannino “È un’epidemia!”

Si fece ricevere dal sindaco e gli disse:

“Io un rimedio sicuro ce l’avrei.
Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno benissimo anche senza inferriate.
Secondo, mandate i cani a caccia, si divertiranno di più e diventeranno più gentili.
Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare di nuovo.”
Il sindaco gli rispose: “Bau! Bau!”
“Ho capito,” disse Giovannino “il peggior malato è quello che crede di essere sano!”
E se ne andò per i fatti suoi.
Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che siano dei cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano, piccolo paese.

Brano tratto dal libro “Favole al telefono.” di Gianni Rodari

Il vuoto


Il vuoto
(E il cuore dell’uomo fu riempito di vita, perché la vita è Amore)

C’era una volta l’Amore…
L’Amore abitava in una casa pavimentata di stelle e adornata di sole.
Un giorno l’Amore pensò a una casa più bella.
Che strana idea quella dell’Amore!
E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne e nella carne ispirò la vita e, nella vita, impresse l’immagine della sua somiglianza.

E la chiamò uomo!

E dentro l’uomo, nel suo cuore, l’Amore costruì la sua casa:
piccola ma palpitante, inquieta, insoddisfatta come l’Amore.
E l’Amore andò ad abitare nel cuore dell’uomo e ci entrò tutto là dentro, perché il cuore dell’uomo è fatto di infinito.
Ma un giorno…
L’uomo ebbe invidia dell’Amore.
Voleva impossessarsi della casa dell’Amore, la voleva soltanto e tutta per sé, voleva per sé la felicità dell’Amore come se l’Amore potesse vivere da solo.

E l’Amore fu scacciato dal cuore dell’uomo.

L’uomo allora cominciò a riempire il suo cuore, lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto.
L’uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della fronte, ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto.
Un giorno l’uomo…
Decise di condividere il cuore con tutte le creature della terra.
L’Amore venne a saperlo…
Si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell’uomo.
Ma l’uomo riconobbe l’Amore e lo inchiodò sulla croce.
E continuò a sudare per procurarsi il cibo.

L’Amore allora ebbe un’idea:

si rivestì di cibo, si travestì di pane e attese silenzioso.
Quando l’uomo affamato lo mangiò, l’Amore ritornò nella sua casa…
Nel cuore dell’uomo.
E il cuore dell’uomo fu riempito di vita, perché la vita è Amore.

Brano Anonimo brasiliano. Tratto dal Web.

L’uomo che non credeva nell’amore



L’uomo che non credeva nell’amore

Voglio raccontarvi una storia molto antica su un uomo che non credeva nell’amore.
Si trattava di un uomo comune, proprio come voi e me, ma ciò che lo rendeva speciale era il suo modo di pensare:
era convinto che l’amore non esistesse.
Naturalmente l’aveva cercato a lungo, aveva osservato le persone intorno a sé, trascorrendo gran parte della vita in cerca d’amore, solo per scoprire che l’amore non esisteva.
Dovunque andasse, diceva a tutti che l’amore è soltanto un’invenzione dei poeti e delle religioni, usata per manipolare la debole mente umana, per controllare le persone.
Diceva che l’amore non è reale, e per questo è impossibile trovarlo quando lo si cerca.
Era un uomo molto intelligente e riusciva ad essere convincente.
Lesse una quantità di libri, frequentò le migliori università e diventò un rinomato studioso.
Poteva parlare ovunque, davanti a qualunque pubblico, e la sua logica era inoppugnabile.

Diceva che l’amore è come una droga:

ti fa sentire bene, ma crea una dipendenza.
E cosa succede se una persona diventa dipendente dall’amore, e poi non riceve la sua dose quotidiana?
Quell’uomo diceva che la maggior parte dei rapporti d’amore è come il rapporto che c’è tra un tossicodipendente e il suo spacciatore.
Quello dei due che ha il bisogno maggiore è il drogato, e l’altro assume il ruolo dello spacciatore.
Quest’ultimo è quello che controlla il rapporto.
E’ una dinamica facilmente osservabile, perché in ogni relazione di solito c’è uno che ama di più e un altro che si limita a ricevere, ad approfittare di chi gli ha donato il suo cuore.
E’ facile vedere come si manipolano a vicenda, tramite le loro azioni e reazioni, proprio come un drogato e uno spacciatore.
Il tossicodipendente, quello che ha il bisogno maggiore, vive con il timore costante di non ricevere la prossima dose d’amore.
Pensa:
“Cosa farò se mi lascia?”
E tale paura lo rende possessivo.

Diventa geloso ed esigente.

Lo spacciatore comunque può sempre manipolarlo, dandogli dosi maggiori o minori, oppure negandogliele del tutto.
La persona con il bisogno maggiore si arrende ed accetta di fare qualunque cosa pur di non essere abbandonata.
L’uomo della nostra storia continuava a spiegare a tutti perché l’amore non esiste.
“Ciò che gli uomini chiamano amore è solo una relazione basata sul controllo e sulla paura.
Dov’è il rispetto?
Dov’è l’amore che dichiariamo di provare?
Non esiste.”
Le giovani coppie, davanti a un simulacro di Dio, e davanti alle loro famiglie e agli amici, si scambiano una quantità di promesse:
di vivere insieme per sempre, di amarsi e rispettarsi l’un l’altro, di restare uniti nella salute e nella malattia.
Promettono di amare e onorare l’altro… promesse e ancora promesse.
La cosa stupefacente è che credono davvero in ciò che promettono.
Ma dopo il matrimonio, dopo una settimana, un mese o alcuni mesi, le promesse vengono infrante una dopo l’altra.
Scoppia una guerra di potere, di manipolazione, per stabilire chi è il drogato e chi lo spacciatore.
Pochi mesi dopo le nozze, il rispetto che avevano giurato di mantenere l’uno per l’altra è scomparso.
Resta il risentimento, il veleno, il modo in cui si fanno male a vicenda, finché ad un certo punto, senza che se ne rendano conto, l’amore finisce.
I due restano insieme perché hanno paura di restare soli, temono i giudizi degli altri e anche i propri.

Ma dov’è l’amore?

Quell’uomo sosteneva di conoscere molte coppie anziane che avevano vissuto insieme per trenta o quarant’anni, e ne erano molto fiere.
Ma quando parlavano del loro rapporto dicevano:
“Siamo sopravvissuti al matrimonio.”
Ciò significava che uno dei due a un certo punto si era arreso all’altro.
La persona con la volontà più forte aveva vinto la guerra.
Ma dov’era la fiamma che chiamavano amore?
Si trattavano come una proprietà, l’uno dell’altro.
“Lui è mio.”
“Lei è mia.”
L’uomo spiegava senza fine tutte le ragioni per cui non credeva nell’esistenza dell’amore, e diceva:
“Io ho già vissuto situazioni del genere e non permetterò più a nessuno di manipolare la mia mente, di controllare la mia vita in nome dell’amore.”
Le sue argomentazioni erano logiche e convincevano molte persone.
Poi un giorno, mentre quell’uomo camminava in un parco, vide una bella donna in lacrime seduta su una panchina.
Si incuriosì e avvicinatosi le chiese se poteva aiutarla.
Potete immaginare la sua sorpresa quando lei rispose che piangeva perché aveva scoperto che l’amore non esiste.

L’uomo disse:

“Stupefacente.
Una donna che non crede nell’esistenza dell’amore.”
Naturalmente volle subito sapere qualcosa di più.
“Perché dici che l’amore non esiste?” chiese.
“E’ una lunga storia!” rispose lei.
“Mi sono sposata molto giovane, piena di amore e di illusioni.
Credevo che avrei condiviso tutta la vita con mio marito.
Ci giurammo reciprocamente fedeltà e rispetto e creammo una famiglia.
Ma presto tutto cambiò.
Io ero la moglie devota che si occupava della casa e dei bambini.
Mio marito continuò a seguire la sua carriera.
Il suo successo e la sua immagine esteriore per lui erano più importanti della famiglia.

Smise di rispettarmi e io smisi di rispettare lui.

Ci facemmo del male a vicenda e un giorno scoprii che non lo amavo più e che neppure lui mi amava.
Ma i bambini avevano bisogno di un padre e quella fu la scusa che adottai per non lasciarlo, facendo anzi di tutto per sostenerlo.
Ora i bambini sono diventati adulti e se ne sono andati.
Non ho più scuse per restare con lui.
Tra noi non c’è rispetto né gentilezza.
So anche che se trovassi un altro sarebbe la stessa cosa, perché l’amore non esiste.
Non ha senso cercare ciò che non esiste e per questo piango.”
L’uomo la comprendeva benissimo.
L’abbracciò e disse:
“Hai ragione, l’amore non esiste.
Lo cerchiamo, apriamo il nostro cuore, ci rendiamo vulnerabili e troviamo solo egoismo.
Questo ci fa del male anche quando pensiamo di esserne usciti indenni.

Non importa quante volte ci proviamo, accade sempre la stessa cosa.

Perché allora continuare a cercare l’amore?”
Erano così simili che diventarono grandi amici.
Il loro era un rapporto meraviglioso.
Si rispettavano e nessuno dei due cercava di prevalere sull’altro.
Ogni passo che facevano assieme li rendeva felici.
Tra loro non c’era invidia né gelosia, non c’era controllo né possesso.
La relazione continuava a crescere.
Amavano stare insieme, perché si divertivano molto.
Quando erano soli ciascuno sentiva la mancanza dell’altro.
Un giorno l’uomo, mentre era fuori città, ebbe un’idea assurda.
“Forse ciò che sento per lei è amore!” pensò.

Ma è così diverso da ciò che ho provato in passato.

Non è ciò che dicono i poeti, o la religione, perché io non mi sento responsabile per lei.
Non le chiedo nulla e non ho bisogno che si occupi di me.
Non sento la necessità di incolparla dei miei problemi.
Insieme stiamo bene e ci divertiamo.
Io rispetto il suo modo di pensare e lei non mi mette mai in imbarazzo.
Non mi sento geloso quando è con altri e non invidio i suoi successi.
Forse l’amore esiste davvero, alla fine, ma non è ciò che tutti credono che sia.”
Non vedeva l’ora di tornare a casa e parlare con la donna, per raccontarle dei suoi strani pensieri.
Appena cominciarono a parlare, lei disse:
“So esattamente a cosa ti riferisci.
Forse dopotutto l’amore esiste, ma non è ciò che pensavamo che fosse.”
I due decisero di diventare amanti e di vivere insieme, e sorprendentemente le cose tra loro non cambiarono.

Continuavano a rispettarsi e a sostenersi e l’amore cresceva sempre di più.

Anche le cose più semplici li facevano gioire, perché si amavano ed erano felici.
Il cuore dell’uomo era così pieno d’amore che una notte accadde un grande miracolo.
Era intento a guardare le stelle e ne vide una bellissima.
Il suo amore era così forte che la stella scese dal cielo e finì nelle sue mani.
Quindi accadde un altro miracolo e la sua anima si fuse con la stella.
La sua felicità era intensa, e andò subito dalla donna per mettere la stella nelle sue mani.
Non appena lo fece, lei ebbe un momento di dubbio:
quell’amore era troppo forte.
Non appena quel pensiero le attraversò la mente, la stella le cadde di mano e si ruppe in un milione di pezzi.
Ora c’è un vecchio che gira per il mondo giurando che l’amore non esiste.
E in una casa c’è una donna anziana che aspetta un uomo, versando lacrime amare per il paradiso che aveva tenuto tra le mani, perdendolo in un momento di dubbio.
Questa è la storia dell’uomo che non credeva nell’amore.

Di chi fu l’errore?

Cosa non funzionò?
Fu l’uomo a sbagliare, pensando di poter dare alla donna la sua felicità.
La sua felicità era la stella e l’errore fu quello di mettere la stella nelle mani della donna.
La felicità non viene mai dal di fuori.
L’uomo era felice per tutto l’amore che proveniva da se stesso.
La donna era felice per tutto l’amore che proveniva da lei.
Ma appena lui la rese responsabile della propria felicità, lei ruppe la stella, perché non poteva farsi carico della felicità di un altro essere.
Indipendentemente da quanto lo amasse, non avrebbe potuto renderlo felice, perché non poteva sapere ciò che lui aveva in mente, non poteva conoscere le sue aspettative, i suoi sogni.
Se prendete la vostra felicità e la mettete nelle mani di un’altra persona, prima o poi quella persona la distruggerà.

Se la felicità invece vive dentro di voi, siete voi ad esserne responsabili.

Non possiamo rendere nessuno responsabile della nostra felicità, ma quando andiamo in chiesa e ci sposiamo, la prima cosa che facciamo è quella di scambiarci gli anelli.
Mettiamo la nostra stella nelle mani dell’altro, sperando che ci renda felici e che noi renderemo felici lui, o lei.
Ma indipendentemente da quanto amate un’altra persona, non sarete mai ciò che quella persona vuole che siate.
Questo è l’errore che quasi tutti facciamo fin dall’inizio.
Basiamo la nostra felicità sul partner.
Trovate la vostra stella e tenetela nel cuore…
sarà la sua luce a trasmettere l’amore… perché…
L’amore esiste.

Brano tratto dal libro “La Padronanza dell’amore.” di Don Miguel Ruiz

L’importanza delle stagioni


L’importanza delle stagioni

Un uomo aveva quattro (4) figli.
Voleva imparassero a non giudicare le cose troppo velocemente.
Così li mandò uno alla volta ad osservare un albero molto distante da casa.
Il piu’ grande andò in inverno, il secondo in primavera, il terzo in in estate, il più giovane in autunno.

Quando tutti furono tornati chiese loro cosa avessero visto.

Il grande disse che l’albero era brutto, spoglio e ricurvo.
Il secondo disse che era pieno di gemme e promesse di vita.
Il terzo non era d’accordo; l’albero era pieno di fiori, profumato e bellissimo…

ed era la cosa più bella che avesse mai visto.

Il più piccolo aveva un’opinione ancora diversa, l’albero era carico di frutti e pieno di vita e realizzazione.
L’uomo spiegò ai suoi figli che tutti avevano ragione, infatti avevano osservato solo una stagione della vita dell’albero.
Disse loro di non giudicare un albero o una persona solo in una stagione, ma dall’essenza di ciò che una persona è!
La gioia, l’amore, la realizzazione che viene dalla vita possono essere misurate solo alla fine,

quando tutte le stagioni sono complete.

Se ti arrendi quando è inverno, perderai la speranza che regala la primavera, la bellezza della tua estate, la realizzazione del tuo autunno!!!
Non lasciare che il dolore di una stagione distrugga la gioia di ciò che verrà dopo.
Non giudicare la tua vita in una stagione difficile.
Persevera nelle difficoltà…
Il meglio deve ancora venire!

Brano senza Autore, tratto dal Web

L’importanza del Tenore di Vita


L’importanza del Tenore di Vita

Un ragazzo di umili origini era follemente innamorato della figlia di un uomo molto ricco e altolocato.
Un giorno il ragazzo fece una proposta di matrimonio alla ragazza che seccamente rispose: “Stai scherzando?
Il tuo stipendio mensile equivale a quello che spendo in un giorno!
Come posso minimamente pensare di essere tua moglie?
Non potrò mai innamorarmi di una persona come te.

Dimenticami e trova una persona del tuo stesso livello.”

Per il povero ragazzo fu un colpo tremendo.
Passarono gli anni, ma quella ferita rimase sempre aperta e lui non dimenticò mai quelle parole.
Circa dieci anni dopo i due si rincontrano casualmente in un centro commerciale.
Quando lei lo vide, subito disse:
“Hey, quanto tempo!
Come stai?
Ora sono felicemente sposata.
Mio marito è un uomo molto intelligente e un esperto uomo d’affari.
Sai quanto prende?

15.000 euro al mese.”

Nel sentire quelle parole, gli occhi dell’uomo diventarono lucidi e qualche lacrima scese sul suo viso.
Nonostante i dieci anni, ancora non aveva del tutto superato quel rifiuto.
Pochi secondi dopo il marito di lei fece ritorno dalla toilette e, prima che la moglie potesse dire una parola, nel vedere l’uomo esclamò:
“Capo, anche tu qui!
Che piacere incontrarti!
Vedo che hai conosciuto mia moglie.”
Poi si girò verso la moglie e disse:

“Lui è il mio capo.

Il progetto da 100 milioni di euro al quale sto lavorando da tanto è suo.
Nonostante le sue doti e il suo talento ha deciso di rimanere single.
Lui tempo fa ha amato follemente una ragazza, ma non è mai riuscito a conquistare il suo cuore perché non rientrava nei suoi “standard economici!”
Pensa che beffa!
Ora lui è uno degli uomini più ricchi della città!”
La donna, in totale stato di shock, non pronunciò neanche una parola.

Brano senza Autore, tratto dal Web

La sedia vuota


La sedia vuota

Un uomo anziano si era ammalato gravemente.
Il suo parroco andò a visitarlo a casa.
Appena entrò nella stanza del malato, il parroco notò una sedia vuota, sistemata in una strana posizione accanto al letto su cui riposava l’anziano e gli domandò a cosa gli servisse.

L’uomo gli rispose, sorridendo debolmente:

“Immagino che ci sia Gesù seduto su quella sedia, e prima che lei arrivasse gli stavo parlando.
Per anni avevo trovato estremamente difficile la preghiera, finché un amico mi spiegò che la preghiera consiste nel parlare con Gesù.

Così ora immagino Gesù seduto su una sedia di fronte a me e gli parlo e ascolto cosa dice in risposta.

Da allora non ho più avuto difficoltà nel pregare.”
Qualche giorno dopo, la figlia dell’anziano signore si presentò in canonica per informare il parroco che suo padre era morto.

Disse:

“L’ho lasciato solo per un paio d’ore.
Quando sono tornata nella stanza l’ho trovato morto con la testa appoggiata sulla sedia vuota che voleva sempre accanto al suo letto.”

Brano tratto dal libro “Il libro della saggezza interiore. 99 storie intorno all’uomo.” di Piero Gribaudi

Quello che ci fa volare. (Il venditore di palloncini)



Quello che ci fa volare
(Il venditore di palloncini)

Parecchi anni fa, un uomo vendeva palloncini per le strade di New York.
Quando gli affari erano un po’ fiacchi, faceva volare in aria un palloncino.

Mentre volteggiava in aria,

si radunava una nuova folla di acquirenti e le vendite riprendevano per qualche minuto.
Alternava i colori, sciogliendone prima uno bianco, poi uno rosso e uno giallo.

Dopo un po’ un ragazzino afroamericano gli dette uno strattone alla manica della giacca,

guardò negli occhi e gli fece una domanda acuta:
“Signore, se lasciasse andare un palloncino nero, salirebbe in alto?”

Il venditore di palloncini guardò il ragazzo e con saggezza e comprensione gli disse:

“Figliolo, è quello che è dentro i palloncini che li fa salire verso il cielo.”

Brano tratto dal libro “Ci vediamo sulla cima.” di Zig Ziglar, attribuito anche a Anthony De Mello