Il Re scricciolo

Il Re scricciolo

Un giorno, tanto tempo fa, un orso grande e grosso sentì dire che lo scricciolo era il Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così piccolo, ma così piccolo che l’orso non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone nella reggia del sovrano.
“Puah!” brontolò ad alta voce, “Questa sarebbe una reggia?
Lo scricciolo è solo il Re degli straccioni!”
Ma nel nido c’erano i piccolini dello scricciolo, così minuscoli da essere quasi invisibili.
Sentendo le parole dell’orso saltarono su offesi e senza paura si misero a gridare:
“Chiedi subito scusa, maleducato!”

L’orso se ne andò sghignazzando.

Poco dopo tornarono Re e Regina scriccioli.
I piccoli raccontarono subito che cosa era accaduto.
“Non sia mai detto che i miei piccoli vengano offesi!” disse il Re, “Dichiarerò subito guerra all’orso!”
E così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo piccolo di Re scricciolo andò a dichiarare la guerra, l’orso gigantesco rise ancora più forte e la sua risata soffiò via l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si radunava.
C’erano tutti gli animaletti con le ali: uccellini, farfalle, mosche, api…

Anche l’orso radunò il suo esercito.

C’erano tutti gli animali più grossi a quattro zampe: lupi, cavalli, elefanti…
Il comando supremo era affidato alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la volpe spiegò il suo piano ai soldati:
“Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale.
Finché starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la coda, vorrà dire che le cose vanno male e dobbiamo scappare, ma questa è un’eventualità da non prendere neppure in considerazione…”
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quello che aveva udito.
“Bene.” disse il Re, “Quando la volpe verrà avanti, la zanzara vada a pungerla sotto la coda!”

I due eserciti si fronteggiarono.

La volpe aveva la coda ben dritta e, dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò sotto la coda della volpe e cominciò a pungerla e a pungerla finché essa fu costretta ad abbassare la coda per il dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbassata, i soldati dell’orso pensarono:
“Abbiamo perso!” e fuggirono a gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i suoi coraggiosi piccolini.

Brano tratto dal libro “C’è ancora qualcuno che danza.” di Bruno Ferrero. Edizioni ElleDiCi.

La volpe ed il bramino

La volpe ed il bramino

C’era una volta un bramino, un sacerdote dell’India, un po’ ingenuo e molto buono.
Il religioso si muoveva spesso per andare a celebrare cerimonie religiose in luoghi lontani ed isolati.
Un giorno decise di andare a predicare in un villaggio lontano, per raggiungerlo dovette passare attraverso una foresta.
Lungo il cammino incontrò un leone rinchiuso in una gabbia.
Il bramino provò pietà per l’animale e decise di liberarlo, nonostante sapesse che i leoni potevano mangiare gli uomini.

Il leone gli disse:

“Ti giuro che non mangerei mai il mio benefattore!”
Così il buon bramino lo liberò.
A quel punto l’animale disse:
“Come hai potuto pensare che dicessi la verità?
Ho fame e ti mangerò!”
Allora il bramino gli chiese:
“Prima di mangiarmi, sentiamo cosa ne pensa questo albero!”

L’albero rispose:

“Gli uomini sono cattivi.
Io offro loro riparo e refrigerio, e loro per tutta ricompensa mi tagliano e mi uccidono.
Per me lo puoi mangiare!”
Il bramino decise di chiedere un altro parere:
poco lontano, in una radura, c’era un asino che stava brucando… gli fecero la stessa domanda e l’asino rispose:
“Gli uomini?
Creature perfide!
Ci sfruttano tutta la vita, e quando siamo vecchi ci abbandonano.
Mangialo pure!”
In quell’ istante, videro che stava arrivando una volpe:
“Chiediamo anche a lei, disse il bramino, e se anche lei dirà di mangiarmi, potrai mangiarmi!”

La volpe guardò i due e disse:

“Voi mi state prendendo in giro:
ma come faceva un leone così ciccione a stare in una gabbia così piccola?”
Il leone, un po’ alterato, rispose che invece era possibile, e la volpe continuò:
“Sì, e io vi credo!
Figuriamoci un po’… secondo me, mi state prendendo in giro!”
Arrabbiato, il leone entrò nella gabbia e immediatamente la volpe chiuse la porta di ferro e l’assicurò con la sbarra; poi si rivolse al bramino e disse:
“Nella vita non basta essere buoni e bravi, ci vuole sempre un po’ d’astuzia!”
Quel giorno il bramino non andò al villaggio, ma ritornò a casa a meditare su quello che aveva imparato dall’astuta volpe.

Fiaba Indiana
Brano senza Autore.

Dio, il latte e la volpe

Dio, il latte e la volpe

Quando errava nel deserto, un giorno, Mosè incontrò un pastore.
Passò tutta la giornata con lui e l’aiutò a mungere le pecore.
All’imbrunire, Mosè vide il pastore versare un po’ del latte migliore in una scodella per poi deporla su una pietra poco distante dalla capanna dove si trovavano.
Mosè domandò a che cosa servisse quel latte e il pastore rispose:
“È il latte di Dio!”
Incuriosito Mosè gli chiese di spiegarsi.

Il pastore disse:

“Metto sempre da parte il latte migliore e lo offro a Dio.”
Mosè sentì il bisogno di correggere la fede ingenua del pastore, e insistette:
“E Dio lo beve?”
“Certo!” rispose il pastore.
Mosè cominciò a spiegare che Dio è puro spirito e quindi non può bere latte.
Il pastore non gli credeva e Mosè gli suggerì di nascondersi dietro il cespuglio per vedere se Dio sarebbe veramente venuto a bere il suo latte.
Il pastore si nascose appena scese la notte.
Al chiaror della luna, vide un volpacchiotto arrivare dal deserto trotterellando.
Dopo aver guardato a destra e a sinistra, l’animale si buttò sul latte che lappò golosamente.

Poi sparì di nuovo nel deserto.

Il giorno dopo, Mosè vide il pastore triste.
“Qualcosa non va?” gli chiese.
“Avevi ragione tu!” gemette, “Dio è un puro spirito e non beve il mio latte.”
Sbalordito, Mosè esclamò:
“Dovresti essere contento.
Adesso sai qualcosa di più su Dio rispetto a qualche giorno fa!”
“Si.” ammise il pastore, “Ma la sola cosa che avevo per mostrargli il mio amore mi è stata tolta.”
Mosè comprese.
Si ritirò in solitudine e cominciò a pregare con tutte le sue forze.

Nel corso della notte, Dio gli apparve e gli disse:

“Mosè, hai sbagliato.
È vero che sono puro spirito, ma accettavo con piacere il latte offerto dal pastore, in segno del suo amore; però, dal momento che non avevo bisogno del suo latte, lo dividevo con quel volpacchiotto che ne è goloso!”

Brano senza Autore.

L’asino ed il bue

L’asino ed il bue

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla.
Per primo, naturalmente, si presentò il leone:
“Solo un re è degno di servire il Re del mondo!” ruggì, “Io mi piazzerò all’entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!”

“Sei troppo violento!” disse l’angelo.

Subito dopo si avvicinò la volpe.
Con aria furba e innocente, insinuò:
“Io sono l’animale più adatto.
Per il figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele migliore e il latte più profumato.
Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!”
“Sei troppo disonesta!” esclamò l’angelo.
A testa alta e con il petto in fuori, splendente, arrivò il pavone.

Sciorinò la sua magnifica ruota color dell’iride:

“Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella dei palazzo di Salomone!”
“Sei troppo vanitoso!” disse l’angelo.
Passarono, uno dopo l’altro, tanti animali ciascuno magnificando il suo dono.
Invano.
L’angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene.
Vide però che l’asino e il bue continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della grotta.

L’angelo li chiamò:

“E voi non avete niente da offrire?”
“Niente!” rispose l’asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie, “Noi non abbiamo imparato niente oltre all’umiltà e alla pazienza.
Tutto il resto significa solo un supplemento di bastonate!”
Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse:
“Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code!”
L’angelo finalmente sorrise:
“Voi siete quelli giusti!”

Brano senza Autore.

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna

La volpe e la cicogna una volta erano buone amiche, spesso passavano insieme del tempo.
Un giorno la volpe invitò a pranzo la cicogna; per farle uno scherzo,

le servì della minestra in una scodella poco profonda:

la volpe leccava facilmente, ma la cicogna riusciva soltanto a bagnare la punta del lungo becco e dopo pranzo era più affamata di prima.
“Mi dispiace,” disse la volpe ghignando tra i denti, “la minestra non è di tuo gradimento?”

“Oh, non ti preoccupare:

spero anzi che vorrai restituirmi la visita e che verrai presto a pranzo da me.” rispose la cicogna.
Così fu stabilito il giorno in cui la volpe sarebbe andata a trovare la cicogna.
Sedettero a tavola, mai i cibi erano preparati in vasi dal collo lungo e stretto nei quali la volpe non riusciva ad infilare il muso:

tutto ciò che poté fare fu leccare l’esterno del vaso,

mentre la cicogna tuffava il becco nel brodo e mangiava con gran gusto:
“Non ti piace, cara, ciò che ho preparato?”
Fu così che la volpe burlona fu a sua volta presa in giro dalla cicogna.

Favola di Esopo

La volpe con la pancia piena

La volpe con la pancia piena

L’inverno era ormai alle porte.
Gli alberi privi di foglie non offrivano più alcun riparo ed i piccoli animali si erano già preparati ad affrontare il freddo.
Una giovane volpe vagava solitaria in cerca di un po’ di cibo con il quale placare quella fame terribile che l’aveva colpita.

Erano molti giorni che non mangiava.

Le sue abituali prede si erano rifugiate in caldi ripari nutrendosi con le scorte alimentari raccolte durante l’estate ed era impossibile stanarli.
Così, il povero animale camminava sconsolato pensando che la fame era veramente una brutta nemica.
All’improvviso, un profumo delizioso le stuzzicò le narici.
La volpe si avvicinò al punto da cui si propagava l’inaspettata fragranza e finalmente vide un enorme pezzo d’arrosto premurosamente sistemato nell’incavo di una quercia.

Sicuramente era il pranzo dimenticato da qualche pastore.

L’animale si intrufolò nella cavità della pianta, riuscendo ad entrarvi con molta fatica.
Quando si trovò all’interno del buco poté placare la propria irresistibile fame, divorando la carne in un boccone.
Trascorsi alcuni minuti, la volpe con la pancia spaventosamente piena, decise di uscire dall’incavo per tornare all’aperto.
Ma appena tentò di oltrepassare il buco dal quale era entrata scoprì di non essere più in grado di superarlo!
Aveva mangiato troppo ed era diventata molto più grossa rispetto a prima.
Spaventatissima si sforzò così tanto per uscire che alla fine rimase irreparabilmente incastrata nella fenditura!
Lo sfortunato animale iniziò a gridare finché una seconda volpe passando la vide e saputo quanto accaduto disse:

“È inutile strillare.

Avresti dovuto avere pazienza ed aspettare tranquilla all’interno della pianta fino a quando la tua pancia non diminuiva.
Invece l’impulsività ti ha ridotto in questa condizione e dovrai comunque aspettare finché non smaltirai ciò che hai mangiato.”
Così, la povera volpe rimase incastrata nella cavità per più di un giorno, rimpiangendo il calduccio che avrebbe trovato se avesse aspettato paziente all’interno della quercia.

Brano di Esopo

La volpe ed il leone


La volpe ed il leone

C’era una volta una volpe che se ne andava tranquilla per i prati.
Era una mattina e i prati erano rifioriti dopo la brutta stagione invernale.
I profumi della natura solleticavano le sue nari accarezzandole la fantasia, permettendole di sognare paesi lontani, belli e sconosciuti.
All’improvviso l’attenzione della volpe venne richiamata da un violento ruggito.

Era un verso che non aveva mai sentito e, terrorizzata, fuggì a nascondersi dietro ad un cespuglio.

Da li, riparata tra le foglie, la volpe poté vedere il terribile animale che aveva emesso quel suono: si trattava di un leone, una bestia a lei sconosciuta.
Spaventata, la povera volpe, scappò via il più velocemente possibile.
Dopo quel brutto incontro passarono due giorni tranquilli:
tutto sembrava quasi essere stato dimenticato, quando, d’un tratto, la piccola volpe si imbatté ancora nel leone.

Questa volta il leone le apparve proprio davanti agli occhi, a pochi passi, ostacolandole il cammino.

La volpe, impaurita, iniziò a tremare come una foglia senza la forza di reagire e fuggire:
la volpe rimase ferma fino a quando il leone, a un certo punto, si allontanò.
Il giorno seguente la volpe si imbatté per la terza volta nel leone: scoprì che il proprio timore nei confronti di quel grosso e possente animale dal risonante ruggito, andava pian piano assopendosi.

Così, durante il successivo incontro, la volpe si dimostrò molto più calma e riuscì persino a guardarlo negli occhi, salutandolo con cordialità.

Quando ebbe ancora modo di vederlo, la volpe provò a rivolgergli la parola:
riuscì finalmente a scoprire in lui doti come il coraggio e l’intelligenza.
Da quel giorno la volpe non si stancò mai di ascoltare il leone, sicura che dall’esperienza di un animale così astuto e bravo cacciatore, avrebbe tratto solo vantaggi.

Brano di Esopo

Il Piccolo Principe e la volpe

Il Piccolo Principe e la volpe

In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno.” disse la volpe.
“Buon giorno.” rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui,” disse la voce, “sotto al melo!”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “Sei molto carina…”
“Sono una volpe!” disse la volpe.
“Vieni a giocare con me,” le propose il piccolo principe, “sono così triste!”
“Non posso giocare con te,” disse la volpe, “non sono addomesticata!”
“Ah! Scusa.” replicò il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire addomesticare?”
“Non sei di queste parti, tu,” disse la volpe “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini.” disse il piccolo principe “Che cosa vuol dire addomesticare?”

“Gli uomini,” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano.
È molto noioso!
Allevano anche delle galline.
È il loro solo interesse.
Tu cerchi delle galline?”
“No!” disse il piccolo principe “Cerco degli amici.
Che cosa vuol dire addomesticare?”
“È una cosa da molto dimenticata.
Vuol dire creare dei legami!”
“Creare dei legami?” chiese sorpreso il piccolo principe.

“Certo!” disse la volpe “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini.
E non ho bisogno di te.
E neppure tu hai bisogno di me.
Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi.
Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro.
Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”
“Comincio a capire…” disse il piccolo principe “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato!”
“È possibile!” disse la volpe “Capita di tutto sulla Terra!”
“Oh! non è sulla Terra.” disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa.

“Su un altro pianeta?”
“Sì.”
“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
“No.”
“Questo mi interessa! E delle galline?”
“No.”
“Non c’è niente di perfetto!” sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
“La mia vita è monotona.
Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me.
Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano.
E io mi annoio perciò.
Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.

Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri.
Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.
E poi, guarda!
Vedi laggiù, in fondo, dei campi di grano?
Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile.
I campi di grano non mi ricordano nulla.
E questo è triste!
Ma tu hai dei capelli color dell’oro.
Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata.

Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te.
E amerò il rumore del vento nel grano!”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami!” disse.
“Volentieri,” rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però.
Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose.”

“Non si conoscono che le cose che si addomesticano!” disse la volpe, “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla.
Comprano dai mercanti le cose già fatte.
Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici.
Se tu vuoi un amico, addomesticami!”
“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti!” rispose la volpe, “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba.
Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla.
Le parole sono una fonte di malintesi.
Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”

Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora.” disse la volpe, “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice.
Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e a inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.
Ci vogliono i riti!”
“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata.” disse la volpe, “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.
C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori.

Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio.
Allora il giovedì è un giorno meraviglioso!
Io mi spingo sino alla vigna.
Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza.”
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe “… piangerò!”

“La colpa è tua,” disse il piccolo principe, “io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi!”
“È vero!” disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“Sicuramente!” disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?” domandò il piccolo principe.
“Ci guadagno,” disse la volpe, “il colore del grano.”
Poi aggiunse:
“Va’ a rivedere le rose.
Capirai che la tua è unica al mondo.
Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto.”

Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente!” disse, “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno.
Voi siete come era la mia volpe.
Non era che una volpe uguale a centomila altre.
Ma ne ho fatto il mio amico e ora è per me unica al mondo.”
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote.” disse ancora, “Non si può morire per voi.
Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiato.
Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro.
Perché è lei che ho riparata col paravento.

Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre affinché divenissero farfalle).

Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere.
Perché è la mia rosa.”
E ritornò dalla volpe.
“Addio.” disse.
“Addio.” disse la volpe, “Ecco il mio segreto.
È molto semplice:
Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”
“L’essenziale è invisibile agli occhi!” ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.”
“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità.
Ma tu non la devi dimenticare.
Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato.
Tu sei responsabile della tua rosa!”
“Io sono responsabile della mia rosa.” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

Brano tratto dal libro “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry