Il sultano e il contabile

Il sultano e il contabile

C’era un Sultano a cui era morto il fedele contabile, e quindi dopo aver preso consiglio dai ministri, mandò i banditori in giro per cercare un nuovo amministratore della sua ricchezza.
Si presentarono diverse persone, e furono condotte alla presenza del Sultano, il quale li condusse alla camera del tesoro, e li lasciò per qualche minuto da soli.

Successivamente, il Sultano richiamò gli aspiranti, e dopo aver battuto le mani, fece venire i musicisti, quindi disse a loro:

“Su, ballate!”
Tutti gli aspiranti ballavano male, con le braccia strette al petto, e lentamente:
solo uno di essi saltava e danzava con vigore e piacere di ciò che faceva.

Visto ciò, il Sultano chiamò i ministri e le guardie, e disse a quello che ballava:

“Tu sarai il mio nuovo contabile, in quanto a loro,” indicando gli altri aspiranti “vengano decapitati!”
Il vizir del Sultano chiese allora: “Come mai è questa la vostra scelta, mio Sultano?” ed egli rispose:
“Vedi, mio fedele vizir, questi uomini hanno rubato l’oro dalla camera dove li ho lasciati, e così quando ballavano avevano paura che le monete nascoste cadessero,”

poi indicando il nuovo contabile,

“ma quest’uomo invece è stato fedele ed onesto, e non ha rubato: infatti lui ballava sciolto, poiché non aveva niente che lo impedisse!”
Così andò che quell’uomo divenne il nuovo contabile del Sultano, e visse sempre onorato e benvoluto.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il servo ed il padrone

Il servo ed il padrone

C’era una volta un servo che sopportava quotidianamente il carattere irascibile del suo padrone.
Un giorno, il signore tornò a casa di cattivo umore, si sedette per mangiare.

Trovò davanti a sé un piatto di minestra.

Ma la minestra era fredda!
Così si arrabbiò e gettò il piatto fuori dalla finestra.
Il servo, a sua volta, gettò fuori la carne, il pane, il vino e, infine, la tovaglia e l’argenteria.

Il signore, furioso, gridò:

“Che cosa stai facendo? Stupido!”
“Mi scusi, signore!” rispose seriamente il servo, “Pensavo che oggi volesse mangiare in cortile.

Tutto è così tranquillo e il cielo è sereno!”

Il signore si prese un istante per riflettere su quella risposta.
Riconobbe la sua colpa, si scusò e ringraziò il servo per la lezione che gli aveva appena dato.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il discepolo e il sacco di patate

Il discepolo e il sacco di patate

Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate:
“Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare.
Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco.”

Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate.

“Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana.” disse il saggio, “Poi ne parleremo.”
Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa.
Portare il sacco non era particolarmente gravoso.
Ma dopo un po’, divenne sempre più un gravoso fardello.
Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato.

Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare.

Le patate marce emettevano un odore acre.
Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole.
Finalmente la settimana terminò.
Il saggio domandò al discepolo:
“Nessuna riflessione sulla cosa?”

“Sì, Maestro!” rispose il discepolo.

“Quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate.
Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po’, peggiora.” spiegò il maestro.
“Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore.
Allora, come possiamo alleviare questo fardello?” chiese il giovane discepolo.
“Dobbiamo sforzarci di perdonare!” rispose il maestro, “Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco.
Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?”
“Ci ho pensato molto, Maestro.” disse il discepolo, “Mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

I due giovani monaci

I due giovani monaci

Due giovani monaci studiavano in seminario, ed entrambi erano incalliti fumatori.
Il loro problema era:

“Posso fumare mentre prego?”

Non riuscendo a risolverlo, decisero di rivolgersi ai loro superiori.
Più tardi, uno chiese all’altro che cosa gli aveva detto il superiore.
“Sono stato rimproverato aspramente solo per aver parlato del fatto,”

disse il primo, “ed il tuo superiore, cosa ti ha detto?”

“Il mio fu molto compiaciuto,” disse il secondo, “mi ha detto che facevo benissimo.
Ma dimmi, che domanda gli hai fatto?”
“Gli ho chiesto se posso fumare mentre prego.” esclamò il primo.
Il secondo rispose:

“Te la sei voluta tu.

Io gli ho chiesto:
posso pregare mentre fumo?”

Brano di Ramesh Balsekar

I due amici

I due amici

Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent’anni.
Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto.
Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari.
Insieme decisero di arruolarsi nell’esercito.
Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l’uno dell’altro.

Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione.

Quel battaglione fu mandato in guerra.
Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto.
Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall’aviazione.
Poi una sera venne l’ordine di avanzare in territorio nemico.
I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale.
Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio.

Ma Ted non c’era.

Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti.
Trovò il suo nome nell’elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante.
“Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico.” disse.
“È troppo pericoloso,” rispose il comandante, “Ho già perso il tuo amico.
Perderei anche te.
Là fuori stanno sparando.”

Frank partì ugualmente.

Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente.
Se lo caricò sulle spalle.
Ma una scheggia lo colpì.
Si trascinò ugualmente fino al campo.
“Valeva la pena morire per salvare un morto?” gli gridò il comandante.
“Sì,” sussurrò, “perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto!”

Brano tratto dal libro “Il canto del grillo.” di Bruno Ferrero

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Qual è la parte più importante del nostro corpo?

Quando ero ragazzina, mia madre mi chiese quale fosse la parte più importante del corpo.
Mi piaceva moltissimo ascoltare musica, come ai miei amici del resto.
Sul momento pensai che l’udito fosse molto importante per gli esseri umani, così risposi:

“Le orecchie.”

“Alcune persone sono sorde, eppure vivono felicemente!” rispose mia madre.
Dopo qualche tempo, mia madre mi rifece la stessa domanda:
“Qual è la parte più importante del corpo umano?”
Io intanto ci avevo pensato e credevo di avere la risposta giusta:
“Vedere è meraviglioso ed è molto importante per tutti, quindi… gli occhi.”
Lei mi guardò e disse:

“Molti sono ciechi e se la cavano benissimo!”

Pensavo che fosse solo una specie di gioco tra me e mia madre.
Poi però un giorno, tristissimo per me, morì mio nonno.
Era una persona molto importante per me.
L’amavo tantissimo.
Ero distrutta dal dolore.
Quel giorno mia madre mi disse:
“Oggi è il giorno giusto perché tu possa capire la risposta alla domanda.
La parte più importante del corpo sono le spalle!”
Sorpresa, dissi:

“Perché sostengono la testa?”

“No!” rispose mia madre, “Perché su di esse possono appoggiare la testa gli amici o le persone care quando piangono.
Tutti abbiamo bisogno di una spalla su cui piangere in alcuni momenti della nostra vita.”
Quella volta scoprii quale fosse la parte più importante del mio corpo, perché in quel momento, quella che aveva bisogno di una spalla su cui piangere ero io.

Brano senza Autore

Il fratello ricco e il fratello povero

Il fratello ricco e il fratello povero

C’era una volta due fratelli; uno molto ricco, l’altro molto povero.
Un giorno il povero faceva la guardia ai covoni di grano ammucchiati nel campo del fratello ricco e mentre se ne stava lì seduto sul covone scorse una donna in bianco che raccoglieva le spighe rimaste nei campi mietuti e le aggiungeva ai covoni.
Quando la donna giunse fino a lui, la prese per mano, se la tirò vicino e le chiese che cosa facesse lì. “Sono la Felicità di tuo fratello e raccolgo le spighe rimaste, perché il suo grano sia ancora più abbondante.”
“Dimmi, allora, e la mia felicità, dov’è?” replicò il poveretto, “Verso Oriente!” rispose la donna, e scomparve.

Fu così che il povero si mise in testa di andare per il mondo in cerca della propria Felicità.

E quando un giorno di buonora stava per mettersi in viaggio, dal suo camino saltò fuori la Miseria e piangeva e pregava che la prendesse con sé.
“Mia cara,” disse il povero, “sei troppo debole per affrontare un viaggio così lungo, non ce la faresti mai; ma qui c’è una boccetta vuota, fatti piccina, infilatici dentro e ti porterò con me.”
La Miseria s’infilò nella boccetta e lui senza perdere tempo la tappò con un turacciolo e l’avvolse bene in modo che non si rompesse.
Quando si trovò per via, appena arrivò a un pantano tirò fuori la boccetta e la gettò via, liberandosi così dalla Miseria.
Dopo qualche tempo giunse a una grande città e un certo signore lo prese al suo servizio con l’incarico di scavargli uno scantinato.

“Non riceverai del denaro,” gli disse, “ma tutto ciò che trovi scavando è tuo!”

Dopo un po’ che scavava trovò un lingotto d’oro, secondo gli accordi gli sarebbe spettato, ma lui ne diede una metà al signore e riprese il lavoro.
Arrivò finalmente a una porta di ferro, l’aperse e vi trovò un sotterraneo pieno di ogni ricchezza.
Ed ecco che da una cassa lì sotto s’udì una voce:
“Mio signore, aprimi! Aprimi!”
Egli spostò il coperchio e da dentro saltò fuori una bella fanciulla tutta in bianco che s’inchinò davanti a lui e gli disse:
“Sono la tua Felicità, quella che hai cercato così a lungo; d’ora innanzi sarò vicina a te e alla tua famiglia!”
Dopo di che scomparve.
Egli rimase poi a guardarsi intorno e a rimirare quella ricchezza con il suo signore di una volta e da quel momento fu immensamente ricco e la sua fama cresceva di giorno in giorno.
Eppure non dimenticò mai l’indigenza di un tempo e si prodigò in tutti i modi per aiutare i poveri del luogo.
Dopo aver incontrato una bellissima fanciulla, la conobbe e la sposò.
Poco tempo dopo ebbero un figlio.

Un giorno, mentre passeggiava per la città, incontrò il fratello che si trovava da quelle parti per affari.

L’invitò a casa e gli raccontò con tutti i particolari le sue avventure e che aveva visto la Felicità spigolare nel campo di grano e come s’era liberato della propria Miseria e altro ancora.
L’ospitò per qualche giorno e quando il fratello stava per partire gli diede molto denaro per il viaggio, fece molti doni alla moglie e ai figli e si separò da lui fraternamente.
Ma suo fratello era un uomo sleale e invidiava la Felicità dell’altro.
Da quando aveva lasciato la sua casa non faceva che pensare come far tornare il fratello nella Miseria.
Non appena giunse alla palude dove il fratello aveva ficcato la boccetta, si mise a cercarla e non si dette pace finché non la trovò.
L’aperse subito.
La Miseria saltò fuori immediatamente, cominciò a crescere davanti ai suoi occhi, saltargli intorno, l’abbracciò, lo baciò e lo ringraziò di averla liberata da quella prigionia:

“Sarò sempre grata a te e alla tua famiglia e non vi abbandonerò fino alla morte.”

Inutilmente il fratello invidioso cercò di dissuaderla, invano la mandava dal suo padrone di una volta; non riuscì in nessun modo a togliersi la Miseria di dosso, né a venderla né a regalarla né a sotterrarla né ad annegarla, gli stette sempre alle calcagna.
I briganti lo derubarono della merce che stava portando a casa; riuscì a ritornare chiedendo l’elemosina; al posto del suo palazzo trovò un mucchio di cenere e tutto il suo raccolto era stato portato via da una inondazione.
Fu così che al fratello invidioso non rimase null’altro che… la Miseria.

Brano tratto dal libro “Fiabe di Praga magica.” di Scilla Abbiati. Edizioni Arcana.

Regalare la felicità

Regalare la felicità

Un’antica storia mediorientale racconta di un uomo così buono e disinteressato che Dio decise di premiarlo.
Chiamò un angelo e gli disse di andare da lui e domandargli che cosa volesse:

qualsiasi desiderio verrà esaudito.

L’angelo raggiunse l’uomo gentile e gli comunicò la buona notizia.
Ma l’uomo gentile rispose:
“Io sono già felice.
Ho già tutto ciò che desidero!”

L’angelo gli fece capire che con Dio bisogna avere tatto:

se ci fa un regalo, è meglio accettare.
Allora l’uomo gentile rispose:
“Va bene: voglio che tutti quelli che entrano in contatto con me si sentano bene.
Però non voglio saperne nulla!”
Da quel momento dove l’uomo gentile passava, le piante avvizzite rifiorivano, gli animali più malandati si riprendevano, i malati guarivano, gli infelici venivano sollevati dai loro terribili fardelli, chi litigava faceva la pace e chi aveva un problema riusciva a risolverlo.

Ma tutto questo avveniva dietro di lui, nella sua scia, senza che egli ne sapesse niente.

Non c’erano da parte sua né orgoglio per il bene compiuto né aspettative di alcun genere.
Ignaro e contento, l’uomo gentile camminava per le vie del mondo regalando la felicità.

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Edizione Oscar Mondadori.

Il segreto della felicità

Il segreto della felicità

Un giovane domandò al più saggio di tutti gli uomini il segreto della felicità.
Il saggio suggerì al giovane di fare un giro per il palazzo e di tornare dopo due ore.
“Solo ti chiedo un favore!” concluse il saggio, consegnandogli un cucchiaino su cui versò due gocce d’olio, “Mentre cammini, porta questo cucchiaino senza versare l’olio!”

Dopo due ore il giovane tornò e il saggio gli chiese:

“Hai visto gli arazzi della mia sala da pranzo?
Hai visto i magnifici giardini?
Hai notato le belle pergamene?”
Il giovane, vergognandosi, confessò di non avere visto niente.
La sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio.

“Torna indietro e guarda le meraviglie del mio mondo!” disse il saggio.

Il giovane prese il cucchiaino e di nuovo si mise a passeggiare, ma questa volta osservò tutte le opere d’arte.
Notò i giardini, le montagne, i fiori.
Tornò dal saggio e riferì tutto quello che aveva visto, anche il minimo particolare.
“Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato?” domandò il saggio.

Guardando il cucchiaino, il ragazzo si accorse di averle versate.

“Ebbene, questo è l’unico consiglio che ho da darti!” concluse il saggio, “Il segreto della felicità consiste nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza mai dimenticare le due gocce d’olio nel cucchiaino!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

Godi di tutti i momenti della vita (La felicità)

Godi di tutti i momenti della vita
(La felicità)

Questa è la storia di un uomo che quando era ragazzo e andava a scuola continuava a dire:
“Ah! Quando lascerò la scuola e comincerò a lavorare, allora sarò felice!”

Lasciò la scuola, cominciò a lavorare e diceva:

“Ah! Quando mi sposerò, quella sarà la felicità!”
Si sposò, e in capo a pochi mesi constatò che la sua vita mancava di varietà, e allora disse:
“Ah, come sarà bello quando avremo dei bambini!”

Vennero i bambini, ed era un’esperienza affascinante,

ma piangevano tanto, anche alle due di notte, e il giovane sospirava:
“Crescano in fretta!”
E i figli crebbero, non piangevano più alle due di notte, ma facevano una stupidaggine dopo l’altra e cominciarono i veri problemi.
E allora l’uomo sognò il momento in cui sarebbe stato di nuovo solo con sua moglie:

“Staremo così tranquilli!”

Adesso è vecchio, e ricorda con nostalgia il passato:
“Era così bello!”

Brano senza Autore, tratto dal Web