Bisogna affrontare i rovesci della vita

Bisogna affrontare i rovesci della vita

Un giorno un acquazzone mi colse di sorpresa mentre camminavo per strada.
Grazie a Dio avevo ombrello ed impermeabile.

Tuttavia, entrambi si trovavano nel portabagagli dell’automobile,

parcheggiata molto lontano.
Mentre correvo a prenderli, pensavo a quale strano segno stavo ricevendo da Dio!

Le mie riflessioni furono queste:

“Abbiamo sempre le risorse necessarie per affrontare i rovesci che la vita ci impone, ma, nella maggior parte delle occasioni, tali risorse sono sepolte in fondo al nostro cuore, e ciò ci fa perdere molto tempo nel ritrovarle.”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La fede (L’ombrello rosso)

La fede
(L’ombrello rosso)

I campi erano arsi e screpolati dalla mancanza di pioggia.
Le foglie pallide e ingiallite pendevano penosamente dai rami.

L’erba era sparita dai prati.

La gente era tesa e nervosa, mentre scrutava il cielo di cristallo blu cobalto.
Le settimane si succedevano sempre più infuocate.

Da mesi non cadeva una vera pioggia.

Il parroco del paese organizzò un’ora speciale di preghiera nella piazza davanti alla chiesa per implorare la grazia della pioggia.
All’ora stabilita la piazza era gremita di gente ansiosa, ma piena di speranza.
Molti avevano portato oggetti che testimoniavano la loro fede.

Il parroco guardava ammirato le Bibbie, le croci, i rosari.

Ma non riusciva a distogliere gli occhi da una bambina seduta compostamente in prima fila.
Sulle ginocchia aveva un ombrello rosso.

Brano tratto dal libro “La vita è tutto ciò che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Bambina, intreccia i capelli!

Bambina, intreccia i capelli!

Mia nonna diceva che quando una donna si sentirà triste, quello che potrà fare è intrecciare i suoi capelli:
così il dolore rimarrà intrappolato tra i suoi capelli e non potrà raggiungere il resto del corpo.
Bisognerà stare attente che, la tristezza, non raggiunga gli occhi, perché li farà piangere e sarà bene non lasciarla posare sulle nostre labbra, perché ci farà dire cose non vere.

“Che non entri nelle tue mani,”

mi diceva, “perché tosterà di più il caffè o lascerà cruda la pasta:
alla tristezza piace il sapore amaro.
Quando ti sentirai triste, bambina, intreccia i capelli:
intrappola il dolore nella matassa e lascialo scappare quando il vento del nord soffia con forza.

I nostri capelli sono una rete in grado di catturare tutto:

sono forti come le radici del vecchio cipresso e dolce come la schiuma della farina di mais.
Non farti trovare impreparata dalla malinconia, bambina, anche se hai il cuore spezzato o le ossa fredde per ogni assenza.

Non lasciarla in te, con i capelli sciolti,

perché fluirà come una cascata per i canali che la luna ha tracciato nel tuo corpo.
Intreccia la tua tristezza, intreccia sempre la tua tristezza!
E, domani, quando ti sveglierai con il canto del passero, la troverai pallida e sbiadita tra il telaio dei tuoi capelli.”

Brano di Peter Klug

La collezione di rocchetti di filo colorato

La collezione di rocchetti di filo colorato

In una storia narrata dal saggio indiano Ramakrishna, una donna va a trovare un’amica che da molto tempo non vedeva.
Entrata in casa sua, nota una magnifica collezione di rocchetti di filo colorato.

Questa esibizione multicolore la attrae in maniera irresistibile,

e quando l’amica va un momento in un’altra stanza, la donna ruba vari rocchetti e li nasconde tenendoli sotto le braccia.
L’amica però se ne accorge e, senza accusarla, le dice:

“È da tanto tempo che non ci vediamo.

Perché non danziamo assieme per festeggiare il nostro incontro?”
La donna, imbarazzata, non può rifiutare ma, per non lasciar cadere i rocchetti,

è costretta a danzare in modo molto rigido.

L’altra la esorta a liberare le braccia e a muoverle danzando, e quella risponde:
“Non sono capace, io danzo solo così!”

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Oscar Mondadori 2005.

Il filo di cotone

Il filo di cotone

C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile.
“Sono troppo debole per fare una corda.” si lamentava.
“E sono troppo corto per fare una maglietta.
Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi.

Sono scolorito e ho le doppie punte…

Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato!
Non servo proprio a niente.
Sono un fallito!
Nessuno ha bisogno di me.
Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!”
Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo.

Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse:

“Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone.
Ho un’idea:
facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto:
tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa.

Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce.

È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare.”
Il filo di cotone accettò di buon grado.
Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore.
E fu felice.

Brano tratto dal libro “I fiori semplicemente fioriscono.” di Bruno Ferrero

Amo le persone che…

Amo le persone che…

Non c’è niente di più bello di un abbraccio, un bacio o un pensiero inaspettato.
Mi piacciono le persone che quando hanno qualcosa da dirti, te la dicono senza nessuno scrupolo.

Mi piacciono quelle persone con tanta creatività e con tanta voglia di fare.

Amo le persone che arrossiscono non appena le si viene fatto un complimento.
Amo le persone che dicono sempre la loro opinione, non si vergognano e non hanno paura di cosa possa accadere dopo.

Amo le persone protagoniste.

Amo le persone che fanno di tutto per strapparti un sorriso, quelle che ti migliorano la giornata o chissà, magari un giorno anche la vita.
Ed infine, amo quelle persone che non usano doppie facce ma usano il cuore.

Brano di Jonathan Congiu

Il barilotto

Il barilotto

Tempo fa, in una terra lontana, viveva un signore potente e famoso in ogni angolo del regno.
Sull’orlo di una nera scogliera aveva fatto costruire una roccaforte così solida e ben armata, da non temere né re, né conti, né duchi, né principi, né visconti.
E questo possente signore aveva un bell’aspetto, nobile e imponente.
Ma nel suo cuore era sleale, astuto e ipocrita, superbo e crudele.
Non aveva paura né di Dio né degli uomini.
Sorvegliava come un falco i sentieri e le strade che passavano nella regione e piombava sui pellegrini e mercanti per rapinarli.
Aveva da tempo calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria.

La sua crudeltà era divenuta proverbiale.

Disprezzava apertamente la gente e le leggi della Chiesa.
Ogni Venerdì santo invece di digiunare e rinunciare a mangiare carne organizzava grandi festini e lauti banchetti per i suoi cavalieri.
Si divertiva a tiranneggiare vassalli e servitù.
Ma un giorno, durante un combattimento, un colpo di balestra lo ferì gravemente ad un fianco.
Per la prima volta, il crudele signore provò la sofferenza e la paura.
Mentre giaceva ferito, i suoi cavalieri gli fecero balenare davanti agli occhi la gola spalancata e infuocata dell’inferno a cui era sicuramente destinato se non si fosse pentito dei suoi peccati e confessato in chiesa.

“Pentirmi io? Mai!

Non confesserò neppure un peccato!” tuttavia il pensiero dell’inferno gli provocò un po’ di spavento salutare.
A malincuore gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita.
Con tono sprezzante, senza neppure inginocchiarsi, raccontò al santo frate tutti i suoi peccati:
uno dietro l’altro, senza dimenticarne neppure uno.
Il povero eremita si mostrò ancora più afflitto:
“Sire, certamente hai detto tutto, ma non sei pentito.
Dovresti almeno fare un po’ di penitenza, per dimostrare che vuoi davvero cambiare vita!”
“Farò qualunque penitenza.
Non ho paura di niente, io!
Purché sia finita questa storia!” replicò il signore.
“Digiunerai ogni Venerdì per sette anni…!” disse allora il santo eremita.

“Ah, no! Questo puoi scordartelo!” rispose il crudele signore.

“Vai in pellegrinaggio fino a Roma…” suggerì allora l’eremita.
“Neanche per sogno!” esclamò il cavaliere.
“Vestiti di sacco per un mese…” proseguì l’eremita.
“Mai!” continuò il crudele signore.
Il superbo cavaliere respinse tutte le proposte del buon frate, che alla fine propose:
“Bene, figliolo.
Fa’ soltanto una cosa:
vammi a riempire d’acqua questo barilotto e poi riportamelo!”
“Scherzi?
È una penitenza da bambini o da donnette!” sbraitò il cavaliere agitando il pugno minaccioso.
Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito.
Prese il barilotto sotto braccio e brontolando si diresse al fiume.
Immerse il barilotto nell’acqua, ma quello rifiutò di riempirsi.
“È un sortilegio magico,” ruggì il penitente, “ma ora vedremo!”

Si diresse verso una sorgente:

il barilotto rimase ostinatamente vuoto.
Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio.
Fatica sprecata!
Provò ad esplorare l’interno del barilotto con un bastone:
era assolutamente vuoto.
“Cercherò tutte le acque del mondo!” sbraitò il cavaliere, “Ma riporterò questo barilotto pieno!”
Si mise in viaggio, così com’era, pieno di rabbia e di rancore.
Prese ad errare sotto la pioggia e in mezzo alle bufere.
Ad ogni sorgente, pozza d’acqua, lago o fiume immergeva il suo barilotto e provava e riprovava, ma non riusciva a fare entrare una sola goccia d’acqua.
Anni dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio.
Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato.
Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto.
Di colpo il barilotto si riempì fino all’orlo dell’acqua più pura, più fresca e buona che mai si fosse vista.

Brano tratto dal libro “Parabole e storie. Per la scuola e la catechesi.” di Bruno Ferrero

Pace e le sue sorelle

Pace e le sue sorelle

Quando il mondo iniziò ad esistere, quando il grande sole giallo riscaldava la terra e di notte la bianca luna tutto illuminava, nacquero in una tiepida mattina d’autunno Pace e le sue sorelle.
Adagiate su una foglia di ninfea che faceva loro da culla, le piccole creature del bene si guardavano intorno incuriosite da tanta bellezza:
prati verdeggianti, animali liberi, un cielo azzurro e pulito, cascate limpide e cristalline.
Quando Felicità svolazzava nei prati, era solita fare a gara con le farfalle a chi raggiungeva prima la grande quercia.
E dove passava lei era felicità ovunque.
Armonia, poi, amava dondolarsi pigramente su un’altalena di liane, canticchiando dolci melodie ai suoi amici animali che, catturati da tanta soavità, rimanevano ore ed ore ad ascoltare quella meravigliosa voce.

E quando cantava lei era armonia ovunque.

Di notte Silenzio raggiungeva a piedi nudi la collina e, seduto sull’erba baciata dalla rugiada, rimirava quel paesaggio incantevole rischiarato da luna e stelle e ne assaporava la quiete.
E quando il sonno li rapiva, era silenzio ovunque.
Amore e Amicizia insegnavano agli abitanti di quel paradiso ad ascoltare il proprio cuore e ad essere sempre pronti ad aiutarsi a vicenda.
E quando parlavano loro, tutti si volevano bene ovunque.
Pace, dal canto suo, regnava sovrana ed era tanto felice nel vedere che era facile mantenere quell’equilibrio così ben costruito dal Buon Dio.
E fino a che lei regnò vi fu pace su tutta la Terra.
Poi arrivò l’uomo.
Era un essere umile e buono, rispettoso e gentile verso i suoi simili:
ma non fu così a lungo.
L’uomo iniziò a coltivare dentro di sé il seme della gelosia e dell’invidia, voleva possedere sempre più cose per essere il padrone indiscusso su tutto.
Gelosia, Invidia e Potere, creature del male senza fissa dimora, giunsero nel regno di Pace e tutto distrussero.

E al loro passaggio vi fu desolazione ovunque.

Infine arrivò Guerra, e dopo lei Tristezza.
Il mondo si tinse dei toni del nero, gli animali cercavano riparo nei boschi, l’uomo si scagliava contro i suoi fratelli, disseminando dolore ovunque.
Pace e le sue sorelle piansero per giorni e giorni, non trovando il modo per rimettere ordine sulla Terra.
In disparte, in un cantuccio, se ne stavano silenziose le due sorelline più piccole, Uguaglianza e Fratellanza, timide e un po’ impaurite.
Pace fissò a lungo i loro occhi e, avvicinandosi, disse:
“È giunto il tempo di far sentire la vostra voce.
Il mondo così sta morendo:
l’uomo lo sta rovinando con le sue stesse mani e noi dobbiamo fermarlo.
A me sta a cuore il futuro dei bambini che così non avranno più case, patiranno la fame e non giocheranno più.
Il loro mestiere è quello di fare i bambini, non vivere tra lo scempio delle guerre dei grandi.”
Uguaglianza e Fratellanza partirono subito.

Anche Amore si unì alle due sorelle.

Dall’alto, lo scenario era tanto triste:
guerra e dolore ovunque.
“Dove saranno i bambini?” si domandavano.
Poi li videro:
chiusi nelle case con le loro mamme, senza sorriso, spaventati.
“Ci pensiamo noi, piccoli.
Venite, seguiteci, fate presto e non abbiate paura!” disse a gran voce Amore.
E così, poco a poco, si formò una catena di bambini che via via diventava sempre più forte e sempre più lunga:
un vero e proprio esercito di chiassosi bimbi.
Al loro passaggio, come per magia, la terra si ricopriva di profumati fiori: fiori ovunque.

Fiori che uscivano dai fucili, dalle macchine da guerra.

Fiori nelle stanze dei bottoni, fiori che cadevano dagli aerei in volo come una pioggia colorata.
Gli uomini così non poterono più fare la guerra e finalmente capirono e si vergognarono tanto per ciò che avevano fatto.
Riposero le armi e la cattiveria e ritornarono nelle loro case, dalle loro famiglie.
Pace tornò così a regnare sulla Terra.
“La guerra è stata vinta dai bambini!” dissero le tre sorelle al loro ritorno.
Pace le accolse con gioia e disse:
“Durante la vostra assenza è venuta alla luce un’altra sorellina. Venite, vuole abbracciarvi!”
Mai i colori della Terra furono meravigliosi come in quel giorno, un giorno da ricordare.
Era nata la Speranza.

Fiaba di Greta Blu

La ricerca della Pace

La ricerca della Pace

C’era una volta un tale che si mise in viaggio per trovare cosa fosse la pace.
Ogni giorno faceva chilometri e chilometri, domandando a tutti cosa fosse la pace.
Ma nessuno sapeva dargli una risposta.
Qualcuno diceva:
“La pace?
È non avere pensieri per la testa, non pensare a qualcun’altro!”
“Eh, la pace! È avere la pancia piena!”
“La pace è non avere importuni tra i piedi come te…
e quindi lasciami in pace e prosegui il tuo cammino.”
Nessuno sapeva dirgli proprio cos’era la pace.
Quando camminava di notte gli sembrava che quel silenzio, quell’oscurità, quella luna, quelle stelle, gli parlassero di pace; ma poi si ricordava degli uomini e subito il suo cuore si riempiva di tristezza, e il senso di pace svaniva specialmente quando a qualche fattoria nemmeno poteva avvicinarsi per chiedere ospitalità, perché c’erano a guardia grossi cani che gli mettevano paura.

Che strano!

Gli uomini avevano bisogno di grossi cani per stare in pace alla notte.
Un giorno attraversando il giardino di una città, dove c’erano tanti bambini che giocavano, sentì una voce che gli fece venire il batticuore:
“Su, da bravi, fate la pace!”
Era una nonnina che invitava due fratellini, che avevano appena litigato, a perdonarsi.
Andò verso l’anziana per farle la solita domanda.
Ma ella non seppe dirgli altroche la pace, la si fa dopo che si è litigato.
Il viandante ringraziò, ma non rimase soddisfatto:
possibile, che per avere la pace sia necessario prima litigare? (diceva tra sé proseguendo il suo cammino di ricerca)
Un altro giorno passando davanti a una casetta sentì una povera donna gridare:
“Ma qui non c’è un attimo di pace!”
Quella persona, forse sapeva cos’era la pace: bussò ed entrò.
Trovò una mamma con tre bambini, uno più vispo dell’altro.

Le fece la domanda e la donna:

“La pace? Credo ci sarà in questa casa quando questi bambini saranno obbedienti, calmi, ordinati…”
Non aveva ancora terminato le parole che, per incanto i bambini diventarono come delle statuine, calmissimi; se domandavi loro qualcosa correvano ad eseguire la consegna e poi tornavano a sedersi immobili con le braccia conserte.
Il viandante, dai ringraziamenti della donna, credette finalmente trovato cosa fosse la pace.
Chiese di poter alloggiare da loro.
Passò qualche giorno e finì per stancarsi.
Non poteva essere quella la pace.
Tutto a bacchetta!
No, quella non poteva essere la pace.
Bambini come macchine!
Tutto in ordine!
Ma quale tristezza in quella casa.
Una sera se ne andò anche di là, sempre più deluso…
Passarono alcuni giorni.
Era seduto sul ciglio della strada, quando si sentì chiamare:
“Nonno, nonno!” si voltò e vide venire verso di lui un bambino.
“Nonno cosa fai?

Quanti anni hai?

Sei stanco?
Perché sei così sporco?
Vuoi giocare con me?
Perché non vieni a casa mia?”
Il povero viandante sulle prime non rispose, quasi infastidito dalle tante domande…
Poi, piano piano si lasciò coinvolgere, si sciolse di fronte all’insistenza del bambino e cominciò a parlare e persino a tentare anche a giocare con il pallone colorato che il bambino teneva in mano e gli offriva.
I suoi movimenti impacciati facevano ridere, ma il bambino era felice.
“Nonno, nonno!” continuava a ripetere.
Intrattenendosi con quel bambino dimenticò il problema della pace e anche tutti i suoi guai e per un po’ fu “in pace” felice e contento.
Ricordò a lungo quei momenti, le risate del bimbo gli rimasero stampate nell’anima.
“Non occorre essere ricchi o potenti per essere in pace, andava ripetendosi, basterebbe essere come i bambini; invece vogliamo a tutti i costi essere furbi e adulti e non troviamo più pace!”
Non cercò più la pace: da allora incominciò a donarla come un bambino e la vita cominciò a sorridergli come non gli era mai accaduto.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il profumo dentro di noi

Il profumo dentro di noi

Gli indù raccontano una strana leggenda.
La leggenda del capriolo delle montagne.
Tanti anni fa, c’era un capriolo che sentiva continuamente nelle narici un fragrante profumo di muschio.
Saliva le verdi pendici dei monti e sentiva quel profumo stupendo, penetrante, dolcissimo.

Sfrecciava nella foresta, e quel profumo era nell’aria, tutt’intorno a lui.

Il capriolo non riusciva a capire da dove provenisse quel profumo che tanto lo turbava.
Era come il richiamo di un flauto a cui non si può resistere.
Perciò il capriolo prese a correre di bosco in bosco alla ricerca della fonte di quello straordinario e conturbante profumo.

Quella ricerca divenne la sua ossessione.

Il povero animale non badava più né a mangiare, né a bere, né a dormire, né a nient’altro.
Esso non sapeva donde venisse il richiamo del profumo, ma si sentiva costretto a inseguirlo attraverso burroni, foreste e colline, finché affamato, esausto, stanco morto, andò avanti a casaccio, scivolò da una roccia e cadde, ferendosi mortalmente.

Le sue ferite erano dolorose e profonde.

Il capriolo si leccò il petto sanguinante e, in quel momento, scoprì la cosa più incredibile.
Il profumo, quel profumo che lo aveva sconvolto, era proprio lì, attaccato al suo corpo, nella speciale “sacca” porta muschio che hanno tutti i caprioli della sua specie.
Il povero animale respirò profondamente il profumo, ma era troppo tardi.

Brano senza Autore, tratto dal Web