Il genio e le richieste impossibili

Il genio e le richieste impossibili

Un uomo passeggiando in un bosco alla ricerca di funghi, si imbatté nella più perfetta ed antica lampada ad olio; iniziò subito a strofinarla e apparve il Genio.
L’uomo chiese:
“Posso avere i miei tre desideri?”
Il genio rispose:
“No! A causa dei cattivi tempi, della recessione, della globalizzazione, dell’inflazione, degli scioperi e di tutti gli altri problemi mondiali, oggi come oggi posso offrirti un solo desiderio da esaudire.”

L’uomo prese allora una cartina geografica e disse:

“In tal caso, vorrei la pace in Medio Oriente.
Vedi la cartina?
Vorrei che questi Paesi smettessero di farsi la guerra!”
Il Genio guardò la cartina e replicò:
“Ma accidenti, questi paesi sono in guerra da tempi lontanissimi!

Non credo di poterci fare niente, sono potente ma non così tanto!

Non pensarci neppure.
Neanche se chiedessi l’aiuto del mio Maestro potrei riuscire a realizzare questo desiderio.
Lascia perdere!
Dai, chiedimi qualcos’altro.”
L’uomo pensò per qualche altro minuto e disse:

“Non sono mai riuscito a trovare la donna giusta:

una donna sensibile, dolce e affettuosa, capace di rispettare il suo uomo, che sappia cucinare e farsi carico dei lavori domestici senza lamentarsi continuamente, che sia una brava amante e che non abbia mai il mal di testa, che non passi tutto il tempo a fare spese o a guardare la moda in tv, che non sia sempre nervosa, che mi tratti con amore e che non mi tradisca.”
E il genio sospirando:
“… dai qua, fammi rivedere un po’ la cartina…”

Brano senza Autore, tratto dal Web

La cauzione

La cauzione

Un giorno, un giovane ragazzo, litigò furiosamente con il padre, tanto che decise di andare via di casa.
Era così arrabbiato e orgoglioso che non volle più vedere né sentire il padre.
Purtroppo il ragazzo era ribelle e questo gli causò tanti guai anche con le altre persone.
Un giorno infatti fu arrestato.
Doveva scontare una pena di tre mesi ma rimase in prigione solo due giorni, nei quali ebbe modo di riflettere sulla sua vita sregolata.

Il secondo giorno di prigione fu scarcerato, qualcuno aveva pagato la cauzione per lui.

“Chi può essere stato?” pensò il ragazzo, “Nessuno mi vuol bene, mi sono comportato troppo male con tutti, chi può aver fatto questo gesto così bello nei miei confronti?
Forse c’è stato un errore.
Magari tra poco mi richiamano e mi diranno che dovevano scarcerare il mio compagno di cella!”
E mentre pensava a tutte queste cose uscì dalla prigione e proprio sulla soglia del cancello vide suo padre.
“Papà….come mai sei qui?” chiese il ragazzo stupito e con tanta vergogna.
Pensava che il padre fosse lì per caso e non voleva far vedere che era appena uscito di prigione.

“Sono qui per te!” disse il padre allargando le braccia,

“Io ho pagato la cauzione per te””
Il figlio non poteva credere alle sue orecchie.
Il padre che lui aveva offeso con parole pesanti gli aveva pagato la cauzione e adesso chiedeva un abbraccio.
Il ragazzo mise da parte l’orgoglio è abbracciò forte suo padre.
Mentre il padre accompagnava il figlio verso la macchina per riportarlo a casa, il giovane fece una domanda:
“Perché hai pagato per me?
Io mi sono comportato malissimo nei tuoi confronti, come mai mi dimostri così tanto amore?”

Il padre rispose:

“Non posso impedirti di andare via di casa ma, appena ho saputo che ti avevano arrestato, mi sono preoccupato molto per te e sono corso a pagarti la cauzione.
Tu sei mio figlio e farei qualunque cosa per te.”
“Papà, io non mi merito tutto questo amore, cosa posso fare per ricambiare?”
“Il mio amore non ha un prezzo, caro figlio. Ma se puoi… non cacciarti più ne guai.”

Brano senza Autore

Il cappellino

Il cappellino

“Se non me lo lasci fare non potrò andare a scuola!
Mi vergognerei troppo…
È terribilmente importante, mamma!”
Elena scoppiò a piangere.
Era la sua arma più efficace.
“Uffa, fa’ come vuoi…” brontolò la madre, sbattendo il cucchiaino nel lavello, “Sembrerai un mostro. Peggio per te!”
In altre 23 famiglie stava avvenendo una scenetta più o meno simile.
Erano i ragazzi della Seconda B della Scuola Media “Carlo Alberto di Savoia.”
Per quel giorno avevano preso una decisione importante.

Ma gli allievi della Seconda B erano 25.

In effetti, solo nella venticinquesima famiglia, le cose stavano andando in un modo diverso. Elisabetta era un concentrato di apprensione, la mamma e il papà cercavano di incoraggiarla.
Era la quindicesima volta che la ragazzina correva a guardarsi allo specchio.
“Mi prenderanno in giro, lo so.
Pensa a Marisa che non mi sopporta o a Paolo che mi chiama canna da pesca!
Non aspetteranno altro!”
Grossi lacrimoni salati ricominciarono a scorrere sulle guance della ragazzina.
Cercò di sistemarsi il cappellino sportivo che le stava un po’ largo.
Il papà la guardò con la sua aria tranquilla:
“Coraggio Elisabetta.

Ti ricresceranno presto.

Stai reagendo molto bene alla cura e fra qualche mese starai benissimo!”
“Sì, ma guarda!” Elisabetta indicò con aria affranta la sua testa che si rifletteva nello specchio, lucida e rosea.
La cura contro il tumore che l’aveva colpita due mesi prima le aveva fatto cadere tutti i capelli.
La mamma la abbracciò:
“Forza Elisabetta!
Si abitueranno presto, vedrai…”
Elisabetta tirò su con il naso, si infilò il cappellino, prese lo zainetto e si avviò.
Davanti alla porta della Seconda B, il cuore le martellava forte.

Chiuse gli occhi ed entrò.

Quando riaprì gli occhi per cercare il suo banco, vide qualcosa di strano.
Tutti, ma proprio tutti, i suoi compagni avevano un cappellino in testa!
Si voltarono verso di lei e sorridendo si tolsero il cappello esclamando:
“Bentornata Elisabetta!”
Erano tutti rasati a zero, anche Marisa così fiera dei suoi riccioli, anche Paolo, anche Elena e Giangi e Francesca…
Tutti!
Ma proprio tutti!
Si alzarono e abbracciarono Elisabetta che non sapeva se piangere o ridere e mormorava soltanto: “Grazie…”
Dalla cattedra, sorrideva anche il professor Donati, che non si era rasato i capelli, semplicemente perché era pelato di suo e aveva la testa come una palla da biliardo.

Brano tratto dal libro “Ma noi abbiamo le ali.” di Bruno Ferrero

Il nastro bianco

Il nastro bianco

Un giovane era seduto da solo; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino.
Aveva poco più di vent’anni ed era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.
Una donna si sedette accanto a lui.
Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente:
“Sono stato in prigione per due anni.
Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa.”
Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore.

In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro.

Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli.
Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.
Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre.
Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.
Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni.

Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall’autobus.
Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino.
Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.
Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli:

“Cambia posto con me.
Guarderò io fuori del finestrino.”
L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l’albero.
Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò:
“Guarda! Guarda!
Hanno coperto tutto il giardino di nastri bianchi.”

Brano tratto dal libro “La vita è tutto quello che abbiamo.” di Bruno Ferrero

Il libero arbitrio

Il libero arbitrio

Molte persone vivono seguendo il cammino scelto da noi,
perché troppo timorosi per esplorarne altri.

Ma ogni tanto arrivano persone come voi,

che superano gli ostacoli che mettiamo lungo la strada.
Persone che capiscono che il libero arbitrio è un dono che non si sa mai come usare,

fino a quando non si lotta per ottenerlo.

È questo il vero piano del presidente,
e cioè che un giorno non saremo noi a scrivere il piano, ma voi.

Brano senza Autore, tratto dal film “I Guardiani del Destino.” di George Nolfi.

Michele di Cristallo. Il bambino trasparente.

Michele di Cristallo.
Il bambino trasparente.

Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente.
Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua.
Era di carne ed ossa e pareva di vetro.
Se cadeva non andava a pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si poteva vedere il suo cuore battere.
Soprattutto si vedevano i suoi pensieri.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere quella che sembrava essere una palla di fuoco dietro la sua fronte.

Disse poi la verità e la palla di fuoco si dissolse.

Per tutto il resto della sua vita il bambino trasparente non disse più bugie.
Crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo.
Ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e, prima che aprisse bocca, si potevano indovinare le sue risposte, quando gli si rivolgeva una domanda.
Egli si chiamava Michele, ma la gente lo chiamava Michele di cristallo.
Tutti gli volevano bene per la sua lealtà e per la sua onestà.
Vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore.
Cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo.

Chi osava protestare spariva senza lasciare traccia.

Chi si ribellava veniva fucilato.
I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Michele non poteva tacere.
Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui.
Dietro la fronte di quello che una volta era il bambino trasparente, tutti leggevano pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno.
Di nascosto poi, la gente ripeteva i pensieri di Michele come modo per avere speranza nel futuro.

Il tiranno fece arrestare Michele di cristallo.

Poi ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Allora successe una cosa straordinaria.
I muri della cella in cui Michele fu rinchiuso, diventarono trasparenti!
Dopo di essi anche i muri dell’intero edificio, e infine anche le mura esterne.
La gente che passava vicino alla prigione poteva vedere Michele seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo.
Tutti continuavano a leggere i suoi pensieri.
Di notte la prigione emanava una grande luce.
Il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire.
Michele di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il cagnolino senza biglietto

Il cagnolino senza biglietto

C’era una volta una signora che voleva far viaggiare senza biglietto il suo cagnolino, ma arrivò il controllore e le disse:
“Cara signora, deve pagare anche l’altro biglietto!”
E lei di rimando:

“Ma è così piccolo, io non pago!”

Dopo una animata discussione nella quale la signora e il controllore portavano le loro ragioni, per forza contrastanti, il controllore approfittò del fatto che il treno stava rallentando per afferrare il cagnolino per la collottola e sporgerlo fuori dal finestrino, lasciandolo lentamente cadere nel vuoto.
La signora era disperata e chiedeva conforto agli altri passeggeri.

C’era chi le dava ragione e chi le suggeriva di rivolgersi alla “Protezione degli animali.”

Il controllore era ormai pentito di quello che aveva fatto e si stava allontanando dallo scompartimento quando la signora, molto infuriata, gli strappò dalle mani la pipa e la scaraventò fuori del treno.
Alla stazione successiva scesero tutti i due inferociti:
lui per l’affronto fatto alla pipa, lei per l’offesa al cane.
Non ebbero il tempo di scambiarsi altre parole perché cominciò un battimani dei compagni di viaggio:

stava arrivando il cagnolino con la pipa del controllore in bocca.

Poco mancò che i due contendenti si abbracciassero.
E tutto finì per il meglio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Mamma, corriamo attraverso la pioggia?

Mamma, corriamo attraverso la pioggia?

Una piccola bambina, tutta lentiggini, chiara immagine dell’innocenza, che non doveva avere più di sei anni, aveva trascorso tutto il giorno con la sua mamma in un supermercato.
Mentre si preparavano a ripartire cominciò a piovere a catinelle.
Eravamo tutti davanti alla porta, a guardare la pioggia.
Attendevamo, alcuni con pazienza, altri irritati, che la natura ci riportasse al solito ritmo.
Mi ha sempre incantato la pioggia così come l’odore che provoca.
Mi perdo davanti al cielo gocciolante che lava la sporcizia e la polvere di questo mondo.
La voce di questa bambina era molto dolce e ruppe il mio sogno ipnotico con questa innocente frase:

“Mamma, corriamo attraverso la pioggia?”

“No, amore. Aspettiamo che smetta di piovere.” rispose la mamma pazientemente.
La bimba aspettò un altro minuto, e ripeté:
“Mamma, corriamo attraverso la pioggia?”
E la mamma le disse:
“Ma se lo facciamo, ci inzupperemo!”
“No, mamma, non ci bagneremo.
Non è così che hai detto questa mattina a papà?” fu la risposta della bimba.
“Questa mattina?
Quando mai ho detto che possiamo passare attraverso la pioggia e non bagnarci?” chiese la mamma.

“Non ti ricordi?

Quando parlavi con papà del suo cancro, gli hai detto che se Dio ci fa passare per questa prova può farci passare attraverso qualunque cosa.” rispose amorevolmente la bambina.
Eravamo tutti in assoluto silenzio.
Non si sentiva altro che il rumore della pioggia.
Nessuno entrò o uscì dal supermercato nei minuti seguenti.
La mamma si fermò a pensare un momento su cosa avrebbe dovuto rispondere.
Pensò che quello era un momento cruciale nella vita della piccola bambina:
era un momento in cui l’innocenza e la fiducia potevano venir motivate in modo da rifiorire, un giorno, in una fede incrollabile.
“Amore, hai proprio ragione!

Corriamo attraverso la pioggia.

E se Dio permette che ci inzuppiamo, può darsi che sappia che abbiamo bisogno di una ripulita!”
Uscirono di corsa.
Noi stavamo tutti in piedi a guardarle mentre correvano attraverso il parcheggio calpestando tutte le pozzanghere.
Si inzupparono.
Ma non furono le sole.
Le seguirono tutti ridendo come bambini mentre correvano verso le proprie auto.
Ho corso anche io.
E anche io mi sono inzuppata/o.
Darsi una ripulita può essere divertente!

Brano senza Autore, tratto dal Web

Un complesso particolare

Un complesso particolare

C’era una volta un complesso di sette strumenti musicali:
erano un pianoforte, un violino, una chitarra classica, un flauto, un sassofono, una cornetta e una batteria.
Vivevano nella medesima stanza, ma non andavano d’accordo.
Erano così orgogliosi che ognuno pensava di essere il re degli strumenti e di non aver bisogno degli altri.
Non solo, ma ciascuno voleva suonare le melodie che aveva nel cuore e non accettava di eseguire uno spartito.

Tutti ritenevano ciò una imposizione intollerabile che violava la loro libertà di espressione.

Quando al mattino si svegliavano ognuno cominciava a suonare liberamente le proprie melodie e per superare gli altri usava i toni più forti e violenti.
Risultato: un inferno di caotici rumori.
Una notte capitò che la batteria non riuscisse a chiudere occhio per il nervoso.
Per passare il tempo cominciò a scatenarsi con le sue percussioni.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Per la prima volta tutti gli strumenti si trovarono d’accordo su una cosa:

la decisione di andare ognuno per conto suo.

Stavano per uscire quando alla porta bussò una bacchetta con uno spartito in cerca di strumenti da dirigere.
Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di fare una nuova esperienza, quella di suonare ognuno secondo la propria natura, ma con note, ritmi e tempi armonizzati.
“Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i miei cenni, dopo che avrò dato il via.” disse la bacchetta.
Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui vivevano,

un po’ per la curiosità di fare una nuova esperienza, accettarono.

Si misero a suonare con passione dando ognuno il meglio di se stesso e con una obbedienza totale alla bacchetta… magica.
A mano a mano che andavano avanti si ascoltavano l’un l’altro con grande piacere.
Quando la bacchetta fece il cenno della fine un’immensa felicità riempiva il loro cuore:
avevano eseguito il famoso Inno alla gioia di Beethoven.

Brano senza Autore, tratto dal Web