Il trucco del rabbino

Il trucco del rabbino

Un giovane fece visita ad un rabbino per chiedergli come dovesse comportarsi nella vita.
Il rabbino sapeva che il giovane proveniva da una famiglia molto pia, zelante, religiosa al massimo.
Per cui, chiamati i suoi discepoli, volle che il neofita ripetesse ad alta voce la sua richiesta.
Desidero che il rabbino mi dia delle istruzioni precise su ciò che devo fare e su ciò che non devo fare nella vita.

Il rabbino rispose:

“Lasciati vivere!
Quando puoi, ruba, ma non dimenticare di portarmi parte del bottino.
Trascura i tuoi doveri e cerca, più che puoi, i piaceri.
Sforzati sempre di avere la meglio sugli altri.
In breve, vivi senza principi:
solo così realizzerai te stesso.”

Il giovane, uditi questi consigli, se fuggì via rapidamente.

Alcuni mesi dopo il rabbino chiese ai suoi discepoli se avessero notizie del giovane.
Risposero gli allievi che stava conducendo una vita santa in un paese lontano e che parlava di lui come di Satana in persona.
Il rabbino rise:
“Se gli avessi consigliato una vita virtuosa, non mi avrebbe obbedito.
È infatti quanto gli è stato prospettato dalla sua più tenera età in mille modi.

Voleva qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.

E solo quando gli ho consigliato con foga un modo di vita nuovo, si è reso conto che preferiva, questa volta per scelta personale, rimanere nei campi ubertosi della virtù.
“E che dire del fatto che parla di te come di Satana?” chiesero gli allievi.
“Per quanto mi riguarda, non ha importanza.
Le parole le porta via il vento.
Quanto a lui, capirà quando sarà venuto il momento.” concluse il rabbino.

Leggenda Hassidica. Brano incluso nel libro “Il libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.

Il saggio sulla nave

Il saggio sulla nave

Un saggio sufi si imbarcò su una nave per recarsi dall’altra parte del mare.
A metà della traversata si scatenò una tempesta di tale violenza che le onde altissime scagliavano la nave in su e in giù come se fosse un fuscello.
Tutti avevano una paura tremenda, e c’era chi pregava, chi si rotolava gridando, chi gettava tutti i suoi beni in mare.

Solo il saggio rimaneva imperturbabile.

Quando la tempesta si calmò, e a poco a poco il colore tornò sulle gote dei naviganti, alcuni di loro si rivolsero al saggio e gli chiesero:
“Ma come mai tu non hai avuto paura?
Non ti sei accorto che tra noi e la morte c’era soltanto una tavola di legno?”
“Certo, ma nel corso della vita mi sono accorto che spesso c’è ancor meno!” replicò il saggio.

Quanto ci separa dalla morte?

E davvero così sottile il confine tra la vita e la morte.
Negli ultimi mesi di vita, Don Bosco camminava a fatica.
Chi lo vedeva attraversare i cortili spesso gli chiedeva:
“Dove va, Don Bosco?”

La risposta era sempre la stessa:

“In Paradiso!”
Lo potremmo dire tutti, ad ogni passo della nostra vita:
“Sto arrivando, Signore!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Scherzo per Carnevale

Scherzo per Carnevale

“A carnevale ogni scherzo vale.” recita il detto.
Io ho capito il significato di questa frase da bambino, quando a casa nostra venne una coppia di sposi in maschera.
Erano un uomo e una donna, ma si erano mascherati invertendo i propri ruoli.

A questo si aggiungeva una singolarità.

Direte voi, che cosa?
Tenevano in braccio una specie di bambola che cullavano e per noi bambini, ovviamente, era la principale curiosità.
Fatti accomodare in casa, mia madre gli chiese se desiderassero qualcosa.
Risposero di no con un cenno e diedero il bambolotto in braccio a mio padre, che era seduto, facendogli segno di cullarlo e di dargli il ciuccio.
Solamente per aver visto questi due signori truccati in questo modo, questa scena iniziale fece divertire noi bambini, ma il momento più bello si ebbe quando la donna mascherata si alzò e fece il gesto di sistemare il vestitino al pupazzo, facendo fare, nello stesso tempo, un salto dalla sedia a mio padre,

che si trovò con i pantaloni bagnati.

Il pupazzo non era altro che un grande fiasco capovolto, addobbato e truccato per sembrare un infante e spostando la maschera (cioè togliendo il tappo), fece fuoriuscire l’acqua di cui era pieno il fiasco, simulando, così, un bisogno fisiologico di mio padre.
Passato il primo attimo di imbarazzo per i pantaloni bagnati e vedendo noi bambini divertiti, mio padre sorrise e ci diede una grande lezione carnevalesca, servendo lui stesso da bere alla coppia.

Lo sentii dire sottovoce:

“Compare, anche quest’anno me la hai fatta!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

Scherzo in fabbrica

Scherzo in fabbrica

Qualche anno fa gli operai entravano in fabbrica per lavorare prestissimo.
Tantissimi ragazzi giovani portavano allegria nonostante operassero su complicati macchinari e nelle catene di montaggio.
Anche in questo ambito abbiamo fatto la nostra piccola rivoluzione del 1968, insieme agli studenti, che ha portato tantissimi cambiamenti.
Cose che ora vengono date per scontate, come la settimana ridotta, le ferie, i diritti ed i rappresentanti sindacali.

Ora, la fabbrica dicono sia anonima, con lavoratori che competono con i robot.

In quel periodo lavoravo allo stampaggio di un particolare per scarponi da sci.
Il numero di pezzi da fare era 250 in 8 ore, ed i ritagli di tempo libero li impegnavo a fare schizzi ed a comporre qualche poesiola.
I sindacalisti spesso portavano moltissimi pacchetti di fogli propagandistici di scioperi o altro che finito il loro scopo, io recuperavo per il retro immacolato e ne facevo buona scorta dentro il mio tavolo di lavoro.
Un giorno decisi di prendere un pacchetto di fogli di qualche anno prima con su scritto

“Giovedì sciopero per il Mezzogiorno!”

e li misi nell’apposito spazio dove venivano distribuiti per vedere cosa succedesse.
Il giovedì seguente, tre quarti degli operai della fabbrica rimase a casa essendo sia giorno di mercato sia giorno utile per cercar funghi, dato che proprio in quel periodo abbondavano.

Quando al venerdì incrociai il direttore, temevo il peggio, ma questi mi disse solamente:

“Bravo, ci hai risolto un problema perché abbiamo un calo di lavoro per qualche giorno.
La pausa non remunerata è stata utile ma non fare più di questi scherzi nemmeno a carnevale!”

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno

La coppia di anziani

La coppia di anziani

In una dacia sperduta nella tundra siberiana, viveva una coppia di anziani coniugi.
Si volevano molto bene ed erano così vecchi che non ricordavano più neanche quando si erano conosciuti.
Così, a chi glielo domandava, dicevano di conoscersi da sempre.
Con gli anni il loro affetto era diventato ancora più grande, ma più grandi si erano fatti anche i loro acciacchi.

L’età cominciava davvero a pesar loro.

Insieme, presto, avrebbero contato due secoli di vita!
E se il giorno era il tempo dedicato ai ricordi, la notte era il tempo dedicato al domani.
Ma che cosa riservava loro il domani?
La sera, a letto, prima di spegnere il lume, si scambiavano il loro bacio della buonanotte; poi, con un gesto simultaneo, mandavano un breve saluto con la mano alla Madonna d’oro che li guardava da un’icona appesa alla parete.

Ognuno si girava poi su un fianco e, in silenzio, iniziava la propria preghiera.

“Oh Madre Divina, fa’ che io abbandoni questa terra prima della mia cara Màrija.
Sarebbe troppo grande dolore sopravvivere a lei!” pregava il marito.
“Oh Madre Divina, fa’ che il mio caro Petrùska abbandoni questa terra prima di me.
Troppo grande sarebbe il suo dolore, se io dovessi andarmene prima di lui!” pregava la moglie.

Se qualcuno avesse udito quella loro intima preghiera,

forse, avrebbe avuto difficoltà a riconoscere in entrambi la stessa intensità d’amore e la loro profonda umiltà.
Una notte, qualcuno venne a bussare alla loro porta ed entrò.
Era l’Angelo della morte che, pietoso, li colse insieme nel sonno.

Brano di Silvia Guglielminetti incluso nel libro “Il secondo libro degli esempi. Fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita.” Piero Gribaudi Editore.

Il vecchio mai stato giovane

Il vecchio mai stato giovane

C’era una volta un vecchio che non era mai stato giovane.
In tutta la sua vita, in realtà, non aveva mai imparato a vivere.
E non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.
Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere.
Tutto ciò che succedeva nel mondo non lo addolorava e neppure lo stupiva.
Passava le sue giornate oziando sulla soglia della sua capanna, senza degnare di uno sguardo il cielo, l’immenso cristallo azzurro che, anche per lui, il Signore ogni giorno puliva con la soffice bambagia delle nuvole.

Qualche viandante lo interrogava.

Era così carico d’anni che la gente lo credeva molto saggio e cercava di far tesoro della sua secolare esperienza.
“Che cosa dobbiamo fare per raggiungere la felicità?” chiedevano i giovani.
“La felicità è un’invenzione degli stupidi!” rispondeva il vecchio.
Passavano uomini dall’animo nobile, desiderosi di rendersi utili al prossimo.
“In che modo possiamo sacrificarci per aiutare i nostri fratelli?” chiedevano.
“Chi si sacrifica per l’umanità è un pazzo!” rispondeva il vecchio, con un ghigno sinistro.
“Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?” gli domandavano dei genitori.
“I figli sono serpenti!” rispondeva il vecchio, “Da essi ci si possono aspettare solo morsi velenosi!”
Anche gli artisti e i poeti si recavano a consultare il vecchio che tutti credevano saggio.
“Insegnaci ad esprimere i sentimenti che abbiamo nell’anima!” gli dicevano.

“Fareste meglio a tacere!” brontolava il vecchio.

Poco alla volta, le sue idee maligne e tristi influenzarono il mondo.
Dal suo angolo squallido, dove non crescevano fiori e non cantavano neanche gli uccelli, Pessimismo (perché questo era il nome del vecchio malvagio) faceva giungere un vento gelido sulla bontà, l’amore, la generosità che, investiti da quel soffio mortifero, appassivano e seccavano.
Tutto questo dispiacque molto al Signore, che decise di rimediare.
Chiamò un bambino e gli disse:
“Va’ a dare un bacio a quel povero vecchio!”
Il bambino obbedì.
Circondò con le sue braccia tenere e paffute il collo del vecchio e gli stampò un bacio umido e rumoroso sulla faccia rugosa.

Per la prima volta il vecchio si stupì.

I suoi occhi torbidi divennero di colpo limpidi.
Perché nessuno lo aveva mai baciato.
Così aperse gli occhi alla vita e poi morì, sorridendo.

A volte, davvero, basta un bacio.
Un “Ti voglio bene”, anche solo sussurrato.
Un timido “Grazie.”
Un apprezzamento sincero.
È così facile far felice un altro.
Allora, perché non lo facciamo?

Brano di Bruno Ferrero

Cantico di un anziano

Cantico di un anziano
Benedetti quelli che…

… mi guardano con simpatia.
… comprendono il mio camminare stanco.
… parlano a voce alta per minimizzare la mia sordità.

Benedetti quelli che…

… stringono con calore le mie mani tremanti.
… si interessano della mia lontana giovinezza.
… non si stancano di ascoltare i miei discorsi tante volte ripetuti.

Benedetti quelli che…

… comprendono il mio bisogno di affetto.
… mi regalano frammenti del loro tempo.
… si ricordano della mia solitudine.

Benedetti quelli che…

… mi sono vicini nella sofferenza.
… rallegrano gli ultimi giorni della mia vita.
… mi sono vicini nel momento del passaggio.

Grazie per ogni sorriso.
Quando entrerò nella vita senza fine mi ricorderò di loro presso il Signore Gesù.

Brano senza Autore.

La vita è un racconto, ascoltalo

La vita è un racconto, ascoltalo

Prima di lasciare il suo corpo, mio nonno mi chiamò accanto a sé e mi volle svelare il “segreto della vita.”
Mi disse proprio così:
“Ora ti confiderò un segreto, il segreto della vita!”
A quel tempo ero un ragazzino e non capivo perché un uomo come mio nonno dovesse morire.
Proprio non lo capivo.
Era un uomo eccezionale mio nonno.
Un uomo di grande cultura; severo; onesto con sé e con il mondo in cui credeva; ironico.
Ed insomma in quel giorno che a me sembrava una tragedia, mi chiamò vicino a sé, mi prese la mano e mi disse:

“Io me ne sto per andare.

Ma non devi essere triste.
Me ne vado per un po’, perché questo mio corpo è un po’ stanco.
Poi ci rivedremo.
Ma ora voglio confidarti un segreto.
Il segreto della vita.
Oggi viviamo in un mondo dove sembra che non esista altro che il denaro e la violenza.
Ma non è così.
C’è solo una grande confusione.
Per vivere bene devi fare una semplice cosa.
Che ora ti dirò.
Intanto portami un bicchiere d’acqua che ho la bocca secca.”
Beh, come ho già detto, a me sembrava già una tragedia che dovesse morire lui.
Figuriamoci cosa mi importava delle violenze o del denaro!
Però quel discorso lo ricorderò per sempre perché mio nonno stava per svelarmi un segreto.
Ero col bicchiere d’acqua in mano e glielo poggiai sulle labbra.

Bevve un sorso.

Aveva le labbra quasi blu.
“Ecco cosa devi fare!” mi disse, “Oggi c’è gente che è andata sulla Luna e ci sono pure un sacco di medicine nuove.
Però come vedi alla televisione, la gente continua a morire.
Una volta tutte queste cose non si sapevano perché non c’era la televisione.
E con tua nonna la sera si andava a letto presto.
O magari si stava davanti alla finestra a guardare la neve e la gente che passava.
Poi quando le tue zie erano piccole stavamo a raccontare storie di fantasmi o di principesse.
Ed allora magari le tue zie si impaurivano o si innamoravano e poi si andava tutti a letto.
Ora le storie te le raccontano in televisione o magari le leggi sulle riviste dal barbiere.
E così le storie di fantasmi e di principesse non le raccontiamo più perché le raccontano meglio in televisione.
Non ti devi immaginare più nulla:
vedi le immagini e ti impaurisci o sogni come facevano le tue zie ascoltando le nostre favole.
Non è sbagliato tutto questo.

Mi dai un altro po’ d’acqua?”

“Certamente!” dissi.
Era in ospedale mio nonno.
Aveva approfittato dell’assenza di altri parenti per parlarmi.
Per svelarmi questo segreto.
Non l’aveva detto a nessuno.
Lo disse solo a me.
“Come ti dicevo:
la televisione, le medicine, i viaggi sulla Luna… non sono cose sbagliate.
Perché ti possono fare impaurire o sognare.
E provare certi sentimenti non è sbagliato perché noi siamo uomini!
E dobbiamo provarle certe sensazioni perché questa è la vita.””
Mentre mi parlava era come se non avesse paura di morire.
Mi era sempre più chiaro che non stava morendo ma stava solo intraprendendo un nuovo viaggio per portare questo messaggio (che mi stava comunicando) anche ad altre persone e ad altri mondi.

“Queste cose,” continuò, “non sono sbagliate.

Ma la cosa che le può rendere “cattive” è che le tue zie che si impaurivano o che si innamoravano sapevano bene che ciò di cui parlavamo io e tua nonna erano solo racconti.
Invece oggi se accendi la televisione credi che sia tutto vero; se prendi una pillola credi che non lascerai mai questo corpo; se vai sulla Luna credi che sei a un passo da Dio.
C’è una cosa bella in tutto.
Se ora ti affacci alla finestra per esempio c’è il sole.
Ed è una cosa bella perché fa vivere le piante con i suoi raccolti ma se non piove potrebbe farle anche morire.
Sono racconti diversi.
Uno ti fa sognare e gioire, l’altro ti fa impaurire.
Ma sono solo racconti.
Vedi ora io so che tu sei triste perché non capisci perché io me ne debba andare.
E te la prenderai con qualcuno:
magari con Dio, con te stesso, con il mondo che è ingiusto o crudele, con i medici che non mi hanno salvato.
Ma questo è solo un racconto.

Che magari ti impaurisce e ti intristisce.

Ed è giusto che sia così perché sei un uomo e devi provare queste cose.
Ma devi anche sapere che è solo un racconto.
Io vado solo da un’altra parte senza questo vestito che chiamiamo corpo.
Vado a vedere altre cose.
Forse vado anche sulla Luna, ma senza un missile.
Vado ad ascoltare altri racconti.
Non con queste mie orecchie, ma con altre orecchie.
Vado a vedere altri luoghi, ma non con questi occhi.
Vado a raccontare le mie storie ad altra gente, ma non con questa bocca.
La vita è un bel racconto:
che ti fa sognare, ti fa piangere, che ti fa gridare, che ti fa arrabbiare.
Perché sei un essere vivente.
Anche le piante si arrabbiano e pure il Sole.
Anche loro sognano e si impauriscono.

Ma il segreto è che è solo un racconto.

E così la paura passa perché era solo un racconto e rimane la gioia di poter vivere ed ascoltare nuovi racconti.
Anche con corpi diversi.
Quindi vivi, ascolta i racconti, anche quelli della televisione, che sono molto belli.
Ma sappi sempre che sono racconti altrimenti crederai di vedere la Verità dove Verità non c’è.
E sarai sempre triste o forse ti capiterà di essere un po’ triste e un po’ felice.
Ed invece devi essere felice per il semplice fatto che riesci ad ascoltare racconti che magari possono sembrare tristi.
Come io che sono sul letto e la gente poi ti dirà che sono morto.
Ma tu non credergli.
È un racconto.
Un racconto per farti paura.
Ma tu sai che non è la Verità.
Perché io non sono questo corpo ma sono molto di più.
Io sarò sulla Luna o magari in India ad ascoltare e raccontare nuove storie.
Non sarò di certo in qualche tomba!
Mi fa pure schifo!

Ecco il segreto:

“Per vivere la vita,” e mi fece un sorriso come quando stava per raccontare una delle sue barzellette, “per vivere bene la tua vita devi chiedere consigli agli altri.
Se non sai cosa fare, se non riesci a fare qualcosa … chiedi consiglio agli altri.
Ascoltali attentamente e poi informati se hai capito bene cosa ti hanno consigliato ripetendogli cosa ti hanno detto.
Per esempio: tu non sai se andare a lavorare a Roma o Milano e loro ti suggeriscono Milano.
Allora tu dopo aver ascoltato approfonditamente tutte le loro motivazioni, gliele ripeti e vedi se hai capito bene.
E poi alla fine gli dici:
bene, allora Milano sembra il posto giusto.
Ecco la cosa importante è soprattutto ascoltare le motivazioni, perché ovviamente se uno ti dà un consiglio a caso non serve a niente.
Mi passi un po’ d’acqua?”
Il nonno mi stava dicendo di ascoltare i consigli degli altri.
Ma soprattutto di vedere se erano ben motivati.

Era quello l’importante.

“Allora… stavo dicendo.
Quando finalmente saprai che gli altri ti hanno consigliato di andare a Milano, quando avrai capito bene le loro motivazioni, allora sarai pronto.
Fai le valigie e vattene di corsa a Roma!”
Forse non avevo capito bene o forse il nonno cominciava a dare i numeri!
E il nonno se ne accorse benissimo, sorrise e mi guardò negli occhi.
I suoi occhi erano stanchi.
E continuò così:
“Hai capito bene!
Ecco il segreto.
Vivi la tua vita ma mai quella di un altro.
Ognuno di noi è speciale ed unico.
È questa la vita: un racconto speciale.
Ed ognuno di noi non ha Verità ma solo racconti da raccontare.
Ma se ci mettiamo a raccontare racconti uguali finiamo per credere all’unico racconto che oggi compare in televisione.

Ed il mondo diventerà tutto uguale.

E tutti correranno dietro lo stesso racconto credendo che sia la vera vita.
Ma ognuno ha la sua vita ed ognuno ha i suoi racconti.
Quindi ridi e divertiti perché non moriamo mai.
Sono solo i racconti che cambiano, ed è giusto che sia così.
Il mio racconto sta per finire ma un altro ne sta per cominciare.
Un altro tutto nuovo, magari appena sono sulla Luna ne ascolterò mille nuovi e poi te li verrò a raccontare attraverso i tuoi figli o magari attraverso il sole.
Dai, ora vai, che ho sonno.
Ma prima dammi un bacio!”
Uscii dalla stanza.
Non rividi più mio nonno nel suo corpo.
Piansi tanto.
Ora quando mi guardo intorno o guardo la TV o ascolto qualcuno, sorrido.
E mi vengono in mente le parole di mio nonno, in quel giorno d’estate, quando il Sole era alto e con i suoi raggi raccontava al mondo un’altra delle sue meravigliose storie.

Brano senza Autore.

Il narratore (E tu, quale storia vorresti ascoltare?)

Il narratore
(E tu, quale storia vorresti ascoltare?)

C’era una volta un narratore.
Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni.
Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d’anima.
E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un’idea:
“E se raccontassi loro delle storie?
Potrei raccontare il sapore della bontà e dell’amore, li porterei sicuramente alla felicità!”

Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce.

Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò.
Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore.
Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima.
Qualcuno rise di lui.
Qualche altro lo trattò da pazzo.
Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d’amore e di meraviglie.
Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena.

Ma non rinunciò.

Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno.
Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato.
La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni.
Una sera d’inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica.
Aprì gli occhi e vide un ragazzo.
Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
“Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai?
Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?”
“Amo i miei simili!” rispose il narratore, “Per questo mi è venuta voglia di renderli felici!”

Il ragazzo ghignò:

“Povero pazzo, lo sono diventati?”
“No!” rispose il narratore, scuotendo la testa.
“Perché ti ostini allora?” domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
“Continuo a raccontare.
E racconterò fino alla morte.
Un tempo era per cambiare il mondo!” tacque, poi il suo sguardo si illuminò e disse ancora:
“Oggi racconto perché il mondo non cambi me!”

Brano tratto dal libro “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero. Edizione ElleDiCi.

Ciao amore!

Ciao amore!

Nelle mie zone, qualche anno fa, viveva una eccentrica signora, molto singolare e leggera nel suo stile di vita, che assaporava senza remore bacco, tabacco e “venere”, avendo esercitato, in passato, il più antico mestiere del mondo in un bordello di periferia.
Tornata in paese per la chiusura delle case chiuse per effetto della legge Merlin e con la pensione,

la signora attraversava continuamente il paese con i suoi vestitini sgargianti.

Aveva spesso dei fiori tra i capelli a mo’ di corona, il rossetto sempre di un rosso acceso sulle labbra ed anche sulle guance, e girovagava quasi sempre con un mazzo di fiori in mano.
Fiori che sottraeva in chiesa o al cimitero per poi riportarli in un’altra chiesa o al cimitero stesso.
Salutava tutti con un “Ciao Amore!” ed era conosciuta con questo nome.
Era un personaggio “Felliniano” dal bel volto con capelli corvini, e fu sempre testimone di libertà,

non soggetta a regole e convenzioni.

A “Ciao Amore!” un giorno diedero fuoco alla baracca di legno dove abitava e fu messa in una struttura per anziani facendosi ben volere da operatori e ospiti.
Il regalo che più gradiva era un vasetto di cipolline sotto aceto che divorava come fossero cioccolatini, prendendole con le mani.
Il suo funerale fu a cura del comune, non avendo parenti e figli, ed una sconosciuta signora anch’essa eccentrica, cantò a cappella una Ave Maria che commosse tutti.

Quando qualcuno ricordava a “Ciao Amore!” la sua vita libertina,

ella con una risata rispondeva:
“Vi precederò in paradiso!”
Luogo dove io la immagino.

Brano di Dino De Lucchi
© Ogni diritto sul presente lavoro è riservato all’autore, ai sensi della normativa vigente.
Revisione del racconto a cura di Michele Bruno Salerno