Dove vai?

Dove vai?

Gli insegnanti di Zen abituano i loro giovani allievi a esprimersi.
Due templi Zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti.
Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava l’altro per la strada.

“Dove vai?” domandò il primo.

“Vado dove vanno i miei piedi!” rispose l’altro.
Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al suo maestro.
“Quando domattina incontrerai quel bambino,” gli disse l’insegnante, “fagli la stessa domanda.
Lui ti darà la stessa risposta, e allora tu domandagli:

“Fa’ conto di non avere i piedi: dove vai, in quel caso?”

Questo lo sistemerà.”
La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado dove soffia il vento!” rispose l’altro.
Anche stavolta il piccolo rimase sconcertato, e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta.

“E tu domandagli dove va se non c’è vento.” gli consigliò il maestro.

Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta.
“Dove vai?” domandò il primo bambino.
“Vado al mercato a comprare le verdure!” rispose l’altro.

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

I due fratelli

I due fratelli

Due fratelli, uno scapolo e l’altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che produceva grano in abbondanza.
A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del raccolto.
All’inizio tutto andò bene.
Poi, di tanto in tanto, l’uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto durante la notte e a pensare:

“Non è giusto così.

Mio fratello non è sposato e riceve metà di tutto il raccolto.
Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia.
Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio?
Lui deve mettere da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora.

È logico che ha più bisogno di me!”

E con questo pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli versava un sacco di grano nel granaio.
Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte.
Ogni tanto si svegliava e diceva tra sé:
“Non è affatto giusto così.
Mio fratello ha moglie e cinque figli e riceve metà di quanto la terrà produce.

Io non ho nessuno oltre a me stesso da mantenere.

È giusto allora che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva la stessa parte?”
Quindi si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del fratello.
Un notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un sacco di grano!
Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia.
Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi era un luogo più sacro di quello in tutta la città.

Brano tratto dal libro “La preghiera della rana. Saggezza popolare dell’Oriente. Volume 1” di Anthony De Mello

La chiesa illuminata

La chiesa illuminata

Un principe molto ricco decise di costruire una chiesa per tutte le persone che abitavano nel villaggio.
Era un bell’edificio elegante, posto sulla collina e dunque ben visibile a tutti.
Ma aveva una stranezza:

era senza finestre!

Il giorno dell’inaugurazione, prima che il sacerdote cominciasse la celebrazione, il principe fece il suo discorso per consegnare il tempio alla comunità, disse:
“Questa chiesa sarà un luogo d’incontro con il Signore, che ci chiama a pregarlo ed a volerci bene.
Vi chiederete come mai non sono state costruite finestre.
Lo spiego subito.
Quando ci sarà una celebrazione ad ogni persona che entra in chiesa, verrà consegnata una candela.

Ognuno di noi ha un suo posto.

Quando saremo tutti presenti, la chiesa risplenderà ed ogni suo angolo sarà illuminato.
Quando invece mancherà qualcuno, una parte del tempio rimarrà in ombra.”
Gli abitanti di quel villaggio furono molto grati al principe, che oltre ad essere ricco era anche molto saggio.

Brano senza Autore, tratto dal Web

Il maestro ed i tre ostacoli

Il maestro ed i tre ostacoli

Un giorno un Maestro accolse tre candidati che volevano diventare suoi discepoli.
Al primo incontro il Maestro iniziò a comportarsi in modo eccentrico a tavola, facendo discorsi assurdi e avendo atteggiamenti strani.

Disse anche talune parolacce e mangiò il suo cibo con le mani,

asciugandosi la bocca al polsino della camicia.
Uno di questi tre discepoli se ne andò, scandalizzato di questo atteggiamento.
Il secondo fu avvisato dai discepoli anziani (istruiti così dal Maestro) che questi era un truffatore, che si stavano organizzando per fargliela pagare e che lui doveva stare ben attento a fidarsi di un uomo così.

Anche il secondo uscì dal gruppo.

Al terzo il Maestro proibì categoricamente di prendere la parola ogni volta che la chiedeva e di porre qualsiasi tipo di domande.
Anche il terzo se ne andò, sdegnato ed offeso.

Quando il Maestro fu solo con i suoi allievi disse:

“Il comportamento di coloro che se ne sono andati illustra tre validi concetti.
Il primo “non giudicare a prima vista.”
Il secondo “non giudicare cose di grande importanza da ciò che dicono gli altri.”
Il terzo “non fare della tua percezione di stima ed apprezzamento altrui il metro per il tuo giudizio su di loro.”

Storia Zen
Brano senza Autore, tratto dal Web

La collezione di rocchetti di filo colorato

La collezione di rocchetti di filo colorato

In una storia narrata dal saggio indiano Ramakrishna, una donna va a trovare un’amica che da molto tempo non vedeva.
Entrata in casa sua, nota una magnifica collezione di rocchetti di filo colorato.

Questa esibizione multicolore la attrae in maniera irresistibile,

e quando l’amica va un momento in un’altra stanza, la donna ruba vari rocchetti e li nasconde tenendoli sotto le braccia.
L’amica però se ne accorge e, senza accusarla, le dice:

“È da tanto tempo che non ci vediamo.

Perché non danziamo assieme per festeggiare il nostro incontro?”
La donna, imbarazzata, non può rifiutare ma, per non lasciar cadere i rocchetti,

è costretta a danzare in modo molto rigido.

L’altra la esorta a liberare le braccia e a muoverle danzando, e quella risponde:
“Non sono capace, io danzo solo così!”

Brano tratto dal libro “La forza della gentilezza.” di Piero Ferrucci. Oscar Mondadori 2005.

La volpe ed il leone


La volpe ed il leone

C’era una volta una volpe che se ne andava tranquilla per i prati.
Era una mattina e i prati erano rifioriti dopo la brutta stagione invernale.
I profumi della natura solleticavano le sue nari accarezzandole la fantasia, permettendole di sognare paesi lontani, belli e sconosciuti.
All’improvviso l’attenzione della volpe venne richiamata da un violento ruggito.

Era un verso che non aveva mai sentito e, terrorizzata, fuggì a nascondersi dietro ad un cespuglio.

Da li, riparata tra le foglie, la volpe poté vedere il terribile animale che aveva emesso quel suono: si trattava di un leone, una bestia a lei sconosciuta.
Spaventata, la povera volpe, scappò via il più velocemente possibile.
Dopo quel brutto incontro passarono due giorni tranquilli:
tutto sembrava quasi essere stato dimenticato, quando, d’un tratto, la piccola volpe si imbatté ancora nel leone.

Questa volta il leone le apparve proprio davanti agli occhi, a pochi passi, ostacolandole il cammino.

La volpe, impaurita, iniziò a tremare come una foglia senza la forza di reagire e fuggire:
la volpe rimase ferma fino a quando il leone, a un certo punto, si allontanò.
Il giorno seguente la volpe si imbatté per la terza volta nel leone: scoprì che il proprio timore nei confronti di quel grosso e possente animale dal risonante ruggito, andava pian piano assopendosi.

Così, durante il successivo incontro, la volpe si dimostrò molto più calma e riuscì persino a guardarlo negli occhi, salutandolo con cordialità.

Quando ebbe ancora modo di vederlo, la volpe provò a rivolgergli la parola:
riuscì finalmente a scoprire in lui doti come il coraggio e l’intelligenza.
Da quel giorno la volpe non si stancò mai di ascoltare il leone, sicura che dall’esperienza di un animale così astuto e bravo cacciatore, avrebbe tratto solo vantaggi.

Brano di Esopo

Il cane allo specchio


Il cane allo specchio

Vagabondando qua e là, un grosso cane finì in una stanza in cui le pareti erano dei grandi specchi.
Così si vide improvvisamente circondato da cani.

Si infuriò, cominciò a digrignare i denti e a ringhiare.

Tutti i cani delle pareti, naturalmente, fecero altrettanto, scoprendo le loro minacciose zanne.
Il cane cominciò a girare vorticosamente su se stesso per difendersi contro gli attaccanti,

poi abbaiando rabbiosamente si scagliò contro uno dei suoi presunti assalitori.

Finì a terra tramortito e sanguinante per il tremendo urto contro lo specchio.
Avesse scodinzolato in modo amichevole una sola volta,

tutti i cani degli specchi l’avrebbero ricambiato.

E sarebbe stato un incontro festoso.

Brano tratto da “A volte basta un raggio di sole.” di Bruno Ferrero

L’Incontro

L’Incontro

“Ebbi lo scompartimento del treno tutto per me…
Poi salì una ragazza!” raccontava un giovane indiano cieco.
“L’uomo e la donna venuti ad accompagnarla dovevano essere i suoi genitori.
Le fecero molte raccomandazioni.
Dato che ero già cieco allora, non potevo sapere che aspetto avesse la ragazza, ma mi piaceva il suono della sua voce.”
“Va a Dehra Dun?” chiesi mentre il treno usciva dalla stazione.
Mi chiedevo se sarei riuscito a impedirle di scoprire che non ci vedevo.
Pensai: “Se resto seduto al mio posto, non dovrebbe essere troppo difficile!”
“Vado a Saharanpur.” disse la ragazza “Là viene a prendermi mia zia. E lei dove va?”
“A Dehra Dun, e poi a Mussoorie.” risposi.

“Oh, beato lei!
Vorrei tanto andare a Mussoorie.
Adoro la montagna.
Specialmente in ottobre.” aggiunse lei.
“Sì è la stagione migliore.” dissi, attingendo ai miei ricordi di quando potevo vedere.
“Le colline sono cosparse di dalie selvatiche, il sole è delizioso, e di sera si può star seduti davanti al fuoco a sorseggiare un brandy.
La maggior parte dei villeggianti se n’è andata, e le strade sono silenziose e quasi deserte.”
Lei taceva, e mi chiesi se le mie parole l’avessero colpita, o se mi considerasse solo un sentimentaloide.

Poi feci un errore.
“Com’è fuori?” chiesi.
Lei però non sembrò trovare nulla di strano nella domanda.
Si era già accorta che non ci vedevo?
Ma le parole che disse subito dopo mi tolsero ogni dubbio.
“Perché non guarda dal finestrino?” mi chiese con la massima naturalezza.
Scivolai lungo il sedile e cercai col tatto il finestrino.
Era aperto, e io mi voltai da quella parte fingendo di studiare il panorama.
Con gli occhi della fantasia, vedevo i pali telegrafici scorrere via veloci.

“Ha notato!” mi azzardai a dire “Sembra che gli alberi si muovano mentre noi stiamo fermi!”
“Succede sempre così!” fece lei.
Mi girai verso la ragazza, e per un po’ rimanemmo seduti in silenzio.
“Lei ha un viso interessante.” dissi poi.
Lei rise piacevolmente, una risata chiara e squillante.
“E’ bello sentirselo dire!” fece.
“Sono talmente stufa di quelli che mi dicono che ho un bel visino!”
“Dunque, ce l’hai davvero una bella faccia” pensai, e a voce alta proseguii:
“Beh, un viso interessante può anche essere molto bello.”

“Lei è molto galante.” disse “Ma perché è così serio?”
“Fra poco lei sarà arrivata!” dissi in tono piuttosto brusco.
“Grazie al cielo. Non sopporto i viaggi lunghi in treno!”
Io invece sarei stato disposto a rimaner seduto all’infinito, solo per sentirla parlare.
La sua voce aveva il trillo argentino di un torrente di montagna.
Appena scesa dal treno, avrebbe dimenticato il nostro breve incontro; ma io avrei conservato il suo ricordo per il resto del viaggio e anche dopo.
Il treno entrò in stazione.

Una voce chiamò la ragazza che se ne andò, lasciando dietro di se solo il suo profumo.
Un uomo entrò nello scompartimento, farfugliando qualcosa.
Il treno ripartì.
Trovai a tentoni il finestrino e mi ci sedetti davanti, fissando la luce del giorno che per me era tenebra.
Ancora una volta potevo rifare il mio giochetto con un nuovo compagno di viaggio.
“Mi spiace di non essere un compagno attraente come quella che è appena uscita!” mi disse lui, cercando di attaccar discorso.

“Era una ragazza interessante!” dissi io “Potrebbe dirmi… aveva i capelli lunghi o corti?”
“Non ricordo!” rispose in tono perplesso.
“Sono i suoi occhi che mi sono rimasti impressi, non i capelli.
Aveva gli occhi così belli!
Peccato che non le servissero affatto… era completamente cieca.
Non se n’era accorto?”

Brano tratto dal libro “C’è qualcuno lassù.” di Bruno Ferrero